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mercoledì 30 luglio 2008

Spazio ai Lettori - n° 5 del 2008



Brani tratti da commenti particolarmente significativi o che si prestano ad ulteriori interventi da parte di coloro i quali vorranno interagire e approfondire i temi trattati. Un click sul titolo dell’articolo Vi condurrà ai testi integrali e Vi consentirà di inserire il Vostro pensiero.

Grazie a tutti Voi.

mercoledì 23 luglio 2008
Principi, principesse e streghe a New York

tania 01ha detto...
… l'ho visto questo film. abbastanza bello. mi piaceva molto che all'inizio le immagini fossero nei disegni 'classici' di disney…
Irish Coffee ha detto...
… non l'ho visto ma mi è stato consigliato generalmente preferisco la lettura al grande schermo leggendo la trama mi rendo conto che la visione sarebbe interessante…
burberry ha detto...
… Mi ero ripromessa di guardarlo, poi ci si sono messi di mezzo i miei figli e pure il marito, accusandomi di essere ridicola!

mercoledì 16 luglio 2008
La mia vita con l’inchiostro

emma ha detto...
… interessantissima questa tua panoramica sulla tua infanzia, la lingua come collante e come sfida…
l’altra effe ha detto...
,,, penso che le parole possano avere un potere creativo, non solo descrittivo. Magari il mondo che costruiscono è fantastico, ma chi può dire se sia più "vera" la realtà, e non invece la fantasia?
Isabella ha detto...
…Ogni ruga è un segno lasciato dal tempo, un ricordo, un'attimo di vita vissuto...è esperienza...
daemonia ha detto...
…. Bisogna dire che l'italiano ha tante "sottolingue", chiamiamole così, oppure chiamiamoli comunemente dialetti, e in se' stessa l'italiano è una lingua complicata…..

sabato 12 luglio 2008
Il ritorno di Tendy

jiri ha detto...

… Ma possiamo dire della simpatia quel che diceva Brecht della pazienza: finisce…
franco ha detto...
… E comunque, perchè dovremmo moderarci nella pazienza e nella simpatia? Io credo che ci siano già abbastanza ire e tristezze, a questo mondo...

sabato 5 luglio 2008
Intervista con Edoardo Pisano di “TCS” A “Target”

rip ha detto...
Tutto di autobiografico, niente di personale. Non ricordo chi l'ha detto, ma è un'ottima norma letteraria...

lunedì 23 giugno 2008
Dalla penna al mouse e viceversa. 10000 visitatori, baby!

Miriam ha detto...
Diventa quasi una sfida con sè stessi...superare gli ostacoli, i dubbi, le difficoltà...incontrare anche se virtualmente persone di ogni tipo, confrontarsi e perchè no, anche scontrarsi...

mercoledì 18 giugno 2008
Una prof sarda tra i terroristi

DZE ha detto...
E' un libro di clamoroso spessore. Capacità narrativa e conoscenza giornalistica avanzata fanno spesso intendere che l'autore non solo conosca molto bene i luoghi raccontati ma da l'idea che vi sia stato.

mercoledì 23 luglio 2008

Principi, principesse e streghe a New York


Da tempo un film non mi divertiva come il gustosissimo “Come d’incanto” del regista USA Kevin Lima.
Il film inizia come una favola: la classica strega/matrigna, piena di rabbia ed invidia per l’amore tra la bella Giselle e suo figlio, il principe Edward, concepisce un diabolico piano. Inoltre, la spregevole creatura sa anche che quando il “prence impalmerà” (concedetemi ordunque un tuffo nel delle favole linguaggio) la soave pulzella, costei diverrà regina e lei perderà il trono.
Si tratta anche di potere, dolci figlioli e dolcissime figliole.
All’inizio il film è un cartone; poi la matrigna, per liberarsi di Giselle la lancia in un pozzo che la condurrà in un “mondo senza lieto fine”: il nostro! Così, fine del cartone e welcome in New York, o realtà che dir si voglia.
La bella ed ingenua Giselle, una briosa e versatile Amy Adams, si aggira per N.Y. col suo linguaggio fiabesco, gli occhi sgranati, schivando ed incrociando vagabondi e scippatori, sempre col suo vaporoso ed esagerato abito da sposa bianco.
Da un lato abbiamo la Big Apple (N.Y.), la grande mela, formicolante di persone e situazioni, intrico di strade, vicoli e veicoli d’ogni tipo, dominata inoltre da fretta e competizione durissime; dall’altro abbiamo la futura regina, che spesso vediamo assumere un’aria perplessa, talvolta sgomenta.
Il contrasto tra New York, “mondo senza lieto fine” e la candida futura regina e promessa sposa è spassosissimo.
Ma Giselle non perde ottimismo e buonumore, certa che il suo Edward verrà a riprenderla per ricondurla “a casa.”
Lei ride, canta anzi gorgheggia quasi sempre e nell’appartamento dell’avvocato divorzista (interpretato da Patrick Dempsey) che suo malgrado è costretto “ad offrirle ricovero per la notte”, mette ordine … richiamando col suo canto ogni sorta di animali: dalle colombe alla blatte(!) che l’aiutano volentieri.
Per eliminare Giselle, la strega (una grande Susan Sarandon) sfodererà tutto l’armamentario del Male: dalle mele avvelenate (bel gioco, quello della città-mela ed i perfidi trucchi delle streghe) al trasformarsi in drago gigantesco e crudele.
Il film riserverà un lieto fine… non fiabesco ma non per questo meno favoloso.

mercoledì 16 luglio 2008

La mia vita con l’inchiostro



Da piccolo mi piaceva ascoltare la gente: mi piaceva sentire che cosa diceva ed anche come (mi piace tuttora).
Per es., tra loro i miei nonni materni parlavano sardo ma con me e coi miei utilizzavano l’italiano; un italiano direi senz’altro dignitoso e per quanto riguarda quello parlato da mio nonno Lazzaro, reso curioso da espressioni burocratiche ed amministrative che assorbì durante il servizio in polizia.
C’era poi il dialetto cagliaritano che a scuola ed in strada sentivo musicato ma talvolta abbaiato dai miei compagni, insieme a numerose varianti di sardo e di “italo-sardo.” Comunque, una volta, in 3/a elementare io ed un compagnetto siciliano confrontammo espressioni sarde ed appunto siciliane.
Da mio zio Romano, serissimo gesuita, sentii per la prima volta i misteriosi suoni del latino e del greco.
A Carloforte, il paese di pà, le mie avide orecchiuzze (che per il loro implacabile captare, la maestra di 4/a elementare definì “radar”) incontrarono un dialetto ligure. I carlofortini discendono infatti da antichi coloni appunto liguri che della terra di Colombo (il navigatore, non il detective) hanno conservato gelosamente dialetto e tradizioni. Carloforte, detto u paize, il paese, è forse l’unica comunità liguroparlante in Sardegna.
Ci sarebbe anche Calasetta, ma pare che il dialetto calasettano sia considerato un carlofortino (o meglio un tabarkin) corrotto o contaminato.
Ma in illo tempore non riflettevo molto sulla contaminazione, da intendersi come composizione di un’opera letteraria (in questo caso leggi: un dialetto) ottenuta fondendo elementi di varia provenienza. Infatti, prima dei 15-16 anni ero impegnatissimo a lanciare ed a schivare pietre; dopo quell’età, ero indaffaratissimo a combattere col concetto di contaminatio di Ennio.
Alle medie iniziai a studiare il francese poi per conto mio e sui testi di Dylan, l’inglese. Al ginnasio, misteri dolorosi mai gaudiosi col latino e col greco.
All’università progettai di imparare il tedesco (deutsch) ma “sprogettai” presto; però non ho perso la speranza: perché dovrei? Che cosa sono, l’ultimo degli ultimissimi?
Insomma, penso che uno scrittore, termine questo che per la 1/a volta voglio scrivere senza virgolette autoironiche, debba vivere ma anche ascoltare le parole della gente. Infatti, il mio romanzo Lune a scoppio ed i racconti de Dante avrebbe lasciato perdere sono pieni di lingue (e dialetti) che magari non so parlare davvero, ma attraverso esse vivono le persone che ho incontrato ed a cui ho voluto bene.

sabato 12 luglio 2008

Il ritorno di Tendy


Chi (a rischio della sua salute mentale) frequenti questo blog, circa 40 giorni fa avrà letto che Tendy, l’amato tendine del mio anulare sinistro si è infortunato ed è stato debitamente steccato.
La notte sentivo il povero Tendy ululare alla luna: “Liberami! Liberami, o dolce essere che con la tua lussureggiante scrittura strappi le ragnatele che da secoli soffocano le lettere sardo-cagliaritane… e financo quelle italiche! Liberami, generoso e fantasioso essere!”
(Tendy è sempre stato un po’ emotivo e scivola spesso in una retorica ottocentesca).
Io: “Ma Tendy, figliolo, perché ululi alla luna se poi ti rivolgi a me? E poi non posso liberarti: decide il medico, lo sai.”
Insomma, cercavo di farlo ragionare; ma era inutile.
Però 2 giorni fa Tendy è stato liberato. Osanna! Alleluia! Accendete ceri e soprattutto, non scatenate incendi.
Magari, l’infermiera mi ha lasciato un po’ perplesso: con le sue forbici ha “sbandato” 2-3 volte… e Tendy: “Attenta, drolla leggia!” (brutta imbranata).
Lei: “Scuuusi, si-gnoreee?!”
Io: “Niente, è solo che mio figlio è un po’ nervoso.”
“Suo fi-glio-oo?!”
“Sì, Tendy. Sa, è in corridoio e sta facendo un chiasso…”
L’infermiera ha scosso la testa poi ha liberato Tendy commentando: “Sembra un wurstel di suino.”
Avrei voluto far notare alla prestigiosa paramedica che esistono anche i wurstel di pollo e tacchino; inoltre avrei potuto interrogarla sulle sue competenze quanto a wurstel(n) di suini, veri e propri suini nonché circa salami, salsicce e salsicciotti vari.
Ma così il discorso avrebbe assunto una implicatio sexualis che forse era estranea al “discorso” della signora; signora che del resto, continuava a brandire quelle inquietanti forbici.
Bene, io e Tendy abbiamo salutato medico ed infermiera e nel raggiungere la fermata del bus, abbiamo ululato… al sole. Liberi, anche se tra 15 giorni avremo una nuova visita di controllo. Comunque bentornato a casa, vecchio mio; mi sei mancato.

sabato 5 luglio 2008

Intervista con Edoardo Pisano di “TCS” A “Target”



A fine maggio Edoardo Pisano, della tv “TCS” mi ha intervistato nell’ambito della trasmissione “Target”, spesso dedicata a temi culturali e letterari.
Era solo la mia 2/a volta (davanti ad un microfono e ad una telecamera) ma mi pare che grazie alla gentilezza ed alla professionalità di Edoardo e dello staff di “TCS”, le cose siano andate bene.
Edoardo, infatti, mi ha dato il giusto spazio, supportando e… sopportando il mio delirio letterario.
Scherzi a parte, Ed mi ha concesso l’opportunità di illustrare i temi di “Lune a scoppio”, un romanzo pieno di salti di spazio e di tempo, che mescola (umoristicamente) lingue e dialetti, talvolta inesistenti, un romanzo “abitato” da animali parlanti, che presenta incontri e scambi epistolari tra il Diavolo ed il protagonista ecc.
Di tutto questo avrei forse dovuto parlare in dettaglio ma l’ho fatto solo in generale: dir troppo poteva privare il romanzo del suo mistero… scoppiettante.
Una sola, umile preghiera: poiché qui, grazie a L “lupo di mouse” F potete seguire l’intervista, vi supplico di 1) ignorare il mio infernale accento cagliaritano; 2) sostituire al mio frankensteiniano viso quello di Robert Redford, Paul Newman, Raul Bova, Tom Cruise, Paul Mc Cartney (giovane) e così via.
Insomma, concentratevi solo sull’intervista.
Ma chi non seguirà i 2 punti della mia preghiera dimostrerà non solo di provare interesse per la letteratura, ma anche per il genere horror. Naturalmente, in questo caso avrà sempre la mia stima e simpatia eterne.
Ed ora, buona intervista!



