martedì 31 gennaio 2017
Le giornate nuvolose
Di solito, le giornate nuvolose mi
annoiano; non mortalmente, però le trovo abbastanza fastidiose.
Mi interessano (anche molto)
quando tra le nuvole spunta qualche raggio di sole. Dato che sono una
persona che tutto sommato, si accontenta, non pretendo che il cielo
diventi immediatamente estivo o primaverile; può andarmi bene anche
qualche raggetto di solicello.
Le nuvole, però, mi fanno venire
sonno e ad una cosa come questa, penso che non ci sia rimedio; in
ogni caso, non uno che io conosca.
Ed anche se dovessi conoscerlo, penso che avrei troppo sonno per
applicarlo.
Tuttavia,
sono un amante del sonno che per questioni di famiglia, lavorative e
di scrittura, dorme molto meno di quanto vorrebbe. Sulla questione la
penso come il padre Brown di Chesterton: “Il sonno è quasi un
sacramento.”
Be',
vedremo come andrà quando sarò vecchio.
Però
alle care giornate nuvolose, riconosco almeno un merito: quello di
ricordarmi il tempo...
quello strano intreccio di giorni, pensieri, progetti e sentimenti;
altrettanti e strani attori,
quelli, che sul palcoscenico della vita recitano la commedia-tragedia
della vita.
Una commedia-tragedia che spesso è misteriosa e molte
volte, anche mortalmente noiosa.
Ma
in fondo, io conosco poco la Signora Noia.
Ho
conosciuto le Signore Malinconia, Rabbia e Tristezza, ma proprio
Madame Noia, no. Poca voglia di gingillarmi, tutto qua: non voglio
spacciarmi per una persona esemplare o per uno stakanovista.
Potrei
fare lo stesso discorso per l'ozio: ogni volta che sono tentato di
arrendermi a lui, penso che così mi sottrarrebbe del tempo
prezioso... oltre che per il lavoro, anche per scrivere, leggere,
correre, passeggiar, ascoltare musica etc. etc.
Le
giornate nuvolose, comunque, hanno almeno questo di bello: sembra che
sospendano il tempo, e
mi fanno credere di essere morto e vivo contemporaneamente.
Per
essere più preciso, durante quelle giornate mi sembra di osservare
la vita da un punto molto, molto lontano. E tutto sommato, in momenti
come quelli, riesco a controllare i miei stati d'animo negativi.
Alla
fine, si può dire che 'ste benedette giornate nuvolose servano a
qualcosa anche loro, povere cocche!
domenica 22 gennaio 2017
Un'anguilla da 300 milioni" (1971), di Salvatore Samperi
Questo film non rimarrà nella
storia del cinema, ma è molto gustoso ed anche quando inclina ad un certo macchiettismo (la figura per es. del prete),
mantiene un certo garbo.
Ci
parla della provincia veneta e
benché qui Samperi non intendesse realizzare una pellicola
socialmente impegnata, comunque qualche spunto di riflessione c'è.
Ma ripeto: il
film è soprattutto gustoso e garbato. Secondo me, appartiene a quel
tipo di cinema che sapeva esser graffiante, ma nello stesso tempo,
divertente: penso per esempio a quello di Monicelli.
Ora,
ci troviamo nelle valli di Caorle, dove vive il Bissa (al
secolo Giovanni Boscolo), interpretato da Lino Toffolo. Egli è un
ex-partigiano che vive con una pensione di invalidità, è un
pescatore che però per la grama vita che conduce, spesso pesca di
frodo. Inoltre, oltre che le anguille, cerca di vendere anche delle
rane.
La vita del
Bissa, che sta in una capanna a poca distanza dall'acqua, trascorre
sempre uguale: lavoro, quattro chiacchiere con gli amici davanti ad
un bicchiere di vino, ancora lavoro, chiacchiere, vino, freddo,
lavoro, vino...
Questa vita è
movimentata da una sorta di gioco a rimpiattino col guardia pesca che
cerca invano di coglierlo con le mani nel sacco. Infatti per il Bissa
una delle poche fonti di sostentamento è data dalla pesca delle
anguille, che però (dove vive lui) è proibita.
Lui è
comunque un povero diavolo, ma in modo non del tutto ingenuo, si
chiede se dopo tutti i morti della Resistenza, i lavoratori
(pescatori inclusi), non avrebbero meritato miglior sorte.
L'esistenza
del Bissa è però addolcita dal legame con una bellissima vedova,
la Contessa Spodani (Senta Berger): beninteso, non si tratta
di una storia d'amore. Inoltre, quel legame non si basa sulla
fedeltà.
Infatti la
nobildonna spiega al Nostro con adorabile candore: “A me piace fare
l'amore, ma mio marito voleva redimermi. Ma chi vuol essere
redenta?”
E lui, con
aria comicamente solenne: “Fare l'amore è necessario.”
La Contessa
prosegue: ”Lui non voleva lasciarmi andare, diceva che senza di me
sarebbe morto. Per questo gli ho sparato.”
Inoltre, i
convegni amorosi tra il pescatore e la disinibita sangue blu
avvengono... in cimitero! Come avrebbe detto Totò: “Il
paese è piccolo; la gente, mormora.”
Talvolta le
chiacchiere al bar prendono una piega qualunquista e giustizialista,
quella stessa che come ha scritto il filosofo Remo Bodei, prima si
sentivano nei “locali da ritrovo”, ed ora passano per buon
senso: cioè il bisogno della pena di morte, la superiorità del
valori religiosi, della famiglia, l'immoralità delle donne etc. etc.
Si tratta però
di chiacchiere in libertà, stimolate solo dal vino, e che
comunque non impediscono a chi le fa, di riprendersi subito.
Questo quadro,
monotono ma in un certo senso consolante, cambia quando dal Bissa si
presenta Vasco (Gabriele Verzetti), ex-comandante partigiano
che affida “per pochi giorni” al Bissa la figlia Tina (Ottavia
Piccolo).
Vasco confida
al vecchio compagno d'arme che Tina deve disintossicarsi dalla droga
e liberarsi dalle “cattive compagnie.”
Ma ben presto
vediamo che lei è una ricca e viziata ragazza borghese, che diventa
il tormento del Bissa e del suo socio Lino (Rodolfo Baldini).
In questa situazione non manca però l'umorismo, come quando Tina
vede il Bissa alle prese con una pentola e commenta, schifata:
“Blah!”
“Questa è polenta...”
“Voglio
lo yogurt!”
Il
Bissa ribatte: “No, no, no: il Vasco ha detto niente porcherie e
niente droga.”
Non
racconto il resto del film, ma sappiate che sul tronco della commedia
si innesta anche dell'altro, che volge quasi al giallo, e che
racchiude anche del cinismo.
Ma
se trovate un po' di tempo, gustatevi questo film: ne vale davvero la
pena!
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