venerdì 31 agosto 2012
On the road again (di nuovo sulla strada)
Come tanti, anch’io viaggio d’estate… cioè quando con la
famiglia siamo liberi dal lavoro e dalla scuola; secondo me, quella è la
stagione ideale per visitare e gustare panorami.
Certo, può esserci il problema
del caldo. Per questo spesso scegliamo climi e Paesi freschi.
Fosse per me, che non soffro proprio il caldo, potremmo
andare in vacanza anche nel Sahara… o giù di lì. Solo, dubito che la mia famiglia
gradirebbe!
Bene, finora abbiamo visitato
soltanto l’estero, ma ci tengo a sottolineare che prima o poi non ci dispiacerà
per niente visitare anche l’Italie.
Il nostro patrimonio
storico-artistico è tra i migliori del mondo: ma forse il fatto di conoscerlo
(voglio dire a livello di studio, precedenti e singoli viaggi, internet,
giornali ecc.) può forse renderlo scontato mentre ovviamente, non lo è.
Bene, tra i Paesi da me-noi finora visitati, ho sempre
apprezzato quelli latini… per via della mentalità e del modo di essere, che ho
sempre trovato in sintonia con noi del Belpaese.
Ricordo infatti che nel 1996 a
Toledo la guida spagnola ci disse (criticandola un po’) che a Siviglia la gente
diceva spesso mañana, domani;
come a volte si pensa che facciano i messicani…
Ma forse, spesso si volge in
caricatura una tendenza dello spirito latino ed anche mediterraneo a
prendere le cose con calma, non ad evitare di farle.
Gli antichi Romani dicevano festina
lente, affrettati lentamente; eppure conquistarono e civilizzarono quasi
tutto il mondo allora conosciuto.
Un giornalista svedese raccontava
che durante un suo soggiorno in Tunisia doveva fare delle cose urgenti
all’ufficio postale. Così entrò trafelato nell’ufficio in questione, ma
l’impiegato disse: “Prima di tutto, buongiorno.”
Ecco, non è detto che la velocità
e l’efficienza debbano farci trascurare la cortesia o trasformarci in robots
che corrono come schegge impazzite. Velocità, efficienza e cortesia possono
star benissimo insieme.
Nel caso poi della Spagna, ho
avvertito un’affinità particolare non solo col carattere italiano, ma anche con
ciò che caratterizza noi sardi… cioè un’apparente lentezza.
Il nostro scrittore Giuseppe
Dessì diceva in Sale e tempo (cfr. G. Dessì, Un pezzo di luna,
Edizioni della torre, Cagliari, 1987, p.41) che gli aveva fatto
perdere del tempo solo l’ansia di perderlo.
Egli spiegava che una volta
libero dagli obblighi e dai doveri impostigli da genitori, insegnanti ecc.,
capì che la sua non era (ciò di cui lo accusavano) pigrizia ma volontà e
capacità di guardare le cose, gustarle, ricrearle nel suo cuore e nella sua
mente. In tal modo padroneggiandolo, quel benedetto tempo…
Del resto, come mi faceva notare
giorni fa in Olanda un mio anziano conterraneo (certo dotato di competenze nel
lavoro contadino), spesso quando ammiriamo l’efficienza e l’organizzazione
agricola olandese, non dobbiamo scordare l’influenza che su tutto questo
esercita il clima.
Piogge per almeno 3/4 dell’anno;
di conseguenza, pascoli abbondanti; temperature che a parte il periodo invernale
non sono mai troppo rigide… né calde o torride durante il resto dell’anno.
Su quest’ultimo punto, molti
amici di Nuoro città (e dintorni) mi hanno sempre detto che da loro, in
Barbagia, in inverno nevica parecchio ed il clima è molto freddo almeno fino ad
aprile.
Poi, in circa metà della Sardegna
(da Oristano in giù) la primavera e l’estate fanno registrare temperature che
vanno dai 20 ai 35 gradi abbondanti… e con piogge davvero scarse, in confronto
alla media olandese.
Certo, agli olandesi dobbiamo riconoscere
qualcosa che non può derivare dal clima, intendo programmazione economica, studio e conoscenza del territorio,
utilizzo dei mezzi tecnici e finanziari senza sprechi né ruberie, inesistenza
di tangenti e corruzione, bassa evasione fiscale ecc. Non mi sembra poco!
Ma se anche qualcuna di queste
ultime cose dovesse esistere, non impedisce il buon funzionamento delle cose.
Sul piano del carattere un
mio amico (memore del Montesquieu de Lo spirito delle leggi e dei luoghi)
sottolinea come il clima influenzi appunto il carattere ed i costumi
degli esseri umani. I climi freddi ci chiudono nell’ambito della nostra
famiglia o al massimo di ristrette cerchie d’amici.
Quelli caldi ci invitano
alla vita all’aperto, nelle piazze, nelle strade, ci rendono più espansivi
anche verso gli sconosciuti.
E’ questa, prosegue l’amico, una
caratteristica dei latini e dei mediterranei.
