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sabato 19 gennaio 2013

Amsterdam o Amster-dam?


Quest’estate ho visitato l’Olanda e le Fiandre. Si è trattato di posti stupendi, che spero proprio di rivedere… un giorno o l’altro.
Amsterdam, poi, è un sogno. E’ una città che con quella profusione di canali che vanno di qua e di là, canali che serpeggiano ma senza incrociarsi (o che se lo fanno, lo fanno in modo molto razionale ed armonioso) mi fa pensare a Bach. Una città-sinfonia, la capitale olandese… mica scherzo.
Certo, all’inizio rischi un po’ di confonderti: infatti, la cartina della città ti segnala il canale ed anche la via, che se ho capito bene vanno in parallelo.
Mi spiego: in neerlandese (la lingua che parlano in Olanda e nelle Fiandre) canale si dice gracht e via, straat. Evidente, nel 2° caso, la vicinanza con l’inglese street ed anche (ma meno) col tedesco strasse.
Quindi, a meno che negli ultimi 10 minuti non ti sia bevuto 5 o 6 birre, se cerchi il Koninkgracht è sufficiente che non lo confonda con la Koninkstraat. Perché in quest’ultimo caso raggiungi la “strada del re” e non il “canale del re.”
Certo, l’assonanza dei 2 termini può confondere... ma allora non c’è altro da fare che continuare a consultare ed a leggere la cartina, senza fidarsi troppo dei suoni. Nei giorni da noi trascorsi ad Amsterdam, infatti, non ci siamo mai persi (nonostante qualche momento labirintico).
Insomma, ad A’dam puoi girare come se stessi esplorando le tue tasche… la città presenta poi il vantaggio di non essere bucata appunto come le mie tasche.
Ad A’dam se non parli neerlandese (io non lo parlo più da quando ho smesso di accompagnare Spinoza nei pubs)  è oltremodo consigliato l’inglese, che parlano in parecchi. Io un po’ lo parlo, o almeno vedo che quando lo bofonchio, mi capiscono. Spero…
Nella capitale olandese ho tenuto il mio francese in naftalina, anche se penso che lo parlino almeno le persone dai 50 anni in su; ohi, la mia età!
Tempo fa ho frequentato un corso di tedesco, ma in Nederland non ho messo alla prova la mia conoscenza della lingua di Goethe, conoscenza che giudico ancora acerba.
In generale, gli amsterdamesi sono riservati ma gentili. Qualcuno mi ha detto che sono anche tirchiotti; non saprei. Certo è un po’ seccante dover pagare ogni volta che ti serve il bagno: ma spesso questo capita anche a Parigi.
La città è pulitissima, pulita in modo quasi intimidatorio, come diceva Erica Jong in Paura di volare a proposito di Vienna; inoltre, non si sente mai urlare né parlare a voce appena un po’ alta.
Sull’igiene approvo incondizionatamente.
Approvo senza condizioni anche la mancanza di chiassate, ma con una precisazione: coi nostri modi, noi latini tendiamo a fare (voglio dirlo in modo che la cosa risulti almeno un po’ simpatica) del teatro non per volgarissima maleducazione ma solo per una certa esuberanza.
Certo, chi urla come se lo stessero scannando: chi spiattella ai 4 venti i propri problemi personali; chi manifesta stima per l’avvenenza di certe fanciulle in modo cafonesco, beh, quello lo trovo odioso anch’io. In casi come quelli o simili a quelli, la latinità non c’entra proprio niente.
Sia perché l’Olanda è una meta turistica da noi molto ambita, sia perché laggiù c’è stata un po’ d’emigrazione italiana (benché non paragonabile a quella che toccò Francia, Belgio, Germania ecc.) qualche olandese ha imparato 2 o 3 parole della nostra lingua.
Magari ho trovato un po’ buffo che un locale si sia dimostrato colpito dal fatto che diciamo: “Mille grazie.” Per noi, quella è una formula di cortesia come tante, con la quale non intendiamo esprimere chissà quale riconoscenza.
Di una cosa simile troviamo traccia in Gramsci, che scrive di quanto la tedesca Clara Zetkin fosse fosse stata colpita da questo, che gli italiani del sud augurassero non la semplice “Buona notte” bensì una “Felice” o addirittura “Santa notte.”
