mercoledì 31 dicembre 2014
I miei possibili, passabili ed impossibili anni
Bambino di 6 anni o poco più
affrontavo il gelo degli inverni
scrutando il cielo
e disegnando o scrivendo con le
dita
sui vetri della mia finestra.
Bambino che veleggiava verso il
suo futuro da ragazzino
vidi una miniera
che sorgeva tra le agavi ed il
mare,
la vidi soltanto
o ci entrai per visitarla
ma iniziai ad intuire qualcosa.
Cominciai a capire
sentendo la voce stanca ma
appassionata di mio padre
parlarmi di camionette della
polizia
che travolgevano operai e
dimostranti...
mi trovavo sulla strada
che conduceva da quella del
ragazzino che ero
a quella
dell'uomo che sarei diventato.
Per molto tempo le fiamme
dell'Inferno ed il loro terrore
sono state mie fedeli e purtroppo
corrisposte amanti,
molto tempo dopo iniziai a
liberarmene
ma dovevo ancora perfezionarmi
nel mestiere dello spiritual
pompiere!
Il 1973 è stato un bell'anno...
oserei dire felice
ma
non certo nel Cile del maledetto Pinochet!
Il
1977 sulle strade e nelle piazze d'Italia
è
stato di piombo
ma
dentro io mi sentivo di legno.
Il
1789 è stato un grandissimo anno,
ma
so che
bisogna
lavorarci sopra sempre:
deve
essere 1789 tutti i giorni, tutti gli anni.
A
mezzanotte Robespierre mi citofona...
è
un po' alticcio.
Gli
dico:
“Max,
Maximilien, se hai con te delle donne
ricorda
che sono un marito felice.”
Lui,
ridendo:
“E
sei sicuro che lo sia anche tua moglie?”
Ma
quando sale da me
ha
con sé solo tre damigiane di sidro:
niente
mesdames né
mademoiselles, nessuna
chatte, nessuna gatta.
Accendiamo
la tv e scoliamo il sidro,
Max
perde il suo senso dell'umorismo
solo
quando l'Austria Vienna segna un gol
contro
il suo amato Paris St. Germain... ah, putain!
Oggi, 31
dicembre 2014 mi trovo ancora qui,
un professore
& una specie di scrittore
che insegna
stimolanti e preziosissime verità
a ragazzi cui
interessano
quanto un
pezzo di fango secco,
eppure sono
ancora qui
a sognare
tamburi, sax e chitarre nella notte:
con
un'armonica in una mano
un libro in un
piede
ed una
tagliente ma dolcissima penna nell'altra mano.
Aspetto il
nuovo anno
sperando che
porti vita, salute, lavoro, musica,
amore e gioia
e sogni di una
giustizia che non resti
sempre e
soltanto un sogno
ma che diventi
incubo per gli ingiusti,
aspetto il
nuovo anno
sperando che
ci si rimetta in marcia tutti quanti
per costruire
un mondo
che non sia
più un orrendo miscuglio
di caserme,
carceri, manicomi e sacrestie medievali.
Perciò
stappiamo tutti una bella bottiglia
ed alla salute!
Spediamo
l'amarezza ed il dolore sulle lune di Saturno
perché non è
da lunatici
sperare e
lottare per un mondo ed un vivere
un po' meno
immondi...
be', crepi
l'avarizia: per niente immondi!
mercoledì 24 dicembre 2014
La miglior-peggiore bevanda di Natale
Il pasticciaccio è cominciato
qualche anno fa.
Camminavo al tramonto su e giù
per il porto di Cagliari, pochi giorni prima di Natale, ridendo delle
luci e dei canti, dei sorrisi e della falsa allegria della gente.
Odiavo quella
allegria ma odiavo molto di più la prospettiva che potesse essere
vera: la sola realtà
che amo è il dolore..
quello che provano i lavoratori, gli immigrati, i vecchi, i
disoccupati, gli orfani, i malati, i galeotti; insomma, gentaglia del
genere.
Be',
ad un certo punto un tipo con la sua dannata barba bianca mi ha porto
una fiaschetta dicendo: “Bevi, figliolo.”
Pensavo
che fosse uno di quei vecchi marinai che si ostinano ancora a cercare
un imbarco e che io ed i miei amici ci divertivamo a torturare... ma
sbagliavo: perché dopo pochi sorsi, quella bevanda (che sapeva di
pino, miele, neve, ed acquavite) mi fece venire una strana voglia.
Così
corsi in consiglio regionale, chiesi la parola ed anche se ormai non
ero più sindaco da anni ma amministratore delegato della Dermud,
confessai; dissi tutto dei falsi in bilancio, dei pestaggi di operai
e sindacalisti camuffati da “scontri” con la polizia, vuotai il
sacco sui ricatti sessuali cui costringevamo le dipendenti, rivelai
la vecchia storia dei marinai le cui torture era possibile scaricare
da internet, ovviamente a pagamento.
Le
prove che fornivo erano così schiaccianti che perfino i miei
complici di abusi, torture, cocaina e sfruttamento dovettero ordinare
il mio ed il loro arresto seduta stante.
Qualcuno
venne a trovarmi in carcere. Il vecchio dalla fiaschetta maledetta me
ne fece trovare un'altra: la passai in giro... e ricominciò la
schifosa mania dell'onestà e della verità!
In
poche ore, solo in Sardegna, furono arrestate centinaia tra
consiglieri regionali e provinciali, alti ufficiali dell'esercito e
della polizia, avvocati, amministratori delegati, prefetti, vescovi,
commercialisti, banchieri...
Come
se fosse un vampiro,
ogni bevitore di verità sentiva
il bisogno di costringere altri a bere quella tremenda bevanda!
La
follia del confessare arrivò fino a Roma: il governo crollò in 3
ore e 5 minuti.
Il
presidente della repubblica si autoaccusò in diretta tv di
tradimento della Costituzione, frode fiscale, accordi con la neomafia
e tentato golpe.
Fu
però salvato dall'accusa di fabbrica clandestina di acquavite:
quello era era un reato mio,
al quale ero molto affezionato!
Venne
a trovarmi in carcere la cancelliera tedesca Teufelin von Blut... con
un antidoto, che però non funzionò. Un secondino le offrì un
goccetto e tra le tante, pessime cose che la von Blut confessò,
saltò fuori la prossima costituzione di un “partito postnazista”
e la soppressione del parlamento europeo, che sarebbe stato appunto
sostituito “per circa 30 anni” da quello tedesco.
Fu
assassinata dal direttore della Cia, che voleva impedire a quello del
Fmi di dire quel che sapeva su certi golpe, fondi neri ecc.;
purtroppo, quando si spara, il fuoco amico esisterà sempre.
Ma
ha fatto veramente scalpore la notizia di alcuni scontri a fuoco,
avvenuti in piena Wall Street, tra bande di mafiosi, massoni,
banchieri ed analisti finanziari.
Oggi,
23 dicembre, il presunto Santa Klaus è in volo verso New York; si
prevede il suo atterraggio sul tetto della Grand Central Station per
le 22 del 24. Inoltre, egli ha indetto una riunione all'Onu (ore 23
circa) con tutti i leaders della Terra; quei pochi ancora a piede
libero.
Nel
recarsi al Palazzo di vetro qualcuno gli ha urlato: “Babbo
Natale, tu non esisti!”
E
lui: “Se è per questo, caro Mattia Cenci, fino a poco fa c'era chi
pensava che non esistessero neanche i diritti dei lavoratori e della
povera gente. Vergognati, giovanotto!”
Così
Babbo Natale è stato scortato da una pattuglia di poliziotti-gospel
all'Onu, dove parlerà tra non molto.
Ma
abbiamo una notizia d'agenzia. Il maledetto ha dichiarato pochi
secondi fa: “Cari amici e care amiche, l'effetto della mia
grappetta durerà pochi altri giorni. Cominciate ad inventarvi
qualcos'altro, non potete affidarvi sempre a Babbo Natale...”
giovedì 18 dicembre 2014
Pasticciando sulla musica medievale
Secondo me la musica medievale
possiede una musicalità molto particolare, un ritmo cioè che anche
nei brani più veloci, ha la capacità di rallentare,
contrarre, in qualche
modo sospendere il
tempo.
Non
a caso, sia certa letteratura colta del M. E. che molti miti e
leggende appunto del Medioevo ci consegnano il racconto di persone
letteralmente infatuate dalla
musica e soprattutto dalla danza:
infatuate proprio nel senso di persone colpite da un sortilegio o da
un incantesimo lanciato loro da una fata o
da una strega.
Per
esempio, (questo si trova anche in Sardegna) leggiamo o sentiamo di
persone che una volta entrate nel cerchio davvero magico
della musica, sono poi costrette a ballare in tondo e da quel
cerchio, in teoria per secoli,
non potranno uscire se non per un intervento esterno... un intervento che potremmo definire quasi
miracoloso.
Talvolta
tramite la musica si tenta addirittura di ingannare la
morte: questo è stato ben
intuito e rappresentato da Branduardi nel brano Ballo in fa
diesis minore, peraltro
introdotto dalle launeddas
(strumento e canne tipicamente sardo) suonate dal maestro Luigi Lai,
che hanno un suono direi ipnotico.
Dall'ascolto
della musica medievale ho ricavato questa impressione, come tale del
tutto soggettiva, personale: si tratta di una musica che a differenza
di stili moderni come il rock, il blues, il reggae, il jazz, il rap,
la techno o come la stessa musica melodica e la canzone d'autore,
prevede un uso massiccio sia del
ritmo sia della
melodia.
Invece,
io penso che ognuno degli stili citati sia prevalentemente ritmico o
prevalentemente melodico.