Condivido la sua tesi, ma con qualche riserva: amici ed alcuni
miei nipoti, che hanno lavorato e lavorano tuttora a Dublino, in Irlanda, mi
parlano dei locali proprio quasi come se fossero italiani, spagnoli, greci ecc.
Il mio amico Max, valente
chitarrista, durante le sue scorribande rock-alcolico-musicali (sulle altre massimo
riserbo) mi ha dipinto i bretoni con colori latino-mediterranei. Eppure, la
Bretagna si trova nel nord della Francia.
Io ho conosciuto gente di Parigi
molto affabile; altrettanto dicasi d’alcuni inglesi e tedeschi.
Ma certo, da un punto di vista generale
direi che esista un’influenza del clima sul carattere.
Io, per esempio, mi sento molto latino ma ho spesso dei momenti in
cui mi estranio da tutto e da tutti per immergermi nei miei pensieri, nei miei
sogni ed anche in qualche… incubo. Sì, perché ci sono anche quelli: se
vuoi il sogno non puoi schivare l’incubo; troppo comodo, cocco!
Proseguiamo.
Arrivati
all’isolotto di Marken, la nostra guida (il sig. Ben Stipe) ci ha raccomandato
di non fare chiasso.
Questa raccomandazione sarebbe
stata inutile per degli olandesi, per dei tedeschi, danesi ecc., ma utilissima
per dei latini (però forse noi sardi possediamo un certo autocontrollo). In
effetti, noi che abitiamo da Parigi in giù, con la nostra espansività potremmo
risultare fastidiosi ad occhi e ad orecchie nordiche.
Vedete, Marken è stata fino ad un
po’ di tempo fa una cittadina di gente di mare e di pescatori… e non per hobby.
Tantissima parte del territorio
olandese è stata letteralmente sottratta al mare o comunque a corsi d’acqua che
la percorrevano, la solcavano e circondavano… mettendo non di rado a rischio
l’esistenza della terra e la vita delle stesse persone.
Per me, nella lotta condotta sia
dall’antica che dalla moderna gente d’Olanda contro il mare, è stato creato un prodigio di fronte al quale
sfigurano perfino le piramidi.
Ora a Marken non si vive
più di pesca: secondo Ben, almeno l’80% dei suoi abitanti lavora ad Amsterdam o
alla sua periferia. Ma quando l’abbiamo visitata noi (a ferragosto) erano tutti
in ferie e chi si trovava in casa aveva bisogno di riposare. Da qui la
raccomandazione del buon Ben.
Marken… casette in legno molto
basse risalenti ad alcuni decenni fa ma perfettamente curate, inoltre disposte
su alcune file a ragionevole distanza le une dalle altre, verde ovunque,
vialetti perfetti, le barche anch’esse disposte secondo un ordine quasi
geometrico (sarebbe il caso di dire… spinoziano!), nessun tanfo di nafta
né (perfino) di salsedine, nessun frastuono di radio né di tv, nessuno che
trincasse o urlasse per strada…
Poi, in un bar in rigoroso legno
marinaresco, ho visto delle foto degli antichi abitanti…
Quelle foto, che
risalivano a fine ‘800 inizio ‘900, mostravano della gente fiera, anche dura;
mostravano uomini, donne ed anche bambini dalla facce scavate dal lavoro, dal
gelo e dal vento.
Perfino i bambini avevano un’aria
indifferente all’obiettivo… ma nello stesso tempo, quasi spaurita. Ed in quelle
foto, non sorrideva nessuno.
Ecco, io ho trovato questo molto
interessante: perché gente come quella aveva ben poco da sorridere e
vedere quei volti mi ha dato una certa tristezza… uomini, donne, bambini: tutti
condannati, se volevano vivere (ma era vita?) a tantissimi stenti ed a
parecchie privazioni; condannati, non di rado, anche alla morte.
Ad un livello più generale, ho
pensato a perché mai nelle foto si debba (quasi per forza) sorridere.
Io, poi, “esco” sempre con una smorfia a metà tra Jack lo squartatore ed una
maestrina dell’’800.
Comunque, dopo Marken siamo
tornati ad Amsterdam.
Ma racconterò questa storia un’altra volta.
venerdì 3 agosto 2012
L’ultimo mandante (Bologna, 2 agosto 1980- Bologna, 2 agosto 2…)
Per molti era il senatore;
per qualcuno, il paracadutista.
Ma per tutti era il dottore:
sì, un titolo quasi umile, quest’ultimo… ma lui coltivava una sottile, ipocrita
umiltà.
Anni prima aveva pubblicato il
saggio Sul valore del male in cui sosteneva che non era difficile essere
onesti, altruisti, sinceri ecc. ma che tutto ciò era “bovino, asinino, tipico di chi teme la vita e non sa assaporarla.”
Era scoppiato uno scandalo così
decise di interrompere la propria carriera di saggista; si era trattato del suo
solo passo falso.
Ma da allora aveva iniziato a
tessere i fili della sua oscura ed in apparenza poco redditizia ragnatela, che
per sua scelta non l’aveva condotto (per decenni) ai vertici del potere.
