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giovedì 28 maggio 2009

Una città industriale ed il mare


A circa 20 km da Cagliari, in territorio di Sarroch sorgono gli impianti della Saras. Si tratta di una raffineria che ha: “Una capacità di lavorazione di 300000 barili al giorno, il che rappresenta il 15% della capacità di raffinazione in Italia” (Wikipedia; questi dati anche su www.saras.it).
Sempre il sito Saras cita Woodmackenzie, “consulente indipendente nel settore oil con sede a Edimburgo”; per Wood., la raffineria Saras è in Europa impianto “secondo per complessità.” Alla Saras di Sarroch lavorano “oltre mille persone, a cui si aggiungono più di 3000 addetti nell’indotto” (Il manifesto, 27/05/09).
In Sardegna, regione in cui la fame di lavoro assume dimensioni spaventose, non si può rinunciare alla Saras.
Di sera, chi vada o torni dal mare vede quelle torri e quegli impianti illuminati, un intrico di luci, tubi, metallo… e ciminiere che lanciano le loro fiamme verso il cielo. Molti, non solo sardi mi dicono che a loro fa pensare ad una città del futuro. E’un’idea suggestiva e che condivido: un panorama ultraurbano alla Blade runner.
Là hanno lavorato e lavorano miei amici e parenti.
Il 26, poco prima delle 14 tre operai “sono rimasti vittime di intossicazioni da gas” (Liberazione, 27/05/09). Quegli operai, quegli uomini si chiamavano: Daniele Melis; Daniele aveva 30 anni. Luigi Solinas; Luigi aveva 26 anni. Bruno Muntoni, il più vecchio aveva 52 anni. Erano di Villa San Pietro, un paesino ad una trentina di km da Cagliari.
Ora, io non accuso né la Saras né Gianmarco e Massimo Moratti, rispettivamente presidente e amministratore delegato; ma voglio capire. Voglio capire come sia possibile che tre lavoratori siano morti in uno degli impianti più avanzati d’Europa… e nel 2009. Daniele, Luigi e Bruno lavoravano per la ditta esterna Comesa.
“Eppure, resta un’incognita che pesa sulla Saras. Come è possibile che la sala di controllo, operativa 24 ore su 24, una delle più tecnologicamente avanzate, costantemente “accesa” su tutto ciò che accade all’interno della raffineria non si sia accorta di esalazioni non conformi alla norma?” (Liberazione, n° cit.).
Infatti, in un’intervista a L’unione sarda (28/05/09) i Moratti hanno riconosciuto che: “Non è stato un incidente.”
E perchè, come testimonia il solo superstite cioè Luca Fazio, non è stata rispettata la complessa procedura che doveva permettere a lui ed ai suoi compagni d’accedere al luogo della tragedia per lavorare in sicurezza ed inoltre è mancato il sufficiente supporto di personale tecnico e specializzato? (Il Sardegna, 28/05/09). Del resto, anche i Moratti parlano di una “questione di procedure” (L’unione sarda, n° cit.).
C’è in corso un’inchiesta e ho fiducia nella magistratura.
Del resto la dirigenza Saras non ha manifestato solo dolore per la tragedia, ma ha anche dimostrato interesse (vedi comunicato stampa del 26 sul proprio sito) per lo sviluppo delle indagini. E penso che quella dirigenza sarà disponibile a collaborare; anche oltre al fatto che a ciò è comunque tenuta.
Di sicuro, vogliamo capire. E sapere.
Perché non si ripeta più quello che è successo il 26.
Mai più.