Per selezionare i video sulla televisione ufficiale di
"La Riflessione-Davide Zedda Editore"

Intervista TCS Target
Menù/Browse on Demand/Scegli../Spot produzioni esterne/Target Uccheddu(7min)

Presentazione 'Lune a scoppio'
Menù/Browse on Demand/Scegli../Presentazioni/Riccardo Uccheddu(31min)

Intervista al volo
Menù/Browse on Demand/Scegli../Interviste/Riccardo Uccheddu(1min)


lunedì 30 giugno 2008

Spazio ai Lettori - n° 4 del 2008


Brani tratti da commenti particolarmente significativi o che si prestano ad ulteriori interventi da parte di coloro i quali vorranno interagire e approfondire i temi trattati. Un click sul titolo dell’articolo Vi condurrà ai testi integrali e Vi consentirà di inserire il Vostro pensiero.


Grazie a tutti Voi.

venerdì 13 giugno 2008
Quando finiva la scuola

Anonimo ha detto...
... Si può stare in una stanza ....si può stare in una spiaggia ..si può stare in un prato ma se nn si libera la fantasia e si sogna la vita diventa troppo brutta. Per esempio davanti a tante tragiche circostanze della vita se non sogni finisce che cadi in un baratro e non ne esci più….

Melania ha detto...
.... La fine delle scuole significava "mare", giochi, scherzi, gavettoni, nuove simpatie o “amori”.
Vedendo l'esperienza di mie figlie trovo notevoli differenze. Sentono molto meno la fine delle scuole e l'inizio delle vacanze. Non so bene il motivo ma è così. Hanno di più e si divertono di meno.

BrokingToKnow ha detto...
... Or dunque quando avete incontrato persone di cultura le avete definite tali quantisticamente in base a quanto 'sapevano' o gli avete radiografato l'animo per valutarne l'accrescimento in funzione del loro sapere?. Il nozionismo è stupido ma può essere utile. La cultura può essere limitativa, pericolosa, manipolatoria e creare divisioni se priva di saggezza. Ma per essere saggi occorre essere colti?...

Lucignolo ha detto...
... Non so radiografare le persone anche se a volte sarebbe utile riuscire a vedere in profondità come sono realmente...sarebbe tutto più semplice anche se francamente un po' monotono...

Paola R. ha detto...
... La lingua italiana è spesso affascinante in quanto ridondante di sinonimi ma in molti casi è limitativa in quanto ridondante di significati per singoli lemmi e l'etimologia aiuta molto ma può anche lasciar perplessi...

Michele S. ha detto...
….. intellettuali e opinionisti commettono due violazioni concettuali simmetriche e analoghe: da un lato gli uni si chiamano sempre “fuori”, gli altri sono già da sempre acriticamente “dentro”…

Fosco T. ha detto...
… Conosciamo il significato umanistico di cultura ma è innegabile che il termine 'colto' viene ormai utilizzato genericamente per definire 'persona dotta' e questo spoglia il termine proprio del suo valore umanistico che restringerebbe di gran lunga la cerchia delle persone 'Umanisticamente colte'…

martedì 25 settembre 2007

Nicola Menicacci ha detto...
... Tralasciare il Dylan ebreo significa sostanzialmente ignorare Dylan. Dylan non avrebbe potuto essere ciò che è se non fosse cresciuto all'ombra di quella cultura. Sarebbe qualcosa di diverso. E basta."Blood on the Tracks" è per tanti aspetti il capolavoro assoluto di Dylan. A mio avviso lo sarebbe stato ancora di più se alcuni brani, fra i quali la stessa "Tangled Up in Blue", non fossero stati ri-registrati a Minneapolis.Ma sono gusti.


rudy m.leonelli ha detto...
... E, a proposito di giovani: di Gramsci mi colpisce anche il fatto che, con la sua intelligenza versatile ed il suo sensibile interesse per "gli uomini viventi", abbia scritto, oltre a importanti lavori teorici, favole per bambini. Una materia che ha interessato altre grandi figure "anomale" come Oscar Wilde o Walter Benjamin...

giovedì 26 giugno 2008

Davvero un bel colpo dei Rolling Stones


In “A bigger bang” dei R. Stones troviamo dell’ottimo rock: rock in perfetto stile Stones, hermanos y hermanas. Perché, miei cari fratelli e care sorelle in Chuck Berry, in “Bigger” ritroviamo molto dello spirito e della lettera dei Rolling di “Exile on main street”. Di che cosa parla, il vostro scribacchino preferito? E’ presto detto.
Le chitarre. O meglio, la chitarra: quella di Keith Richards; la sua e quella di Ron Wood. Il riff aggressivo, sfrontato, martellante e che martella un ritmo che si pianta nel cervello, tanto da dire ai piedi: ballate, razza di delinquenti!
Come dice Springsteen in Jungleland, i ragazzi infiammano le chitarre like switch-blades, come coltelli a serramanico. Ascoltate solo i primi 2 brani di “Bigger””, Rough justice e Let me down slow poi ditemi se vi è rimasto un cm di pelle!
Il riff di quei pezzi, ma anche quello di Oh not you again è veloce ma preciso, duro ma non chiassoso; insomma, perfetto. Il basso di Darryl Jones non è 1 basso bum-bum ma un bel basso…
La batteria di Charlie Watts è puntuale e rocciosa come sempre: ascoltatela non solo nei rock del disco ma anche nella ballata-blues di Laugh in early died. Se uno ha suonato, magari solo a livello amatoriale (come ho fatto io) sa quanto sia importante un batterista che ti copra le spalle.
Paludi, ansie e sofferenza del blues strisciano fuori come un’anima dannata o come uno zombie in Back of my hand, quasi un omaggio a Muddy Waters. In Back la voce e l’armonica di Jagger sono taglienti ed espressive quanto quelle del maestro; molto buona la sua armonica anche in Infamy.
Del resto, in tutto “Bigger” appunto la voce di Jagger è forte, sicura ed essenziale: evita sia inutili ammiccamenti che urla sguaiate. E’ una voce che canta il rock, non fa spettacolo; ma se è uno spettacolo, lo è come la tragedia greca. Poi, il gran “lento“ Streets of love parla di tears, le lacrime di cui sono piene appunto le strade dell’amore, però senza sdolcinature.
Nel disco abbiamo anche un brano contro la guerra in Iraq, Sweet neocon e due prove alla voce di Richards, This place is empty e la già citata Infamy. La sua voce da crooner (cantante confidenziale) è calda e sincera. Sia in This place che in Back of my hand Jagger suona la slide guitar, in modo direi apprezzabile.
Rain fall down, pezzo funky, ricorda un po’ l’Harlem shuffle di Dirty works; sarà che a me il genere non piace molto, ma penso che Rain non sia il momento migliore del disco.
A parte questo, per me “A bigger bang” è uno dei migliori dischi degli ultimi 10 anni e vi conviene, ascoltarlo. Questa è un’offerta che non si può rifiutare…

lunedì 23 giugno 2008

Dalla penna al mouse e viceversa. 10000 visitatori, baby!



Quando circa 1 anno fa LF, con le sue doti simpaticamente telepatiche mi propose un blog, accettai con entusiasmo; è la storia della mia vita, quella. Voglio dire, entusiasmarmi per cose che desidero ma che non capisco.
Come i miei lettori sapranno, non sono una persona molto razionale. Non so perché sia così ma so che lo è. Molti penseranno che potrei fare la fortuna di folle intere di psichiatri ed anche di qualche esorcista. Nessun problema. Ma ho notato che talvolta (non so quanto certe fossero reali e sane provocazioni) ho ricevuto dei commenti che prescindevano dalla dimensione umoristica o almeno problematica e paradossale di certi post. Però il mondo è bello perché vario perciò o-k-a-y.
10mila visitatori sono tanti, in un annetto: quantomeno, se pensiamo che a volte ho trattato (in modo anche tecnico) argomenti filosofici e letterari; la pancetta, non intendo la mia bensì quella che cerchiamo in salumeria è certo più… appetibile. Eppure, neanche questo ha scoraggiato visitatori e commentatori.
Dalle statistiche avrei potuto vedere lo share dei post; l’ho fatto, cercando però di scordarlo subito: non volevo allora né ora capire che cosa potesse piacere… non intendevo né intendo mettermi a scrivere seguendo uno schema, quindi con la stessa spontaneità di un martello pneumatico.
Tuttavia, sinora nel blog pur non limitando la follia, ho evitato di dilungarmi su temi di cui mi occupo come “scrittore” o comunque come persona avente le sue “fissazioni”: non ho mai scritto post al 100% su Lennon, J.L.Hooker, “Solaris”, sia il romanzo di Lem che il film di Tarkovskij, la complessa e travagliata figura di Walter Benjamin, Springsteen, Socrate, il XII sec., John Fante, Luigi Santucci, Keith Richards, il calcio, Dostoevskij, Joyce, Flann O’ Brien, l’”Amadeus” di Forman, il “Dracula” di Coppola ecc.
Nei post accenno spesso a quei temi ma se mi ci dedicassi in modo sistematico, non scriverei più di nient’altro. Mi ci (dedicherò), sperando d’evitare quel pericolo, più avanti.
Il blog riceve più visite da Milano che da Cagliari; Milàn l’è un gran Milàn. Ma ho una spiegazione: kalaritani e kalaritanae sono troppo impegnati con bottiglie e coltelli; ogni tanto lasciateli stare, i coltelli e passate al mouse. Molte visite anche dalla capitale: Roma continua così a meritare l’appellativo di caput mundi. Frequenti visite anche da tante altre città della penisola: consentitemi di citare almeno Napule, Napoli; i miei bisnonni paterni erano campani e poi, che Italia (e che arte) sarebbe, senza Napoli?
Paesi esteri… primeggiano gli USA: che sia Little Steven, il calabrese di Boston, quello che si collega di più? Presenti anche G.B., Deutschland (Germania) poi India, Brasile, Francia, Israele, Romania, Marocco, Russia… troppo buoni, davvero.
Però neanch’io devo essere un vecchio rottame, penna e mouse alla mano, vero?
Comunque, grazie, thank you, danke schoen, merci, gracias, qoaqiba (spassiba)!
Dulcis in fundo, grazie anche a Silvana, mia moglie, la donna che eroicamente mi sopporta…

