E’ impressionante scoprire quante e quali cose si possano realizzare con materiali di solito considerati poco “nobili” come scatole di latta, materiale da imballaggio, bottiglie, cassette di frutta ecc.
In Tailandia, con 1 milione di bottiglie e parecchi tappi, ecco un tempio buddista!
Documentarmi sul riciclo creativo mi ha inoltre risvegliato dei ricordi che pensavo d’aver ormai perduto…
Infatti, culture in prevalenza agropastorali (come quella sarda, benché io appartenga alla zona urbana) in passato hanno già conosciuto forme di quel “riciclo.”
Per es. ricordo che quand’ero bambino, mio nonno tramutava delle assicelle di cassette di frutta in fucilini.
Ed abbiamo conosciuto tutti gli antenati dei go-kart: parlo di quelle assi di legno che con dei cuscinetti a sfera come ruote, sfrecciavano per i vicoli delle città.
Mia madre, con vecchie palline da ping pong, qualche batuffolo di lana e dei pezzetti di fil di ferro creava dei pupazzetti. Le scatole di Ovolmatina rivestite con un po’ di carta da regalo avanzata da precedenti Pasque o Natali, diventavano dei portapenne.
Di recente, il marito di una parente da un vecchio scaldabagno ha ricavato il “kit” per il barbecue!
Vengo ora al punto che esula un po’ dall’Amarcord, mi chiedo infatti: il riciclo creativo, che quindi (in parte) esisteva già in passato, è concepibile solo in società contadine?
Rispondo di no perché come ho letto un forte riciclo creativo consentirebbe d’affrontare positivamente anche il problema dello smaltimento dei rifiuti.
Pur senza idealizzare le società contadine, osservo come (a livello di sistema) esse si servissero di ciò che potevano ragionevolmente pensare di utilizzare/ri-utilizzare.
Tali società puntavano non alla mera sussistenza o sopravvivenza ma ad un’esistenza che potesse prolungarsi nel tempo in modo sensato.
Mentre è chiaro che non vi è niente di sensato in un modello di sviluppo che produca una quantità di materiali da cui rischiamo d’essere soffocati.
N.B.: nell’Oceano Pacifico si trova l’agglomerato del Pacific Trash Vortex: 2500 metri di larghezza per 30 di profondità, composto per l’80% di plastica ed altri residui.
Nell’Atlantico è stato di recente individuato un suo “parente”, che “va” a 10 metri di profondità.
Pensiamo alle conseguenze per l’ecosistema ed i pesci; probabilmente questi enormi ammassi di rifiuti, attraverso la catena alimentare potranno toccare anche il nostro organismo.
Perciò il riciclo creativo non sarà la panacea, il rimedio universale ma intanto potrebbe essere una delle risposte pratiche.
Poi, perché l’arte non potrebbe dare una mano? Poesia viene dal greco poieo, “faccio”; perfino l’arte in apparenza più astratta ha quindi in sé l’idea di un fare, di un agire.
Nella 1/a metà dell’800 la cattedrale di Notre-Dame era quasi un rudere, ma il gran successo dell’omonimo romanzo di Hugo le garantì il recupero ed il restauro.
Peraltro, Notre-Dame era essa stessa un caso di riciclo creativo ante litteram, infatti fu edificata sulle rovine di un precedente tempio gallo-romano.
Sempre a Parigi, il Musèe d’Orsay sorge all’interno di una stazione ferroviaria del 1900.
Insomma, per me il riciclo creativo contribuisce a porci in rapporto con noi stessi e col tipo di mondo in cui vogliamo vivere. Certo, non risolverà ogni problema ecologico e non fornirà sempre soluzioni condivisibili sul piano estetico.
Ma ci farà almeno chiedere se siamo disposti ad usare le cose e come o se vogliamo farci usare da esse.
Nel romanzo di Harry Harrison Bill, eroe galattico spediremo sulle stelle con speciali “trasmettitori di materia” la nostra spazzatura; certo, qualcuna di quelle potrebbe trasformarsi in una supernova ed esplodere spazzando via parecchi pianeti!
Ora, il buon Harry si occupava di fantascienza; ma fino a pochi anni fa lo sembrava anche ipotizzare la costituzione di isole ( o peggio) di plastica.
La P.T. Vortex è grande 3-4 volte il Giappone…una sola bottiglia di plastica impiega almeno 400 anni a distruggersi in mare e circa 100 sulla Terra…