venerdì 22 maggio 2009

Il ritorno dell’interlocutore immaginario


Bentornato, interlocutore immaginario. Come stai?
I.I.: Tiro avanti. La solita vita.
Che però non deve essere male. Nessuna preoccupazione per i biglietti del bus che potresti non avere, nè ansia per il gas che potresti aver scordato di spegnere, per non parlare degli ombrelli che dimentico sempre in giro o dei codici delle scuole che sbaglio, quando compilo le domande per le supplenze.
I.I.: Invece tu non immagini l’angoscia che tormenta una povera entità della fantasia e dell’immaginazione… dover comparire solo quando lo decide il tuo inconscio, esser considerato una creazione della tua arte, non poter andare mai allo stadio, al cinema, al ristorante, ai concerti. Una vitaccia, credimi.
Non vado mai neanch’io in quei posti ed in tanti altri.
I.I.: Sarebbe colpa mia? Avresti il coraggio di dire una cosa del genere? Bravo, bella riconoscenza! Senti, togli quel disco di blues: dopopranzo mi fa venire l'emicrania. Io faccio da parafulmine alle tue ansie esistenziali e tu mi ripaghi facendomi sentire in colpa? Ed infliggendomi quella musicaccia scarna, monotona ed angosciante! E’ una vergogna! Aspetta, questo è J.L. Hooker… solleva un po’ il volume, cavolo! Più forte, non sento bene il basso. Ora va meglio, però dovresti cambiare posizione alle casse e magari spostare quei libri che…
Guarda che questa non è casa tua.
I.I.: Adesso mi rinfacci anche questo? Mi sono accollato il peso di interloquire con te (a proposito, quando sarò su facebook?) e tu mi offendi in questo modo? E tu saresti un appassionato di filosofia morale… bravo, complimenti: hai la morale di un cobra! Altro che Socrate ed Abelardo, tu dovresti leggere le memorie di Jack lo squartatore! Ed ora vattene.
Senti, tu sei qua perché l’ho deciso io. Perciò non mi mandi via da casa mia.
I.I.: Lascia che assuma un’aria tra l’offeso ed il dignitoso; ecco fatto. Vado ma un giorno ti pentirai d’avermi cacciato. Un giorno cercherai una spalla su cui piangere & scrivere ma non la troverai. Ti aggirerai di notte per biblioteche deserte e bettole in rovina chiamando il tuo amico, il povero interlocutore immaginario… ma non lo troverai. Verrai a porre un fiore sul mio quaderno ma sarà troppo tardi. Così ti dico: torna in te, Riccardo…Rinsavisci, fratello mio!

sabato 16 maggio 2009

Una doverosa premessa


Il prossimo post che andrete (gentilmente, ne sono sicuro) a leggere, parlerà di blog “al femminile.”
Tuttavia, nessun uomo deve sentirsi escluso.
Anzi, è gradita l’attenzione anche da parte degli uomini, sotto forma di commenti o anche di semplice lettura.
Del resto, se avessi pensato d’escludere gli uomini avrei dovuto escludere prima di tutto me stesso. E francamente, non mi sembrava il caso.
Sì, perché avrei dovuto evitare di scrivere un post che in effetti, ho scritto.
Insomma, se uno scrive un post, lo scrive. Non è che prima lo scrive… e poi non lo scrive più. Questo è impossibile.
E diciamo la verità, la faccenda diventerebbe anche una triste pagliacciata.
Perciò, cari homines, non sentitevi esclusi. Sentitevi inclusi!
Del resto, se ci pronunciamo sul modo che hanno le donne d’esprimere i loro pensieri, sentimenti ecc. lo facciamo come uomini ed è bello lo scambio… d’opinioni, sentimenti ecc.
Vabbe’, basta così.
Anche perché forse questa premessa sta diventando come una di quelle discussioni che ho spesso col personale del provveditorato… paranoica, ridicola e solo a tratti, divertente.

Il contenuto dei blogs (al femminile)


Mi piacciono i blogs a carattere artistico, sportivo, sociale e culturale: del resto, data la mia formazione (filosofica e letteraria) di fronte a blogs prettamente tecnici o scientifici mi… blocco. Ogni tanto tento un’incursione anche in quelli… quasi sempre inutile.
Prediligo i blogs dal “marchio” femminile. Trovo il modo d’esprimersi delle donne più vario ed interessante di quello maschile, comunque non prevedibile.
Certo, anche tra noi esistono (per citare il Gassman di un vecchio spot) delle “lodevoli eccezioni.”
Ma una cosa sia chiara: io, quando c’è da curiosare, non guardo in faccia a nessuno. Leggo e commento i blogs di chiunque: uomini, donne, robots, animali, extraterrestri, piante, dighe, alberi di Natale e centrali idroelettriche.
Il punto è che le donne riescono, anche quando parlano del loro dolore ad essere autoironiche ed a non scadere (come invece capita a noi) nel lamento o nell’invettiva.
Se un uomo ha dei problemi con una donna, lei assurge al rango di strega o di sfolgorante poco di buono.
In rete esisteranno anche donne dalle vedute ristrette e dall’umorismo microscopico, ma finora l’esplorazione del blogmondo non me ne ha fatto ancora incontrare.
Prendi invece un uomo, magari dopo che la sua squadra ha perso qualcosa di “fondamentale” come una partita di campionato: state attenti a leggere un suo post: spruzzerà litri di veleno dappertutto e su chiunque!
Una donna, anche dopo esser stata piantata da qualche “gran filibustiere” (per usare una definizione di una mia zia) non solo non lo maledice in tutte le lingue ed i dialetti del mondo, ma cerca di “capire” in che cosa lei(!) abbia sbagliato.
Pazzesco.
Ma in effetti, anche molto istruttivo.