mercoledì 18 giugno 2008

Una prof sarda tra i terroristi



Il romanzo di Pietro Picciau “La recluta di Aden”, Davide Zedda Editore, rientra certo nel genere della spy-story; eppure, l’approccio dell’A. a tale genere è particolare. La “Recluta” ha due protagonisti principali: Bartolomeo Marreri, detto Bart e Sonia Frau, ricercatrice di storia medievale presso l’università di Cagliari.
Inizialmente pare che la Frau sia stata sequestrata ed arruolata da terroristi palestinesi. La simpatia (sul piano storico ed intellettuale) dimostrata dalla prof per la causa palestinese, rinforza nel lettore tale convinzione.
Marreri è un agente segreto… sovrappeso; non guida fuoriserie; alla guida, bloccato nel traffico “turistico” che ogni estate intasa le strade della Sardegna, suda ed impreca come chiunque; ha chiuso con la moglie e deve combattere con la figlia teenager; non ha mai storie di sesso facile nè gioca d’azzardo… E’ lontanissimo da James Bond o dall’eroe di “Mission impossible”. Ma è freddo, efficiente e quando serve, durissimo.
Forzando un po’ la lingua sarda, potremmo rendere Marreri con “zappatore” (dal verbo “marrai”, zappare); del resto, chi zappa scava ed un agente segreto, con la sua attività investigativa, cerca d’andare al fondo di cose che l’opinione pubblica non conosce. Bè, nomen est omen, il nome è un destino. Comunque, a Marreri i superiori affidano il compito di ritrovare Sonia, che a quel punto potrebbe esser già morta o diventata una terrorista.
Altro pregio del libro, oltre a quello d’allontanarsi dal “topos” del perfetto 007, è dato dal non indulgere l’A. sulla bellezza della Frau. All’inizio della "Recluta” Picciau parla di “un’espressione che le illuminò gli occhi verdi e profondi” (p.12); trovo questo veloce cenno perfetto, nella sua immediatezza. Poi l’A. passa ad altro.
Penso che nella rappresentazione del dramma israelo-palestinese il linguaggio de “La recluta” sia volutamente secco, essenziale. Il libro, che come ha detto il da tanti anni critico cinematografico del quotidiano “L’Unione Sarda” Sergio Naitza (e collega dell’A.) ha tempi filmici. Inoltre, nella "Recluta” la violenza compare senza inutili compiacimenti. Allo stesso attentato che nelle intenzioni dei terroristi dovrebbe colpire i leaders di Usa, Russia e Gran Bretagna, sì da “far esplodere il Medio Oriente”, sono riservati solo i cenni tecnico-militari di base.
Nel romanzo troviamo anche qualche momento quasi comico… nel corso di una attacco sferrato da vari Paesi ad una base di terroristi, un parà americano “fece un po’ di chiasso: infilò il piede destro e il recipiente andò a sbattere contro la portiera di un’auto parcheggiata a meno di un metro” (pp.210-211). L’episodio mi ha ricordato certi film western di Sergio Leone, nei quali la violenza si mescola a fatti ed inconvenienti spesso esilaranti.
Tuttavia, nel romanzo non mancano raids israeliani, attentati kamikaze, sparatorie, demolizione di case palestinesi… Così il quadro dipinto dall’A. è senz’altro tragico, ma fa parte di un bel romanzo… di cui non voglio anticipare altro, per non rovinare a nessuno la lettura.


domenica 15 giugno 2008

Spazio ai Lettori - n° 3 del 2008




Brani tratti da commenti particolarmente significativi o che si prestano ad ulteriori interventi da parte di coloro i quali vorranno interagire e approfondire i temi trattati. Un click sul titolo dell’articolo Vi condurrà ai testi integrali e Vi consentirà di inserire il Vostro pensiero.

Grazie a tutti Voi.

venerdì 13 giugno 2008
Quando finiva la scuola

Miriam ha detto...
"Ai miei tempi"....si sognava moltissimo, io mi sono salvata anche grazie ai sogni, chissà se oggi i nuovi scolari sognano ancora! Ma penso di si, i sogni rendono la vita più dolce, o no?

Lucignolo ha detto...
Non sempre la cultura eleva le persone, alle volte le limita e le chiude in preconcetti e le rende un po' dinosauri!

sabato 7 giugno 2008
Torna a casa, Tendy!

Melania ha detto...
A volte anche dalle cose meno piacevoli, come appunto il tuo spiacevole incidente, si riesce a trarre qualcosa di positivo.

mercoledì 4 giugno 2008
Sulle “Lettere dal carcere” di Gramsci

davide zedda ha detto...
… le lettere sono molto belle perchè fortemente sofferte e non hanno permesso a Gramsci di nascondere il proprio sentimento dietro le pesanti e difficili parole della politica e della filosofia politica del tempo.

sabato 31 maggio 2008
Islamic rap?

bakunin1269 ha detto...
Certo che molti, seduti nelle loro poltrone Italiane, non hanno una esatta percezione di come si vive, per esempio in Marocco. La cura migliore per guarire dall'equazione Islam = terrorismo = donne segregate, è farsi un viaggetto in Marocco, piuttosto che in Iran, o in Malaysia.

Maviserra ha detto...
.. è sicuramente anche attraverso la musica, la letteratura, l'arte che si può entrare in contatto con l'altro in modo più diretto, sono linguaggi universali che ci accomunano, un po' come parlare la stessa lingua.

lunedì 28 aprile 2008
Un Dylan che fantasmeggia in blues

Gianni Zanata ha detto...
… ciò che è inusuale è commentare un videoclip di Bob Dylan, tradizionalmente restio a farsi promozione in tv. Credo che – clip a parte – l’unica volta che Dylan è apparso sui teleschermi con l’intenzione di pubblicizzare l’uscita di un album sia stato nel 1984, al Letterman Show. Era appena uscito “Infidels” e lui si presentò davanti a milioni di americani facendosi accompagnare dai Plugz, un trio post-punk-rock della scena musicale di Los Angeles.

venerdì 13 giugno 2008

Quando finiva la scuola

Ero felice, quando finiva la scuola. Per un po’ niente più compagni ignoranti e snob: due caratteristiche, l’ignoranza e lo snobismo, che nel 100% degli snob che ammorbavano la mia classe, ho sempre trovato abbinate.
I professori o come diranno decenni dopo i ragazzi dei miei corsi (perché in effetti lo sono diventato anch’io) i proffe mi stavano anche bene; prof.ssa di storia dell’arte a parte, col suo ridicol-odioso autoritarismo. I suoi colleghi magari ti stangavano alla grande, ma almeno non ti facevano sentire un deficiente.
Comunque, ogni anno dovevo “portare” a settembre latino, greco e matematica, perciò giugno era il mio mese preferito: ai primi di luglio dovevo riprendere a studiare…
Dopo cena io y los amigos scendevamo giù in strada e la palla correva & correva.
Comunque, quando ora guardo i ragazzi e le ragazze, non li invidio: essere adolescenti (o anche avere 20 anni) non è poi quel gran sogno. Sto molto meglio adesso, a quasi 46.
Ho la mia rotta e di me non si è rotto molto, da allora.
Certo, ho meno illusioni… ma ho ancora tantissimi sogni.
Lascio che il sole mi scaldi la pelle, mi intrufolo ancora nei mulinelli di polvere e vento, continuo a macinare km in corse e passeggiate pensando a tutto ed a niente, scrivo e leggo forse con maggiore avidità.
Anche quella è scuola, ma disapprovo chi disprezza l’istruzione: ho imparato molto anche da materie che ho odiato.
Guardo la strada che va chissà dove e la seguo… se mi va.
Ci sono stati momenti stupendi, altri pessimi, ma come si dice nel gergo della boxe, sono ancora integro.

sabato 7 giugno 2008

Torna a casa, Tendy!

Non ho un gatto né un cane. Ho solo 4 pappagalli e 3 tartarughe, peraltro molto piccole; nessuno di questi animaletti si chiama Tendy. Non si chiama così mia moglie e neanche i miei figli.
Tendy è il tendine dell’anulare della mia mano sinistra, che si è rotto o stirato, lacerato o contuso (non so quale sia il termine giusto) mentre giocavo a calcio con mio figlio Andrea.
Ecco come è avvenuto “el drama.”
Mentre mi inarcavo, autentico Tartan dei campi di calcio per scacciare un pallone piuttosto insidioso, anziché dare alla palla il tipico schiaffetto nel quale i portieri sono maestri, ho colpito la palla con le dita a mo’ di mentecatto. L’anulare si è contorto come il dito di una strega.
Una volta ho letto che nel Medioevo si pensava che dall’anulare della mano sinistra partisse una vena che raggiungeva il cuore; ecco perché prevalse l’usanza (ancora in auge) di mettere appunto all’anulare l’anello nuziale, o “fede.”
Comunque, mia sorella Miriam mi ha accompagnato al pronto soccorso. Gracias!
Al pronto (soccorso) sono stato visitato abbastanza in fretta perfino per gli standard di Cagliari… cioè solo dopo 2 ore e mezzo. Thanks, nel senso di grazie e non dei carrarmati, anche al personale ospedaliero.
Con mio cognato Antonio ho ingannato l’attesa parlando di letteratura; danke anche a lui.
Una volta, sul bus, da un tale che accompagnò al “pronto” lo zio sentii raccontare d’aver egli in quell’occasione goduto di un simpatico intermezzo… involontariamente umoristico, quando un ragazzo spiegò a tutti gli altri lesionati, fratturati e lacerocontusi come si fosse rotto la mano.
“Stavo giocando con mio padre… mio padre, capito? Allora… ho dato un pugno al muro. E mi sono rotto la mano!”
Poi pare che il ragazzo abbia così rincarato la dose: “Volete saperlo, lo volete sapere come me la sono rotta, l’altra volta? Ce li avete presenti i cartelli stradali, quelli che ci sono sulla strada? Ho dato un pugno anche a uno di quelli!”
Io non ho goduto di tale intermezzo però in compenso mi è stato detto che avrei dovuto tenere una stecca per 40 giorni, “salvo complicazioni.”
Allora ho pensato: torna a casa, Tendy!

mercoledì 4 giugno 2008

Sulle “Lettere dal carcere” di Gramsci



Sempre grazie a Davide Zedda Editore ho potuto curare l’ed. di un’altra, grandissima opera. Dopo Clelia ed il Poema autobiografico di Garibaldi, mi è stato chiesto di lavorare alle Lettere dal carcere di A. Gramsci (appendice di Stefania Calledda). Poiché le Lettere sono uno straordinario documento umano ed intellettuale, ho considerato l’incarico assegnatomi un vero onore.
Ho diviso la mia introduzione in tre parti: nella 1/a ho cercato di evidenziare come Gramsci, a detta di Guido Liguori “oggi uno degli autori italiani più conosciuti nel mondo”, sia da noi (come dico io) celebrato e rimosso. Formalmente, si tributano a Gramsci grandi onori; ma poi si confinano i suoi concetti più interessanti, molti dei quali ancora attuali, in ambito puramente teorico: quel che egli non si era mai proposto.
Nella 2/a parte ho esaminato la vicenda del processo, che come scrisse Gramsci alla cognata Tatiana (Tania) “era politico, ossia, come disse il procuratore militare e come ripete la sentenza, noi fummo condannati per “mero pericolo”, perché avremmo potuto commettere tutti i reati contemplati nel codice: che li avessimo commessi o no era cosa secondaria.” Oltre poi alla dimensione dell’ingiustizia esisteva anche quella del paradosso, poiché Gramsci ed i suoi compagni furono condannati per cose che quando furono commesse non costituivano “reato” o per le quali (vedi gli scioperi di Modena del 1913) furono a suo tempo elogiati … da Mussolini, che all’epoca era ancora socialista e direttore de L’Avanti!
Nella 3/a parte esamino l’affascinante, anche complesso insieme di temi che Gramsci sviluppa nelle Lettere. Da queste emerge il ritratto di un uomo in cui lato morale, intellettuale e politico si fondono armoniosamente. Un esempio tra tanti: il Gramsci che riflette su genesi, riti e gerarchia della malavita ha un approccio a questi problemi che rivela l’interesse “professionale” del pensatore e del rivoluzionario, insieme ad un certo stupore, ad una forte curiosità tipiche dell’uomo comune.
Il Gramsci marito era profondamente legato alla moglie, l’ebrea russa Julca (Giulia) Schucht da una passione in cui sentimento amoroso e comune fede politica si compenetravano. Il Gramsci padre, minato ormai da mali fisici e nervosi devastanti, sapeva ancora riservare ai figli parole di grande tenerezza, peraltro non prive di un certo umorismo: come quando al figlio Delio parla dell’”elefante” che se fosse nato con le ruote, sarebbe un “tranvai naturale!”
Credo che l’ideale testamento dell’uomo si trovi nelle parole con cui si rivolge appunto a Delio dicendo: “Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi, e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra lor stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa.”
Ancora oggi dalle Lettere, la cui lettura consiglio a tutti (non solo ai giovani, come si dice di solito) ricaviamo uno straordinario arricchimento sul piano umano, morale ed intellettuale.

sabato 31 maggio 2008

Islamic rap?