La
musica del M.E. no, al suo interno troviamo un ritmo incalzante,
martellante. Al contempo, da essa si libera una melodia davvero
armoniosa e che rilassa stupendamente.
Io
ascolto spesso il disco Canti d'amore al tempo dei
trovatori, dell'Ensemble
musicale il Monocordo: se
potete, cercatevelo; è un ottimo esempio di quello che ho tentato di
dire.
Al
momento non mi sento in grado di parlarvi adeguatamente degli
strumenti che si
utilizzavano nella musica medievale, ma a livello generale posso
dirvi che i suoi canti, le sue ballate ed anche i pezzi strumentali,
ricordano un po' la musica orientale.
Del resto, uno strumento a fiato come per es. la ciaramella,
probabilmente aveva origini arabe o egizie.
Ma
i nostri amici medievali sapevano anche imprimere alle loro melodie
un ritmo trascinante, nel cui cuore pulsavano le percussioni.
Beh,
per oggi basta così.
Alla
prossima!
venerdì 12 dicembre 2014
Sorella Povertà
I suoi
frati... strano, ormai questa parola gli sembrava sempre più
lontana dall'idea e dalla pratica della fraternità.
E comunque
l'aveva detto loro chiaramente: non dovrete avere beni personali, l'Ordine non deve possedere ricchezze, terreni né edificare
grandi chiese o monasteri. Un pazzo… buono, pio, puro, tutto
quello che si voleva: ma pur sempre un pazzo, ecco che cosa era per
tanti.
Ma negli
ultimi tempi lui, Francesco, iniziava a vedere sempre più chiaro nel
futuro... ed in quello vedeva l'oro, l'argento, il velluto, la
seta, le pietre preziose, i terreni, le case, le opere d'arte: fiumi
anzi mari di ricchezze che affluivano a quei conventi che avrebbero
dovuto essere rifugi di poveri, operai e mendicanti.
Vedeva tutto
questo ed insieme, come un ronzio che si faceva sempre più forte,
fino a diventare frastuono, chiasso insopportabile, rimbombo odioso
ed assordante, sentiva le motivazioni di questo volgare anzi
diabolico arricchimento...
“E' tutto per la maggior gloria di Dio. E'
per garantire sostentamento anche al povero. E' per aiutare i potenti
ad essere umili. E' per cambiare il cuore del ricco. E' per
annunciare meglio il vangelo.”
Ma perle,
quadri e zaffiri potevano spacciare per vera la conversione di
uomini e donne che sdraiati su letti di scandalosa
ricchezza e di decadente lussuria, si godevano le sofferenze della
povera gente?
Non gli
piaceva neanche questa gara nell'erudizione che secondo lui,
dimostrava più che amore per la teologia ed il vangelo, superbia e
spirito di contesa. Sì, perché non c'era filosofia né teologia
nella ricerca del cavillo, del sofisma. Non c'era amore o ricerca
della verità in quelle fortezze di libri che tenevano fuori chi non
fosse filosofo, teologo, canonista ecc. Non c'era
ombra d'amore o di verità, in fortezze come quelle.
“Ho
trovato”, pensò tra l'amareggiato ed il divertito, “più spirito
cristiano nel sultano ed in tanti musulmani che in questi fratres.”
A volte,
mentre vagava da solo nei boschi, incontrava dei ragazzi e delle
ragazze: si erano dati alla macchia per per sfuggire alle guardie del
vescovo ed a quelle dei vari nobili.
Una volta uno
di loro gli disse: “Francesco, non puoi cambiare un mondo di ladri,
truffatori ed assassini solo con l'amore. Ci hai provato, ma...”
“Ho
fallito.”
“Noi non
siamo nessuno per dirti questo”, intervenne una donna, “anche
perché il tuo fallimento è superiore al successo di certa gente. Ma
vedi, padre Francesco, quando l'amore non funziona allora possono
servire altri sistemi, altre cose.”
“Per esempio
le armi?”
“Perché
no?”, riprese un altro. “Pensaci: quanto dovrà aspettare la
povera gente perché sia trattata in modo umano? Papi e re ingozzano
di carne i loro cani, ma lesinano il pane secco ai contadini. Il
povero dovrà avere pazienza in eterno, dovrà tremare di fame,
freddo e paura mentre il ricco gli lancerà con sdegno regale una
monetina?”
Forse quei
ragazzi, quelle ragazze avevano ragione, ma allora che cosa bisognava
fare? Incendiare il mondo non col fuoco dell'amore ma con quello
della guerra, stanare il ricco non con le parabole ma con le spade?
In effetti, per quanto ancora si poteva chiedere al povero pazienza e
rassegnazione, magari mentre stava seppellendo i suoi figli morti per
la fame e per il gelo?
“Dunque ci
benedici, padre Francesco?”, chiese una ragazzina.
“Ah, figlia, che cosa mi chiedi... non capisco: perché un
rivoluzionario dovrebbe aver bisogno di benedizioni? Sono stato in
Terrasanta e lì c'era gente che con la benedizione della croce,
quella croce ha sporcato di sangue. Fate quello che ritenete più
giusto ma per farvi benedire dai poveri, non da me o da Dio... anche
perché spesso non riesco più a capire nessuno dei due!”, concluse
lui con un mesto sorriso.
Uscì dalla
sua cella ma fatti pochi passi capì che ormai era troppo vecchio per
inoltrarsi un'altra volta nel bosco.
Sedette su un
masso muschioso, la schiena contro un albero e canticchiò piano,
molto piano una melodia che sentiva dalla madre, quando era bambino.
Sorrise pensando a quanto era dolce il suono della lingua francese.
giovedì 27 novembre 2014
“Women”, di Lou Reed
Chi abbia una conoscenza anche
sommaria dell'arte di Lou Reed saprà che l'uomo non era dei più
facili. Quanto alle donne,
con loro non indulgeva ad un particolare romanticismo.
Ma
secondo me questo non avveniva perchè egli volesse sottolineare a
tutti i costi il suo anticonformismo, la sua sofferta o duplice
identità sessuale ecc., ma solo perchè come ogni vero
artista, sentiva l'esigenza
quasi fisica di dire
quello che sentiva. Anche quando ciò poteva ingenerare negli altri
riprovazione, disgusto o perfino odio.
Donne
a parte, penso che pochi farebbero ascoltare ai propri figi (anche
spiegandola loro) una canzone come Heroin che
parla di eroina e che viene definita “vita” e “moglie.”
Ma
in un brano di The blue mask (1982),
lo stesso disco che contiene anche Women (il
pezzo si intitola The heroine)
troviamo un'eroina non nel senso della droga,
che ha il potere di di “scaricare la pistola” per “calmare i
mari rabbiosi” e liberare un bambino imprigionato in una cuccetta
da alcuni marinai ed assassini. Benchè il pezzo racchiuda alcune
ambiguità e contenga una certa amarezza, chi potrà liberare
la natura ed il
bambino è comunque una donna.
Bene,
Women è una ballata
nel cui video Reed appare con camicia aperta sul collo, giacca di
pelle ed occhiali da sole... fedele a certo clichè da rocker.
Musicalmente,
il pezzo non è trascinante come Sweet Jane,
Rock 'n roll, Dirty
boulevard né è struggente come
Berlin; è comunque
molto interessante. Reed esordisce così:
“I love women, I think
they're great
they're a solace to the world
in a terrible state
they're a blessing to the eyes
a balm to the soul
what a nightmare to have
no women in the world”,
amo le donne,
penso che siano grandi
sono una consolazione in un mondo
che è in
uno stato terribile
sono una benedizione per gli occhi
un balsamo
per l'anima
che incubo sarebbe
non avere donne nel mondo.
Bene,
Lou non insiste sul lato estetico o fisico delle donne né parla
delle belle donne ma
delle donne: di tutte
loro, indistintamente. Ed è
notevole che le definisca “un balsamo per
l'anima.”
Nella 2/a
strofa Lou fa autocritica:
“I used
to look at women in the magazines
I know that it was sexist
but I was in my teens
I was very
bitter”,
guardavo le
donne nelle riviste/ so che questo era sessista/ ma ero adolescente/
ero molto amareggiato.
Anche qui non
c'è molto da dire se non che (come penso si capisca) le riviste a
cui Reed allude presentavano le donne solo come oggetto di desiderio
anzi come prede sessuali.
Interessante
però che Lou dica: “Ero amareggiato.” In effetti, spesso
il rapporto con le donne, per i rockers e non solo, è disturbato o
deformato da un malessere interiore che non sanno affrontare. Senza
per questo voler scaricare tutto sui genitori, sappiamo però
che quelli di Reed erano molto rigidi e puritani; sappiamo inoltre
che lui crebbe in un ambiente che certo non aiutò la sua crescita né
la sua idea di donna.
Women esprime
tuttavia questa positività nel considerare appunto le donne, qui
Reed è in pace con loro.
Forse solo chi abbia attraversato vari mari
ed inferni può poi
sviluppare un discorso come quello fatto da questo autentico rock
'n roll animal, animale del
rock... o come lo ha definito nel suo necrologio la moglie Laurie
Anderson, “principe e combattente.”
Noto
poi che uno può trovare una certa serenità ma non diventare un
altro, nella penultima strofa Lou mescola infatti immagini romantiche
classiche ad altre fortine:
“A woman's love can lift you
up,
and women can inspire
I feel like buying flowers
and hiring a celestial choir
a choir of castratis
to serenade my love
they'd sing a little Bach for
us
and then we'd make love”,
l'amore di una
donna può sollevarti lo spirito/ e le donne possono ispirarti/
vorrei comprare dei fiori/ e noleggiare un coro celeste/ un coro di
castrati/ per fare le serenate al mio amore/ canterebbe per noi un
po' di Bach/ e poi faremmo l'amore.
