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giovedì 24 dicembre 2020

Parlando del Natale (e non solo) col mio Interlocutore Immaginario

 

“Ciao, Riccardo! Da quanto tempo!”

“Ciao, I.I. Tutto bene?”

“Non c'è male. Che cosa succede qui da voi? Su, racconta.”

“Beh, avrai sentito parlare del covid 19. Si è ammalata ed è morta tanta gente. Perciò, francamente preferirei parlare d'altro, se non ti dispiace.”

“Va bene, ma vorrei dire almeno questo: avete sprecato i mesi estivi senza far niente: non avete potenziato gli ospedali, aumentato i posti-letto né prevenuto i nuovi contagi. Ma avete continuato a sprecare soldi e tempo in acquisto e produzione di armi.”

“Hai ragione, I.I., hai mille volte ragione.”

Vedendomi avvilito disse: “Comunque sono sicuro che ce la farete. E dimmi, come va il lavoro? Ho sentito dire che sei tornato a Cagliari ed in una scuola di Cagliari.”

“Sì, e sono molto contento: stavo benissimo anche a S. Antioco; c'era un grande senso di comunità, laggiù. Certo, la sveglia alle 4.30 del mattino era pesantuccia...”

“Direi! Invece come va nella nuova scuola.. anche con la DAD (o DID)?”

“Io ho continuato ad andare, col ragazzo che seguo. Ma eravamo solo io, lui, le bidelle e pochi altri: in tutto, 10-15 persone. Desolante, in un edificio molto grande e che spesso, aveva anche i riscaldamenti spenti.”

“Più che desolante! E senti, come procede il nuovo romanzo? Poi vorrei anche sapere di che cosa parli.”

“Procede bene. E' ambientato a Cagliari nel 1657 ed il protagonista è un giudice dell'Inquisizione in incognito. Il problema (ma solo all'inizio) è stato calarmi nel personaggio; insomma, cercare di ragionare come un uomo del '600. Comunque, per fortuna è pieno di 'felici' contraddizioni. Per fortuna, sebbene durante i processi lui ordini spesso la tortura, ad un certo punto eliminerà del tutto le punizioni fisiche ai danni dei suoi operai e contadini. Farà addirittura frustare il suo amministratore, che aveva accusato ingiustamente un contadino.”

“Vedo che non la smetteresti più di parlare di questo romanzo. Ma ora dimmi, che cosa stavi ascoltando?”

“Una raccolta dei Beatles.”

“Grandi! E quali brani consiglieresti per Natale? Non solo di quel gruppo, però.”

“Ecco, vediamo... Santa Claus is coming to town di Springsteen e della “E” Street Band, I am waiting dei Rolling Stones, Imagine e Jealous guy di John Lennon, Downtown train di Tom Waits, Summer of sorcery di Little Steven, Stop and smell the roses di Ringo Starr, Radici di Guccini, La fata di Bennato...”

Sì, va bene, Riccardo: ho capito.”

... tornando ai Beatles, All my loving, Girl, Help!!!, Hey Jude...”

Ma questo non la finisce più!”

... Rock 'n roll girls e Searchlight di John Fogerty, Magic bus degli Who...”

Sì, va bene: ho capito. Io vado, buon Natale e buon anno a tutti!”

martedì 8 dicembre 2020

Streghe e vampiri in Sardegna

 

Probabilmente, chi vive sulla Penisola o chi comunque non abbia molta familiarità con le tradizioni popolari sarde, non sa che quaggiù abbiamo alcuni miti e credenze piuttosto inquietanti.

Certo, tra i non-sardi, molti avranno visto alcune immagini o danze dei Mamuthones. Ora, quelli costituiscono un discreto “assaggio” di ciò di cui voglio parlarvi oggi.

Intanto, direi che in Sardegna il confine tra strega e vampiro è piuttosto labile, davvero sottile. A complicare le cose, forse potremmo anche dire che da queste parti, è labile anche la distinzione tra la strega (bruscia) e la fata (jana); ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano. Così, oggi parleremo soltanto di streghe e vampiri.

Nella sub-regione del Campidano, di cui Cagliari è la città più rappresentativa, oltre che capoluogo della Sardegna, la strega è chiamata coga (plurale is cogas). Già qui è possibile scorgere una somiglianza direi perfetta col classico vampiro. Leggiamo infatti in Cabiddu: “Le streghe arburesi succhiano il sangue per puro istinto di malvagità.”1

Per sdrammatizzare mi sia consentito dire che spero almeno questo, cioè che le “arburesi” (donne di Arbus, cittadina che si trova non in Campidano, bensì nel Sulcis-Iglesiente), abbiano abbandonato da tempo certe pessime abitudini. Non mi piacerebbe scoprire d'aver avuto, in famiglia, certe diaboliche parenti... infatti, il ramo paterno della mia famiglia era proprio di Arbus!