Qualche tempo fa nel corso del programma “Tg Mediterraneo” ho sentito una notizia molto interessante; è interessante anche “Tg M.”: io poi mi sento molto mediterraneo; questa è una cosa che io e lo scomparso Gianni Agnelli abbiamo sempre avuto in comune. I soldi non li avevamo esattamente in comune ma il lato mediterraneo quello sì, senz’altro.
Ora, in “Tg M.” si è parlato del Boulevard des Jeunes, un raduno rap che si tiene annualmente in Marocco. Questo raduno ha permesso a molti giovani marocchini d’esprimere la loro creatività nel canto, nel ballo e più in generale ha permesso loro di incontrarsi, di discutere, far nascere amicizie, amori, forse anche collaborazioni di tipo lavorativo, in campo artistico e non solo.
Così la musica si è rivelata per tanti ragazzi e tante ragazze altrimenti condannati/e all’emarginazione o comunque a vivere in ambienti che spesso avversano l’autoespressione, la musica, dicevo, per quei giovani si è dimostrata un potente fattore di liberazione. Nei testi dei loro rappers, poi, si parla di rispetto per la donna e si condannano malgoverno e terrorismo.
Immagino la sorpresa non dei miei gentili lettori e delle mie gentilissime lettrici, ma di chi dice: come?!, arabi e musulmani non sono tutti quanti kamikaze? No.
Certo il terrorismo esiste e bisogna combatterlo, ma penso che un ragazzo o una ragazza di un Paese arabo o comunque d’area religioso-culturale musulmana, possa crescere anche attraverso l’arte. Non solo attraverso quella, chiaro: nessuno può prescindere dal lavoro, dallo studio, dal tessere una rete di relazioni, amicizie ecc.
Ma da filmato ed interviste relative al “raduno” risultava che quei giovani, tramite la musica scoprivano qualcosa che li salvava da chi perverte il messaggio di Maometto... gente che ignora che nell’XI sec. nel Libro delle meditazione di Al-Ghazali leggevamo questa sentenza: “Qual è lo scopo delle meditazione sui versetti del Corano? Che uno li reciti e li comprenda.” Comprendere, ragionare: non odiare. Ancora, Al-Ghazali ne L’inizio della retta guida ricorda che ad uno che vedeva già in Paradiso un uomo caduto in battaglia, Maometto replicò: “Che cosa te lo fa credere? Forse egli parlava di cose che non lo riguardavano ed era avaro di ciò che non gli giovava.” Insomma, la Jihad non si identifica con la dimensione militare né con quella terroristica.
Di queste cose è ben consapevole Amal “tonton” Samie.. giornalista, scrittore, promotore di varie iniziative culturali, è chiamato dai giovani “tonton”, zio proprio ad indicare con quel termine un legame di forte vicinanza affettiva; nel chiamare zio un uomo che potrebbe essere loro nonno, quei giovani gli riconoscono un’autorevolezza sul piano morale, non solo su quello intellettuale.
Forse un “nipotino” di Samie trasmetterà il benefico effetto dello “zio” ad altri coetanei. Penso che sia bene parlare di tutto ciò anche da noi e cercare di comunicare con la parte sana della cultura arabo-musulmana; non farà scomparire all’istante guerre e terrorismi, ma può contribuire ad eliminare pregiudizi e diffidenze reciproche. Può essere un inizio.

martedì 27 maggio 2008

Io ed un romanzo di Garibaldi



A Garibaldi associamo spesso l’immagine dell’uomo d’azione, ma oggi vorrei ricordare un Garibaldi inedito: un uomo che sull’Unità del Paese ha riflettuto molto ed ancor più, per essa ha sofferto (anche dopo che fu realizzata). Egli inoltre, pur da autodidatta riuscì a crearsi una buona cultura ed a produrre opere degne d’attenzione.
Circa le opere in questione vorrei ricordare soprattutto il romanzo Clelia: il governo dei preti e lo stesso Poema autobiografico. Il romanzo citato intreccia la narrazione tipicamente letteraria a considerazioni di tipo saggistico. Come ho scritto nell’introduzione commissionatami da Davide Zedda Editore, in esso “è difficile separare il momento narrativo da quello storico-politico: dato il loro intimo intreccio, si rischia di sfilacciare l’opera (….)”.
Ma forse è proprio questa la forza di Clelia: Garibaldi scrisse infatti un romanzo che partiva da un’idea “manzoniana”, con al centro la classica coppia di innamorati il cui legame è contrastato da un potente malvagio (qui si tratta di un cardinale); ma il Nostro inserisce la vicenda nel quadro della sfortunata insurrezione romana del 1867.
Tra questi due estremi, l’amore di Clelia e del suo Attilio e la rivolta popolare contro il papa-re, si inseriscono elementi davvero romanzeschi: bande di briganti, inseguimenti a cavallo, duelli, naufragi, esaltazione della natura ecc. Il romanzo scorre bene, nel senso che si dimostra lettura interessante, a tratti anche avvincente. Ancora, Garibaldi attacca il clero d’allora con un linguaggio duro e fantasioso: paragona certi preti a “serpi della città santa”, assimila i loro sgherri a “cagnotti”, dice che qualcuno ha “muso di volpe”; poi, del cardinale che concupisce Clelia afferma che “gettava occhiate di coccodrillo sulla bellissima fanciulla.”
Garibaldi denuncia anche abusi sessuali, percosse, sfruttamento lavorativo che in quei tempi le donne finivano per subire; ciò ricorda parecchio il film di Peter Mullan Magdalene. Il Nostro, con grande lungimiranza (la 1/a ed. è dei fratelli Rechiedei, Milano, 1870!) propugnava una “unione europea delle nazioni”, che inoltre risolvesse ogni controversia su base politico-diplomatica: rifiutando quindi la guerra. Come è noto, il rifiuto della guerra come mezzo per la risoluzione dei conflitti tra le nazioni è ciò che proclama l’art.11 della nostra Costituzione.
Inoltre egli condanna duramente l’azione dei moderati e dei Savoia, che ritiene responsabili dell’abbandono dei rivoltosi romani alla sanguinosa repressione pontificia; ancora, il Nostro denuncia il peggioramento delle condizioni di vita al sud, causato da un sistema economico-sociale non certo all’altezza della situazione.
Tuttavia, Garibaldi riserva il posto d’onore all’amore ed alla donna, che considera “la vera educatrice dell’uomo.” I punti più toccanti del romanzo sono costituiti proprio dall’esaltazione dell’amore e della donna, nonché dalla sua speranza della pace tra i popoli.
Beninteso, per lui di fronte alla “tirannide”, soli rimedi sono “le insurrezioni, le rivoluzioni”, perché la pace non può riposare appunto sulla tirannide. Quella, più che pace è resa ed i popoli che decidano di rassegnarsi a situazioni di profonda ingiustizia, finiscono per decadere dal punto di vista morale ancor prima che materiale. In definitiva, tali popoli accettano panem et circenses ed insieme, superstizioni di varia natura.

venerdì 23 maggio 2008

I Gormiti, l'ascensorista ed io

Il titolo di questo post ricorderà certi film con Pippo Baudo, Little Tony, Nino Ferrer, Al Bano, Romina Power, Bice Valori, Paolo Panelli ed altre “stars” (gradito il brodo)… sì, certi film del tipo “Io, Agata e tu”.
Ma ‘sta storia ve la devo proprio raccontare.
Aspettate che controllo il caffè: l’ultima volta che non l’ho fatto, la caffettiera è esplosa! Meno male che mi trovavo in corridoio, intento a riavvolgere un nastro di John Lee Hooker; altro che “musica del Diavolo”, io son stato salvato dal blues. Blues power!
Va bene, sto divagando... ma che c’è di male? In letteratura la divagazione si può chiamare “digressione” che come dice Pennac, è tipicamente francese; infatti io sono cagliaritano.
Sono anche uno scrittore ma forse questa è un’aggravante.
Andiamo avanti. Erano le 16.40. Su “Sardynia & work” ancora nessuna offerta di lavoro, per me; a meno che non si vogliano considerare tali quelle per salumiere, dirigente medico di anatomia patologica, ingegnere minerario, biologo marino, chef, elettricista industriale ecc. In quei settori non ho alcuna esperienza né preparazione.
Ci sarebbero degli “sbocchi” come addetto alle pulizie, ma per quello cercano dei giovani ed ormai, io sono un ex-giovane.
Erano le 16.56.
Dovevo andare a prendere mio figlio alla scuola materna. Mentre uscivo dal portone vidi l'ascensorista e lui vide me. Non solo mi vide ma mi guardò! Era tra il perplesso e lo scandalizzato. Io guardai lui, lui continuò a guardare me.
(Mi sembra d’essere Tarzan: me Tarzan, tu Jane!).
Mentre andavo verso il cancello e per una volta riuscivo a non spezzare le chiavi nella serratura dello stesso, l’ascensorista continuava a guardarmi, ormai disgustato.
Infine capii perché: avevo in mano tre Gormiti.
Certo pensò: un uomo di quell’età (46 anni a luglio) gioca coi Gormiti?!
Dubito che sarebbe stato travagliato da questo dubbio se avessi avuto l’orso Yogi, Braccobaldo ed eventualmente, Bubu.
Invece, con Nobilmantis, Sommo Luminescente ed Antico Torg quel rischio, purtroppo, c’è…