P.s.:
ho tratto testo originale e traduzione italiana (da me lievemente
modificata) da www.loureed.it
venerdì 21 novembre 2014
Il figlio di Fenarete
Tra poche ore gli avrebbero portato la bevanda.
Così lui , figlio della levatrice
Fenarete, avrebbe lasciato questo mondo.
Tutto sommato, la sua vita era
stata bella: la famiglia, la ricerca della verità e le indagini
sulla virtù, le dolci strade di Atene, la musica... Era stata bella
perfino la vita con Santippe.
Quanto agli amici,
che dire? Una parola abusata, quella. Lui aveva visto spesso che si
presentava come amico chi non sapeva o non voleva camminare sulle sue
gambe, l'uomo quindi che cercava nell'altro solo una comoda
stampella. Uomini come quelli non potevano o non volevano darti
niente: prendevano e basta.
“Stai
diventando amaro, caro Socrate?”, si chiese il figlio di Fenarete.
Ma
non seppe che cosa rispondersi. Per tanto tempo aveva posto agli
altri tante domande ed era stato quello che esigeva delle risposte.
Invano, si sarebbe detto.
O forse non tanto invano, se, ridacchiò,
qualche risposta aveva ottenuto: quella del processo e della condanna
a morte!
“Socrate,
Socrate mio,” gli chiedeva sempre la sempre esasperata ed
esasperante Santippe, “ma che cosa hai da ridere tanto? Ma non vedi
che la gente ha il cuore pieno di odio e pensa solo al vino , al
sesso, ai soldi, al gioco delle carte, a quello dei dadi ed alla
guerra? Devi stare in guardia, marito: prima o poi la mania della
filosofia ti farà finire nei guai!”
Al
che rispondeva: “Ma non capisci, cara moglie, che proprio
questo mi fa ridere?”
Eppure
sapeva che Santippe aveva ragione: la filosofia era davvero una mania
cioè una follia. Qualcosa
perciò a cui chi cerca davvero la verità non può rinunciare, così
come l'avvinazzato non può rinunciare al bere... anche giocandosi la
salute ed in pratica, la vita.
Che
poi il mondo andasse a catafascio, questo lui, lo sapeva: altroché!
Era tutto capovolto: l'ignorante, purché avesse la risposta pronta,
passava per saggio e per dotto; lo speculatore per grande lavoratore.
L'onesto era invece considerato un sognatore o un fesso,
quando non un pericolo pubblico...
Una
volta Platone gli aveva detto: “Bisogna che il filosofo diventi
governante o che il governante diventi filosofo.”
“Per
carità!”, aveva esclamato lui, “Caro ragazzo, sai quali pasticci
nascerebbero, in quel caso?”
Piccato,
Platone aveva risposto: “O Socrate, non ne nascerebbero più di
quanti non ne nascano già oggi, quando dello Stato si occupano
banchieri, militari, fanatici religiosi, commercianti e faccendieri.
Per non parlare dei cosiddetti uomini di legge,
che sotto il manto appunto della legge utilizzano ogni cavillo per
legittimare violenza ed ingiustizia.”
“In
effetti hai ragione, giovane amico.”
“Bene.
E lascia che aggiunga solo questo: il governante-filosofo o il
filosofo-governante non dovrà certo far lezione di filosofia! Egli
dovrà invece, in tutte le sue azioni, porre al centro di tutto il
bene e la giustizia. Per ogni uomo, per ogni donna. E sempre.”
“Carissimo,
spero proprio che queste tue idee possano realizzarsi.”
E
Socrate accompagnò quelle parole con un sorriso: ma non di scherno
né di falsa o eccessiva allegria. Però quel sorriso, pur mite e
quasi triste, era necessario: perché la filosofia e la lotta
politica prive di gioco si allontanano dal loro obiettivo.
Poi
bisognava anche essere duri: perché la bilancia della giustizia deve
essere custodita solo dalla spada,
non dalle promesse o dalle buone intenzioni di chi l'equilibrio di
quella bilancia poteva alterare col potere o con l'oro.
“Stai
diventando uno spartano, caro Socrate?”, si chiese il figlio di
Fenarete scuotendo la testa, divertito di sé.
Di
certo al processo non si era semplicemente difeso, aveva
attaccato: i giudici e gli
accusatori rimasero quasi senza parole. Senza parole di verità,
ovviamente: perché quanto a parole di falsità, di quelle ne avevano
sempre avute fin troppe.
Ma non si era
trattato della solita schermaglia filosofica, questo lui lo sapeva
bene. Ed aveva accettato di pagare con la vita...
I
suo amici e discepoli gli avevano suggerito la fuga oppure l'acquisto
di giudici e carcerieri. Perfino loro,
per un malinteso senso di amicizia, gli proponevano la vigliaccheria
e la corruzione.
Scoppiò
a ridere: “Ah, andiamo bene! Andiamo proprio bene!”
Fu una risata
amara ma nello stesso tempo divertita.
Sentì dei
passi in corridoio: erano i carcerieri con la mortale bevanda.
giovedì 13 novembre 2014
“Point blank”, di Bruce Springsteen*
Non si tratta di una canzone
d'amore, benché si capisca che tra i protagonisti ve ne sia stato.
Ma il pezzo non parla tanto di come l'amore possa finire...
anzi penso che questo fatto rimanga in un certo senso sullo sfondo.
No,
la canzone parla di come possa vivere soprattutto una donna
in una società ingiusta anzi
spietata come la nostra che prende in considerazione le donne solo
quando stanno con un uomo.
Possibilmente potente.
Bene,
Point blank non
è un rock ma del rock possiede
la tensione e forse anche la disperazione. Lo strumento-principe è
qui il piano, tutti gli altri rimangono un po' sullo sfondo.
L'accompagnamento di batteria è forte ma discreto, come se volesse
solo accompagnare la voce.
Abbiamo
delle impennate nella
quali il ragazzo urla la sua frustrazione ed il suo dolore per la
donna che amava e che ora non può più aiutare.
“Do you still yours prayers
little darlin'
do you go to bed at night
prayin' that tomorrow,
everything will be allright,
but tomorrow's fall in
number”,
“dici
ancora le tue preghiere, tesoro/ vai a letto la sera/ pregando che
domani vada tutto bene/ ma i domani sono sempre meno”, inoltre:
“You wake up and you're
dying
you don't know what from”,
ti svegli e
stai morendo/ e non sai nemmeno per cosa.”
Il brano
continua osservando come la ragazza sia stata ingannata:
“Right between the eyes
baby, point blank
right beetween the pretty
lies they tell
little girl you fell”,
in sostanza
lei ha ricevuto: “Proprio in mezzo agli occhi, un colpo secco/
proprio in mezzo alle graziose bugie che raccontano.”
Così, il
ragazzo canta: “Ragazzina, sei caduta.”
Il brano
segue la ragazza presumibilmente dal momento dell'adolescenza ed in
realtà degradate ed osserva:
“Sei
cresciuta dove le ragazze maturano prima.
Hai preso
ciò che ti è stato dato
e lasciato
quello che chiedevano.
Ma ciò che
ti chiedevano non era giusto
non dovevi
vivere quella vita.”
Secondo me
la ragazza è stata costretta con lusinghe e con minacce ad entrare
nel giro della prostituzione.
“I was gonna your Romeo
you're gonna be my Juliet.
These days you don't wait on
Romeo's
you wait on the welfare check
and on all the pretty things
you can't ever have
and on all the promises”,
sarei stato
il tuo Romeo e tu la mia Giulietta./ Questi giorni non aspetti
Romeo,/ aspetti il sussidio di disoccupazione/ e tutte le belle cose
che non potrai mai avere/ e tutte le promesse.
Il
brano prosegue mentre con voce tesa ed appassionata Springsteen canta
di un sogno: capita
spesso di farne uno in cui si rivive quell'amore che è ormai morto o
che si sta trascinando senza più gioia o bellezza. Bene:
“Una volta
sognai che eravamo di nuovo insieme,
amore, tu ed
io,
a casa, in
quei vecchi locali che frequentavamo una volta,
stavamo al
bar
il complesso
suonava forte e tu mi urlavi
qualcosa
all'orecchio.
Mi
strappasti la giacca di dosso e mentre il batterista
contava fino
a quattro
afferrasti
la mia mano e mi trascinasti
sulla pista.
Stavi lì e
mi tenevi poi iniziasti
a ballare
lentamente.
E mentre ti
stringevo più forte giuravo che non
ti avrei mai
lasciata.”
In
pochi versi il Jersey Devil,il
Diavolo del New Jersey ha creato una realtà molto bella, addirittura
struggente. Ma questo che è un sogno,
nel momento in cui finisce diventa un incubo:
o per essere più precisi, tale diventa quando il ragazzo scopre
quale sia la “vita” della ragazza.
“Beh,
ti vidi giù al viale.
Il tuo viso
era in ombra ma sapevo che eri tu
stavi sotto
un portone per ripararti dalla pioggia
quando ti
chiamai non rispondesti.
Ti girasti e
guardasti lontano,
proprio come
uno straniero che aspetta di essere
spazzato
via.”
Il
punto è che come dice il ragazzo: “Sei stata deformata
fino a diventare complice.”
Così lei vive una vita che altri hanno
scelto per lei ma che ormai ha imparato a considerare “sua.”
E'
entrata (certo anche per via della paura)
in un giro di cui può essere solo schiava... Anche se per le
graziose menzogne che le sono state rifilate, crede ancora che possa
esserci un domani migliore. E deve stare attenta perché sta
camminando “nel mirino.”
