Ah, dimenticavo, Fabio: chapeau!
lunedì 26 novembre 2012
“La casa dei ricordi”, di Fabio Melis
Questo bel libro di Fabio Melis
ha come sottotitolo Una storia cagliaritana, che però lui ha avuto il
merito di non circoscrivere solo all’ambiente sardo ed appunto cagliaritano.
Egli ha insomma utilizzato la sua (che è anche la mia) città come
specchio o lente per scrutare il mondo.
Pare che una volta Tolstoj abbia
detto: “Parla di Parigi e sarai provinciale; parla del tuo villaggio e sarai
universale.”
Penso che intendesse dire che
data la fondamentale (benchè non assoluta) somiglianza dei sentimenti e delle
passioni umane in tutto il mondo, uno scrittore che sia dotato di
talento saprà descrivere gli uni e le altre partendo da una realtà anche
piccola… per poi allargare il suo sguardo sul mondo.
Ed è proprio quello che ha fatto
Fabio.
Ora, al protagonista della
storia, Andrea Manca, tocca un compito davvero ingrato: occuparsi della vendita
della casa di famiglia. Per lui (e forse per tanti di noi) quella non una
casa ma la casa.
Quella in cui sei cresciuto e che
ti ha visto trasformarti dal bambino che eri in uomo. La casa in cui hai visto
invecchiare e morire i tuoi genitori… il luogo che ha custodito gli
affetti, accolto le nascite, l’amore ma che ha anche covato scontri, noia,
solitudine.
Su tutte le figure del libro
spicca quella della madre di Andrea, Letizia… una figura di donna forte e molto
dolce ma nello stesso tempo quasi tragica. La dimensione appunto tragica di
Letizia risalta soprattutto da come, progressivamente, lei viene fagocitata da
un grave disturbo della personalità… al quale peraltro Fabio accenna con
evidente dolore ma anche con grande pudore.
Di lei, che aveva come solo svago
l’esecuzione al piano di brani di musica classica, Fabio scrive: “Il pianoforte
le fatto compagnia sino all’ultimo, quando è rimasta sola coi suoi ossessivi
ricordi e non veniva neanche più l’accordatore a donare un po’ d’armonia e
dolcezza al suono del suo strumento. E’ stato allora che la sua melodia… si è
lentamente involuta in un’atroce agonia.”
Ecco, queste frasi sono così
struggenti nella loro bellezza che non saprei proprio commentarle… preferisco
evitare.
Inoltre, finchè la signora stava
bene, aveva un modo d’essere che ad Andrea ricordava L’onorevole Angelina,
il grande personaggio interpretato dalla grandissima Anna Magnani:
“Determinata, generosa, libera, creativa, amante della giustizia, simpatica e
spontanea.”
Da La casa dei ricordi emerge
il quadro di una famiglia felice ma la cui felicità non è sempre piena o
assoluta, una famiglia in cui si scherza e si discute molto (per es. di Brera
ed anche di Pasolini) e che tutto sommato, vive in armonia ed è piuttosto
unita.
In casa Manca c’è tutto il
necessario, ma benché il capofamiglia sia uno stimatissimo professore di liceo, si è ben
lontani da quel vivere (come talvolta dice qualcuno che dovrebbe documentarsi
meglio) al di sopra delle proprie possibilità che viene rimproverato
alle famiglie italiane.
Dai Manca si vive dignitosamente
ma la loro vita è fatta di economie, lavoro, rinunce. E’ una vita quindi non di
lusso ma di sacrificio.
Molte delle cose di cui parla Fabio sono tipiche della nostra
generazione: per esempio il programma radio Alto gradimento coi suoi
stralunati personaggi, l’annuncio pubblicitario della Stock di Trieste
che precedeva l’altra trasmissione radiofonica, la calcistica Tutto il
calcio minuto per minuto.. che con mio padre, seguivo anch’io.
Appartengono un po’ alla nostra
generazione anche Gigi Riva, Corto Maltese, i Beatles, l’allunaggio ecc. ma
Fabio ha “reso” tutto ciò con affetto ma senza lacrimosa nostalgia. Non si
tratta insomma di un libro solo per noi che ormai siamo negli anta!
Inoltre, luoghi, fatti e persone
di quegli anni sono presentati in un modo che risulterà chiaro anche a chi è
molto più giovane, o non cagliaritano.
