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martedì 24 novembre 2009

Un altro libro che ho amato e che amo ancora


Molto presto di mattina di Dylan Thomas. Il titolo originale inglese è Early in the morning: si intitola così anche un famoso blues, perciò che cosa potrei chiedere di più?
Inoltre, Thomas era un bevitore, diciamo pure un alcolizzato. Pazienza, che volete che vi dica?
Naturalmente, se uno sta lontano dalla bottiglia mica fa un’idiozia.
Anche se poi c’è tanta gente che non beve ed usa la penna per giocare a dadi coi topi. La qual cosa, a mio modesto avviso, è inutilmente stupida… nonché parecchio difficile.
Comunque lessi Molto presto all’età di 23 anni… sì, sono stato giovane anch’io, tuttavia non mi considero vecchio.
Ed anche se da allora di anni ne sono passati 24, per me il libro mantiene il suo mixtum di poesia, follia e profondità.
Penso ad una frase in cui Thomas si presenta con “le vene piene di primavera come le scarpe d’un ballerino dovrebbero essere piene di champagne.”
Fenomenale!
Thomas era un gallese.
Ora, si dice che i gallesi siano molto emotivi. L’emotività è una caratteristica (forse decadente) anche dei latini e degli italiani in particolare…
Sarà anche per questo che mi piace questo scrittore?
Ma allora io sono un decadente?!
No o almeno, non credo…
E poi mi piace anche Boll che non era né emotivo né gallese; era tedesco, il vecchio Hein.
Ma con la logica non si fa letteratura, care e cari miei!
Nell’ottobre del 1949 Thomas lesse alla Bbc una prosa dal titolo Il Galles e l’artista.
In quel pezzo egli ironizzava sui gallesi che si stabiliscono a Londra e “si comprimono la voce come in un busto perché non sporga o non schizzi fuori qualche cadenza o inflessione d’entusiasmo gallese.”
E condannava così sia il provincialismo che il falso cosmopolitismo di tanti, non solo gallesi: “C’è una sola posizione per gli artisti, ovunque: ed è quella eretta” (D. Thomas, Molto presto di mattina, Einaudi, Torino, 1980; le citazioni alle pp.67, 151-152. I corsivi sono miei).