Tuttavia, le prime vittime delle cogas di Arbus (che forse là hanno o avevano un altro nome) sono i bambini, soprattutto i neonati ed anche le puerpere. Le benemerite streghe di Arbus evitano di cibarsi del sangue dei bambini, che ricacciano “sulla cenere del focolare domestico.”2

Tutte le altre ne vanno invece orribilmente ghiotte, tanto che: “Si sentono irresistibilmente attratte verso le culle dei neonati, quasi sempre la notte stessa del battesimo per togliere dalla loro fronte gli olii santi e dalle loro vene il sangue innocente, a preferenza dalla punta della lingua.”3

Nota bene: in Sardegna si parla di cogas (streghe), ma anche di cogus (stregoni).

Per quel che ho potuto capire, ed in omaggio ad una macabra forma di... femminismo ante litteram (o di eterno maschilismo?), la coga era forte e crudele almeno quanto il suo omologo maschio (cogu).




Note


1 Andrea Mulas, Una sottil virtù diabolica. Gli esseri che succhiano sangue nella cultura popolare della Sardegna, Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese, 1992, p.20. Per il Cabiddu citato cfr. G. Cabiddu, Usi, costumi, riti, tradizioni popolari della TrexentaEditrice Fratelli Fossataro, Cagliari, 1965, p.60.

2 A. Mulas, Una sottil virtù diabolica, op cit., p.20.

3 A. Mulas, op. cit., p.20.

martedì 17 novembre 2020

Ballata dei gradini

 

Sedevamo sui gradini delle chiese e su quelli dei bar...

se sai come farlo,

puoi sballarti con Dio o con l'alcol

ed è sempre comunque una gioia.

Sedevamo sui gradini dei nostri amori e delle nostre malinconie

inseguendo le nostre paure

che cercavamo di rivestire di coraggio.


Sedevamo sui davanzali della nostra giovinezza

senza nessuna paura di cadere

o forse

sperando che accadesse...

e qualcuno è caduto davvero:

complici polizia, amori inaciditi, troppo alcol, droghe e lavoro da schiavi.


Verso il tramonto sfodero ancora la mia armonica,

continuo a fingere che sia uno strano e prodigioso strumento

a metà tra il sax e la chitarra elettrica...

purtroppo, quel miracolo in legno e metallo

è lontano dal trasformarsi in una macchina del tempo

che mi riporti

al fianco di mio padre e dei miei amici scomparsi.


Continuo a lasciarmi cadere su vecchi gradini

su cui è magari cresciuta l'erbaccia della tristezza

ed anche quella del rimpianto

ma in fondo

(nel fondo cioè dell'uomo che fingo di essere)

mi alzo sempre e sempre anche dai gradini peggiori.


Così continuo a correre ed a viaggiare,

ormai non più per divertirmi

ma per il pane, il lavoro, il rispetto e la dignità

che spero di dividere e condividere

con gli uomini e le donne di questo assurdo mondo.


Ballo un po' di rock nella casa

in cui ho imprigionato la mia famiglia

che almeno,

del mio rock e dei miei balli ride

con rispettoso divertimento

ed ogni tanto,

viene con me a sedersi su tanti tipi di gradini.

A volte,

quei gradini ospitano perfino me.



mercoledì 30 settembre 2020

I miei rapporti con la macchina del tempo


Come sanno tutti quelli che mi conoscono (quindi come dovrei sapere anche io) mi piace inventare storie, personaggi, cercare di distillare dai sentimenti e dai pensieri qualche succo anche non di frutta e talvolta, perfino uno straccio di logica. Del resto, lo straccio potrei usarlo, ogni tanto, anche per lavare i pavimenti di casa. Perfino quelli di casa mia.

Ma più di tutto, mi piace portare sulla scena un po' di sana follia; ma senza fare scene.

Certo, mi sarebbe piaciuto diventare un grande chitarrista rock ed anche un grande cantante, sempre rock oppure blues.

E la costruzione di una bella macchina del tempo, a chi la lasciamo? Ai gorilla di Trump?

Come dicevo tempo fa ad un fraterno amico (appena lui nell'aldilà leggerà questo “fraterno” penserà che sia diventato un professore ottocentesco, lo so!), con la cara time machine potrei vedere mulini a vento sull'Hudson... sì, a Nuova Amsterdam, quella città che da un po' qualcuno chiama New York.