Si tratta, osservava il Nostro, di semplici locuzioni se non di convenzioni linguistiche; al massimo possiamo aggiungere che forse esse possono denotare una mentalità eccessivamente ossequiosa, magari (inconsciamente) legata a miti e rituali di un passato ormai superato.
Passando ad altro, la nostra guida olandese (sig. Stibe) insisteva parecchio sul fatto che il nome corretto del suo Paese è Paesi Bassi, in neerlandese Nederland e non Olanda. Da loro “Olanda” indica 2 delle province che compongono il Paese.
Aveva ragione, però in molte lingue europee è preferito il nome “Olanda”, come in italiano; Hollande, in francese; Holland, in inglese; Holanda, in spagnolo ecc.
Ma perché Paesi Bassi? Per la sua, particolarissima, conformazione geografica. L’Olanda è… come dire?, molto piatta, circa un quarto del suo territorio si trova sotto il livello del mare. Nel romanzo (ambientato nelle Fiandre del 1400) di Gilbert Sinouè Il ragazzo di Bruges, si parla proprio di plat pays.
Ancora: lo Stibe non diceva Amsterdam ma Amster-dam. Come saprete, la città fu costruita verso il 1250, presso la diga che sorgeva sul fiume Amstel. Ed in neerlandese “diga” si dice dam. Quindi, Amster-dam, diga sul fiume Amstel. Pare che la dicitura Amsterdam si trovasse già in un documento del 1275.
Sarebbe come se Roma si chiamasse Teverdiga; Parigi, Seinedigue: diga sul Tevere, diga sulla Senna ecc.
Unica nota negativa? Le bici, che sfrecciano per tutta la città ad una velocità impressionante e che (sebbene abbiano loro strisce e corsie) se non stai attento, possono piombarti addosso e portarti via una gamba o qualche costola.
Infatti, chi conduce quelle dannate bici-killer ti avverte con un suonetto che non sentiresti neanche se ti trovassi dentro il loro campanello; in più, la pista delle bici è allo stesso livello del marciapiede… se anche del tutto inavvertitamente scantoni di qualche cm, sei fritto ed impanato.
Ma se sono tornato a casa sano e salvo io, che sono una delle persone più distratte di tutti i tempi, beh, allora voi  andrete lisci come l’olio, tranquilli!
Ancora: sapevo di Amsterdam e dei suoi canali.. ma fin dalla prima sera nella tulipanica città ho avuto l’impressione di camminare quasi in mezzo al mare!
Non scherzo: mi sembrava che tra i marciapiedi e le strade ci fossero delle luci, boe di segnalazione ed altra roba del genere… mi sembrava che l’insieme appunto di semafori, strade e marciapiedi fosse stato lanciato sul mare, come una sorta di ponte.
In albergo, poi, abbiamo trovato degli scalini in legno che per colore e fattura facevano pensare proprio a qualcosa di marinaresco.
Del resto, poco dopo piazza Dam c’è una via anche piuttosto ampia in cui ancora a fine ‘800 arrivava davvero il mare!
Spesso quando andavo a dormire avevo la sensazione che la stanza ballasse, mi sembrava di trovarmi quasi a bordo di una nave o di una barca.
Ho avuto anche l’ispirazione per un racconto lungo o per un romanzo breve: chissà che non lo scriva, prima o poi! Però dovrei trasferirmi per qualche settimana ad Amster-dam, là consultare antiche carte e documenti d’archivio; insomma, dovrei trasferirmi nell’amstelica città per qualche mese.
Dichiaro quindi la mia disponibilità a farmi ospitare (a spese dell’amministrazione cittadina o di quella universitaria) in qualsiasi hotel di A’dam; anche non lussuoso.
Dite che ho una bella faccia tosta? Non credo proprio: come tutti sanno gli scrittori sono sacri agli Dèi, quindi…
Quindi, cari sindaco e/o rettore dell’università di A’dam, non fatemi aspettare mesi o anni.
Sappiate però che:
1) non insidierò le vostre donne (sono un marito iperfedele);
2) berrò moderatamente;
3) non nuoterò nei canali o almeno, darò la precedenza ai battelli.
Allora, che cosa rispondete?
Su, non statevene lì come salami, sappiate che le autorità di Bruges, Anversa, Dublino, Venezia, Bologna e Liverpool fremono per offrirmi la loro ospitalità!

