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martedì 11 ottobre 2011

La discussione filosofica (parte quarta)


Approfondiamo i concetti di solipsismo e di solipsista.
Il solipsista, come ricordava il Piovani collegandosi a Schopenhauer, è l’uomo che pretende d’affermare un assurdo: “Ego sum et praeter me ens aliud non est”, io sono ed all’infuori di me non esiste nessuno.2
Ora, il Matthiessen prova che con accenti disperati ma comunque sinceri, lo stesso Poe affermò la realtà della propria esistenza e l’impossibilità di quella di qualunque altra persona o entità. Vediamo come il solipsismo di Poe (peraltro, come è noto, poeta e narratore di prim’ordine) non sia per niente inferiore per potenza e vorrei dire tragicità a quello di Schopenhauer.
Poe dichiara, infatti: “Tutta la mia natura si rivolta all’idea che possa esservi nell’universo alcun essere superiore a me stesso.”3
Qui Poe si esprime come un poeta lirico o comunque come un artista il cui cuore è lacerato da un turbinio di sentimenti ed emozioni che a mio parere potevano condurlo al suo Inferno. Qui per “Inferno” intendo l’assoluto e definitivo allontanamento dagli altri, percepiti come totali o irrilevanti nullità, mai abbastanza in grado di capire il suo genio ed il suo dolore.
Ma tale allontanamento può diventare Inferno nel momento in cui renda impossibile l'alleviamento del proprio dolore o il riconoscimento da parte degli altri del proprio genio. Come possiamo vedere, si tratta davvero di una strada senza uscita, piena inoltre di frustrazione e di angoscia.
Comunque, in Eureka Poe affermerà che nessuno può credere “che esista nulla di più grande della propria anima.”4
Poe non escludeva quindi l’esistenza degli altri bensì (il che è però peggio) la loro inferiorità o mancanza di realtà sul piano morale-intellettuale. In sostanza, degli altri riconosceva l’esistenza fisica ma negava o credeva di poter negare la loro esistenza dal punto di vista umano.
Questo modo di porsi e di ragionare, che ho già definito come il personale Inferno di Poe (e più in generale di chiunque si spinga davvero fino a quel punto) è assoluto e definitivo ma assume questi caratteri in base ad una scelta o decisione morale totalmente volontaria.
Con la sua deliberazione il solipsista esclude dalla sua visuale e dalla rete delle sue relazioni chiunque, perché ovviamente qualunque altro essere umano non può essere lui.
Ma ciò che ispira ed alimenta questa scelta e questi ragionamenti è, ancor prima che un ragionamento filosofico, un moto come ho detto della volontà, della sfera intenzionale. Prendendo questa espressione liberamente (non scomodando quindi Kant) è un a priori: qualcosa quindi che precede qualsiasi considerazione o dato direttamente collegato o dipendente dalla realtà fisica, umana e naturale.
Da questo punto di vista, il solipsista pone sé stesso oltre o al di sopra di ogni altro essere umano, che al massimo considera essere… più o meno come una cosa.
L’analogia con l’Inferno e con quella che i Greci chiamavano hybris (tracotanza, superbia) trova in arte un altro illustre seguace nell’alter-ego di Joyce Stephen Dedalus.
Dedalus, per seguire la sua inclinazione artistica e vivere nel “mistero dell’estetica”5 si propone di tagliare ogni legame con la tradizione, la Chiesa, la morale, il suo Paese (l’Irlanda), la politica, la famiglia ecc. e dichiara che “l’artista, al pari del Dio della creazione, rimane entro, o alle spalle, o al di là, o al di sopra del proprio capolavoro, invisibile, purificato fino ad essere inesistente, indifferente, intento a limarsi le unghie.”6
L’uomo che attraverso la creazione artistica e la riflessione estetica si fa Dio o crede d’essere un altro Dio può essere inteso, così come Satana, symia Dei cioè scimmia di Dio: imitazione dunque del suo creatore… che propriamente parlando è invece il solo Artista.

                                                                                  Note

1) Le precedenti parti di questo post sono comparse su questo blog rispettivamente: la 1/a il 25 marzo 2008, la 2/a il 4 aprile 2008, la 3/a il 17 giugno 2010.
2) Pietro Piovani, Principi di una filosofia della morale, Morano, Napoli, 1972, p.74.
3) F.O Matthiessen, Rinascimento americano, Einaudi, Torino, 1954, p.23 n.2. Il corsivo è mio.
4) F.O. Matthiessen, Rinascimento americano, op. cit., p.23, n.2.
5) James Joyce, Dedalus, Mondadori, Milano, 1986, p.250.
6) J. Joyce, Dedalus, op. cit., pp.250-251.