A bordo della macchinetta potrei andare nella Oxford del XIII secolo e chiedere a Ruggero Bacone: “Ma padre, come ha fatto a prevedere tante cose? Non avrà mica inventato Lei, prima di me, 'sto trabiccolo?”

Comunque, ora sto ascoltando gli Status Quo: non saranno molto originali, ma stasera mi va qualcosa di non troppo impegnativo.

Ho finito di scrivere un altro capitolo del nuovo romanzo, ambientato nella Cagliari del 1600 e... sono contento.

Lo sono molto meno quando vedo che gli editori non si degnano di rispondermi da tempo immemorabile, ma pazienza: l'importante è continuare a scrivere-combattere. Per il resto, come canta zio Bruce, lo Springsteen del Garden State alias New Jersey: “Nessuna ritirata, nessuna resa.”



mercoledì 5 agosto 2020

40 anni dalla strage dalla stazione di Bologna

Il 2 agosto del 1980 dell'esplosivo distrusse la stazione ferroviaria di Bologna. 85 i morti, oltre 200 i feriti.

Si tratta di una tragedia che non potrò dimenticare mai e che nessuno potrà mai cancellare. Già, perché in Italia, per un malinteso senso della “modernità” e di buonismo che però con la bontà non c'entra niente, si tende a negare o almeno o a minimizzare tutto.

Risultato? Le giovani generazioni, di quella e di tante altre stragi (Portella della Ginestra, 1947; piazza Fontana, Milano 1969; piazza della Loggia, Brescia, 1974 etc. etc.) non sanno e non vogliono sapere niente.

Ed in questo clima di ignoranza, cinismo, menefreghismo, ed altre porcherie assortite, a ben pochi e non solo giovani, interessa sapere e capire. Quasi a nessuno interessa che siano smascherati e condannati i mandanti.

Eppure, non dobbiamo cedere al pessimismo, soprattutto a quello che può farci dire: tanto non si saprà mai niente; tanto, andrà sempre così. Del resto, quello è anche fatalismo, il credere cioè che esista un fato, un destino che nessuno potrà cambiare. Mai.

Inoltre, è falso dire che sulle varie stragi non si sia mai scoperto niente. E' quanto contesta, per es. a proposito di piazza Fontana l'ex-magistrato Giuliano Turone.1 Alcune cose si sanno e gli esecutori di stragi terrificanti sono stati acciuffati. Alcuni legami tra questi mostri ed altri che appartenevano alla medesima area ed allo stesso “intreccio” (formazioni neofasciste, servizi segreti deviati, alcuni politici, P2, mafia, militari o funzionari di Paesi esteri) sono stati provati.

Ora, per motivi di spazio non riprodurrò tutta la lunga, complessa e contraddittoria sequenza dei vari processi. Del resto, l'11 febbraio 2020 la procura generale della Repubblica di Bologna ha chiuso la nuova inchiesta sulla strage. E probabilmente vi saranno anche altre inchieste.

Nel corso di tanti processi, alcuni che furono condannati all'ergastolo per il “delitto di strage”, furono prima assolti poi di nuovo condannati. Emersero complicità, coperture, si scoprirono depistaggi e finanziamenti da parte di uomini dello Stato, di Licio Gelli etc. etc.

Il quadro è quindi estremamente caotico, spesso perfino assurdo. Tuttavia, a distanza di tanto tempo, sono stati riconosciuti colpevoli di quell'orrore i terroristi neofascisti Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini.

Abbiamo quindi gli esecutori materiali. Abbiamo anche qualcuno che fu condannato per depistaggio come: Licio Gelli; Pietro Musumeci, generale del Sismi (il servizio segreto italiano) legato alla P2; il tenente colonnello Belmonte ed il faccendiere Francesco Pazienza.

Ma non è ancora tutto. Come infatti scrive sull'Espresso Paolo Biondani: “Ora la procura generale aggrava le accuse contro i vertici della P2: Licio Gelli e il suo tesoriere Umberto Ortolani sono considerati 'mandanti' e 'finanziatori' della strage.” In questo c'è una logica: “Gelli ha depistato le indagini perché lui stesso ha pianificato la strage. D'intesa con Ortolani, il cervello finanziario della P2, accusato di aver procurato tra cinque e dieci milioni di dollari usati per finanziare i terroristi neri e comprare complicità di apparati dello Stato, politici di estrema destra e servizi segreti, militari e civili.2

Del resto, la vicinanza di Gelli al fascismo era di antica data: ricordiamo che egli fu l'ultimo federale di Pistoia del Pnf (partito nazionale fascista).3

Inoltre, la “volpe argentata”4 Carla Costa, che “decedeva l'11 ottobre 1980 in circostanze poco chiare”, si ritiene che sul finire del 1979 stesse “svolgendo una indagine sui trascorsi repubblichini di Gelli.”5

Né i legami di Gelli col fascismo si limitarono al solo ambito italiano, infatti: “Molto discussi furono gli ottimi rapporti che Gelli intraprese con il generale e presidente argentino Roberto Eduardo Viola e l'ammiraglio Emilio Massera durante il periodo della dittatura nel paese sudamericano (1976-1983).” Così: “Pochi giorni dopo il golpe, Gelli, sostenitore dei militari argentini, ricevette una lettera da parte di Massera, dove quest'ultimo espresse 'la sua sincera allegria' per come tutto si fosse sviluppato secondo i piani prestabiliti.”