Il
riferimento al “mirino” potrebbe non essere causale: una volta
Bruce raccontò di una compagna del liceo che gli stava appresso e
che era molto scatenata. Poi lei compì una rapina nel corso della
quale rimase uccisa... chissà che Point blank non
sia una versione di quella storia?
Infatti
io ho ipotizzato che la ragazza del brano sia diventata una
prostituta, ma potrebbe anche essere entrata in una banda di
rapinatori o di ricettatori. Un ambiente nel quale lei non può fare
“one false move away”,
un passo falso perché arriva un “colpo secco” ed è “morta.”
Comunque
il pezzo sottolinea un fatto fondamentale: come le dice il ragazzo:
“Did you forget how to love, girl,/ did you forget how to
fight”, hai dimenticato come
amare, ragazza,/ hai dimenticato come lottare.
A quel
punto, lei non potrà far altro che attendere la fine... che
arriverà. Prima o poi. E non sarà gloriosa.
Bruce
scrisse Point blank nel
1980 quando Reagan e la conseguente disoccupazione crearono ai
lavoratori USA non pochi problemi. Point blank si
trova nel doppio album in studio The river,
disco che denuncia questo malessere anche in brani come quello
omonimo, in Jackson cage e
forse anche in The price you pay.
In
questo quadro, la donna appare come il classico anello debole della
catena: non perché lo sia in quanto donna,
ma perché deve vivere ed alla fine subire una
società che privilegia il danaro, la violenza ed il potere. Ed
essendo la donna (soprattutto quella che viene da ambienti degradati)
priva di tutto ciò, le sue saranno scelte obbligate.
Certo a
questo stato di cose può ribellarsi, ma è molto difficile, quando
ti trovi da sola in mezzo ad un viale e ti tengono sotto tiro...
Nota
*
Traggo testo originale e traduzione italiana , da me in parte
rivista, da Bruce Springsteeen, Tutti i testi con
traduzione a fronte, Arcana Editrice, Milano, 1985,
pp.180-183.
mercoledì 29 ottobre 2014
Simpatica canzoncina di spine e risate
La mattina mi sveglio, mi sveglio
la mattina
non guardo la e-mail
non ho l'Ipod, l'Ipad
o come si dice
e non accendo la tv:
mi ricorda il corpo di guardia,
quando facevo il militare,
non accendo la radio
e neanche il caminetto.
Ho in testa i ritornelli un po'
stornelli di Stefano Rosso:
stornelli come dice l'amico
vero Bruno Manca
il cui umorismo il telefono mi
manda.
E così ho fatto una rima da poeta
di nessun pianeta.
La mattina mi sveglio, mi sveglio
la mattina,
apro la finestra, scosto la
tendina...
puntualmente artiglio qualcosa
e felicemente, qualcosa crolla:
la tendina, la serranda, la
sveglia, qualche rivista...
talvolta la mia signora mi
rampogna
ma nella vita, sbagliare bisogna.
Apro la finestra,
non accendo la luce.
La mattina scrivere è dura
ma è molto peggio non farlo...
altrimenti come potrei assassinare
il mio tarlo?
La mattina mi sveglio, mi sveglio
la mattina
apro qualche libro
(in fondo leggo e scrivo sempre:
inchiostro, sola e benedettissima
droga!)
e leggo:
“Uccide il prossimo chi gli
toglie il nutrimento,
versa sangue chi rifiuta il
salario all'operaio.”
Questo è il
libro del Siracide,
un Testamento
che non sembra tanto vecchio.
Poi trovo un
articolo sull'indifferenza
scritto
dall'uomo che coi suoi Quaderni
ci ha
consegnato
parecchie
perle di lotta e saggezza,
leggo che
appunto l'indifferenza:
“Lascia
aggruppare i nodi
che poi
solo la spada può tagliare.”
Le parole di
Gramsci e quelle del Siracide
sono parole
che come stelle
da sempre mi
guidano
nella notte di
confusione e paura
che confonde i
passi ed i pensieri
di tanti, di
tante, di troppi, di troppe.
Poi accompagno
i figli a scuola
e me stesso a
casa
ed in cerca di
qualcosa da fare...
il giorno è
infestato da squallidi corvi e da rivoltanti cornacchie
che vorrebbero
piegarmi al loro malfare...
per fortuna
sono troppo vecchio:
so spezzare la
loro rete,
bruciare i
loro nidi.
Alla fine
accendo la radio,
metto la caffettiera sul fuoco
ed anche per questa o per quella
giornata
inizio a scorrere le offerte di
lavoro.
lunedì 20 ottobre 2014
“Woman is the nigger of the world”, di John Lennon
Nel mare magnum, nel grande mare
del rock sono poche le azioni in cui troviamo dichiarazioni di vera
stima verso le donne. Chi abbia letto il precedente post “musicale”
Gli uomini del rock di fronte alla donna,
avrà già visto come io abbia cercato d'affrontare tale tema.
Eppure,
canzoni “pro-donna” esistono e secondo me, esprimono
sull'argomento il punto di vista più maturo e rispettabile da parte
di quei rockers che vedono nella donna un essere che possiede un
valore ed una dignità che prescinde dall'amore
e dalla passione. In tali canzoni la donna figura soprattutto come
amica o eventuale
compagna di strada.
Bene,
credo che John Lennon con la sua Woman is the nigger of
the world sia stato il primo a
parlare delle donne da questo punto di vista, denunciando soprattutto
il modo in cui esse
sono trattate da certi, presunti uomini.
Il
titolo del brano è volutamente provocatorio: nigger è
infatti il dispregiativo per “nero”; così Woman is the
nigger of the world significa
“la donna è la negra del mondo.”
Secondo me
il pezzo è costruito su un riff di rock-blues, peraltro impreziosito
da frequenti interventi di sax, che hanno funzione sia ritmica che
melodica.
All'inizio
il cantato di Lennon fa quasi pensare ad un brano romantico, ma
capiamo subito che tira tutt'altra aria se canta:
“We make her paint her face
and dance
if she won't to be a slave,
we say that she don't love us
if she's real, we say she's
trying to be a man
while putting her down, we
pretend that she's above us,
Le facciamo
truccare la faccia e ballare/ se lei non vuol essere una schiava, le
diciamo che non ci ama/ se lei è reale (sé stessa), diciamo che sta
cercando d'essere un uomo/ mentre la buttiamo a terra (umiliamo)
fingiamo che ci sia superiore.
La canzone
continua in un crescendo di rabbia e di accuse rivolte all'uomo, così
anche la voce di Lennon si fa più aspra... mentre il tempo del brano
si fa incalzante ma mantenendosi sempre cadenzato, accompagnando
quindi il cantato senza sovrastarlo.
Si
chiamano in causa la costrizione da noi imposta alla sola donna della
responsabilità e della crescita dei figli, si ricorda come
vogliamo confinarla in casa: “Then we complain that she's
too unwordly to be our friend”,
poi ci lamentiamo che lei ha troppa poca conoscenza del mondo per
essere nostra amica.
Così,
lei è “the slave for the slaves”,
la schiava per gli schiavi. Infatti, qualsiasi uomo, qualsiasi sia il
suo grado di sfruttamento economico, di isolamento sociale, politico,
etnico, di repressione religiosa, culturale ecc., è però certo di
poter a sua volta reprimere, dominare o manipolare almeno una
persona: la donna;
spesso, la sua.
Non
di rado, tutto ciò sfocia nella violenza:
”Yeah... allright... hit it!”,
sì, benissimo... colpiscila! Del resto, una volta che l'uomo abbia
cancellato la sensibilità, l'intelligenza e la voglia di
indipendenza della donna, “perché” non dovrebbe disporre anche
della sua integrità fisica?
Addirittura,
il testo inglese ha hit it,
non hit her. Con hit
her vogliamo dire colpiscila,
colpisci lei. Ma in
hit it, it è un
neutro che designa
oggetti, cose ecc. E' come se si dicesse: colpisci quella
cosa. Come se si trattasse di
una pietra, una porta, un muro. E niente di tutto questo prova dei
sentimenti, o dolore... quindi con quell'hit it si
abbassa la donna al rango di cosa inanimata.
Ma
Lennon afferma che se credi che la donna sia schiava, allora: “Think
about it... do
something about it”, ed
inoltre “scream about it”,
pensaci... fai qualcosa ed urlalo.
Ora,
questo non è facile anche perchè Lennon dice ad ognuno di noi:
“Take a look at the one you're with”,
dai uno sguardo a quella con cui stai.
Certo,
anche lui dovette lavorare su sé stesso: ma quando Lennon accusava
di qualcosa gli altri, lo faceva dopo aver prima corretto appunto sé
stesso.
Comunque
trovo ancora la canzone attualissima: non solo per come può vivere
la donna in Paesi fondamentalisti sul piano religioso; questa sarebbe
una considerazione troppo facile.
No,
penso che il brano sia ancora molto attuale anche in Paesi cosiddetti
democratici e liberi, che però non fanno granché per contrastare la
visione della donna come oggetto di piacere sessuale e purtroppo,
come disse una volta lo scrittore Massimo Carlotto (riferendosi al
nord-est) come sostitutivo della tangente...
Un
ringraziamento speciale a Yoko Ono per aver coniato, a fine anni '60,
la frase che dà il titolo alla canzone (che risale invece al 1972).
giovedì 2 ottobre 2014
“Il maestro di cerimonie”, di Arnon Grunberg
Il titolo del romanzo è stato
reso nella nostra lingua in modo molto libero: nell'originale
neerlandese (olandese) abbiamo Tirza,
che è il nome di una delle figlie appunto del Maestro.
