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venerdì 25 settembre 2015

21 gennaio 1793


Ora il re si trovava a pochi passi dalla ghigliottina.
Il popolo di Parigi fremeva di rabbia, di gioia e di incredulità: oggi, 21 gennaio 1793, sarebbe stato giustiziato Luigi XVI.
Del resto lui, lui, Maximilien Robespierre, l'aveva detto chiaramente: “I popoli non giudicano i re, li fulminano.”
Luigi e la regina, Maria Antonietta, quella che il popolo chiamava con disprezzo l'austriaca (del resto lo era) avevano tramato nell'ombra col sovrano della casa d'Asburgo, il fratello appunto della regina perché scatenasse le sue truppe contro la Francia.
Ed in seguito i reali di Francia, ormai alla luce del sole, spinsero il governo rivoluzionario ad invadere l'Austria.
Si scopriranno delle lettere in cui l'austriaca si faceva beffe di chi non capiva come questo disegno puntasse a soffocare la Rivoluzione nel sangue. In esse l'augusta sovrana qualificava graziosamente chi tra i rivoluzionari non capiva i loro veri motivi ma li sosteneva, col gentile epiteto di “imbecilli.”
Per una volta, Robespierre era d'accordo con lei.
Comunque, lo sfarzo di Versailles, le umiliazioni, la violenza dell'esercito, la censura, i privilegi quasi medievali di nobili ed alto clero, le ingiustizie e gli abusi di polizia e magistrati, gli stupri, le guerre, le rapine legalizzate, le carestie, la fame nera ecc. ecc. erano una sola, enorme ed intollerabile offesa a tutto il popolo.
Ed un re ed una regina ancora in vita (soprattutto un re ed una regina come Luigi e Maria Antonietta) avrebbero fatto l'impossibile per ripristinare tutto ciò.
Presto, molto presto i vari re europei avrebbero mosso i loro eserciti contro la Francia... in nome del “diritto di Dio e degli uomini”, come dicevano sempre; in effetti, lo stavano già facendo...
Ma poi, di quale diritto si parlava?
Quello di trattare nove uomini su di dieci come bestie da soma salvo poi farli a pezzi quando si ribellavano?
O il diritto di farli a pezzi comunque... magari per divertimento?



sabato 19 settembre 2015

La mania del tempo (2/a parte)*


Bene, ho iniziato a trattare questo argomento parlando della mania del tempo, così ora vorrei esaminare l'esatto significato del termine “mania” in Platone.
Per lui, “i maggiori beni ci sono largiti per mezzo d'una follia”, (mania) che è un dono divino.”1
Platone ritiene inoltre che una forma di follia sia ispirata dalle Muse e che come tale conduca gli esseri umani alla creazione artistica.
“E colui che senza un siffatto furore picchia alla porta delle Muse, persuaso che basti l'arte a renderlo poeta, non conseguirà l'intento, e la poesia di chi ragiona sarà eclissata da quella di chi delira.”2
Come sappiamo, l'idea di un legame tra arte e follia sarà tipica dell'arte romantica e forse, non solo di quella. Oggigiorno, essa è diventata pressoché un luogo comune (esemplificato dal detto “genio e sregolatezza”) e non di rado, questo genere di arte riproduce stancamente forme ed atteggiamenti prevedibili e stereotipati.
Comunque, per Platone sia la profezia religiosa sia la stessa “indagine sul futuro”3, hanno come elemento comune la follia. La mantica o arte della divinazione, la previsione cioè di eventi futuri, che avviene attraverso l'interpretazione di elementi animali, vegetali, climatici ecc. ecc., necessita della follia (non in senso evidentemente clinico o psichiatrico) come di qualcosa che supera la semplice evidenza ed il mero presente.
Questo superamento ci pone di fronte a ciò che non è ancora, ci spalanca tutto un insieme non solo di possibilità ma di futuri e concreti eventi. Del resto, rivolgere il proprio sguardo a ciò che non è ancora avvenuto può risultare folle, ma solo se vogliamo fossilizzarci sul nostro orizzonte immediato e non sui suoi possibili sviluppi.
E' il caso questo dell'utopia, che si presenta come un progetto (per es. di trasformazione politica, economica, culturale, morale ecc.), che come tale non può certo consistere in una meccanica ripetizione del presente o del passato.