Ed
aveva i suoi dossiers, le sue intercettazioni, registrazioni, foto, video,
documenti ecc.
Perché tenere sotto controllo il
tenentino, lo scribacchino di provincia, il sindaco di paese, l’industrialotto?
Questo gli chiedevano i suoi amici.
Che domande!
Lui sentiva che il
tenentino sarebbe diventato generale, l’industrialotto un grande imprenditore;
il sindaco, ministro o boss di una grande banca; lo scribacchino, influente
opinionista tv.
E non sbagliava quasi mai.
Al momento giusto quei piccoli
sarebbero diventati grandi, utili e ricattabili.
Ed aveva capito che se sali
troppo, quando cadi sei finito.
Molto meglio stare in basso…
Da
dove puoi osservare la caduta dei grandi, magari attutire la loro caduta ed
aiutare a salire gli ancora piccoli… così avrai la riconoscenza e l’appoggio
degli uni e degli altri ed accumulerai potere… che utilizzerai al momento
giusto.
Importante non puntare
all’esercizio diretto del potere ma stare nell’ombra, prendere e/o
fingere di prendere accordi, progettare nuove alleanze da intrecciare alle
vecchie, essere severi custodi degli antichi valori ma entusiasti sostenitori
dei nuovi.
Certo, ogni tanto il Paese aveva
bisogno di qualche scappellotto: come aveva scritto qualcuno, da noi “lo stragismo”
è stata la modalità normale di gestione del potere… almeno dai tempi del
Valentino, tanto ammirato da Machiavelli!
Che cosa non avevano fatto, loro…
Poi non era importante (e forse
neanche possibile) stabilire chi fossero, appunto loro…
I vari dominatori che si
erano succeduti alla guida del Paese dal Medioevo ad oggi, le tante mafie, la
massoneria, i servizi segreti deviati?
I vertici di polizia, Chiesa,
industria, magistratura, media, sindacati compiacenti?
Terroristi d’ogni colore,
intellettuali da salotto, artisti vanesi o deliranti?
Sì, loro erano tutto questo e molto
più di questo.
E trovavano ulteriore forza
pescando in quella zona grigia priva di qualsiasi confine e consistenza…
che così dava sempre più il Paese in mano a loro: oxfordiani o francescani di
fuori, banditi di strada di dentro. E per sempre.
Sì, ogni tanto qualcuno urlava il
suo no! Gente come Gramsci, Pasolini, Falcone e Borsellino. Ma erano
pochi e stroncarli, facilissimo.
In un Paese in cui quasi tutti
temono più di passare per fessi che risultare assassini, cavernicoli, erotomani
o ladri, loro avrebbero regnato in saecula saeculorum.
Ed ogni tanto una bella strage, lo
scappellotto teneva il Paese buono per 15-20 anni.
Negli ultimi tempi lui aveva
finalmente accettato incarichi importanti: prima a Bruxelles poi nel governo
italiano.
Ora, a 40 (o erano 50?) anni
dalla strage di Bologna era ministro della difesa ma stranamente, aveva
iniziato a provare una nuova sensazione… come di rimorso, se non di pentimento.
Molti di quelli che avevano tramato con lui erano morti… ma non tutti. E
lui era il mandante più potente: anche perché aveva tutto quel materiale…
Forse era arrivato il momento di
spezzare quella catena di menzogne, depistaggi, massacri e connivenze che
durava da un tempo schifosamente infinito.
Padre Mario era stato chiaro:
“Senza riparazione non può esistere assoluzione. Insomma, vada a dire
tutto quello che sa, che ha fatto e che ha fatto fare,
assassino!”, aveva concluso urlando.
‘sti preti che parlano come
guerriglieri sudamericani!, aveva pensato lui, stizzito. Ai vecchi tempi aveva
prestato la sua consulenza d’esperto torturatore in Argentina ed in Cile…
Ma il gesuita aveva ragione,
doveva parlare.
Ora l’aveva fatto e tutto
era stato messo a verbale, ma capì subito che provava vergogna, non rimorso o
pentimento. Avrebbe voluto pentirsi ma non ci riusciva.
Ormai il cancro gli lasciava solo
altri 2 mesi, presto avrebbe dovuto presentarsi davanti ad Autorità ben più
potenti e scaltre di lui.
Dovrò bruciare all’Inferno, pensò
con amarezza.
Improvvisamente ebbe una chiara
visione del nulla che era nonché una lacerante percezione della sua
inumanità e di tutta la morte che aveva causato.
Invocò disperatamente il dono del
pentimento, che però non venne; pensò che era giusto così perché in fondo,
anche ora, cercava solo una via di scampo.
Ma stavolta non ci sarebbe stato
nessun depistaggio o cavillo, prescrizione, falsa testimonianza, ragion di
Stato, immunità diplomatica, aereo che lo trasportava in Paesi compiacenti nè nient’altro di simile.
Stavolta era solo e disperato.
E lo sarebbe stato per sempre.
In questa e nell’altra vita.
Per l’eternità.
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