N.B: le stesse frasi o battute in
sardo o in dialetto cagliaritano sono tradotte.
Vorrei dire ancora tanto ma è meglio di no: leggete questo libro, che sa
dire parecchio da solo… leggetelo, non ve ne pentirete.Ah, dimenticavo, Fabio: chapeau!
giovedì 15 novembre 2012
La discussione filosofica (parte sesta)*
Ora, io credo che talvolta certi artisti
più che tanti filosofi di professione possano pervenire ad una profonda
comprensione di problemi storico-sociali, relativi all’etica, alla natura della
conoscenza, dell’amore e dell’odio ecc.
Forse ciò accade perché la loro passionalità
e la sfera dei loro sentimenti, delle loro emozioni ed il complesso delle
loro sensazioni è più viva che in altri.
Così, l’inquietudine che li muove
agisce probabilmente come una sorta di potentissima lente d’ingrandimento del
reale, o come un raffinatissimo strumento in grado di captare o decifrare la
natura intrinsecamente complessa di quel mondo che Gramsci definiva “grande e
terribile e complicato.”1
Nel dir questo penso a Poe ed
al suo forte interesse per l’orrore e
la violenza che talvolta esplodono in modo del tutto imprevedibile nel quotidiano
(pensiamo almeno agli Assassinii della Rue Morgue), ma anche a come
Thoreau, il teorico della disobbedienza civile presentiva l’avvicinarsi della meccanizzazione
dell’uomo.
Penso al travaglio di Dostoevskij
per il dolore dei bambini, tanto che nei Fratelli Karamazov leggiamo che
non sarebbe lecito “mettere alla tortura anche soltanto un piccolo essere”:
nemmeno se con ciò si potesse “rendere definitivamente felici gli uomini.”
Se cioè con questo si potesse far sparire per sempre dal mondo il male,
l’ingiustizia ed ogni angoscia ed insomma portare per così dire il Paradiso in
terra.2
Penso col Piovani a come
scrittori quali Proust, Kafka e Joyce
siano assimilabili a un “palombaro che sondi”.3
L’artista, infatti,
esplora profondità psicologiche ed esistenziali che tanti filosofi di
professione sarebbero tentati di fissare in categorie concettuali rigide,
quindi ben poco dialettiche ed insomma non del tutto filosofiche.
Ancora, la grande capacità intro-spettiva
degli artisti, la loro capacità di saper guardare dentro le cose, al
loro interno, davvero nel loro in-timo è stata rappresentata al meglio dal Dostoevskij
dei Ricordi dal sottosuolo...
In quel particolarissimo romanzo (che è insieme invettiva, confessione e demolizione d'ogni e troppo consolatoria visione estetica o filosofica), il protagonista afferma la propria
esigenza di isolamento ma non di solitudine
Egli afferma inoltre l'esigenza di voler difendere la
sua individualità da masse che perlopiù non sarebbero composte da esseri
realmente coscienti… e che perciò non costituirebbero ancora una società. Eppure, come potrebbe un misantropo come questo vivere in società?
Il Dedalus di Joyce può comunque dimostrare se non “rigore scientifico” almeno un certo grado di “intuizione” e
di persuasione.4
Note
* Le precedenti parti di questo post sono comparse su questo blog
rispettivamente: la 1/a il 25/03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la
3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011.
1) Antonio
Gramsci, Lettere dal carcere, a Giulia, 18 maggio 1931, Editrice
L’Unione Sarda, Cagliari, 2003, p.243.
2) Cfr. Charles Journet, Il male. Saggio teologico, Borla, Torino, 1963, p.220.
3) Pietro Piovani, Principi di una filosofia della morale, Morano, Napoli, 1972, p.13.
2) Cfr. Charles Journet, Il male. Saggio teologico, Borla, Torino, 1963, p.220.
3) Pietro Piovani, Principi di una filosofia della morale, Morano, Napoli, 1972, p.13.
4) Umberto Eco, Il
problema estetico in Tommaso D’Aquino, Bompiani, Milano, 1982, p.152.
La stima di Eco per Joyce dipende qui dall’analisi che Dedalus conduce attorno
al termine claritas come si trova nell’Aquinate; cfr. J. Joyce, Dedalus,
Mondatori, Milano, 1986, pp.248-249.
Iscriviti a:
Post (Atom)