martedì 20 maggio 2008

Sogni e sassate

Considero fondamentali la fantasia e la grinta: i sogni e le sassate, appunto.
Quando penso alle sassate, devo dire che l’immagine non è simbolica ma dannatamente fisica. Ricordo le sassaiole cui da bambino e da ragazzino ho gentilmente partecipato.
Sì, perché anch’io, proprio come i miei amici lanciavo sassi col proposito di colpire i nemici. Ho centrato teste, è stata centrata la mia: in quest’ultimo caso, chi mi conosce assicura che i danni sarebbero evidenti e quel che è peggio, permanenti.
Scherzo? Un po’.
Ora, non voglio certo esaltare la violenza ma le sassaiole facevano parte dell’apprendistato d’ogni ragazzo che vivesse in periferia.
Chiaro, adesso è diverso… ora si usano le pistole.
Lo so, come il protagonista di Ricordi dal sottosuolo di Dostoevskij scherzo, dico sul serio, poi mi scuso per la mancanza di serietà ma anche per la troppa serietà.
Quindi mollo il Maestro per ingarbugliarmi nella rete delle mie buffonate e dei miei sermoni, furibondo perché in tutto quel pasticcio mi rimangono impigliati il piede nei ricordi, la gamba nel futuro, il naso nel presente e così via.
Ma insomma, di quali sassate parlo? Semplice: ora la vera sassata consiste nel reagire alla freddezza ed all’ingiustizia.
Adesso passiamo ai sogni, alla fantasia.
Attraverso la scrittura inseriamo all’interno di una realtà difettosa qualcosa che ne dilata i confini: perciò contribuiamo a migliorarla. Ma la scrittura non deve essere solo delirio, favole e leggende in libera uscita; anche, ma non solo.
Molta buona letteratura è impegnata e l’impegno le giova, le giova moltissimo: pensiamo almeno a Brecht ed a Pasolini. Venendo a scrittori più recenti, notiamo questo anche in GB ’84 di David Peace, un romanzo in cui egli dimostra rare doti di introspezione psicologica, nel raccontare il grande, purtroppo sfortunato sciopero dei minatori britannici contro la Thatcher.
Del resto, talvolta anche Autori in apparenza disimpegnati finiscono per non esserlo: penso al Joyce del Ritratto dell’artista da giovane. Il protagonista del romanzo si scontra con un mondo pieno di ipocrisia da cui vorrebbe liberarsi attraverso l’arte; questa è stata poi la ragione di vita dello stesso Joyce.
Eppure, nel denunciare fanatismo religioso, ipocrisie ecc., neanche il Dublinese può sottrarsi realmente al dovere dell’impegno.
Così, anche i sogni possono essere delle sassate. Uno immagina una realtà migliore… in tal modo comincia a rompere il vetro di quella in cui deve vivere. E talvolta le stesse sassate si rivelano dei sogni: spezzi le catene di una società ingiusta perché ne sogni una che si basi sul rispetto e sulla giustizia. Comunque, come scriveva Gramsci alla madre, dobbiamo evitare: “Una certa mollezza e un certo sentimentalismo che non sono molto raccomandabili in questo tempo di ferro e di fuoco, nel quale viviamo.”

sabato 17 maggio 2008

Agenda

Comprare un nuovo stock di penne e risolvere il seguente quesito: finiscono subito perché contengono poco inchiostro o perché scrivo troppo?
Cercare della brillantina come quella che mi “applicava” mia madre quando avevo 8 anni. Non la metterò, così come non “applico” (quasi mai) neanche il gel, ma mi piacerebbe risentire il suo profumo.
Poiché i nostri dolcissimi pargoli bevono impressionanti quantità di latte, chiedere a mia moglie se non ci convenga acquistare una mucca.
Chiedere al prossimo astrologo, mago o indovino che incontro se prima o poi avrò una cattedra; anche in uno scantinato, non necessariamente in una scuola.
Pregare affinché quando mio figlio avrà l’età per andare allo stadio, il tifo non somigli più alla guerriglia urbana.
Ricordare a me stesso che in fondo, posso anche sopportarmi.
Imparare a raccontare le barzellette.
Far ginnastica tutto l’anno, non solo 1-2 mesi prima d’andare al mare.
Non impallare il pc coi virus che a quanto pare, becco proprio nell’entrare in molti blog interessanti.
Fare in modo che mia moglie mi accompagni a vedere I Demoni di S. Pietroburgo di Montaldo.
Trascinare la mia signora a vedere Shine a light, il film di Scorsese sui Rolling Stones.
Chiedere a Keith Richards, il diabolico chitarrista appunto degli Stones se sia disposto a musicare le mie poesie.
Suggerire a Branduardi di far presto un concerto a Cagliari.
Ordinare la stessa cosa a Springsteen ed alla “E” Street Band.
Andare a bere una birra con Franz Di Cioccio, leader della Pfm.
Continuare a leggere la Storia della teologia nel XII secolo del Padre Chenu.
Passare ad Eolo (sotto forma di svariati bicchierini di mirto) una mazzetta perché non scateni più i suoi dannati venti quando salto con la corda in mezzo a qualche campo.
Fare finalmente un viaggio con la pazza, meravigliosa famiglia.
Chiedere a mia figlia se davvero, come dice, io rida “come un pipistrello.”

martedì 13 maggio 2008

“Gli esami” di De Filippo (parte quarta)

Io penso che così Guglielmo avesse lasciato ogni… speranza. Egli non rinuncia perché tema l’interdizione. Rinuncia perché ormai capisce che non avrebbe più senso continuare a battersi per il benessere di persone caratterizzate da tanta bassezza morale e da tale pochezza intellettuale. Decide perciò di sistemarsi d’ora in poi su una poltrona per “vivere come un albero.” Si ritira dagli affari e da tutte le attività in cui aveva primeggiato e trascorre i suoi ultimi giorni assumendo nei confronti del mondo un atteggiamento ironico e disincantato.
Inoltre rifiuta ogni cura (del resto è fisicamente e mentalmente sanissimo) e finge di farsi curare da un veterinario suo amico, che gli regge il gioco. Quando comincia a star male davvero, ciò dipende dall’età avanzata, forse anche dall’assunzione di farmaci somministratigli dalla famiglia: dietro “consiglio” di amici e conoscenti e forse anche dietro consiglio della famosa gentildonna Maria delle Grazie ecc.
Riemerge poi La Spina che con Giacinto, il portiere del palazzo di Gugliè riattacca con la sua apparente cortesia, mista però ad evidente malignità. Quando Giacinto, nella sua semplicità dichiara che lo vede male in arnese, La Spina incolpa la fortuna.
Quell’altro osserva che la fortuna “cammina con gli occhi chiusi” e li apre solo quando “sente l’odore della persona onesta”: ma questo, Furio non può o non vuole capirlo. Comunque riprende col suo pluridecennale ritornello… la carriera del carissimo compare dipese dal suocero.
Il portiere obietta che il suocero non era in grado d’aiutare nessuno, per quant’era “fesso”; anzi, per fargli capire qualcosa ci volevano “le martellate in testa”! La posizione ed il rispetto che Guglielmo si guadagnò sia nel mondo degli affari sia in quello scientifico, dipesero solo da suo impegno ed ingegno.
La Spina, nella sua maligna ottusità dubita di tutto ciò ma per una volta sembra perdere la sua sicurezza, pare che esiti. Si rianima quando sente che Guglielmo sta male...
Una volta morto il suo caro compare, egli pronuncia un elogio funebre. Non si sa con quale diritto, dato che tanti anni prima Guglielmo aveva voluto troncare ogni rapporto.
Tuttavia, neanche in quell’occasione manca d’alternare ad una mielosa retorica i suoi perfidi strali: tanto più perfidi ora che Guglielmo non può più difendersi. Inoltre, vile sino alla fine, La Spina pronuncia le parole: “Guglielmo Speranza è morto”, in modo che sembra solenne e pieno di dolore; in realtà, i suoi occhi ed una certa sfumatura della voce lampeggiano di gioia e di trionfo. E mentre il corteo funebre si avvia verso il cimitero, Gigliola è sorretta solo da lui che chissà, forse ora potrà avere lei ed i beni di Gugliè.

sabato 10 maggio 2008

Caccia all’orso

Una decina di giorni fa un tg ci ha informato del fatto che un orso ha “sconfinato.”
Mi pare che dall’Austria (ricordo male?) sia entrato in Trentino.
Mentre veniva data la notizia, sul teleschermo scorrevano le immagini di un superverde, almeno per chi vive dalle mie parti: alberi plurifrondosi, prati infiniti, ruscelli spumeggianti…
Poi il giornalista ha dichiarato, con quella che mi è parsa una punta di soddisfazione, che ora l’orso “dovrà essere abbattuto.”
Mi si sono chiesto: ma non lo si potrebbe catturare quindi ricondurre al suo “Paese”? Certo la cosa non deve essere facile, di questo mi rendo perfettamente conto.
Ma se si potesse catturare l’orso senza che ciò comporti rischi eccessivi per l’uomo nè per bestiame e coltivazioni, perché non tentare?
Non so che cosa (nel frattempo) sia stato dell’orso: se sia stato catturato, abbattuto, se sia riuscito a far ritorno dove viveva…
Però mi ha dato fastidio sentire annunciare il prossimo abbattimento di un animale come se fosse un fatto scontato se non doveroso, rinunciando inoltre a spiegare le ragioni dell’abbattimento stesso… che pure potevano o potrebbero esserci.
Soprattutto, ha dato fastidio a me, che pure non sono un animalista di ferro, registrare nel giornalista quella punta di soddisfazione.

martedì 6 maggio 2008

“Gli esami” di De Filippo (parte terza)

Un giorno Guglielmo decide di tentare un’operazione finanziaria forse audace, ma di cui da uomo serio e preparato ha valutato i pro ed i contro. Per il successo di tale operazione ha bisogno di investire dei capitali, che ricaverà dalla vendita di qualche proprietà. Per mesi ha illustrato il progetto alla moglie, che ha sempre approvato; in realtà, lei dichiara d’essersi sempre rifiutata d’ascoltarlo davvero. Ora, sicura che lui sprofonderà la famiglia nella miseria, afferma d’essersi consultata con un avvocato e minaccia il marito di farlo interdire. “Firmeranno pure i figli tuoi”, puntualizza.
Qui siamo ad un misto di dramma e farsa. Lei non si è mai occupata di affari e comunque non ne capisce niente; ammette di non aver mai voluto ascoltare le spiegazioni fornitele da Gugliè; sa che quel che possiedono è frutto del sacrificio e dell’intelligenza di lui; eppure si oppone ad un progetto che pur coi rischi insiti in ogni affare, può dare “un colpo di timone” alla loro situazione finanziaria. Ma già, il “coro” di amici e parenti sostiene che quell’affare è una follia...
Ecco la forza dell’ignoranza e del voler permanere in essa, la forza dei pregiudizi, delle voci, ecco soprattutto la sfiducia e l’insofferenza verso un uomo che Gigliola per gli altri finge d’amare. Del resto, cacciato ormai il La Spina rimane pur sempre la gentildonna Maria delle Grazie Filippetti Ullèra, che per una delle nuore di Guglielmo è “l’angelo custode” della famiglia. Al che Guglielmo si chiede come ci si possa difendere dall’invadenza di certi angeli custodi: che hanno un bastone non per “affrontarti a viso aperto, ma per gettartelo continuamente tra le ruote.” Infatti, si era autodefinito angelo custode anche La Spina.
Per me, quel che rende particolarmente irritanti e frustranti pregiudizi, pettegolezzi, consigli (sempre non richiesti) ed inviti al “buon senso” rivoltici da certe persone, è che il tutto diventa una rete che ci avvolge o a poco a poco, sì che quasi non ce ne accorgiamo… Oppure quella rete ci avvolge in un colpo solo ma è praticamente invisibile. Così, quando cerchiamo di lacerarla, quella benedetta rete, i più ci trovano “pazzi”, “superbi”, “violenti” o chissà che altro. Penso che questo sia vero soprattutto per chi vive in provincia, laddove quel laceramento conduce spesso all’isolamento o ad un’estrema solitudine.
Nel caso di Guglielmo, prima pensa di condurre una battaglia legale che a quel punto sarebbe diventata durissima; ma poi sente pronunciare da una delle nuore il nome del suo antico amore. Quel nome, benché pronunciato con disprezzo, ha su di lui l’effetto di un balsamo: infatti si calma e racconta a figli e nuore la loro storia. Si definisce sognatore e comunque decide di rinunciare al suo progetto. Anni prima, per la serenità della famiglia aveva rinunciato anche a Bonaria. Ora, per lo stesso motivo fa altrettanto anche per un progetto che pure avrebbe potuto regalare alla famiglia (questa sua croce) l’agiatezza.