lunedì 16 novembre 2009

Sui films e su qualche attore


Un film è una creazione molto complessa: in esso troviamo elementi come la trama, la regia, la fotografia, la colonna sonora, la sceneggiatura, le riprese in esterni, quella in interni, le luci ecc.
Del resto, come dice Adele Parrillo, Autrice del grande romanzo-rèportage Nemmeno il dolore (che consiglio a tutti) nonché aiuto regista di Alberto Lattuada, Beppe Cino, Lamberto Bava ecc., è sfibrante lo stesso lavoro dell’aiutoregista. Richiede un paziente lavoro di mediazione con la produzione, con gli attori, la distribuzione, con lo stesso regista…
Quello che quindi a noi sembra un prodotto facile e divertente, in realtà non lo è. Anche l’arte è lavoro. Certo non è come lavorare in fabbrica o in miniera, non voglio mica dire questo.
Ma per me anche il film che realizzi la miglior alchimia tra gli elementi che ho sin qui nominato necessita di un particolare tipo umano. Si tratta degli attori. Senza nulla togliere a tutto l’entourage artistico-organizzativo che ruota attorno a un film, gli attori e le attrici sono quelli che si espongono al fuoco degli sguardi degli spettatori.
Ho ammirato moltissimo Mastroianni, che secondo me passò in modo davvero convincente dal tipo quasi del latin lover a quello dell’uomo che soffre, pieno di dubbi, di paure e comunque, insicuro. Ricordate film come Una giornata particolare di Scola, Oci ciornie di Mikhalkov e Sostiene Pereira di Faenza?
Inoltre, secondo me il Pereira tratto dall’omonimo romanzo di Tabucchi regge senz’altro il confronto col libro.
Vedo un nuovo Mastroianni in Gerard Depardieu, immenso in un film come Il colonnello Chabert di Yves Angelo: la stessa o almeno molto simile umanità dolente portata in scena dal grande romano negli anni della maturità.
Depardieu mi era già piaciuto in Ciao maschio di Ferreri. Vabbe’, qualche mia maliziosa lettrice dirà che in quella pellicola mi era piaciuta molto di più Ornella Muti. Andiamo avanti, va bene?
A Mastroianni ed a Depardieu associo Sean Penn, straordinario in Mystic river di Eastwood e nel Mistero dell’acqua della Bigelow. Sean dovrebbe gigioneggiare un po’ meno; ma pian piano ci sta riuscendo, il ragazzo.
Del resto, gigioneggiano anche De Niro e Jack Nicholson che arrivati a questo punto della carriera, temo proprio che non la smetteranno più. Al Pacino, invece, mi sembra più libero… da sé stesso.
Ma ho trovato De Niro fenomenale nel Padrino parte 2/a (in cui interpretava Don Corleone giovane) ed in Mean streets di Scorsese. Guardavo i ragazzi dei miei corsi, difficilmente cresciuti nei quartieri difficili di Cagliari e rivedevo De Niro…
Di Nicholson ho amato, davvero!, Cinque pezzi facili, regia di Bob Rafelson. Mi basterebbe rivedere la scena in cui in un certo senso si confessa col padre, per commuovermi vergognosamente!
Vorrei parlarvi anche di Sophia Loren, Claudia Cardinale, Stefania Sandrelli, Sophie Marceau, Theresa Russell, Emmanuelle Bèart, Catherine Zeta-Jones ecc. perché non ho niente contro le attrici belle e brave.
Certo, non chiedetemi di considerare brava (e neanche attrice) Monica Bellucci.
Senti, Monica, non ce l’ho con te: sei una bravissima ragazza e la prossima volta che capiti a Cagliari per un seminario su Kant sarò lieto di invitarti un limoncello, ma secondo me tu ed il cinema non andate d’accordo.
Niente di personale… come dicono i killers nei films americani.
Comunque di attrici parlerò la prossima volta.







giovedì 5 novembre 2009

Qualche libro che ho amato e che amo ancora


Da oggi parlerò ogni tanto di qualche libro con cui sono cresciuto, che ha esercitato su di me un’influenza profonda, mi ha fatto molto bene e continua a farmene.
In fondo, perché non dovrebbe?
Largo quindi ai Racconti umoristici e satirici di Heinrich Boll, che lessi quando avevo 14 anni.
Penso che senza quel libro la mia strada verso la scrittura sarebbe stata molto più accidentata.
Nel Boll di quei Racconti ho ammirato molto la capacità, sul piano dei contenuti di descrivere realtà anche dolorose… ma con uno spirito leggero, mai frivolo o ingenuo.
Sul piano dello stile ho ammirato la musicalità cioè la fusione nello spazio anche di poche frasi, di una vasta gamma di sentimenti. E’ quel che appunto fa il musicista con le note.
La stessa satira di Boll, in Qualcosa accadrà. Racconto denso di avvenimenti sembra quasi che si basi su un refrain.
La frase appunto “qualcosa accadrà”, con le sue variazioni “accadrà certo qualcosa”, bisogna che avvenga qualcosa”, “è accaduto qualcosa” ecc., risuona di continuo nella fabbrica del signor Wunsiedel.
Simbolo, quella frase, d’efficienza e chiarezza di idee (?).
I dipendenti, poi, sembrano dei maghi.
Per es., sentite di che cosa era capace la segretaria di Herr Wunsiedel, il principale…
Costei aveva “sfamato un paralitico e i suoi quattro bambini, lavorando a maglia e nello stesso tempo si era laureata in etnologia e psicologia, si era dedicata all’allevamento di cani da pastori ed era divenuta famosa come cantante in un locale notturno col nome di Vamp 7.”
Wunsiedel sintetizzava così il suo credo: “Dormire è peccato” (H. Boll, Racconti umoristici e satirici, Bompiani “Tascabili”, Milano, 1977; per le citazioni cfr. pp.136 sgg.).
Ma se continuo vi racconto tutto il libro mentre dovreste leggerlo.
Ah, dovreste leggere anche i miei (scusa, Heinrich).