Questa libertà si spiega forse col fatto che il protagonista si
chiama Hofmeester,
termine questo che in olandese significa appunto “maestro di
cerimonie.”
Ma veniamo al
libro.
Hofmeester è
un uomo che ha superato da qualche anno i 50, vive ad Amsterdam in
una strada elegante come la Van Eeghenstraat, che a sua volta si
affaccia sul Voldenpark. Di questo egli è piuttosto fiero. Ha una
bella casa, due figlie cui vuole molto bene ed un importante incarico
presso una prestigiosa casa editrice di Amsterdam.
Nella vita di
Hofmeester la cultura ha un ruolo preponderante: al punto che la sera
alla 14enne Tirza legge brani da Dostoevskij e da altri grandi Autori
dell'800.
Ma il Nostro,
peraltro uomo molto gentile e disponibile, come padre è troppo
presente: per es., idealizzando Tirza (un'adolescente come tante) la
spinge a suonare il violoncello, a praticare il nuoto, vorrebbe che
si immergesse in letture complesse ecc. Questa continua presenza
creerà alla ragazza seri problemi (per es. col cibo). Nel complesso,
la vita di Hofmeester è felice o almeno, tranquilla.
Le
cose cambiano quando dopo 3 anni (!) torna
a casa la bella e disinibita moglie del Nostro, che dichiara d'esser
tornata per “riprendersi” una vita che che secondo lei lui le
avrebbe rubato. Ma poi
la signora riconosce che è tornata perché è stata “scaricata”
dal suo ultimo amante e che i tanti che ha avuto, ormai non la
invitano più “neanche per un caffè.”
In un
drammatico ed insieme penoso tentativo di riunione familiare, lei
umilia (davanti a Tirza) Hofmeester parlando apertamente della sua
inadeguatezza come amante. Rimasti soli, la bella fedifraga lo
definisce “vecchio cavallo da traino”, insinua che in fondo è
omosessuale e che di fronte a lei era preso dal “panico” ecc.
Hofmeeester,
stoicamente ma forse anche stupidamente,
ingoia tutto ed anzi riprende la donna a vivere con sé.
Un
comportamento come questo sarebbe assurdo da parte di qualsiasi
uomo... ma le dinamiche di una famiglia e soprattutto quella
marito-moglie, possono sfuggire alla logica; talvolta, suggerisce
Grunberg, sfuggono anche all'amore. Illuminante al riguardo una frase
pronunciata in un racconto da un personaggio di Woody Allen: “I
miei genitori sono rimasti insieme per 40 anni; ma più che altro per
farsi dispetto.”
Hofemeester,
padre esemplare e grande lavoratore, riprende con sé la moglie
perché è “la madre delle sue figlie” ed è schiavo di un senso
del dovere quasi fatalistico. Ha cresciuto le figlie nel cruciale
periodo dell'adolescenza, lavora tutto il giorno, cucina, tiene in
ordine il giardino e la casa, segue le attività scolastiche,
sportive e ricreative delle ragazze... Tutto questo da solo e senza
un lamento.
Quando la
moglie lo abbandonò la difese dalla maldicenza di amici, colleghi e
vicini.
Comunque, pian
piano Hofmeester si rende conto di come nel corso di tutta la sua
vita sia sempre stato infelice, o almeno molto solo. E' sostenuto da
un umorismo che la sua famiglia non capisce ma che lo salva dalla
disperazione. Si tratta di un umorismo sottile, ma comunque non
cerebrale né troppo “intellettuale.”
Sembra che il
Nostro viva in un mondo tutto suo il che forse è anche vero: per es.
ad Ester (una ragazza con cui ha avuto una fugace avventura) regala
un testo di Tolstoj scusandosi perché l'ha trovato solo “in
traduzione tedesca.”
Ma il nostro
eroe soffre anche di grandi mali, imputabili (questa la sola
“attenuante”, ammesso che possano essercene) forse ad un disturbo
mentale che nella sua vita si fa strada con lo svanire delle
prospettive di carriera, con un licenziamento camuffato da
prepensionamento, oltre che un lento ma inesorabile scivolamento
nell'alcolismo.
Tra questi
mali rientrano una qualche inclinazione al razzismo ed alla violenza:
sia pure, quest'ultima, in parte latente.
Con questo
romanzo (che però contiene vicende molto più drammatiche di cui non
ho parlato per non rovinarvi la sorpresa) Grunberg ci ha consegnato
un antieroe che non viene dagli slums o dalle periferie di
qualche città degradata o del cosiddetto Terzo Mondo; arriva da una
delle città e da uno dei Paesi più prosperi ed evoluti
dell'Occidente.
Il maestro di cerimonie fa
riflettere, diverte, fa indignare ed anche quando affronta temi
letterari, filosofici e morali o scabrosi, scorre senza difficoltà.
Scusate se è poco!
Concludendo:
Hofmeester dichiara spesso che la sua generazione (in fondo, si
tratta più o meno della mia) ha cercato di
”abolire l'amore.”
A
tutte/i voi il compito di scoprire se questo sia stato possibile. O
desiderabile. O se lo sia.
venerdì 19 settembre 2014
“Factory girl”, dei Rolling Stones
Il pezzo si trova in Beggars
banquet (1968).
Musicalmente
parlando, non si tratta di uno
dei pezzi migliori delle Pietre Rotolanti. Mi dispiace dir questo
perchè (come molti sanno) Keith Richards è mio zio e Ron Wood è
mio cugino; Charlie Watts, invece, è mio compare d'anello.
Che io sappia io, e Mick
Jagger non siamo parenti, ma lui passa
ogni tanto nei pressi del mio condominio... dove dà una mano come
imbianchino e fa lavori di giardinaggio; così, lo invito a casa mia
per un caffè.
Posso così
dire d' essere (tutto sommato) in buoni rapporti col cantante dei
Rolling Stones.
Il brano è a
tutti gli effetti un pezzo country, ma secondo me quando gli Stones
si avventurano in quel campo, lo fanno con finalità satiriche.
Infatti in questi casi la voce di Jagger è strascicata e lamentosa
come se volesse parodiare il modo di cantare di un cowboy che non
riesca a smettere di sbadigliare.
L'accompagnamento
musicale (mi riferisco soprattutto ai violini)
è molto mieloso e prevedibile. Niente a che vedere, insomma, con la
dolente compostezza di Hank Williams, con la grinta del John Fogerty
di Blue ridge mountain blues,
l'elegante malinconia del Jackson Browne di Late for the
sky né col country-rock di
Steve Earle ne El corazon.
Mi
pare anzi che con la musica di Factory girl gli
Stones abbiano voluto prendere in giro il country più sdolcinato e
sentimentale. I nostri ripeteranno questa operazione circa 10 anni
dopo con Faraway eyes (contenuta
in Some girls).
Tuttavia
Factory girl presenta
un testo molto interessante. In
fondo, anche questa è una canzone d'amore: ma sfugge sia al pericolo
di un eccessivo romanticismo sia a quello del famoso cinismo stile:
“Sdraiati subito qui, baby, così io ti
ecc. ecc.”
Intanto,
Factory girl significa
ragazza operaia. Siamo
ben lontani dalle dive del jet-set o dalle classiche sexy
bombs.
Il
protagonista sta aspettando: “A girl who's got curlers in
her hair”, una ragazza che ha
i bigodini nei capelli. Inoltre lei non il becco di un quattrino e
loro per spostarsi “prendono il bus.” Il bus, mica la limousine.
Non
è una bellezza: le sue ginocchia “are too fat”,
sono troppo grosse/grasse, non porta cappelli ma sciarpe e: ”Her
zipper's broken down the back”,
ha la cerniera rotta sulla schiena.
Evidentemente
la vita di fabbrica è fatta di costanti sacrifici: quelli che deve
fare sempre chi lavora duro e che non permette alla ragazza di
atteggiarsi a bambolina o di darsi allo shopping... per il quale, del
resto, non avrebbe neanche i soldi.
Lui
e lei finiscono spesso per sbronzarsi, forse anche per picchiarsi ed
il venerdì sera appunto si ubriacano ma: “She's a sight
for sore eyes”, è un balsamo
per occhi addolorati.
Il vestito di
questa ragazza è pieno di macchie e certo, forse molte delle
immagini qui usate dagli Stones sembrano caricaturali: infatti, perché mai
una ragazza che lavora in fabbrica dovrebbe essere per forza così
trasandata?
Ma
anche al di là di questo Factory girl rende
questa ragazza, questa giovane operaia davvero simpatica: fa venire
voglia di diventarle amico, non solo amante.
Lei
ha qualcosa di Ruby Tuesday ma
senza la sua aria svagata, senza i suoi sogni e le sue illusioni. Del
resto, lei non può certo permettersi di mollare tutto.
Sicuramente ha un affitto da pagare,
dei debiti, delle rate, a fine giornata è stanca morta e più in
generale, non ha nessun corteggiatore vanesio sempre pronto a
regalarle fiori o gioielli. Con
Factory girl gli
Stones ci hanno presentato una ragazza che sgobba e che non ha tempo
né voglia per scherzi o banalità. E' un'operaia.
E noi, che come lei dobbiamo sbatterci ogni giorno per trovare o
mantenere uno straccio di lavoro, la capiamo e le vogliamo
bene.
giovedì 11 settembre 2014
Inseguendo il filo delle nuvole
Oggi 7 luglio
2014, un po' a terra ma non troppo (però abbastanza) decido di fare
2 passi. E per dare una mano alla famiglia, decido anche di fare la
spesa.
Inseguendo il
filo delle nuvole, ecco che come un autentico cane nutrito a pane ed
inchiostro, siedo da qualche parte a scrivere.
