Poi c’è quel che immaginano stranieri e “continentali”: una città in parte araba o almeno spagnoleggiante...
C’è anche una Cagliari che conoscono in pochi o che molti conoscono ma di cui nessuno parla.
Sergio Atzeni, A. de Il figlio di Bakunin (per citare il suo romanzo forse più noto) di quella città ha parlato spesso. Non si tratta di una Cagliari turistica: non è balneare, suggestiva, ospitale o nella peggiore delle ipotesi, simpaticamente fracassona. E’ un piccolo Inferno cresciuto in modo caotico.
Sergio dipinge il centro storico di Kalaris come un insieme di edifici fatiscenti, strade e vicoli nei quali si annida un’umanità di folli, dedita al crimine, vittima d’alcol o droga, comunque chiusa in un proprio, assurdo mondo. Troviamo molta di quella Cagliari nei Racconti con colonna sonora (Ed. Il Maestrale, Nuoro, 2002).
Nel 2° dei racconti citati esplode parecchia violenza.
Forse ora sembra normalissimo che scrittori e scrittrici delle mie parti (non solo cagliaritani/e) di cui pure non discuto il talento, scrivano storie in cui i personaggi si prendono giudiziosamente a revolverate o si taglino l’un l’altro la gola con coltelli, lamette e cocci di bottiglia. Ma quando parlava di queste cose Sergio non lo faceva ancora nessuno; o almeno, non con la sua intensità.
Il protagonista del racconto in questione si chiama Caino.
“Del nome vero, niente traccia.”
Caino è un capobanda; i suoi uomini sono vecchi amici “nel senso che finora hanno evitato di ammazzarsi, fra loro.”
Cagliari è chiamata la Ciudad, la città; in spagnolo, come se la dominazione iberica, 400 anni di ingiustizie e torture, non fosse mai finita.
Quel che nel racconto colpisce è il ritmo: una rapina a mano armata in stile commandos è raccontata in modo serrato ed essenziale, come si suona qualcosa dei Ramones (ma qui il riferimento musicale di Sergio sono i Tuxedomoon).
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