Note*


* Ho pubblicato la 1/a parte il 23/08/2015
1 Platone, Fedro, Bit, Milano, 1998, xxii, p.56.
2 Platone, Fedro, op. cit., xxii, p.56. I corsivi sono miei.
3 Id., op. cit., xxii, pp.56-57. Il corsivo è mio.




venerdì 4 settembre 2015

Scusa, ti disturbo?


Ricordo quando non esistevano ancora i telefoni cellulari: c'era solo il telefono fisso (in casa) e quello pubblico, che potevi utilizzare in strada (o al bar) e che si trovava nelle cabine.
A volte qualche amico della comunicazione si premurava di asportare il telefono dalla summenzionata cabina, oppure di bruciarla.
Allora dovevi girare mezza città in cerca di una nuova. Comunque rischiavi di non trovare un telefono funzionante se non dopo qualche decina di tentativi.
Ma non sempre perché le cabine fossero state arrostite o i telefoni estirpati come erbaccia, quanto perché c'era un numero davvero limitato di telefoni pubblici.
Ovviamente potevi tornare a casa e telefonare da lì, ma in quei tempi i genitori concepivano & concedevano l'uso dell'apparecchio telefonico (la terminologia di molti di loro era spesso curiosamente burocratica) solo per:
a) chiedere informazioni di tipo scolastico;
b) lavorativo;
c) chiamare il medico oppure il becchino. Era tutto.
Qualsiasi altra comunicazione telefonica veniva disturbata o troncata dopo circa 5 secondi (nei giorni di festa dopo 6).
Spesso al telefono si applicava il lucchetto o il contascatti. O entrambi.
Possiamo quindi dire che quella del telefonino sia stata una bella invenzione.
Ma... Ma! Perché c'è sempre un “ma.”
Bene, avete notato che ora abbiamo sempre il cellulare appresso? Diciamo la verità: siamo drogati di telefonia.
Certo, il cellulare è comodo e maneggevole... anche se la scheda va pagata; nonostante le varie offerte, mica te la regalano!
Comunque quando chiami uno devi dire: “Scusa, ti disturbo?”
Prima dicevi: “Pronto, sono il tale, vorrei parlare col tale o con la tale.”
Adesso la formuletta è questa del: “Scusa, ti disturbo?”
Al che uno potrebbe anche rispondere: “Sì, in effetti hai scelto il momento peggiore degli ultimi 25 anni. Sai, sono stato appena investito sulle strisce pedonali e sono mezzo morto. Arriverò tardi al lavoro perciò sarò di sicuro licenziato. E ho appena divorziato.”
Ma se ci penso anche prima quando chiedevi: “Pronto” ecc. ecc., uno poteva rispondere: 
“No, non sono per niente pronto a parlare con te. Hai la conversazione più noiosa di un giurista del 1200 e” (questo poteva dirlo una ragazza) “perfino al telefono l'alito ti puzza come una fogna dei tempi di Nerone. O per meglio dire, di quelli di Vespasiano.”
Comunque perché cavolo devi attaccare discorso chiedendo ad uno se lo disturbi? Chi si pone un dubbio del genere non dovrebbe neanche telefonare. Dico bene?
Io proporrei un più amichevole e realistico: “Ciao, sono X. Come va?”
Poi spetterà a quello/a dire: “Ciao. Mah, tiro avanti. Piuttosto, ora non posso trattenermi al telefono. Magari ti richiamo, va bene?”
Scusa, ti disturbo? Boh! Se uno andasse al mercato e dicesse una frase del genere al fruttivendolo o al macellaio, lui risponderebbe: “Ma che domande mi fa? Si metta in fila ed aspetti il suo turno. Appena potrò la servirò. E non mi frughi tutta la merce!