Dopo aver
fatto la spesa: sarò anche un sognatore, ma con venature made in
Berlin... cioè con un dannatissimo senso del dovere.
Rifletto
su: Golden days of rock
'n roll (i giorni d'oro
del rock) e
su Rock 'n roll people di
Giovannino Inverno o Johnny Winter che dir si voglia. La gente del
rock mi capirà senz'altro.
Cerco
di far capire ai miei studenti che l'inchiostro
è il miglior sballo
che esista. Scrivete e
leggete, cari ragazzi e care ragazze: è tutto quello che il vostro
quasi-anziano professore può dirvi. Non c'è vino, non c'è birra,
tequila, whisky, cognac o spinello che regga il confronto col magico
e benedetto inchiostro!
Se vi piace quello informatico o webberistico, fatevi anche di
quello: perfino su quegli schermi luccicanti e tremolanti potete
trovare un po' di bellezza e di verità.
E
così sono decisamente
sprofondato nei panni del professore anzianamente vecchio, giusto?
Vero
Peter Pan ora ex-panciuto inseguo il filo delle nuvole e penso a come
la gente sia cambiata... non direi in
meglio: ma sembra
proprio che questo sia considerato segno di modernità...
il fatto cioè che molti si trasformino in volgarissime banderuole.
Così dribblo l'amarezza e decido di affidarmi ai riffs di chitarra
di Lou Reed. Francamente, questa mi sembra la scelta più saggia.
Ah,
sapete? Desidero esplorare la New York olandese del 1600: come mappa,
il romanzo di Jean Zimmerman Il
rituale dei bambini perduti
va benissimo.
Ho
in testa: Walkin'
degli
Outlaws, grande disco di musica country con poche ma ottime spruzzate
di blues e rock ma entrambi non molto elettrici. Oggi rimugino su questo grande verso: “Walkin'
is better than runnin' away and crawlin' ain't no good at all”,
cioè: “ Camminare
è meglio che correre via (scappare) e strisciare non va bene per
niente.
Inoltre mi rimbombano nell'anima: New
York City serenade di
Springsteen e della “E” Street band;
Like
a rolling stone di
Dylan;
una
versione rock di Milord
che prima o poi scriverò
io.
Sono quasi le 20 e torno a casa, forse ho trovato uno spago per
legare la coda alle nuvole...
Ah,
ein moment, bitte, one
moment, please: devo
ascoltare Berlin
schmerzst del rocker
olandese Herman Brood e
stabilire se sia bella quanto la Berlin
di Lou Reed.
Bene, care mie e cari miei, per oggi quanto avete letto è buona parte di quello che volevo
dirvi.
Ora torno a casa e quel che non ho detto è rimasto nella penna: ma
solo perché il mio scalcagnato e scosciatissimo inconscio ha deciso di tenerlo per
sé.
Aggiungo solo una piccola, modesta ma non insignificante cosetta:
oggi 7 luglio 2000 eccetera le nuvole involgono Cagliari come
cellophane, perfino al confine con Selargius.
Ma purtroppo, io non ho
un tappeto volante per tagliare la corda. E neanche un gancio per
afferrare il filo delle nuvole.
P.s.: ovviamente, so che oggi non è il 7 luglio duemila eccetera.
martedì 19 agosto 2014
Gli uomini del rock di fronte alla donna
Di solito nel rock non si ha verso
la donna un atteggiamento molto rispettoso... essa vien vista spesso
come preda sessuale o comunque come bomba sexy: tutto ciò è stato
ben sintetizzato da Rod Stewart in Hot legs,
gambe calde.
I
Rolling Stones non si discostano più di tanto da questo modello, se
una canzone come Some girls classifica
le donne per nazionalità e difetti: le italiane? Vogliono solo auto.
Le francesi? Vogliono gioielli. Le inglesi? Sono lamentose, quasi
insopportabili. Le nere vogliono fare (come dire?) bum-bum tutta la
notte. Ecc. ecc.
Potremmo
moltiplicare gli esempi: non credo (tanto per dirne una) che il punk
o l'heavy metal manifestino molto rispetto per la donna e forse, non
se ne trova tantissimo neanche nel rap.
Ma
attenzione... il mondo del rock, inteso in tutte le
sue diramazioni, non è necessariamente sessista o maschilista. I
suoi “eroi”, infatti, provengono perlopiù da ambienti degradati,
ambienti comunque in cui si ragiona e si sente in
modo piuttosto sanguigno. Come disse una volta Roger Daltrey, il
grande cantante degli Who: “Nel mio quartiere potevi fare solo il
calciatore, il pugile o il delinquente.”
Il rock
rappresentava quindi un'alternativa a tutto ciò; un'alternativa in
fondo artistica.
Ovviamente,
chi viene da ambienti come quello descritto da Daltrey “deve”
fare il duro, almeno in pubblico.
Del
resto, nel rock troviamo anche molte ballate romantiche o anzi
struggenti: penso per esempio ad Angie o
a Ruby Tuesday dei già
citati Stones; in questi brani non c'è ombra di maschilismo.
Potrei
continuare con Rosalita,
Sandy (four of July),
Candy's room di
Springsteen, Tom Traubert's blues,
Rosie e Downtown
girl di Tom Waits, Eileen
di Keith Richards, Michelle
e All my loving dei
Beatles, Sweet Mary Ann dei
Quireboys, I can't tell you why degli
Eagles, Like a hurricane di
Neil Young, Princess of Little Italy di
Little Steven, Sarah e
Lady of the lowlands di
Dylan ecc.
L'elenco
potrebbe essere infinito, o quasi.
Ma
c'è un problema: sono tutte canzoni d'amore.
Certo, rispetto al classico: “Ehi, baby, sdraiati qui che ti
voglio...”, emh, avete capito... l'amore segna un netto
miglioramento.
Ma
come sappiamo, quando amiamo una persona finiamo per non notare
troppo i suoi difetti... che ha,
o non sarebbe un essere umano. Ora, idealizzare la donna amata
significa certo cantare il nostro amore per lei... ma sembra che
molti rockers non vadano oltre questo. E' come se dicessero: tu,
donna, esisti finché io ti amo.
Ma come
vedremo nei prossimi post, questa non è una regola fissa,
indiscutibile; la considerazione presenta alcune eccezioni.
Certo,
come diceva (forse esagerando un po') Elliott Murphy, nel rock tutta una tradizione che va dalla Pretty woman di
Roy Orbison a Fire di
Springsteen presenta la donna non solo come angelo, dea
ecc. ma anche come essere di
ghiaccio, spezzacuori e così via... Un tema interessante, anche
questo.
Ma
nei prossimi post “musicali” ci occuperemo non di come i rockers
vedano nella donna la dea o la heartbreakers,
la spezzacuori. Non ci occuperemo della donna da loro intesa come
essere solo volubile, avido, sexy ecc. ecc.
Parleremo
della donna intesa dai rockers come essere loro pari,
come tale degna di rispetto e
di un amore disinteressato.
Degna di rispetto come persona
a prescindere dal fatto che debba esserlo in quanto amata
da un uomo.
martedì 29 luglio 2014
Stamattina niente Mozart
Stamattina
volevo ascoltare Mozart
ma ho scelto
Bryan Adams: sì, lui,
anche se il
suo è un rock
poco originale
ma piacevole, dopotutto.
Non frequento
circoli o cenacoli letterari
ma penso di
stare sulle scatole
sia ai poeti
che agli operai:
per
i primi sono troppo istintivo e grezzo;
del resto,
passo per
rammollito ad occhi muscolosi.
Apro a caso un
libro di Lord Byron
e scopro che a
modo suo,
anche lui
lottava con le masse:
dunque per me
c'è ancora speranza!
Ma comunque,
come mi sento?
Dominato
dall'accidia
o più
semplicemente,
strangolato da
una malinconia che mi tormenta
sempre e
comunque,
mi sento
dominato da un gusto acido, amaro, insopportabile
che non mi
molla mai...
anche se in
fondo sono un sempliciotto
che si esalta
con quattro e vecchi accordi elettrici,
un bicchiere
di vino con gli amici
e qualche
battuta
(purtroppo non
sconcia, abbiate pazienza).
Ma poi
l'accidia, l'angoscia, la malinconia, i blues
(chiamatela
come volete)
ritorna...
torna sempre, la maledetta, la schifosa, la porca!
Certo, anche
il non lavorare
o il lavorare
a singhiozzo,
fa
singhiozzare.
Mi “fisso”
(così mi dicono)
con qualche
acciacco
ma in
confronto a chi sta male davvero,
dovrei solo
vergognarmi.
Il mio poco e
scadente lavoro, poi,
non mi ficca
nei bidoni della spazzatura.
Dovrei
accontentarmi?!
Accontentarsi
è il dolce veleno
inventato da
ricchi, potenti e prepotenti d'ogni tempo
per fregarci
meglio e per sempre.
Apro la Bibbia
quasi a caso
e leggo in S.
Giacomo:
“Voi
ricchi vi siete ingrassati
per il
giorno della strage.”
Ecco,
finalmente, un pensiero dolce e divino!
Giacomo, sto
già lucidando armonica & alabarda...
lunedì 7 luglio 2014
“Dirty boulevard”, di Lou Reed
Il 27 ottobre 2013 è morto Lou
Reed: tra i rockers, per me uno dei più aperti e pronti al confronto
anche con un mondo lontano da quello “solo rock”. Penso infatti
al suo rapporto con Andy Warhol, con David Bowie, penso agli studi da
lui condotti all'università di Syracuse, all'attenzione che prestava
al costume ed alla cultura. Soprattutto riguardo al legame tra arte
ed individuo, in un'intervista alla domanda su che cosa saremmo
appunto senza l'arte, rispose: “Saremmo solo degli stupidi
insetti.”