Ed a dimostrazione dei buoni rapporti, il Gran Maestro della P2 ottenne dalle autorità argentine anche un passaporto diplomatico.6

Del resto, da noi esistettero legami senz'altro organici anche tra altre figure del vecchio e del nuovo fascismo. Per es.: “E' interessante notare che uno degli addestratori della struttura militare coperta di Ordine Nuovo, nei tardi anni sessanta, era appunto un ex-ufficiale del battaglione Np della X Mas.”7

Perciò, in Italia la contiguità ed affinità tra fascismo e neofascismo non è mai stata solo di tipo nostalgico: ha fornito addestramento militare; ha portato ingenti somme di danaro; ha fatto sviluppare e ha coperto strutture eversive e scatenato terrificanti attentati terroristici.

Tutto questo, con un fine ben preciso, per fortuna fallito. Infatti, dopo il 2 agosto l'allora sindaco di Bologna Zangheri si chiedeva che cosa si fosse voluto con quel massacro e concludeva che forse si voleva: “Suscitare una reazione violenta, per poi, dopo averla provocata, preparare le condizioni della repressione”8

Insomma: suscitare l'orrore e la rabbia della popolazione, che una volta scesa furiosa nelle piazze, avrebbe “costretto” le autorità a spazzarla via da quelle stesse piazze con l'esercito. Da lì all'instaurazione di un regime di tipo greco o cileno, il passo sarebbe stato breve. Del resto, il modello era proprio quello di un colpo di Stato come quello realizzato dai colonnelli greci nel 1967. E per questo si organizzavano anche dei campi paramilitari.9

Certo, per centrare l'obiettivo bisognava compiere azioni terribili. E fin dagli ultimi mesi del 1969(!), l'intenzione era di: “Organizzare attentati dimostrativi ai treni che impressionassero l'opinione pubblica e favorissero un rovesciamento politico.” Del resto non bisognava temere conseguenze perché “erano coinvolti i servizi segreti di sicurezza italiani.”10

Risulta evidente come qui cada la possibilità di intendere la politica, la vita in società ed il diritto in modo anche solo minimamente morale e civile. Del resto, come è stato purtroppo osservato, in Italia lo stragismo è sempre stato considerato (e perfino codificato, per es. dal Machiavelli) come fatto del tutto “normale” perfino dalle classi dirigenti.11

Fatto quindi a cui ricorrere sia per conquistare sia per mantenere il potere. Ed in un quadro che gronda letteralmente sangue, chi può curarsi dell'infiltrazione di gruppi neofascisti, mafiosi, collegati a servizi segreti deviati etc. etc.?

Sorge anzi il sospetto (se non la certezza) che questa infiltrazione diventi spesso collaborazione, che si richiede, accoglie e ricambia con grande gioia e non minore riconoscenza.

Concludendo: dal 2 agosto 1980 sono passati 40 anni, ma si comincia finalmente a scorgere almeno una verità storica.12 Su quella giudiziaria e relativa ai mandanti, speriamo di non dover attendere altri 40 anni; anche perché a 98 temo che non sarei neanche più in grado di capirla.


Note


1 Giuliano Turone, Prefazione a Antonella Beccaria, Piazza Fontana. I colpevoli, PaperFirst, Roma 2019, p.12.

2 Vanessa Roghi, La strage di Bologna aspetta ancora il lavoro degli storici, Internazionale, 2 agosto 2020. Purtroppo, Gelli e Belmonte sono morti: il 1° nel 2015 , il 2° nel 1998.

3 Vincenzo Vasile, Turiddu Giuliano. Il bandito che sapeva troppo, Roma 2005, p.90 n.11.

4 L'”allevamento delle volpi argentate” era una rete di donne-spie fasciste. Cfr. Le volpi argentate in www.sicurezzanazionale.gov.it

5 V. Vasile, Turiddu Giuliano, op. cit., p.90 n.11. Il corsivo è mio.

6 Per i fatti citati cfr. Chi era Licio Gelli e che cos'era la P2, a cura di Ermes Antonucci, La Stampa, 16 dicembre 2015. Il corsivo è mio.

