martedì 29 novembre 2016
“La nebbia vince quasi sempre”, di Valeria Golino
Di questo film si è parlato poco,
eppure è stato diretto dalla bravissima Valeria Golino ed ha avuto
come protagonisti attori come Silvio Orlando, la stessa Golino,
Stefano Accorsi e Sandra Ceccarelli.
Compare anche Pierfrancesco Loche,
soprattutto in una sorta di monologo con cui cercherà di illustrare
il senso di tutta la vicenda.
Bene, il film inizia alla
periferia di una grande città del nord. Tutto il paesaggio è
avvolto dalla nebbia e come assediato da rumori lontani ma che si
avvicinano sempre più, per poi smettere quasi di colpo.
Dopo pochi istanti partono le
prime note di State trooper di
Springsteen nell'esecuzione de Is maccus (I
pazzi), un gruppo rock di Cagliari. Loro presentano il brano in una
versione rock-blues molto dura ed acida; notevole la frase, ossessiva
e martellante, del basso.
Mentre
i rumori tra la nebbia finiscono, all'improvviso compare un bus, che
la Golino (nel film, Marta)
prende con aria stanca, incerta. A bordo c'è un solo passeggero,
Loche (Pietro).
Marta:
“Ciao, Tri. Hai
appena smontato, giusto?”
Pietro:
“Sì, ma piantala coi diminutivi, mi danno fastidio, è roba da
ricchi, da scemi. O da americani. Io mi chiamo Pietro Angioni, di
anni 59, operaio specializzato, emigrato al nord nel 1972,
ex-delegato Fiom, stanco, amareggiato e deluso di tutto e da tutti.”
Qui fa una pausa ed aggiunge, con un sorrisetto in tralice: “Ma
ancora molto, molto arrabbiato.”
Sorride anche
Marta e mentre gli accarezza i capelli dice: “Il nostro Pietro, che
se può avercela con sé stesso, cerca d'avercela anche col mondo.”
Ora
ci troviamo a Venezia, in inverno. Lei entra all'Ospedale della
Pietà, dove insegnò per tanti anni Vivaldi. Siede in chiesa ed
ascolta la musica (il Concerto in sol maggiore)
ad occhi chiusi. Tamburella, assorta, il tempo su un banco.
Quasi
dal nulla, appare e le si siede accanto Enzo Vitiello (Silvio
Orlando), che sussurra “Un
abbigliamento poco consono all'ambiente, professoressa”,
dice lui squadrando i jeans e la giacca in pelle, “più adatto ad
un concerto rock, direi.”
Lei si
irrigidisce ma apre gli occhi piano, quasi pigramente. Con distacco:
“Ciao, Enzo. Vedo che non hai perso l'abitudine di dare consigli
non richiesti. Da questo punto di vista, sembra proprio che per te
gli anni non siano passati... pancetta, giacca e cravatta a parte.”
Lui,
ridacchiando: “Be', ma allora sono quelli, i problemi? Sarebbero
quelli... il look e qualche chiletto di troppo? Forza, siamo seri!
Siamo seri, dai!”
Lui non riesce
più a smettere di ridere; la sua risata è contagiosa ma nello
stesso tempo, piuttosto irritante.
“No,
i problemi non sono e non sono mai stati quelli,
caro avvocato.”
“Ah,
adesso mi chiami avvocato?”,
dice lui, divertito.
Lei, ignorando
quest'ultima osservazione: “I problemi sono sempre stati la fame,
le bombe che cadono sulla testa delle persone sbagliate, la gente che
vola dalle finestre delle questure, il razzismo che passa per buon
senso, il bigottismo...”
Lui,
seccato: “Marta... Marta,
ti prego: la guerra è
finita. Finita, capisci questa parola? E noi, quella guerra,
l'abbiamo persa: ma non avremmo neanche dovuto iniziarla. Tu, poi,
quando c'era bisogno di te... tu dov'eri? E
ora mi vieni anche a fare la pasionaria? Lascia perdere.”