Forse le sue canzoni più note
sono Walkin' on the wild side e
Sweet Jane.
Quest'ultima è secondo me uno dei rock più potenti di tutti i
tempi: a me ancora oggi, a distanza di tanti anni, sentire Lou che la
canta preceduto e poi sostenuto dalle chitarre
di Ian Hunter e di Dick Wagner, dà una grandissima carica; mi
riferisco all'esecuzione che del pezzo troviamo in Rock '
roll animal.
Ma
non conoscendo benissimo biografia e discografia di Lou, passo ora al
commento di Dirty boulevard.
Il pezzo si trova in New York,
lavoro tostissimo che mi fu registrato, quando facevamo il militare,
dal mio amico Bruno Manca.
Appunto
in New York Lou
alterna grandi rock come Romeo had Juliette,
There is not time ecc.
a pezzi che potrebbero andar bene anche nell'ambiente di un cabaret
raffinato ed irriverente; qui penso per es. ad Halloween
parade.
Inoltre,
Lou morì 4 giorni prima di Halloween... non voglio scorgere in
questo il compimento di un fato,
di un destino, comunque mi colpisce che un artista che come lui si
occupò tanto di dolore fisico e mentale, dei lati più oscuri della
vita, sia morto poco prima di una ricorrenza come quella. Certo si
tratta di una casualità, ma di quelle che fanno pensare.
Bene,
protagonista di Dirty boulevard è
un certo Pedro. Il
brano è una ballata rock con le chitarre, il basso e la batteria che
accompagnano con misurata potenza la voce di Lou, impegnato a
raccontare l'odissea di questo ragazzo che vive accanto al Wilshire
Hotel in una “casa” i cui muri sono di cartone, il pavimento è
fatto di giornali ed è picchiato dal padre perchè: “He's
too tired to beg”, è troppo
stanco per mendicare.”
Pedro ha 9
fratelli e sorelle ma:
“Dreams
of being older
and killing the old man
but that's a slim chance”,
sogna di
essere più grande/ e di uccidere il vecchio/ ma è una cosa
improbabile.
Così
Pedro deve andare nel Dirty boulevard,
lo sporco viale, dove dovrà mendicare, rubare, partecipare a delle
risse, magari anche spacciare. Le chitarre, incalzanti ma mai
invadenti, sostengono il cantato di Lou mentre svela il lato più
duro dell'american dream
il sogno americano:
“Give me the hungry, your
tired
your poor I'll piss on 'em
that's what the Statue of
Bigotry says
your poor huddled masses
let's club 'em to death and get
it over with
and just dump 'em on the
boulevard”,
portatemi gli
affamati, gli stanchi/ i poveri e orinerò loro addosso/ questo è
ciò che dice la Statua dell'Intolleranza./ Le vostre masse di poveri
accalcati/ picchiamoli a sangue facciamola finita/ e buttiamoli sul
viale.
Qui deve aver
ragione il regista Terry Gilliam quando dice che a lui New York
sembra una “città medievale”, verticalmente spaccata tra
un'élite di persone oltremodo famose, ricche e potenti da una parte
e moltitudini di miserabili dall'altra che arrancano nella miseria e
nella disperazione.
La
spaccatura risulta
ancora più evidente quando Lou ci presenta un quadro in cui si
fondono lusso, tecnologia e celebrità.
“Fuori è una notte luminosa
danno un'opera al Lincoln
Center
le stelle del cinema arrivano
in Limousine.
Le luci al laser proiettate
oltre l'orizzonte di Manhattan
ma le luci sono spente nelle
strade malfamate.”
Non
c'è molto altro da dire, no? Magari, noterei come la strofa si
chiuda con l'espressione “mean streets” che fu il titolo di un
film di Scorsese del 1973, ambientato nel mondo della vecchia mala
italoamericana. Ma dal '73 del film di Scorsese al Dirty
boulevard di Lou fino ad oggi,
mi pare che le cose in tutto il mondo siano
decisamente peggiorate...
A Pedro
rimangono ben poche speranze: forse l'ultima è questa... in un
bidone della spazzatura trova un libro di magia e mentre:
“Guarda le figure e fissa il
soffitto crepato
'Al 3', dice, 'spero di
scomparire'.”
Una
strana coincidenza: su www.loureed.it
(dove ho trovato testo inglese di Dirty boulevard e
traduzione italiana, da me però in parte rivista) si dice che Lou
prese il nome del gruppo Velvet underground dal
titolo dell'omonimo romanzo, da lui trovato nella spazzatura. Bene,
sarà anche la classica leggenda metropolitana, ma lasciatemi giocare
un po': da ragazzo Lou trova un libro da cui trarrà ispirazione per
il suo gruppo e prenderà il volo diventando una rockstar e volando
via dal mondo asfittico della sua famiglia e da quello della
provincia americana.
Pedro
che vedrei come l'alter ego di Lou trova un libro di magia... anche
questo nella spazzatura. E si spera che lui voli via dal mondo degli
sporchi viali.
La
canzone si chiude infatti con ripetuti accenni al volo: “I
want to fly away/from the dirty boulevard”,
voglio volare via/dallo sporco viale.
Buon viaggio,
Lou... o meglio, buon volo.
giovedì 3 luglio 2014
La discussione filosofica (17/a parte)
Come visto nella 16/a parte,
l'eccesso di critica (o
ipercritica) considera
deboli o false le tesi altrui ed innalza quasi un altare a sé
stessa.... che identifica senz'altro con
la verità. Così l'ipercritica finisce
per contraddirsi perché ritiene di non dover sottoporre le proprie
tesi a nessuna procedura di controllo e di verifica. Le tesi in
questione, solo perché sono le proprie,
sono dall'ipercritica considerate automaticamente vere.
A
proposito di quelli che Abelardo definiva iperdialettici,
appunto il maestro Bretone osservava: “Essi non usano, ma
abusano dell'arte dialettica.
Noi infatti condanniamo la falsità della sofistica, non la
conoscenza della dialettica.”1
E
sempre Abelardo si collegava al S. Agostino del De doctrina
christiana che diceva: “Si
deve tuttavia evitare la smania del contrasto dialettico ed una certa
puerile ostentazione della propria capacità di trarre in inganno
l'avversario.”2
Ma
a me pare che la definizione latina usata da Agostino e ripresa da
Abelardo renda di più: infatti, “smania del contrasto dialettico”
va benissimo come senso, ma il testo appunto latino dei due recita
libido rixandi; il che
rimanda alla libidine
(o voluttà) ed alla
rissa. E' come se una
sola espressione racchiudesse un piacere quasi fisico nello
scontrarsi con l'avversario, che si cerca di “sottomettere” come
per soddisfare una sorta di violenta sensualità... sia pure di tipo
intellettuale, quindi più raffinata ma proprio per questo, in un
certo senso più perversa...
Niente
insomma di più lontano da un vero amore o da una reale ricerca delle
verità, che anzi sembra presentarsi come subordinata al
soddisfacimento di una vanità o
di una libidine.
Nell''800
si occupò anzi preoccupò di questo problema anche Goethe, che a
proposito della dialettica osservò: “Purché questa capacità e
queste arti dello spirito non siano così spesso male impiegate e
utilizzate per rendere vero il falso e falso il vero. Certo- ribatté
Hegel, “questo accade, ma soltanto ad uomini che hanno lo
spirito malato.”3
Il
problema è quindi più che filosofico ed oggettivo, di tipo
morale-personale: ha insomma a che fare con una visione distorta
della filosofia e del rapporto
con gli altri esseri umani. Queste persone sono animate (come minimo)
da superbia. Una
persona come questa vuole: “Esaltare il proprio nome a causa di una
qualche novità e si vanta di fare affermazioni inusitate, che si
sforza di difendere contro tutti, per sembrare superiore ad ogni
altro, o perché la sua posizione non venga confutata e non appaia
inferiore alle altre.”4
Circa
costoro Abelardo aggiunge: “La loro arroganza è talmente grande
che credono non esista nulla che non possa essere compreso dalle loro
piccole ragioni.”5
In questa
polemica Abelardo aveva certo in mente anche Roscellino.6 Roscellino
cioè quello che come ricordato nella 15/a parte aveva dimostrato
tutta la sua delicatezza e solidarietà umana sbeffeggiando appunto
Abelardo per la sua menomazione sessuale e classificandolo così come
“quasi” uomo.
Bene,
ma l'ipercritica può
condurre anche alla sua assoluta mancanza:
il 2° pericolo cui ho accennato nella 14/a parte e verso la fine
della 16/a.
Secondo
Platone, infatti, si può diventare misologi cioè
persone che odiano o rifiutano i ragionamenti “come certi che
diventano misantropi.”7 Infatti tra il rifiuto o l'odio per gli
altri uomini (misantropia)
e quello per i ragionamenti (misologia)
esiste un legame strettissimo, che nasce anziché da un atteggiamento
sereno ed equilibrato, da un eccesso di fiducia misto forse ad una
certa ingenuità.
Cedo ora la
parola al Socrate di Platone, scusandomi per la lunghezza (però
necessaria) delle citazioni.
“Non c'è
male peggiore di questo odiare ogni discussione. Misologia e
misantropia nascono nello stesso modo. La misantropia nasce quando si
è riposta eccessiva fiducia in qualcuno, senza conoscerlo bene,
ritenendolo amico leale, sincero, fedele mentre poi, a poco a poco,
si scopre che è malvagio e infido, un essere del tutto diverso.