7 V. Vasile, op. cit., p.90 n.10. Np sta per “Nuotatori-paracadutisti.” Il corsivo è mio.

8 V. Roghi, La strage di Bologna, art. cit.

9 Per tutto questo cfr. A. Beccaria, op. cit., p.78.

10 A. Beccaria, op. cit., p.63. I corsivi sono miei. Il riferimento ai servizi si trova nella Sentenza n.15/61, p.671. Cfr. A. Beccaria, op. cit., p.63 n.70.

11 Saverio Lodato-Roberto Scarpinato, Il ritorno del Principe. La criminalità dei potenti in Italia, Chiarelettere, Milano 2017, pp.46-48, 52-54.

12 Vanessa Roghi osserva però che finora sulla tragedia di Bologna i nostri storici non hanno prodotto molto, ove si eccettuino Cinzia Venturoli, Storia di una bomba, Castelvecchi 2020 e forse anche Miguel Gotor, L'Italia nel novecento, Einaudi, Torino 2019.



venerdì 17 luglio 2020

Sul primo disco di Tracy Chapman


Oggi vi parlerò del primo disco di Tracy Chapman, che si intitolava appunto Tracy Chapman.
Ricordo che lo sentii per la 1/a volta sul treno che da Civitavecchia via Cagliari conduceva me e qualche altra decina di sardi a Taranto, per il C.A.R. (corso addestramento reclute).
Era il il 1988 ed all'epoca io ed altri futuri vecchi-ragazzi ascoltavamo la musica in cassetta. A volte anche in porchetta. Un altro “compagno d'arme”, tale Campagna, mi passò un walk-man e così conobbi il soul-blues della Chapman.
Tuttora la musica della bravissima Tracy mi ricorda l'anno di leva e quel particolare miscuglio di solitudine, rabbia, ma anche di lunghe suonate, chiacchierate, bevute e certo anche notti di guardia con ragazzi che purtroppo ho perso di vista.
Non con tutti, per fortuna: col caro amico e pard (grazie Tex Willer!) Bruno Manca ci sentiamo ancora spesso.
Bene, nella musica di T.C. mi ha sempre colpito la capacità di fondere buona musica, bei testi e l'evidente volontà di non piegarsi allo show-business: le sue canzoni, infatti, non hanno mai seguito mode; lei è sempre stata gradevole ma mai ruffianamente orecchiabile.
Per esempio, For my lover è un pezzo ritmato e che dal vivo potrebbe far ballare anche un pubblico groenlandese; però non ricerca il ritmo e la danza in modo ossessivo. Per niente.
Baby can I hold you e For you sono dei pezzi romantici ma mai sdolcinati, che suggeriscono all'ascoltatore di porsi di fronte all'amore con un atteggiamento che implica sofferenza e forse anche un certo distacco, ma non cinismo o freddezza.
Behind the wall è una storia di violenza coniugale e di isolamento, raccontata però con un tono volutamente dimesso, ma non per questo indifferente. In effetti, che cosa sappiamo della sofferenza dei nostri vicini, per non parlare di quella degli sconosciuti e soprattutto di quella delle donne?
I due pezzi più noti, cioè Talkin' abou a revolution e Fast car meriterebbero almeno un post a testa, che prima o poi scriverò.
Per oggi, dirò solo che Fast car parla di una storia d'amore che la protagonista vede trascinarsi ed insieme sfumare nell'incapacità del partner di crescere ed assumersi le proprie responsabilità di uomo e di padre. Intanto lui continua a correre ( ma ormai senza più la sana ed un po' folle gioia che provavano da giovani) sulla loro fast car, la veloce auto su cui sognavano.
A parte quella canzone, il disco è tutto acustico: la musica è quindi molto scarna, tuttavia ricca. La ricchezza è data dai contenuti e dalle atmosfere, che ti rimangono in testa fin dai primi secondi di ogni canzone.
Il disco di Tracy è del 1988 quindi arriva a soli 6 anni di distanza da un altro molto simile per temi, atmosfere ed impostazione musicale: mi riferisco Nebraska di Springsteen. Entrambi i dischi contengono lo stesso senso di desolazione e forse, anche di disperazione.
Comunque, nessuno dei due lavori spinge alla resa: prendono anzi atto del fatto che molte vite sono spezzate e non invitano a coltivare false speranze. 



mercoledì 3 giugno 2020

Giocando ad essere me stesso



Raggruppo i miei ricordi
con una musica che ritorna da un passato
che continua a rifilarmi zucchero & fiele,
addolcisco con qualche misera zolletta di poesia
il veleno che a volte mi consuma.