“Io non ho
mai approvato i vostri sistemi, la fissazione per le armi, i tempi,
gli obiettivi, le tattiche, insomma: la rivoluzione formato
caserma!”, conclude lei tagliente.
“Rivoluzione formato
caserma!”, ripete Enzo,
ridendo a crepapelle. “Buona, questa!
No, dico davvero, Marta! Rivoluzione formato caserma”, ripete per
un po' cercando di tornare serio. Poi, con uno sguardo furbo, anche
un po' viscido: “Però, esimia professoressa De Palma, anche se non
ha mai ucciso, qualche volta ha sparato anche lei...”
Vivaldi
inizia a sfumare, via via Enzo e Marta scompaiono dal centro della
scena. Mentre il Concerto finisce
ed inizia L'estate,
Marta si alza in piedi e dice, fredda: “Ci vediamo, Enzo. Arrivata
all'uscita si volta e trilla con finta allegria: “Mi raccomando,
saluta i nuovi compagni: mafiosi, banchieri e politici corrotti!”
Lei esce, lui
rimane seduto a fissare l'altare, impassibile.
Ora Marta si
trova ad Alghero: siamo solo all'inizio di settembre, ma dal mare
soffia un vento molto freddo. Lei si addormenta al tavolino di un
bar, cercando di godersi qualche raro raggio di sole.
“Come una
vecchia”, pensa, “anzi come una vecchia alcolizzata.”
“Adesso
si dice alcolista, è
più moderno”, le sorride Pietro, che la invita a nuotare.
Marta si tuffa
dalla terrazza del bar, nuotano veloci ma senza fretta. Il sole
invade tutto, si espande come “la sola magia rimastaci”, pensa
lei.
“L'importante”,
risponde Pietro, “è che non arrivi la nebbia: perché quella
avvolge e soffoca tutti i misteri d'Italia; è come la sabbia, solo
che non serve per fare i castelli. E se devi farli, i castelli, falli
in aria: così non potrà distruggerli nessuno. Anche la rivoluzione
era un castello in aria, ma se sai ricominciare, puoi costruirla
veramente. Però devi usare il secchiello giusto. E dentro non deve
esserci del ghiaccio, e neanche lo champagne di Enzo.”
Mentre si
sveglia, ha un po' di mal di testa ma il freddo è scomparso. Il
sole, immenso e luminosissimo, è come se fosse un altro mare.
Ora
Marta si trova a Cagliari, al Binu's bar (bar
del vino). Sta parlando con Daniele Zanardi, un cantante e
chitarrista bolognese che la sera dopo suonerà col suo gruppo in un
locale del capoluogo sardo.
Tra
loro tutto un gioco di sguardi, sorrisi, ammiccamenti... ma forse non
c'è niente di serio. In sottofondo, la chitarra di B.B. King: The
thrill is gone. Daniele beve
forte ma si mantiene lucido; Marta pensa che le piace molto, ma che
per lui è troppo vecchia.
Ad un certo punto le scappa da ridere, una risata contagiosa ma non
falsa come quella di Enzo.
Lei: “Senti,
ma che cosa diranno tutte le ragazzine che ci sono in questo locale,
che sei qui con tua nonna?”
Lui
ammutolisce: sembra che la battuta l'abbia offeso.
Ora
è lei, imbarazzatissima, che attacca a bere forte. Non parlano per
un bel po', poi, quando si alza per andarsene, lui la abbraccia e si
baciano. Ora la musica sale di tono: The man in me di
Dylan nella versione di Joe Cocker.
Vigilia di
Natale, Marta incontra (verso l'alba) Enzo nel parcheggio di un
centro commerciale. E' profumato ed elegante come sempre, ma stavolta
la sua è un'eleganza un po' volgare, pacchiana.
Lei: “Come
hai fatto ad avere il mio numero di cellulare?”
Lui sorride
con aria ruffiana ed insieme simpatica.
Lei riprende:
“Sai che per una cosa del genere potrei denunciarti?”
“Marta, solo
mentre mi faccio la barba posso trovare 7 o 8 sistemi per farla
franca; e magari anche per incasinare te.”