giovedì 1 maggio 2008

lunedì 28 aprile 2008

Un Dylan che fantasmeggia in blues

Il disco di Bob Dylan Modern times (2006) oltre a 10 grandi canzoni contiene anche 4 (video)clips. Quella che mi ha colpito di + è il 1°, Blood in my eyes. Il brano è un traditional, in effetti un vero e proprio blues che egli canta con un semplice accompagnamento di chitarra acustica. La voce sembra dimessa, in realtà si fonde con lo spirito del pezzo, che vuol esprimere un complesso, contraddittorio insieme di tristezza e desiderio per una donna verso la quale chi canta ha “il sangue agli occhi” (blood in my eyes).
L’attacco del brano è classicamente blues: “Woke up this morning, feeling blue” (mi sono svegliato stamattina, sentendomi triste) poi continua in stile Robert Johnson: “Seen a good-lookin’ girl, can I make love with you?” (ho visto una bella ragazza, posso far l’amore con te?) Era proprio l’approccio che come leggiamo nel libro di Guralnick su Johnson, caratterizzava il grande bluesman. “Non era volgare, però era esplicito.”
Nel video del brano (brano già contenuto in World gone wrong del 1993) Dylan indossa una giacchetta che rimane aperta su una camicia… chiusa fino al collo. In testa un improbabile cilindro, il viso solcato da profonde rughe e da una noia a cui però egli non sembra dare peso. Il bianco e nero della clip segue Dylan tra uomini, moto, marciapiedi, ragazze e vecchiette che gli parlano, gente che chiede autografi. Lui ascolta, osserva ed annuisce miscelando attenzione e distacco.
Il Bob si muove all’interno di questa folla con noncuranza: termine questo caro a Henry Miller, se non erro da lui ritenuto il miglior scrittore americano. Ma Dylan veste l’abito della noncuranza senza indossare quello dell’arroganza… quel che la noncuranza può talvolta comportare.
Forse certe inquadrature vogliono suggerire che ad un certo punto Bob si trovi su un treno; in realtà è seduto in una stanza, una bottiglia di vodka o di gin sul bordo di un tavolo “ornato” da una tovaglia di plastica. Egli cammina tra la folla come se ondeggiasse, si finge giocoliere poi, mentre la chitarra lo accompagna quasi in sottofondo, supera un ponte… a sua volta seguito da alcuni a cui sembra manifesti simpatia ed indifferenza.
Ha in mano un ombrello che sembra un chapliniano bastone da passeggio…
Sguscia, Dylan, dalla stanza di prima ed appare in strada.
Una delle ultime inquadrature si sofferma su due manifesti: il 1° dice: Ha ha ha; è una risata? Il 2° dice: Global chaos, caos globale. Chiaro, da parte di un uomo che ha scritto: “Accetto il caos, non so se il caos accetti me.”
Aggiungo solo questo: chi non vorrebbe avere la lucida confusione di Dylan? Io, dopo quasi 46 anni ci sto ancora lavorando. Qualcuno mi dice che sono a buon punto, ma non so se si tratti esattamente di un complimento…


mercoledì 23 aprile 2008

Le dichiarazioni di Moggi sui giocatori gays

In un’intervista concessa a Klaus Davi per KlausCondicio l’ex direttore generale della Juve Luciano Moggi ha dichiarato: “Non so se i calciatori siano contrari ai gay in squadra, io sicuramente lo sono e posso tranquillamente affermare che, nelle società dove sono stato, non ne ho avuti, mai.”
Da queste dichiarazioni emerge che lui (infatti non dice che lo siano anche i giocatori) è contrario ai gays in squadra; né si vede come possa affermare che nelle società in cui è stato, non ne abbia”avuti, mai.” Era forse una sorta di guida spirituale o psicologica, uno a cui gli atleti sentivano di dover parlare della loro vita intima?
Inoltre il dott. Moggi afferma: “Non ho mai voluto un giocatore omosessuale nella mia squadra e anche oggi non lo prenderei.” Questa è un’evidente discriminazione: si discrimina una persona in base al suo orientamento sessuale, quel che è proibito da qualsiasi Costituzione democratica… che inoltre vieta discriminazioni su base etnica, religiosa ecc.
Il dott. Moggi aggiunge: “Sono un po’ all’antica.” Penso che questo sia evidente; però egli dichiara anche: “Ma conosco l’ambiente del calcio e, al suo interno, non può vivere uno che è gay. Un omosessuale non può fare il mestiere del calciatore e nemmeno tra i dirigenti ce ne sono. Non è razzismo, è un fatto ambientale.”
Volendo ora rimanere sul piano tecnico, trovo falso affermare che “un omosessuale non può fare il mestiere del calciatore”; ricordo, mi pare durante un Anderlecht-Juve che un giocatore come il gay Lozano fece diventare matto un campione come Cabrini. Ed oltre a Lozano ci saranno stati e ci sono tanti altri bravi giocatori.
Ma le analisi moggiane esulano dal discorso tecnico e vorrebbero sottrarsi anche a quello relativo alle discriminazioni. Infatti il dott. Moggi dice: non è razzismo. Giusto, è omofobia, per quanto presentata sotto se non mentite, almeno confuse spoglie sociologiche. Per il Nostro, è un “fatto di ambiente.” Ora, è possibile che il mondo del calcio sia tradizionalista.
Ma gli ambienti e le tradizioni non sono un destino o una condanna, a cui si debba rimanere legati in eterno. Penso inoltre che sia dovere di un personaggio pubblico (oltre che di un ex-dirigente calcistico di uno dei più grandi club del mondo) opporsi alle discriminazioni e certo non condividerle.
Inoltre, come dice Paola Brandolini (uno dei portavoce del Gay Pride) esiste una direttiva europea dell’aprile 2006 che chiede a vertici politici e religiosi di stigmatizzare le affermazioni discriminatorie e omofobe dei loro dirigenti, perciò sarebbe bene estendere tale direttiva ad ogni contesto sociale e lavorativo.
Come etero e persona che ha giocato a calcio (sebbene a livelli molto dilettanteschi) concordo pienamente.

giovedì 17 aprile 2008

La Cagliari di uno scrittore (Sergio Atzeni)

Credo che nel pensare a Cagliari le prime immagini che vengano alla mente siano quelle classiche: mare, sole, caldo quasi tutto l’anno, campane e paste ogni domenica mattina… forse da noi molti/e non immaginano altro.
Poi c’è quel che immaginano stranieri e “continentali”: una città in parte araba o almeno spagnoleggiante...
C’è anche una Cagliari che conoscono in pochi o che molti conoscono ma di cui nessuno parla.
Sergio Atzeni, A. de Il figlio di Bakunin (per citare il suo romanzo forse più noto) di quella città ha parlato spesso. Non si tratta di una Cagliari turistica: non è balneare, suggestiva, ospitale o nella peggiore delle ipotesi, simpaticamente fracassona. E’ un piccolo Inferno cresciuto in modo caotico.
Sergio dipinge il centro storico di Kalaris come un insieme di edifici fatiscenti, strade e vicoli nei quali si annida un’umanità di folli, dedita al crimine, vittima d’alcol o droga, comunque chiusa in un proprio, assurdo mondo. Troviamo molta di quella Cagliari nei Racconti con colonna sonora (Ed. Il Maestrale, Nuoro, 2002).
Nel 2° dei racconti citati esplode parecchia violenza.
Forse ora sembra normalissimo che scrittori e scrittrici delle mie parti (non solo cagliaritani/e) di cui pure non discuto il talento, scrivano storie in cui i personaggi si prendono giudiziosamente a revolverate o si taglino l’un l’altro la gola con coltelli, lamette e cocci di bottiglia. Ma quando parlava di queste cose Sergio non lo faceva ancora nessuno; o almeno, non con la sua intensità.
Il protagonista del racconto in questione si chiama Caino.
“Del nome vero, niente traccia.”
Caino è un capobanda; i suoi uomini sono vecchi amici “nel senso che finora hanno evitato di ammazzarsi, fra loro.”
Cagliari è chiamata la Ciudad, la città; in spagnolo, come se la dominazione iberica, 400 anni di ingiustizie e torture, non fosse mai finita.
Quel che nel racconto colpisce è il ritmo: una rapina a mano armata in stile commandos è raccontata in modo serrato ed essenziale, come si suona qualcosa dei Ramones (ma qui il riferimento musicale di Sergio sono i Tuxedomoon).
Però lui racconta questa storia senza dimostrarsi certo fan della violenza o del crimine.
Piuttosto, sono storie di mala vita, che accadono e che Atzeni, da bravo scrittore sa registrare e reinventare. Storie di una Cagliari che c’era e continua ad esserci...

sabato 12 aprile 2008

Una giornata strana

Oggi sabato 12 aprile 2008 a Cagliari si registra una discreta produzione di nuvole, pioggia e vento.
Il vento, poi, da queste parti non è mai stato un problema: se avessi avuto un centesimo per ogni giornata ventosa che Eolo ha spedito su Kalaris da quando son nato, ora sarei miliardario.
Il sole sta cercando d‘uscire ma è dura, con ‘sta nuvolaglia.
Inoltre, questo autunno-inverno ho sofferto molto il freddo e l’umido; non vedo l’ora che arrivi l’estate: una calda, africana estate cagliaritana (benché riesca a scrivere meglio tra fine settembre e metà aprile).
Poi, qualcuno (per es. io) dovrebbe spiegarmi perché per tanti anni l’estate mi aveva stancato, mentre ora la bramo tanto.
Bene, il mio caro me stesso, da me prontamente consultato, ha risposto di non sapere che cosa rispondermi.
Ho osservato: “Eppure, ora che io e la mia signora abbiamo due figlioletti combattivi come 2 dolcissimi Unni, andare al mare è piuttosto stressante. Dunque come spieghi questa mia fissazione marino-balnearistica, che non diventa fuga su qualche eremo del Gennargentu… quel che sarebbe più logico e sperabile?
Il mio gentilissimo me stesso, dopo aver tossicchiato per qualche secondo ha detto: “Guarda là.”
Ho guardato… e lui è sparito.
Sono rimasto tutto solo, senza me stesso. Ohi ohi!

martedì 8 aprile 2008

“Gli esami” di De Filippo (parte seconda)