lunedì 11 maggio 2009

“Mystic river” di C. Eastwood (parte seconda)



Giustamente Eastwood, i protagonisti del film e Brian Helgeland, lo sceneggiatore, lo collocano sulla linea della tragedia greca.
Infatti, nella tragedia greca il passato aveva un’influenza decisiva sul presente e sul futuro, quasi come la forza stessa del Fato… a cui dovevano sottomettersi anche gli Dèi. E Mystic segue esattamente questa legge.
Per i protagonisti del film, il passato non passa.
In particolare, non passa quell’insieme di violenza e di “codici” che quegli uomini e quelle donne assorbirono da ragazzi. Questo benché siano ormai tutti adulti che lavorano, genitori e cittadini responsabili; Sean è addirittura diventato ufficiale di polizia.
Ma il punto non è semplicemente una violenza che a distanza di tempo riesplode ma tutta una mentalità di chi è cresciuto in un quartiere popolare di una grande città, se non di una metropoli qual' è Boston.
Mentalità che pare sia rimasta nel profondo, nell’inconscio di questi ex-ragazzi, tanto da continuare a distanza di ben vent’ anni a guidare le loro vite.
Del resto, Yoko Ono raccontava che durante i primi anni di convivenza con John Lennon, lui, in quanto uomo si sentiva in diritto di leggere per 1° il giornale. A Liverpool si faceva così.
E nell’Angelo calciatore di Hans-Jorgen Nielsen, il protagonista del romanzo descrive la radicata, complessa gerarchia e l’insieme di leggi non scritte che governavano le zone proletarie di Copenhagen… se dopo tanti anni lui si sentiva ancora inferiore(!) all’amico del cuore Franke perché grande calciatore e “duro” del quartiere.
Per i protagonisti di Mystic, quindi, non sfuggiva a questa "legge" neanche una grande città industriale del nord-est degli Stati Uniti come appunto, la loro Boston.
Non ci troviamo, insomma, ad Harlem, al Bronx, a Little Italy o comunque in zone "calde" di New York o di Los Angeles. Eppure...

mercoledì 6 maggio 2009

Il terremoto: dolore e riflessione. Secondo flash


Un mese fa, il terremoto che ha devastato l’Abruzzo.
298 i morti sinora accertati… e spero che sotto le macerie non ve ne siano degli altri. Davvero troppe le persone ferite oltre che nel fisico, nel cuore e nella psiche. Parecchie migliaia gli sfollati.
Venti i bambini morti.
Interi paesi distrutti: come per es. Onna, praticamente rasa al suolo. L’Aquila ha circa metà degli edifici gravemente lesionati o del tutto inagibili. Molto del suo grande patrimonio storico-artistico è finito letteralmente in pezzi.
La casa dello studente non esiste più e non si può dire molto di meglio dell’ospedale.
Del disprezzo delle regole di cui ha parlato il presidente Napolitano, disprezzo che se non vi fosse stato avrebbe salvato molte vite, ho parlato nel post del 22 aprile.
Per quando partirà la ricostruzione si temono infiltrazioni mafiose; il procuratore nazionale antimafia, dott. Grasso ha invitato alla vigilanza.
Peraltro, che in Abruzzo esistano già da tempo interessi mafiosi e camorristici non sembra una fantasia romanzesca.
Del resto, quando si considerano leggi, norme e regolamenti di sicurezza altrettanti pesi e fastidi, ha buon gioco chi si arricchisce con veloci, illeciti e spregiudicati profitti.
Su questo, nonchè sul legame tra affari e criminalità organizzata si è soffermata Olga Capasso, consigliere della direzione nazionale antimafia, nel pool di magistrati costituito da Grasso per evitare infiltrazioni mafiose nel post-terremoto (Antimafia duemila, 20 aprile 2009).