Lei: ” Ah,
sì, certo: dimenticavo che tu sei l'avvocato di grido, deputato e
presto senatore...”
Lui, con aria
di sufficienza: “Ci risiamo: la solita invidia di chi è rimasta
una professoressa delle scuole medie.”
Stavolta
lei non ribatte, aumenta il volume della radio: ecco Panama
di Fossati; il pezzo si trova
poco oltre la metà, lei lo canticchia distratta, lo sguardo lontano.
Riprende:
“Enzo, se non sbaglio, una volta lasciavi che fossimo noi quelli
che andavano a sparare ed a farsi sparare.”
“Ma
allora, se sei tutta questa grande rivoluzionaria”,
dice lui alzando la voce, “si può sapere perché diavolo te ne sei
andata? Eh?! Si può
sapere? Mi chiedo se sia mai possibile conoscere 'sta gran
verità!”
“Semplice.
Per me il terrorismo non c'entrava niente con la rivoluzione. Ma io
ho lasciato quando (ucciso Moro) sembra che avessimo il Paese in
pugno; non quando, come hanno fatto certi avvocaticchi di mia
conoscenza, la barca stava affondando.”
Lui,
con voce stridula: “Non ti permetto di chiamarmi avvocaticchio!
Non osare, guai a te!
Tu non sei nessuno per parlarmi
così, hai capito? Nessuno!”
Ora
Marta tace e rivede le scene di una vecchia gita in barca, quando
loro due frequentavano ancora l'università. Poi rivede alcune scene
del '77, risente la musica di quegli anni, rivede il volto di Curcio,
quello di Berlinguer, risente sua madre che la saluta alla stazione
di Portici, si rivede leggere quel passo di Abelardo: “Il
merito e la lode di colui che agisce non consiste nell'azione, ma
nell'intenzione. Spesso infatti la stessa cosa viene fatta da persone
differenti, ma da una con giustizia e dall'altra con malvagità.”
Compaiono
tante altre immagini, suoni e persone: una vera folla.
Ora Marta
fissa Enzo mentre inserisce nello stereo un cd di Corelli, scende
dall'auto ed estratta dalla tasca interna del giubbotto una pistola,
fa fuoco 3 volte.
Inizia il cd,
lei si allontana verso lo stagno che lambisce il parcheggio; fatti
pochi passi, spara un 4° colpo verso il cofano dell'auto, che
esplode. Quindi lancia l'arma verso l'auto in fiamme.
Raggiunto lo
stagno, vede arrivare una barca: a bordo c'è Pietro.
“Un
passaggio?”, fa lui, ridendo.
In pochi
istanti Pietro si allontana dalla riva; voga con aria concentrata ma
anche molto rilassata: Non parlano per un po', quindi lui: “Sai che
cosa mi manca di più, ora che sono morto? La batteria ed il vento
tra i capelli.”
Lei sorride,
lui aggiunge: “Ed anche tu che mi accarezzavi i capelli.”
Lei sospira:
“Lascia stare, Pietro... piuttosto, secondo te perché Enzo ha
voluto rivedermi?”
“Mah,
forse per dirti quella frase che gli piaceva tanto: la
guerra è finita. O perché, a
modo suo, ti voleva bene.”
“Ma io l'ho
ucciso. Ed ora devo andare a costituirmi, o anche questo fatto sarà
inghiottito dalla nebbia, che vince sempre. O quasi sempre.”
Pietro:
“Marta... li senti, i grilli? Una volta questa era una laguna, la
laguna di Santa Gilla. La gente pescava e viveva qui; mio nonno
diceva che si andava a Cagliari in barca. I grilli, però, quelli non
me li spiego.”
In
sottofondo Cold cold ground di
Tom Waits.
“Pietro, ma
non sarò morta anch'io?”
“Tu che cosa
ne pensi?”
“Penso...
ecco, che non basta parlare coi morti, per esserlo. Del resto, non è
detto che vivere coi vivi significhi essere vivi. Comunque, Enzo non
avrebbe dovuto metterti in casa tutte quelle armi e quegli
esplosivi.”