Speranza è un uomo buono, intelligente, dedito al lavoro. Gigliola appartiene ad un ambiente altoborghese e questo non sarebbe in sé un male: ma la famiglia l’ha sempre tenuta sotto una campana di vetro. E lei è volubile, superficiale ed ha un segreto…
La Spina c’è sempre. Quando Guglielmo ha una storia d’amore con la profumiera Bonaria, sospetta che l’autore delle solite voci sia il fraterno amico, poi si ricrede. Invece Furio non solo mette in giro delle voci ma spiffera tutto a Gigliola; però, nel corso di un drammatico chiarimento Gugliè apre gli occhi, dichiara che in fondo ha sempre trovato fastidiosa la presenza di uno come lui e gli intima di sparire. Egli vuole togliersi il “vestito da fesso” che altri gli han messo addosso “a viva forza.”
Per La Spina, con o senza quel vestito rimane comunque un fesso. Qui egli rivela tutta la sua pochezza morale ed intellettuale: per lui, un uomo che vive per il lavoro e per una famiglia che pure non gli dà le soddisfazioni che desidererebbe, è un fesso. Uno che si confida con qualcuno che ritiene amico, è uno stupido. Per questo faccendiere e maestro d’espedienti, l’intelligenza è un imbroglio o una stravaganza. Inoltre, egli vuol far credere a Guglielmo d’essere quel che lui è: un “arrampicatore”.
Furio non può o non vuole capire il rifiuto di Gugliè dei che la “legge del vivere civile” ti costringe a pronunciare quando i no “salgono alla gola come tante bolle d’aria”: quei sì estorti ma che devi rispettare per non passare da “fuorilegge.” Il tutto ricorda quel che Bacone chiamava idola fori, idoli della piazza: false nozioni, pregiudizi che ostacolano il cammino verso il bene e la verità.
La sola debolezza di Guglielmo (ammesso che sia tale) sta nel suo essere uomo che si interroga su ciò che fa e talvolta nel turbarsi troppo per le voci. Ciò non gli impedisce certo d’agire: infatti raggiunge e con le sue forze il successo. La Spina rimarrà sempre un misero arrivista.
Ma costui intuisce nell’amico l’esistenza di una certa propensione all’autoanalisi, che tende a sfociare in scrupoli e dubbi anche eccessivi. Però in Gugliè ciò si spiega col suo essere uomo serio e rigoroso, che continuamente cerca di migliorarsi. Egli ritiene che in questa sua ricerca, in questo lavoro che compie su di sé non possa astrarre del tutto dalle idee altrui, come se fossero irrilevanti. E’ uomo tra gli uomini e lo sa.
Tuttavia Furio sa approfittare di tutto ciò rivelandosi così il peggior nemico di Guglielmo. Come leggiamo ne L’inizio della retta guida di Al Ghazali (1059-1111): “Guardati dal tuo nemico una volta/ e guardati dal tuo amico mille volte!/ chè forse il tuo amico si rivolta/ ed allora sa meglio come farti del male.”
Eccoci ora al segreto di Gigliola: ben prima che Guglielmo avesse la sua storia con Bonaria, ne ebbe una lei… la martire, la donna irreprensibile e timorata di Dio. Inoltre, al suo ritorno da lunghi e frequenti viaggi di lavoro, lui trova i figli battezzati e cresimati: in aperta violazione dell’accordo che avevano da fidanzati, di lasciare i figli liberi di compiere quelle scelte da adulti. Dietro le quinte, insieme a tanti amici e parenti c’era anche la gentildonna Maria delle Grazie Filippetti Ullèra coi suoi saggi e disinteressati consigli…

venerdì 4 aprile 2008

La discussione filosofica (parte seconda)

Ripeto: con quanto detto sinora non intendo sminuire ruolo e rilevanza dell’individualità dei singoli pensatori. Infatti, nella riflessione e nella stessa discussione (che spesso sfocia in polemiche anche aspre) l’io appunto del pensatore contiene innegabili proprium e centralità.
Socrate filosofava a partire da sé stesso e si diceva “sterile” quanto a risposte, inclinato come si sentiva alla sola dimensione interrogante. Nei primi libri delle Confessioni di S. Agostino, vediamo come esperienza personale e riflessione autobiografica si rivelino elementi fondamentali.
Nella Historia calamitatum di Abelardo e nelle Lettere (soprattutto le prime quattro) tra lui ed Eloisa i lati morale-personale e quello amoroso fanno assumere al suo/loro pensiero particolari originalità e profondità. Le Lettere dal carcere di Gramsci costituiscono un documento davvero interessante e stimolante, in cui Gramsci si presenta in tutta la sua (anche complessa e sofferta) umanità di marito, padre, figlio, intellettuale e rivoluzionario.
Certo, casi come questi non sono molto frequenti: si tratta di personalità straordinarie, che probabilmente avrebbero potuto toccare vette intellettualmente rilevanti anche in altri campi, non solo in quello filosofico.
Ma forse possiamo assumere come regola generale quella che enunciò Nietzche, quando parlò dell’importanza che secondo lui aveva, nella formazione e nello sviluppo del pensiero di ogni filosofo, il vissuto. Del resto, Peters in Mia sorella mia sposa sostiene che quando proprio il filosofo tedesco scriveva La gaia scienza era innamorato di Lou von Salomè e considerava seriamente l’ipotesi del matrimonio.
Pettegolezzo, banalizzazione di discorsi “più seri”? Non credo, perché in base appunto all’assunto di Nietzche non è possibile scindere il filosofo dall’uomo, dato che dimensione esistenziale e volontà sono intrecciate o almeno collegate all’attività –inclinazione filosofica.
Fa quindi riflettere l’affermazione del Peters sul fatto che quando Nietzche si trovava in una cruciale fase umana ed intellettuale, la sua esistenza dipendesse dal legame con la Salomè; nomen est omen, il nome è un presagio, dice l’A. di Mia sorella mia sposa. La Salomè, che all’epoca era una “ragazza di vent’anni.” Quali sviluppi avrebbe avuto il pensiero di Nietzche se il legame con la giovanissima studiosa fosse proseguito in modo felice (non necessariamente matrimoniale)?
D’altronde Hawthorne, forse uno dei pochi romanzieri in possesso di uno spessore filosofico, in una lettera alla moglie Sophia non ebbe remore di sorta nel riconoscerle il merito d’averlo sottratto, col suo amore, ad una sorta di autoisolamento dal mondo e dalla vita reale. Pare quindi che l’amore, ben lungi dall’essere mero fatto sentimentale e/o fisico, possegga anche una dignità intellettuale che può condurre ad una metanoia, ad un mutamento di parere, avviso, sentimento.

domenica 30 marzo 2008

Spazio ai Lettori - n° 2 del 2008


Brani tratti da commenti particolarmente significativi o che si prestano ad ulteriori interventi da parte di coloro i quali vorranno interagire e approfondire i temi trattati. Un click sul titolo dell’articolo Vi condurrà ai testi integrali e Vi consentirà di inserire il Vostro pensiero.

Grazie a tutti Voi.


venerdì 8 febbraio 2008
Tom Traubert’s blues di Tom Waits ed altro

Ciack ha detto...
... Di Waits mi piace questa descrizione che lo dipinge come fosse lui stesso la sceneggiatura di un film:"è uno che canta e nella sua voce ci sono le voci di tutti i barboni ubriaconi del mondo. Non è una voce, è una discarica pubblica, è una sigaretta lunga anni, è milioni di birre e chilometri, e centinaia di amori e motel."


giovedì 28 febbraio 2008
2° reato… letterario

Miriam ha detto...
... In un altro blog amico ho letto un titolo: "L' Attesa....", accompagnato da immagini molto significative e suggestive....Mi sono chiesta cosa rappresenta per me questa tappa affascinante che accompagna determinati momenti della nostra vita e come la vivo; la risposta la ritrovo nelle tue parole caro Riccardo, quando scrivi:-"So che rimarrò sempre una specie di vecchio-bambino, eternamente grato e stupito del fatto che possa succedermi qualcosa di bello", dove praticamente è racchiuso il segreto per gustare e assaporare il dono dell' attesa, la bellezza e la ricompensa gioiosa per aver lottato con tenacia per raggiungere la vetta desiderata!!

Anonimo ha detto...
... Ami la libertà, la musica. E nelle pagine di "Lune a scoppio" mi pare d'udire una dolce musica che accompagna noi lettori verso mete luminose, chiare.

venerdì 28 marzo 2008

“Gli esami” di De Filippo (parte prima)

Gli esami non finiscono mai (1973): l’ultima commedia di Eduardo. Ma è riduttivo definirla “commedia”: secondo me è la summa del pensiero di un artista che ha saputo fondere armoniosamente elementi comici, riflessioni a carattere esistenziale, osservazioni relative al costume ecc.
Gli esami, commedia in 3 atti e 1 prologo ci presentano la vita del protagonista, Guglielmo Speranza dal momento della laurea a quello della sua morte. Nel prologo egli si imbatte nei suoi compagni d’università; è felice, ripete: “Gli esami sono finiti! Non dovrò più dare esami!” Si beve e si festeggia poi l’amico Furio La Spina ricorda la loro lunga amicizia. Osserva che Guglielmo fu sempre più “fortunato” di lui con le donne e con gli studi, però non è invidioso. La precisazione rivela l’uomo, così come fa il suo stesso nome: La Spina. Costui, intanto, si propone come “angelo custode” di Guglielmo.
Ma (già nel 1° atto) Guglielmo vede che gli esami continuano: quando va a chiedere in sposa la sua Gigliola, incontra una nuova commissione esaminatrice costituita stavolta da padre, madre e zio della ragazza. Costoro arrivano a chiedergli quanti caffè beva, quante sigarette fumi, perfino se abbia mai contratto delle malattie veneree! Lui, con candore misto a scaltrezza, passa anche questo esame. Però la commissione decide che matrimonio prima di 2 anni, nisba; bisognerà vedere se Guglielmo farà fruttare quel “pezzo di carta”, come con notevole finezza definiscono la sua laurea. Insomma, Guglielmo è promosso ma rimandato.
Quando quasi allo scadere del fatidico biennio egli rivede La Spina, è un uomo felice perché da “fidanzato ufficiale” sta per ricevere dal suocero la nomina a “marito effettivo". ”Inoltre ha sgobbato duro ed ora sta facendo carriera. La Spina si complimenta ma riferisce certe voci secondo cui la strada gli sarebbe spianata dal suocero: ciò è falso ma turba la sua felicità.
Furio è uno squallido arrivista, falso amico, incapace negli studi (dopo l’ennesima bocciatura è costretto a lasciare l’università) ma cerca di farsi passare per genio. Ha inventato le scarpe col calzascarpe incorporato! Ma il tasto su cui batte sempre sono le voci: false e che lui crea. A Guglielmo, che giustamente sdegnato esige i nomi di certi maldicenti, consiglia di controllarsi perché “già si dice” che sia “invasato, fanatico, vanaglorioso.” Infine, con untuosa insistenza, si impone come compare d’anello.
Gigliola rimane incinta prima del matrimonio: il fatto è evidentemente privato ma Guglielmo riceve delle lettere anonime piene di insulti; La Spina è sempre presente. E punge. Il tempo passa ed ora i coniugi Speranza hanno 2 bei bambini ma vicini e parenti, nuovi membri di una “commissione di controllo”, esaminano la prole: il 1° bimbo somiglia al padre, ma il 2°? Così, Guglielmo comincia quasi a dubitare d’essere il vero padre e prende anche lui ad esaminare il figlio. Che gli esami siano iniziati anche per il neonato?

martedì 25 marzo 2008

La discussione filosofica (parte prima)