Invecchio...
Invecchio?
Sì.
E non posso farci niente.
Lo “spirito” è
(come si dice)
“ancora giovane”?
Sì.

Bene.
Bene?
Sì.
Ma questo mi serve a qualcosa?
Speriamo.

Non faccio però
il super-giovane
super-sano
iper-muscoloso
stra-alimentato
col pensiero disattivato
ed in definitiva,
sorridente come un deficiente.

Sono un vecchio ragazzo
cresciuto tra sassaiole, sbronze, palloni da calcio, gesuiti
& amori imperfetti
più frittate di monologhi interiori made in Dublin,
il tormentato Augustinus,
il grande Nino delle Lettere ed anche dei Quaderni
e pochi o molti altri:
dunque non posso e di certo non voglio
vedermi
su viali di tramonto
né su autostrade per l'Inferno.

Bene.
Bene?
Sì.
E per oggi chiudo la porta qui...
altrimenti come potrei
aprire la finestra domani?

venerdì 24 aprile 2020

Josef Mayr-Nusser, martire del nazismo


J. Mayr-Nusser nacque a Bolzano il 27 dicembre 1910. Dopo esser rimasto orfano di padre frequentò l'Istituto Tecnico Commerciale e lavorò: “Come impiegato, prima presso la ditta 'Eccel' e, in seguito, presso la 'Ammonn.' A 20 anni è chiamato al servizio militare italiano, in Piemonte e poi in Sardegna.”1
Egli fu uno dei pochi sudtirolesi che votarono contro l'annessione alla Germania dei territori conquistati dopo la I guerra mondiale dall'Italia.... conquista, quella, su cui fu molto critico perfino il patriota Cesare Battisti. Egli, infatti, italiano ma di nazionalità austriaca e dagli austriaci condannato a morte per “alto tradimento”, scrisse: “Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano. Certi italiani confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini d'Italia estesi fino al Brennero.”2
Dunque il Sud-Tirolo è sempre stato un territorio di lingua e cultura tedesca, passato all'Italia solo perché il nostro Paese sconfisse l'Austria durante la Grande Guerra; ma tuttora (legittimamente) gli altoatesini non si considerano italiani.
Ai tempi di Nusser, molto probabilmente il loro legame con la cultura tedesca era ancora più forte, perciò la scelta di rimanere con l'Italia non fu certo facile: quei pochi che votarono contro l'annessione alla Germania furono considerati “traditori” e “Venivano apostrofati come “walsche” (italianacci bastardi)."3
Beninteso, chi scelse di rimanere con l'Italia sapeva di rimanere con un Paese che era comunque fascista. Un Paese che per 20 anni userà il pugno di ferro con gli italiani-italiani (chiamiamoli così), che negli anni '30 aveva compiuto su popolazioni africane atti di grande crudeltà,4 e che grazie agli archivi della sua polizia faciliterà al nazismo deportazione e sterminio degli ebrei italiani5 e  combatterà al fianco della Germania nazista.
Però io penso che se Nusser e pochi altri scelsero di rifiutare il giogo hitleriano, questa scelta non dipese certo dal fatto che ritenessero... dolce quello di Mussolini, ma probabilmente dalla convinzione (sotto il fascismo italiano) di poter contrastare quei regimi. Ed infatti Josef: “Entrò a far parte dell'unico gruppo organizzato di resistenza al nazismo e al fascismo attivo sulla direttrice del Brennero: L'Andreas Hofer Bund.”6
Secondo Rocchetti: “Fu anche a causa di questo suo impegno militante e politico che Mayr-Nusser venne arruolato a forza nelle divisioni dell'esercito nazista.”7
E non solo nell'esercito nazista, ma nel corpo militare più spietato della storia: le S.S. Ma una volta inviato a Konitz, nella Prussia occidentale, egli dà prova di straordinario coraggio. Infatti: “Rifiuta di prestare giuramento a Hitler, perché lo ritiene 'incompatibile con la fede cristiana.' Allora accusato di 'whermachtszerstzung', cioè di attività volte a erodere la compattezza delle forze armate, è sottoposto a carcerazione preventiva a Danzica. Quando il fronte russo si avvicina, è destinato alla deportazione nel campo di concentramento di Dachau.”8
Come aggiunge Rocchetti: “Josef, spossato dalla fame e dalla dissenteria, muore, con il vangelo tra le mani, sul treno, la notte del 25 febbraio 1945.”9
Il livello morale ed intellettuale dell'uomo è ancora oggi fonte di grande insegnamento per tutti noi. Egli avrebbe ben potuto, come membro della piccola borghesia di lingua tedesca, restarsene tranquillo a coltivare la spregevole virtù dell'attendismo. Questo, mentre attorno a lui morivano ogni giorno migliaia e migliaia di persone e molte altre soffrivano fame, sete, tortura ed umiliazioni di ogni tipo.
Invece Nusser scelse di dire nein, no. Rifiutò di ingrossare la vergognosa schiera degli indifferenti, contro i quali in un celebre articolo si scagliò Antonio Gramsci... per il quale la non-qualità di costoro cioè l'indifferenza era il: “Peso morto della storia.”10
Josef, da cristiano di nome e di fatto, dato che anticamente il termine christianus aveva il significato oltre che teorico-religioso anche pratico-sociale di seguace di Cristo, rifiutò di mettersi al servizio della terribile macchina da guerra nazista. Infatti: “Giurare per odiare, per conquistare, per sottomettere, per insanguinare la terra? Giurare per rinnegare la propria coscienza, giurare per piegarsi ad un culto demoniaco, il culto dei capi, innalzati a idoli di una religione sterminatrice?”, si chiese. “Signor maresciallo, io non posso giurare.”11
Parole stupende, queste. Parole che andrebbero meditate da tutti e soprattutto da chi in modo davvero ottuso, persiste in un'assurda ammirazione del nazifascismo, forte della non meno assurda giustificazione che: “Però c'era ordine.”
Chiunque invece sappia che quell'”ordine” era nient'altro che violenza cieca e bestiale, nata dalla convinzione che esistessero popoli interi da sottomettere e massacrare, dovrebbe pensare all'esempio fornito da Mayr-Nusser ed al suo martirio.
A meno che costui o costei non pensi che gli esseri umani siano solo bestie, con cui dunque si possa “trattare” solo col bastone... perché di fronte a concezioni fondate sulla zoologia (peraltro la più crudele), qualsiasi discorso di tipo etico, morale ed anche religioso, storico o sociale, risulta del tutto inutile.