“Soprattutto,
non avrebbe dovuto fare quella telefonata anonima alla polizia”,
borbotta Pietro. “In ogni caso (anche se per me sbagliavate), ora
pensaci bene prima di costituirti: si dice che in prigione ne
suicidino tanti.”
Intanto la
nebbia avvolge pian piano lo stagno. Mentre sembra che la barca stia
puntando verso il mare, le note di Waits sfumano.
Non si sa che
cosa farà Marta: ha compiuto il suo atto di giustizia, o di
malvagità. E nessuno conosce la potenza della nebbia, o i suoi
limiti.
La
recitazione della Golino
è stata intensa e talvolta, trasognata ma anche molto concreta e
realistica. La sua Marta è fragile ed insieme durissima.
Orlando
ha sfoderato un lato istrionico che ha reso perfettamente la
“viscidità” del personaggio.
Accorsi
è comparso poco, esibendo però una fisicità tormentata, dubbiosa.
Loche ha
rispecchiato tutte le difficoltà e le speranze di una generazione,
oltretutto con una certa autoironia.
Grande
anche la Ceccarelli
(Silvia Martini),
collega di lavoro e sicura amica di Marta.
La
colonna sonora: un
originale e coraggioso mix di rock, blues e classica, peraltro sempre
al servizio del film.
Spero che la
recensione del film vi sia piaciuta.
Peccato che
non sia mai stato girato!
Sì, ho
inventato qualche scena e steso alcune tracce per una
sceneggiatura...
A presto!
lunedì 21 novembre 2016
"Maggie Cassidy" (1959), di Jack Kerouac
Maggie è una ragazza: bella,
spesso imbronciata, parecchio stizzosa, un po' sognatrice e quando
vuole, anche dolce. E' una 16enne che fa proprio impazzire Jean,
l'altro protagonista (in sostanza, Jack Kerouac).
Come
dice appunto a Jean (nel romanzo anche Jack o
Zagg) un suo amico:
“Quella là metterebbe knock out Joe Louis con una sola occhiata.”
La vicenda si svolge nel New
England, ai confini del Canada francofono ed i protagonisti sono
quasi tutti franco-canadesi. Quasi tutti tranne Maggie, che come dirà
il padre di Jean: “E' irlandese quanto è lungo il giorno.”
Forse in amore lei è più esperta
del suo Romeo, comunque sono entrambi bloccati dalla morale
cattolica, o dall'età. Però questo non indebolisce il loro
sentimento, che si rafforza anche attraverso il dolore per la morte
di uno zio della ragazza.
Kerouac delinea benissimo la
personalità di Maggie, come per es. quando dopo il funerale, lei
dichiara: “Non ho nemmeno voglia di uscire di casa _ se non hanno
di meglio da offrirmi che bare, morti _ come potrei lavorare non ho
nemmeno voglia di vivere.”
Poi Kerouac aggiunge: “ Restò
seduta per ore sulle mie ginocchia, con lo sguardo nel vuoto, in
silenzio, nel salotto buio_ io capivo tutto, mi trattenevo,
attendevo.”
Quando lei si riprende, ecco che
Jack la vede entrare in un locale mentre qualcuno suonava The
masquerade is over e lei era:
“Bella come non era mai stata, con delle gocce di rugiada fra i
capelli neri, come tante piccole stelle negli occhi e una luminosità
rosata che si effondeva dalle dolci risate argentine l'una dietro
l'altra _ Si sentiva bene di nuovo, bella e invincibile di nuovo e
per sempre _ come la rosa scura.”
Il romanzo è,
in effetti, un'elegia o un inno per Maggie, che però fa anche
soffrire Jack, per es. provocandolo ed ingelosendolo. L'amore, per
lui, è spesso dolore, equivoco, desiderio insoddisfatto, rabbia,
solitudine...
