giovedì 30 novembre 2017
Perché scrittori e scrittrici... scrivono?
Scrivono perché: è quello che
sanno fare meglio; non sanno farne a meno ed anche perché a loro
piace.
Vediamo di
spiegare queste risposte, per ovvie che possano sembrare.
Scrivono
perché è quello che sanno fare meglio.
Sì. Loro padroneggiano la lingua in un modo che ad altri (persone
magari ben più colte di loro) non è dato.
A
volte quell'abilità è una condanna o addirittura una maledizione,
nel senso che secondo me, a scrittori & scrittrici si applica
quello che il filosofo Cioran diceva dei poeti quando li definiva:
“Vittime e carnefici dell'aggettivo.” C'è insomma in chi scrive,
una volontà quasi maniacale di
piegare il linguaggio ad usi ed a significati che si solito, non
ha. O che ha perso.
C'è la
volontà di inventare nuovi mondi e nuovi legami di spazio e di
tempo. C'è la necessità di esplorare i motivi più oscuri e
profondi del comportamento di ognuno, e di non farsi intrappolare da
un'ottusa, avvilente routine.
Se
scrivere è questo,
allora porta con sé anche quanto detto prima: perché se è quello
che sai fare meglio, deve anche piacerti...
perché ti piace vedere che stai creando cose che non sa fare nessun
altro.
Vanità?
Probabile. Comunque la scrittura ti fa ignorare il banale ticchettio
del tempo e scrivere su un marciapiede anche quando piove e tira un
ventaccio che ti gela le ossa. Inoltre, ti mette di fronte a te
stesso ed al tuo cumulo di peccati, follie e reati senza possibilità
di mentire... come potresti fare con un giudice, uno psicoanalista o
un prete.
Alla
fine, non puoi proprio farne a meno:
come ho detto migliaia di volte, la scrittura è il miglior sballo
del mondo... di questo e per quanto ne so, di qualsiasi altro. Se
inquadriamo la faccenda sotto questa luce, capiamo perché la
scrittrice della Germania Est Christa Wolf dicesse che un giorno
senza scrivere una pagina, le sembrava “sprecato.”
Certo,
poi possono ingannare certi contenuti:
in Bukowski, Philip Roth ed Erica Jong molti vedono solo il sesso;
in Hemingway, il macho;
in Dostoevskij, potrebbero vedere una giustificazione della violenza
(pensiamo a Delitto e castigo o
a I demoni). Più
recentemente, potremmo applicare questo discorso anche al Mario Puzo
de Il padrino ed al
Burgess di Arancia meccanica.
Del
resto, il compito di chi scrive è porci dei dubbi,
non fornirci dei pannicelli caldi. Ma poi, siamo tanto sicuri di
averne bisogno? Leggiamo Catullo e partecipiamo al suo dolore per la
donna che odia e che
ama; leggiamo il
Furioso dell'Ariosto e
ci fa piacere scoprire che sulla luna c'è tutto tranne la follia,
che è rimasta tutta sulla Terra!
Si
dirà: vabbe', ma quelli erano poeti.
Vero. Ma quando scrivi, l'impulso e la passione per
la scrittura vanno oltre la
forma o la tecnica espressiva... romanzo, racconto, poesia, pièce
teatrale, canzone... che
importa?
Ma per oggi
basta così. Tornerò sull'argomento a giorni.
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