Spesso quando si parla di filosofia molti sottoscrivono il giudizio espresso in Fahrenheit 451 (mi riferisco al film di Truffaut, poiché non ho letto il romanzo di Bradbury) dai bruciatori di libri. Il giudizio suona più o meno così: “Ogni filosofo pensa che molti suoi colleghi abbiano completamente torto.”
Tale sententia va presa con le proverbiali molle, tuttavia trovo che contenga qualcosa di vero. Non di rado profondi o anche geniali filosofi hanno innalzato sé stessi al di sopra dell’umano… quindi anche del possibile e sfidando, inoltre, il ridicolo.
La storiografia filosofica documenta svariati esempi di questa ipertrofia dell’io, di questa vera e propria autoesaltazione.
In Mia sorella mia sposa di H.F. Peters leggiamo che Lou Von Salomè dovette intervenire spesso per salvare Nietzche dallo scherno di quanti assistevano allo spettacolo di certi proclami autodivinizzanti. Abelardo, nella sua Historia calamitatum mearum afferma che durante la fase “parigina” arrivò a considerarsi l’unico filosofo sulla Terra. Hegel riteneva che il proprio pensiero costituisse il completamento di tutto uno sviluppo storico, concettuale ed universale. Kant considerava la sua filosofia solo strumento atto a giudicare della verità d’ogni filosofia.
Per Lutero gli esponenti di una tradizione storica e filosofico-teologica quasi bimillenaria, erano insignificanti: ciò rendeva passibile del suo disprezzo, o almeno della sua indifferenza lo stesso Aristotele. Inoltre, il Riformatore tedesco considerava uno dei più grandi umanisti come Erasmo da Rotterdam un somaro. Per Schopenhauer, Hegel era un ciarlatano ed il suo pensiero niente più che una buffonata filosofica.
Potremmo continuare a lungo, il che temo potrebbe costituire una grande (ed imbarazzante, per chi si occupa di filosofia) conferma del giudizio formulato in Fahrenheit 451.
Fortunatamente, non tutta la storia della filosofia documenta le manie di grandezza di alcuni, pur grandi, filosofi.
Beninteso, rimangono da vagliare criticamente cause ed origini di certe autoesaltazioni.
Tuttavia, come vedremo nei prossimi post, denunciare o se non altro documentare certe forme di narcisismo intellettuale non significa svalutare in toto la personalità dei singoli filosofi, né gli esiti delle loro ricerche.

sabato 22 marzo 2008

mercoledì 19 marzo 2008

Io e Lune a scoppio al “Paul bar”

Giovedì 14 marzo grazie all’ed. Davide Zedda ho usufruito dell’ospitalità di 5Stelle Tv, presso cui ho presentato il mio romanzo Lune a scoppio. C’erano anche il gruppo musicale Etnìas, alcuni del gruppo folk di Siligo, la squadra di basket per disabili di Sassari, il cabarettista Murgia… spero di non aver dimenticato nessuno.
Al Paul bar, questo il nome della trasmissione condotta da Paul Dessanti si fa musica, cabaret, si parla di letteratura, sport, problemi sociali: insomma, si fa cultura: in modo leggero ma per niente superficiale.
Arrivo negli studi olbiensi di 5Stelle dalla mia Cagliari. Sveglia fantozziana alle 5.30, treno alle 6.40, sono ad Olbia verso le 11. Dopo tanti anni ho potuto passare di nuovo una giornata intera coi miei amici Sergio, Mariavittoria, Giorgio, Maddalena e rispettivi figli. Grande.
Ora, è difficile adattarsi ai tempi della diretta tv: sono veloci, complessi ed incrociati; un po’ come suonare 7-8 rock consecutivi dei Rolling Stones. Sembra che basti “buttarsi” a suonare, in realtà sono necessari talento, grinta e… sangue freddo. Così tutta la mia ammirazione a Paul Dessanti, che ha condotto con sicurezza e ad Alberto, sorta di “regista” solo apparentemente nascosto.
Mi intervista il cantautore Mariano Melis. Le sue domande sono tutte pertinenti ma anche incalzanti, così richiedono risposte veloci e sintetiche: è la diretta tv. Forse io e Lune ce la siamo cavate. In caso contrario, la colpa può esser stata solo mia. Ma penso che grazie alle domande di Mariano, ad altre di Paul ed all’efficace formula di Alberto, che ha definito Lune “un’iniziazione spirituale”, il romanzo sia stato posto sotto la giusta luce.
Avrei voluto insistere sul lato comico e paradossale di Lune (scambio di lettere tra il Diavolo ed il protagonista, presenza di gabbiani parlanti ecc.) ma Mariano ha ricordato anche certe mie introduzioni alle Lettere dal carcere di Gramsci ed a opere di Garibaldi, perciò no problem. Del resto, forse se fossi andato a briglia sciolta avrei fatto crollare l’audience; dopo chi ci andava nella prateria, a riprendere i cavalli?
Perciò grazie a tutto lo staff di 5 Stelle: Paul, Alberto, Mariano, coautore di una bella canzone sulla Deledda (congratulations!) e naturalmente grazie anche ai tecnici.
Magari, questa bella esperienza diventerà parte di un nuovo libro… chissà.

sabato 15 marzo 2008

Conquistadores (parte quarta)

Ma il Requerimiento mancava di validità oltre che sul piano giuridico e legale anche su quello filosofico-religioso: Cristo non aveva assegnato agli apostoli la missione d’annunciarLo manu militari. Sia il Las Casas che il Vitoria ritenevano appunto che Cristo andasse proposto, non imposto. E Las Casas radicalizzò la propria posizione sì da pervenire a forme coraggiose ed interessanti di relativismo etico-culturale, che negarono al vangelo lo status di sovrano delle morali e delle religioni.
Inoltre, il Requerimiento mancava del requisito-base che dovrebbe possedere qualsiasi atto o documento che si rivolga ad altri uomini: la possibilità di una libera accettazione o di un rifiuto. Infatti, leggeva il testo un ufficiale circondato da decine di uomini armati, armati peraltro con armi nettamente più sofisticate e letali di quelle di cui erano in possesso gli indios. Evidente elemento intimidatorio della procedura… intimatoria. E come “logica” conseguenza, il rifiuto da parte degli indios o anche il semplice esitare di sottomettersi alla potestà spagnola, dava “diritto” ai conquistadores di dichiarare loro guerra por todas las partes y maneras.
Tutto ciò ledeva nel modo più grave ed evidente quel libero arbitrio che era stato già teorizzato da S. Agostino. La stessa despecificazione, cioè la totale estromissione dell’indio dal genere umano, non era mai stata proclamata neanche dalla Chiesa se (cfr. “Conquistadores parte 2/a”) la bolla di Paolo III affermava il loro essere “uomini veri.” Purtroppo, ciò non impedì agli stessi uomini di Chiesa di partecipare a massacro e sfruttamento appunto degli indios.
Comunque, da quanto visto sinora emerge l’assoluta inconsistenza del Requerimiento sui piani: morale, religioso, giuridico, teologico, filosofico… e così via. Sfortunatamente per gli indios, quello era uno strumento che serviva agli spagnoli per legittimare il loro dominio economico-militare.
Penso quindi che la questione vada esaminata sotto un aspetto che in certo senso mescola i piani succitati: quello, cioè, della falsa coscienza o ideologia così come tematizzata e criticata da Marx. Ma dobbiamo muoverci su un terreno insidioso come quello costituito dalla mentalità spagnolo-cattolica del XVI secolo (mentalità a sua volta piuttosto contorta): perciò lo stesso concetto di ideologia dovrà essere utilizzato con una certa elasticità.
La sola cosa che possiamo affermare con certezza, è che il Las Casas fu uno dei pochi, anzi dei pochissimi che non assunse nei confronti degli indios un atteggiamento ideologico. Purtroppo altri, come lo stesso Vitoria, vi andarono abbastanza vicino fino ad arrivare a giustificare, nei loro confronti, uno o più interventi militari… con finalità se non morali-religiose almeno “disinteressatamente” politiche e civilizzatrici. Per contribuire, insomma, ad “elevare” gli indios e la loro civiltà.


lunedì 10 marzo 2008

Qualcosina sul teatro

Non so bene come siano i rapporti tra me ed il teatro (greco théatron). Mi piace ma trovo più entusiasmanti la musica ed il cinema, + stimolanti la letteratura e la filosofia.
Tuttavia, una volta che si vada in scena, il teatro ha in comune con la musica il fatto che non si può tornare indietro. Puoi fare tutte le prove che vuoi ma quando reciti, proprio come quando canti o suoni, se sbagli… sbagli.
Durante le prove o in sala d’incisione, gente di teatro, di cinema e musicisti possono intervenire sulla loro parte anche centinaia di volte. In scena, no. On stage l’azione d’ogni artista è quella e quella soltanto.
E’ così anche nello sport. In allenamento puoi provare tutti gli schemi del mondo, puoi e devi tenere fisico e riflessi al massimo, ma se in una competizione ufficiale sbagli un tiro, un passaggio, 1 gancio (se sei un pugile) ecc., sono capperi tuoi.
Perciò w il teatro: in esso l’artista vola senza rete; successo o insuccesso possono essere più esaltanti… o + deprimenti.
Conflittualuccio il mio rapporto con la gente di teatro. Mi trovo molto bene con chi porta in scena dei musicals o comunque delle pièces che prevedano un qualche utilizzo della musik.
Mi trovo malino con chi fa “cose” magari anche molto valide, ma da essa prescinda. Sarà che come mi dicono tutti sono “fissato” con la musique? Forse. Ma può anche darsi che la questione si spieghi con l’aver io conosciuto pochi “teatranti.”
In ogni caso, quando in questo blog parlerò di teatro non accamperò diritti o conoscenze che non ho.
Parlerò di teatro alla buona, in base a quello che ho visto e letto, rapportando il tutto a miei gusti, impressioni e sensazioni. Del resto è quello che faccio anche quando parlo di arti e/o realtà che forse conosco meglio… o meno peggio.

martedì 4 marzo 2008

Presentazione alla “Vetreria”

Sabato 1 manzo, pardon, 1 marzo alle 18.30 si è tenuta la presentazione di Lune a scoppio, mio 1° romanzo e 2/a opera. La “Sala Diamante”, a tali occasioni deputata ha visto la gentile presenza di tanti amici, parenti ed anche di qualche nuovo amico. Di ciò ringrazio LF: il blog da lui creato si è rivelato uno straordinario tam tam.
Bene, dicevo che c’era tanta gente; e l’emozione? C’era, c’era anche quella… Comunque si è cercato di scaldare l’ambiente con dell’ottimo blues: John Lee Hooker, Muddy Waters ed altri. Poi, 1° gong.
Inizia Davide “The editor” Zedda. Presenta Lune evidenziando la sua dimensione cagliaritana, ma vede nelle vicende in esso narrate qualcosa di comune a ciò che accadeva anche nelle periferie di altre città. Bella la sua definizione di un romanzo, Lune a scoppio, in cui si respira l’odore dell’afa e dell’asfalto tra e sul quale i ragazzi e le ragazze del libro “combattono” la loro vita.
Alla voce di Carmen Salis il compito di leggere alcuni passi di Lune. Lei legge con calma e con la dovuta espressività, dando il giusto rilievo a lati e passi non semplicissimi; così, cattura abilmente l’attenzione del pubblico.
Roberto Sanna centra il suo intervento sulla non tradizionalità del libro, sul carattere multiforme dei capitoli che lo compongono: come tali non ancorati al tipico schema protagonista e/o voce narrante. Per stile ed emozioni, mi fa l’onore di cogliere nel libro rimandi e collegamenti a Joyce e Cèline.
Nuove letture di Carmen poi dico qualcosa anch’io; tutto sommato, non mi pare d’aver scatenato epidemie di sbadigli.
Rob. mi rivolge qualche domanda d’approfondimento, poi Davide informa il pubblico sul fatto che per la casa editrice La Riflessione ho curato delle introduzioni alle Lettere dal carcere di Gramsci (postfazione di Stefania Calledda) ed alle opere di Garibaldi Clelia: il governo dei preti e Poema autobiografico.
Però quando “The editor” mi descrive come “1 fine intellettuale” mi vergogno come 1 ladro!
Si va verso la conclusione; qualche buona domanda da parte del pubblico quindi via a dedicare il libro a tanta, tanta gente.
Grazie a Davide e Rob. per tanta stima & fiducia; a Carmen per voce e disponibilità; al pubblico per la grande attenzione;
Infinite grazie a Silvana per aver tenuto eccellentemente a bada i nostri scoppiettanti orsacchiotti (Andrea e Sara), sole e vere lune.