Note


1 Non giuro a Hitler, di Francesco Comina, San Paolo, 2000. Si trova sul sito dell'ANPI digitando questo titolo. Articolo pubblicato il 10 dicembre 2010.
2 Scritti politici di Cesare Battisti, vol.II, pp.96-97, cit. in Don Lorenzo Milani, L'obbedienza non è più una virtù, a cura di Carlo Galeotti, Millelire Stampa Alternativa, anno II, numero 5-6 del 30 marzo 1994, p.35. Il corsivo è mio.
3 L'uomo che disse no a Hitler finalmente beato, di Daniele Rocchetti. L'articolo si trova sul sito delle ACLI e si trova digitando il titolo citato. Nusser è stato di recente appunto beatificato dalla Chiesa cattolica. Benché non certo con un significato così dispregiativo, il termine “walsche” si trova anche nel libro di Lilli Gruber Eredità. Una storia della mia famiglia tra l'Impero e il fascismo, Rizzoli, Milano 2012.
4 Cfr. Angelo Del Boca, I gas di Mussolini, Editori Riuniti, Roma 1996.
5 Su questo aspetto, nonché sulla responsabilità di tanti “studiosi” nella formulazione delle deliranti argomentazioni dell'antisemitismo italiano, e sulla responsabilità in questo della gran parte dei nostri accademici, cfr. Franco Cuomo, I dieci. Chi erano gli scienziati che firmarono il manifesto della razza, l'Unità/Baldini Castoldi Dalai, Roma 2008.
6 L'uomo che disse no a Hitler, art. cit.
7 Ibidem.
8 Non giuro a Hitler, di F. Comina, art. cit.
9 L'uomo che disse no a Hitler, art. cit.
10 Per tutto questo cfr. Antonio Gramsci, Le opere. Antologia, a cura di Antonio A. Santucci, Editori Riuniti/l'Unità, Roma 2007, pp.23-25. L'art. si intitola naturalmente Indifferenti.
11 L'uomo che disse no a Hitler, art. cit. I corsivi sono miei.