Quando questa esperienza si ripete più volte, specie con quelli che
stimavamo più fidati e più amici, si finisce, dopo tante delusioni,
con l'odiare tutti e col credere che in nessun uomo vi sia qualcosa
di buono.”8
Ecco
quindi genesi e sviluppo della misantropia,
un'esperienza davvero dolorosa e che spesso può toccare tanti di
noi. Al di fuori della filosofia, il poeta latino Catullo
canterà con grande sofferenza
del foedus, quel
“patto” che certi rivelatisi tutt'altro che amici,
hanno spezzato o tradito.
Approfondiamo
la relazione tra misantropia e misologia.
“Quando
uno presta, cioè, troppa fede a una tesi e la ritiene buona senza
conoscerla a fondo e poi in un secondo momento, gli sembra falsa, a
volte anche a ragione, ma a volte anche a torto, e quando questo gli
capita spesso (…). Ebbene, Fedone, sarebbe una cosa veramente
deplorevole se, con tutte le tesi vere e sicure che vi sono e vengono
riconosciute tali, soltanto per il fatto che ci imbatte in altre che,
pur essendo sempre le stesse, ora ci sembrano vere ora false, si
finisse per dare la colpa non
a se stessi ed alla
propria incapacità ma, per la stizza, agli argomenti
e si passasse tutta la vita a odiare e maledire ogni discussione
privandoci, così, della verità e della conoscenza della realtà.”9
Superfluo
ogni commento, direi.
Insomma:
ipercritica da una
parte e totale
rifiuto della critica dall'altra
conducono alla medesima conclusione
o al medesimo atteggiamento... cioè a non filosofare.
Chi
si serve dell'ipercritica assolutizza
il proprio pensiero, lo vede appunto come assoluto e
superiore a quello di ogni altro essere umano: il che equivale a fare
appunto del proprio pensiero qualcosa di divino,
cosa questa impossibile o assurda.
Chi
si dia al totale rifiuto della
filosofia, si priva di ciò che come essere sociale e razionale, lo
caratterizza.
Note
* Ho
pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post
rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il
17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011;
La
6/a il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
Il
riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il
21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013; la 10/a il 5/10/2013, l'11/a il 30/10/2013, la 12/a il 16/11/213.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013; la 10/a il 5/10/2013, l'11/a il 30/10/2013, la 12/a il 16/11/213.
Il
riepilogo di questo post (dall'8/a all'11/a parte) è stato
pubblicato il 13/12/2013.
La
13/a parte è stata pubblicata il 19/01/2014 e la 14/a l'8/02/2014.
La
15/a è stata pubblicata l'8/03/2104 e la 16/a il 13/06/2014.
1
Pietro Abelardo, Teologia del sommo bene, a
cura di Marco Rossini, Rusconi, Milano, 1996, p.100.
2
P. Abelardo, Teologia del sommo bene,
op. cit.,
p.100.
3
Eckermann, Colloqui con Goethe,
18 ott. 1827, in Eric Weil, Filosofia e società, Vallecchi
Editore, Firenze, 1965, p.13.
Il corsivo è mio.
4
P. Abelardo, Teologia del sommo bene, op.
cit., p.105.
5
P. Abelardo, Teologia del sommo bene, op.
cit., p.
107.
6
Ibid., p.280,
n.16. Per una visione più
completa degli “pseudodialettici” cfr. Ibid., p.280,
n.17.
7
Platone, Fedone, Garzanti, Milano, 1980, XXXIX, p.130.
8
Platone, Fedone, op.
cit., XXXIX,
p.130.
9
Ibid., XXXIX, pp.131-132.
I corsivi sono miei.
giovedì 19 giugno 2014
Esplorando Thomas Bernhard
Thomas Bernhard nacque a
Heerlen, in Olanda nel 1931 e morì a Gmunden, in Austria nel 1989.
Straordinaria la frase con cui la nonna gli trovò un lavoro in un
giornale austriaco: “E' mio nipote, non sa fare niente; sa soltanto
scrivere.”
La caustica frase dell'anziana
signora era probabilmente tipica di una mentalità, non so se
austriaca o solo salisburghese (la
città dei genitori di Bernhard) contro cui lo scrittore si sarebbe
scontrato per tutta la vita... L'idea cioè che l'arte ed in fondo
anche la filosofia debbano essere schivate come la peste; insomma,
Dante, Socrate, Goethe, Kant ecc. ecc. sarebbero stati dei
grandissimi idioti. Del problema si occupò anche Achille Campanile
nel suo Vite degli
uomini illustri.
Ma Bernhard
non si arrese mai a questa mentalità.
In
ogni caso, a 16 anni lasciò il ginnasio ed iniziò a lavorare come
apprendista in un negozio di generi alimentari nel quartiere,
considerato malfamato, di Scherzhauserfeld; è questo il tema del
romanzo autobiografico La cantina (T.
Bernhard, La cantina (1976),
Adelphi, Milano, 1984).
Nota bene:
egli fece questo di propria iniziativa, non col consenso né su
imposizione della famiglia. Così, appena adolescente iniziò a
sgobbare alla grande; comunque come scrisse ne La cantina,
al ginnasio aveva voglia di suicidarsi.
Ma lavorando a Scherzhauserfeld... rinacque!
Chi legga le
opere di Bernhard può accusarlo di misantropia; facile accusa. E'
misantropo chi detesta o addirittura odia l'umanità. Certo,
spesso lui polemizza con tanta gente e la sua penna ferisce.
Ma
io penso che Thomas non sopportasse chi finge di
esserti amico e chi pretende di conoscerti perfettamente quando
questo è impossibile anche a noi stessi...
egli detestava poi l'intervistatore che gli rivolgeva delle domande
assurde o banali e si infuriava quando qualcuno invadeva i suoi
momenti di riflessione. E gli piacevano le persone corrette, non
quelle fintamente buone.
Inoltre
denunciava il miscuglio, in Austria, di cattolicesimo e mentalità
nazista che a suo avviso esisteva ancora, a decenni dalla
fine della guerra. E pare che su questo punto tra gli artisti
d'Austria concordassero il marito di Maxie Wander, Fred, la
scrittrice Jelfriede Jelinek e la poetessa Ingeborg Bachmann.
Thomas,
inoltre, non aveva timori reverenziali verso certi mostri sacri della
cultura: per esempio, in
Antichi maestri attacca
Heidegger del quale
dice: “Heidegger è il filosofo dei tedeschi in pantofole
e berretto da notte.” Ed
aggiunge: “Heidegger è un piatto forte della filosofia tedesca, e
fa sempre un figurone, lo si può servire ovunque e a qualsiasi
ora(...), è un budino di letture,
insapore ma facilmente digeribile per
l'anima tedesca media.”
Se
non erro, in un punto di Goethe muore,
Bernhard attacca con discreta violenza anche Popper.
Leggendo
T. Bernhard, che secondo me doveva avere molto dello spirito giocoso
ed irriverente di Mozart, (altro enfant terrible di
Salisburgo) in lui si coglie anche della voglia di divertirsi... non
solo di fustigare uomini o costumi. Penso che tutto questo risulti
dalle espressioni usate dal Nostro, per quanto colleriche possano
sembrare.
In
Conversazioni con Thomas Bernhard egli
osserva infatti che: “Ci sono persone tanto tenaci, che non
capiscono o non sentono assolutamente niente. Diventano subito
insolenti se, per esempio, non si apre la porta, allora picchiano
con questo batacchio, come se la
volessero fare a pezzi dalla rabbia, e i vicini dicono 'E'
in casa.' A Vienna vivo
addirittura nell'anonimato.”
In
effetti, è il sogno soprattutto dell'artista,
quello di vivere in splendida solitudine (che non è isolamento)
per poter creare senza interferenze da parte del mondo esterno.
L'artista che perda questa sua volontaria solitudine
finisce per vivere male e per creare peggio.
Del resto, lui non va in giro a seccare nessuno, allora perché gli
altri lo fanno?!
Qui
ci troviamo di fronte ad una contraddizione, che però per me è solo
apparente: come diceva Lennon, un artista lavora soprattutto a
casa. L'artista potrà anche
fare tutte le esperienze di questo mondo, ma poi deve concretizzare,
dare forma compiuta ad esse... e per farlo deve rimanere da solo e
tranquillo. Nessuno può creare
davvero con una folla che gli invade la casa e gli fracassa
concentrazione ed ispirazione.
Comunque
sempre nelle Conversazioni citate
Bernhard, benché consapevole che: “Nessuno dovrebbe rinchiudersi e
sbarrare tutto”, aggiunge “ma se apro la porta la gente entra
dentro; vengono qui pensando di essere a casa propria. Come se io
fossi una specie di giraffa che si può guardare,
che è comunque a disposizione del pubblico.”
Allora,
l'artista che non voglia passare da “giraffa”, sa che: “Ogni
persona vuole partecipare a qualcosa e nello stesso tempo essere
lasciata in pace. Siccome le due cose, in realtà, sono
inconciliabili, si è sempre in conflitto con sé stessi.”
E
davvero il dissidio tra inclinazione a creare e desiderio di stare
con gli altri è lacerante. Penso che seguendo la prima
strada ci sia il rischio di
realizzarsi come artista ma di fallire come essere umano; seguendo la
seconda, si può fallire come
artista e realizzarsi come uomo, o come donna.
Ma forse le
cose non sono poi così tragiche, magari sono solo un un tantino
drammatiche. Credo che Bernhard ci avrebbe riso sopra. Senz'altro. E
quasi quasi, lo faccio anch'io. Perché un artista sa sempre che cosa
fare; soprattutto quando non lo sa.
Iscriviti a:
Post (Atom)