domenica 13 gennaio 2013

Ricordo di Luigi Morsello



Il 25 gennaio 2012 si è spento a Lodi all’età di 74 anni Luigi Morsello.
Come leggiamo nella quarta di copertina del suo libro (che consiglio caldamente di leggere) La mia vita dentro. Memorie di un direttore di carceri, Infinito Edizioni, Roma, 2010, Luigi nacque ad Avigliano, Potenza e fu direttore appunto di carceri dal 1969 al 2005.
Francamente, l’espressione “si è spento”, se riferita ad un uomo come lui mi sembra... errata: difficile accettare il fatto che una personalità vivace, multiforme, ironica come la sua non “bruci” più.
Quel che invece continua a fare nel suo La mia vita dentro, testo che non racconta sola la sua carriera, ricco come è di spunti di riflessione ed inoltre animato da grande coraggio civile, spirito critico e… stile. Sì, perché Luigi sapeva anche scrivere. E bene.
Ci siamo conosciuti solo sul web: prima attraverso il suo blog http://ilgiornalieri.blogspot.it/ poi sul mio.
Una conoscenza “virtuale”, come si dice: eppure, non per questo meno forte ed intensa sul piano delle idee e di una visione della vita basata, per entrambi, su sogni e progetti di giustizia sociale e di cultura.
Proprio sul mio blog recensii il libro di Luigi http://riccardo-uccheddu.blogspot.it/2010/06/la-mia-vita-dentro-di-luigi-morsello.html ed il mio pezzo originò un' interessante ma a tratti anche polemica discussione, che (di questo mi spiace molto) forse non seppi gestire adeguatamente.
Purtroppo, poi io e lui non abbiamo avuto la possibilità di chiarire del tutto la “cosa.”
Probabilmente, discussioni complesse e delicate richiedono tempi più lunghi e modalità di discussione più ampie.
O forse, quelle discussioni richiedono semplicemente personalità più “elastiche” della mia.
Comunque, soprattutto in tempi come questi, nei quali cioè la Corte europea dei diritti umani accusa l’Italia di trattamento “inumano e degradante” dei detenuti, trovo fondamentale la lezione che proviene dal libro e dall’esperienza di Luigi: una lezione di tolleranza, comprensione e di forte impegno nel recupero  e nel riscatto appunto del detenuto.
Quello che per Luigi rimaneva sempre e comunque un uomo, in linea quindi (non solo teorica!) col Beccaria e con la nostra Costituzione.
Infatti, nel suo testo Luigi denuncia anche vuoti legislativi e culturali, facilonerie politiche, amministrative, crudeltà ecc. che rendono il carcere più un Inferno in terra che un luogo di recupero e di riscatto umano e sociale.
Ma nelle carceri da lui dirette il detenuto aveva accesso a dimensioni lavorative e creative.
Eppure su questo fondamentale aspetto, Luigi non insiste più di tanto: perché secondo me un grande uomo sa farsi piccolo; lascia il vanto ai vanagloriosi.
I suo interessi comprendevano diritto, politica, letteratura, giornalismo, musica… ricordo perfino un suo post su Springsteen!
Una volta rispose ad un mio commento dicendo più o meno: “In questo momento sto ascoltando un pizzicato che mi dà una forte emozione.”
Mi pare che stesse ascoltando qualcosa di Bach o di Rostropovic eseguito al violoncello.
Era un uomo che nonostante una vita lavorativa fatta di laceranti responsabilità aveva mantenuto o addirittura esteso i suoi interessi, non restringendo né confinando la sua personalità alla sola dimensione dell’ex-direttore di carcere e/o a quella del pensionato. Ed era capace di ironia e di autoironia.
Così, per quanto possibile voglio concludere questo suo ricordo cercando di mantenermi nel suo spirito.
Infatti, nel 1° capitolo del suo libro (a p.22) Luigi ricorda gli esordi della sua carriera e parla del traghetto che prese per raggiungere la Capraia.
Quel traghetto era la Nonno Beppe e nel racconto di Luigi quel vecchio barcone fa pensare ad un mix di: baleniera di Braccio di ferro, nave degli emigranti e zattera di Huck resa celebre da Mark Twain.
Così mi piace pensare che ora Luigi si trovi su una barca che navigando tra le nuvole, lo sta portando su una spiaggia tranquilla ed assolata da cui potrà scrutare il mare ed ascoltare dal vivo i suoi Bach e Rostropovic…
Nel frattempo sorseggerà un caffè e rivolgerà a noialtri molti suoi sguardi… secondo me, bonariamente ironici.
Buon viaggio, Luigi... buon viaggio.