lunedì 13 aprile 2020

"Folsom prison blues", di Johnny Cash


Folsom prison blues cioè il blues della prigione di Folsom è una canzone che il grande cantautore statunitense Johnny Cash compose nei primi anni '50.
Musicalmente parlando, il brano è non allegro, ma comunque molto trascinante; strumento-base è la sola chitarra acustica, però possiede una forte carica drammatica. Sostenuto poi dalla voce solenne ma dolente di Cash, spazza via qualsiasi pensiero frivolo o superficiale.
Il protagonista esordisce parlando di un treno che arriva “rotolando” attorno alla curva e dichiarando che lui non vede più il sole da chissà quando, perché si trova chiuso nella prigione di Folsom.
Certo, ci troviamo nell'universo delle canzoni carcerarie, ma i versi di Cash sono forti, anche molto amari, però sempre essenziali. Esprimono ira e dolore per la perdita della libertà, ma senza sfociare in pentitismi e senza mai degenerare in assurde recriminazioni, maledizioni ecc. ecc.
Esattamente all'opposto, è come se il protagonista osservasse sia la sua attuale condizione sia la sua vita precedente con un certo distacco, addirittura con una punta di umorismo. Egli ricorda infatti come da piccolo la madre gli dicesse sempre di fare il bravo e di non giocare con le pistole. Ed in inglese, son (figlio) e guns (pistole) hanno quasi lo stesso suono.
Ma l'umorismo di cui parlavo diventa quasi satanico quando il carcerato afferma: “Sparai ad un uomo a Reno solo per vederlo morire.”
Nessuna ricerca di pietà da parte dell'omicida: solo la lucida consapevolezza del crimine commesso, presentato nella sua brutalità.
Forse, se scavassimo in fondo alle reali motivazioni dell'assassinio, scopriremmo che c'è la volontà da parte di un uomo di trasformare la morte di un suo simile in un macabro spettacolo. Probabilmente è quello che accade quando quegli esseri umani perdono la percezione del legame che appunto li lega agli altri: a quel punto, la violenza finisce per esplodere in modo quasi naturale.
Comunque, la canzone presenta la fredda ira del carcerato che: 1 sente ogni giorno il treno (simbolo di libertà) che corre vicino alla sua prigione, in cui sa che dovrà rimanere per sempre; 2 e sa anche che in un lussuoso vagone-ristorante i ricchi bevono “caffè e fumano grandi sigari.” E che questa gente continui così, è quello che lo “tortura.”
Ma a questo punto, il cantato di Cash continua a mantenersi calmo, quasi stoico: il protagonista di Folsom si limita a dichiarare che se tornasse in libertà ed il treno fosse suo, lui lo sposterebbe un po' più in là lungo i binari... lontano dalla prigione. In modo che il triste fischio del mezzo si porti via la sua tristezza.

venerdì 28 febbraio 2020

Novembre, carissimo amico



Anche se ormai marzo è quasi alle porte, oggi vorrei parlarvi del mese di novembre. Bene, il “tipo” è chiamato anche mese dei morti
Tuttavia, a me non è mai dispiaciuto, soprattutto perché per quanto riguarda lo scrivere, il leggere ed il mio eterno rimuginare, a novembre assegno l'Oscar ed anche il Nobel.

Poi, tutte quelle faccende che vanno ad impigliarsi nell'inchiostro e nei sogni, in fondo sono il mio sangue.
Insomma, non proprio come mia moglie ed i miei figli, ma ci vanno parecchio vicino; inoltre, il quotidiano e talvolta ossessivo cocktail di sogni ed inchiostro, mi permette di spaccare la faccia al corteo di demoni che (si direbbe) non vuol proprio saperne di lasciarmi in pace.
Aggiungo un altro inoltre: quel cocktail, una volta che io grazie a lui abbia preso a grandissime & sardissime testate il famoso corteo, spero mi faccia essere un marito ed un padre migliore. Perciò, perché mai dovrei avercela con quei 30 o 31 giorni?
E poi, che cosa sarà mai 'sta faccenda dei morti? Vedete, io inizio a pensarla come Thomas More che nella sua Utopia sosteneva che i morti muoiono, sì... ma poi rimangono con noi; solo che non li vediamo. Tutto qui.
Però sono con noi sempre: perfino nelle stesse stanze in cui dormiamo, cuciniamo, giochiamo a carte, facciamo il presepe ecc. ecc.
Certo, immagino che quando facciamo altre “cosette” abbiano il buon gusto di andare a bersi un mirto al bar sotto casa; anzi: sono sicuro che la privacy sia sacra anche per loro.
Bene, oggi avevo 2 pensierini: scrivere 'ste righe, anche se quando si tratta di scrivere, credo che neanche Dante, Joyce o Kafka sapessero da dove cominciare... hai delle idee, qualche frase, alcuni rimorsi, vari ricordi, diversi rimpianti, molta rabbia, un po' d'amore, tanta malinconia e cerchi di trasformare tutto quel caos in scrittura.
E se Dio e qualche volta anche il Diavolo vogliono, anche in arte.
Sì, perché qualche volta devi chiedere aiuto anche a zio Belzebù: un arrosto vale zero, senza robuste dosi di sale e pepe.
Il 2° pensierino era scrivere qualcosa anche su un film bello ma tristissimo.
Beh, sarà per un'altra volta.
Oggi mi andava di scherzare un po', sia pure parlando seriamente.