Infatti,
Jack riflette anche sui possibili sviluppi del
loro amore, inclinando non di rado ad un forte pessimismo, come
quando dice: “Ragazzo e ragazza, l'uno nelle braccia dell'altra,
Maggie e Jack, nella triste pista da ballo della vita, già
demoralizzati, gli angoli della bocca pieni di rinuncia, le spalle
che si afflosciano, accigliati, le menti prevenute _ l'amore è
amaro, dolce è la morte.”
Già.
Quando si è adolescenti, quello straordinario sentimento è (così
come dovrebbe essere),
una questione di vita o di morte. Ogni sorriso, lite, broncio etc.
etc. diventa qualcosa di decisivo.
Crescendo,
impariamo ad essere più controllati, logici, forse anche cinici.
Ma
secondo me, quando si ama davvero,
si può e si deve mettere il proprio cuore in palio, così come un
pugile brucia le sue ultime energie.
E
la donna che amiamo, per noi deve essere realmente l'unica.
Come ha detto una volta
Springsteen: “Non chiedevi ad
una ragazza: ”Vuoi ballare? Le chiedevi: “Vuoi ballare? La mia
vita è nelle tue mani.”
La Maggie di
Kerouac incarna tutta la sensualità, le indecisioni, le ansie i
sensi di colpa e la poesia di una 16enne cattolica ed
irlandese-americana di tanti anni fa.
E
Jack/Jean, franco-canadese di Lowell, nel Massachussets, si trova a
vorticare in un meraviglioso e doloroso insieme
di atteggiamenti e di sentimenti, il suo cuore che come la pallina
d'argento della roulette gira e gira cercando di raggiungere la sua
Maggie... Poi però la raggiunge,
lei è sempre vicina e lontana, spesso dolce ma anche sarcastica e
beffarda. Eppure, così fragile ed insicura... una giovane donna
timorosa di rivelare le sue paure.
Il
romanzo è anche la cronaca dell'amicizia, comico-eroica di alcuni
buffi ma leali ragazzotti franco-canadesi (canucks),
della loro devozione all'hockey, ma soprattutto (ripeto), devoti alla
loro amicizia,
quell'amicizia che si può provare con quell'intensità, così come
l'amore, solo a 16
anni. Ma che dovremmo continuare a provare.
Jack e Maggie
vanno ad una festa a New York, lei, sentendolo parlare dei suoi
amici, gli dice con grande realismo: “Amici? Puah (...). Un giorno
andrai a mendicare alla loro porta di servizio e non ti daranno
nemmeno una crosta di pane lo sai meglio di me.”
Ed aggiunge:
“Che sono per te le torri di Manhattan che hai bisogno ogni sera
dell'amore tra le mie braccia al ritorno dal lavoro _ Posso forse
renderti più felice con della cipria sul petto?”
Maggie
appartiene alla realtà sociale e culturale del New England operaio
e popolare: una realtà di cui magari non ha piena coscienza, ma di
cui ha assorbito tutta l'inquietudine, l'istintività e la joie de
vivre. Una gioia di vivere che forse spaventa Jack... ragazzo, in
fondo, ancora dominato dal senso di colpa e del peccato.
Forse Jack
(anche J. Kerouac) manterrà sempre di fronte alla vita una
certa ingenuità, se non un certo candore: questo anche quando
inizierà a girare tutta l'America e farà esperienze amorose,
alcoliche, artistiche, con le droghe etc. etc.
Ecco perché
Maggie, con quella capacità di visione e di pre-visione che
possiedono tante donne, dirà al suo Jean: “Tu non capisci lo
sporco _ per terra. Jacky.”
E', infatti,
tipico di alcuni artisti creare grandi cose, ma non rendersi conto
del male, dell'ignoranza, della cattiveria... Anche quando si trovano
lo “sporco” davanti, certi artisti tendono non solo a descriverlo
bensì ad esaltarlo o almeno a farsene affascinare.
Comunque, io
penso che anche a distanza di tanti anni, Maggie Cassidy rimanga
uno stupendo e malinconico inno all'adolescenza ed all'amicizia, di
cui è molto difficile trovare l'uguale. Sarebbe bellissimo saper
mantenere o recuperare, da adulti, quella magia e quell'innocenza...
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