Presentazione
generale
Giovanni
Pesce (1918-2007) è stato uno dei grandi comandanti dei GAP
(Gruppi
di azione patriottica) una formazione partigiana che durante la
Resistenza davvero non diede tregua
ai
nazifascisti. Il suo libro non possiede però il carattere spesso
retorico o accademico della memorialistica e di certi lavori
storici, quel che non di rado allontana molti lettori.
Senza
tregua è
infatti scritto col ritmo e la densa concisione di un ottimo romanzo,
ma le vicende narrate dall'A. non sono frutto di fantasia: le scene
delle battaglie contro i franchisti (i fascisti spagnoli), quelle
delle azioni contro le spie repubblichine (i fascisti italiani che
aderirono al regime-fantoccio di Salò, che agiva alle dirette
dipendenze dei nazisti)
sono vere, così come lo sono le descrizioni dei vari scontri armati
in montagna ed in città, l'esecuzione di traditori, torturatori
(nazisti e fascisti), di soldati e poliziotti, rastrellatori ecc.
Né è meno vera la
descrizione di quel perverso insieme di ferocia e scherno che guidava
l'azione repressiva e criminale oltre che dei nazisti, anche dei loro
complici fascisti: quel che si manifestava perfino davanti ai corpi
“massacrati” e “quasi irriconoscibili” di quindici uomini
appena fucilati e lasciati per quasi una giornata sotto il sole,
senza sepoltura, a cui si negarono i conforti religiosi ed
ammucchiati per strada come nient'altro che spazzatura.1
Eppure
Giovanni non indugia su questi orrori: li ricorda con grande dolore e
con un senso di umana pietas,
così come denuncia con un senso di repulsione il “volto” di un
repubblichino che di fronte allo scempio fatto da lui e dai suoi
compagni di quelle povere vite, “ride istericamente”2
Ma
poi Giovanni va avanti, perché sa leggere le vicende di quella
guerra in un modo che non si limita solo ad essa: egli inquadra
infatti gli scontri della II guerra mondiale come uno scontro tra
visioni inconciliabili
della
vita e del mondo.
Lo scenario
nazifascista
Del
resto, i nazisti cercarono di giustificare la loro barbarie con la
“proclamazione del principio della superiorità del popolo
germanico come Herrenvolk”;3
Herrenvolk cioè popolo
di signori mentre
pressoché tutti gli altri “gruppi etnici o anche sociali” erano
considerati “minderwertig
(inferiori) razzialmente.”4
Queste
deliranti idee prevedevano l'occupazione di vastissime aree di
territori europei (soprattutto ad est), la loro “germanizzazione”,
ciò che comportava come conseguenza finale la progressiva
soppressione
fisica dei
popoli ivi residenti.5
All'eliminazione
quindi di circa 6 milioni di ebrei, 3 di zingari, 1 di omosessuali e
di varie centinaia di migliaia di resistenti, avrebbe dovuto seguire
anche quella di vari altri milioni di slavi, persone per vari motivi
ritenute anch'esse inferiori come per es. artisti “depravati”,
vecchi, oppositori politici, “asociali”, uomini e donne con
gravi handicap fisici, mentali ecc. Ed in non piccola misura, il
regime hitleriano realizzò questi piani.
Comunque,
alla fine della guerra si contarono oltre 50
milioni di morti
e le crudeltà e le violazioni di ogni norma morale, civile,
razionale e giuridica da parte nazifascista sono rimaste tragicamente
proverbiali.
Basti
pensare oltre ai lager
ed
alle camere a gas, alle stragi di Marzabotto, Sant'Anna, Cefalonia,
Fosse Ardeatine ecc., all'esempio costituito dalla città olandese di
Rotterdam.
I militari olandesi accettarono la resa imposta dai nazisti che
avevano minacciato “di radere al suolo la città. Gli olandesi
accettarono la resa, ma mentre si svolgevano le trattative, la
Luftwaffe, a buon conto, distrusse la città.”6 Tale bombardamento
costò la vita a circa 900 persone e provocò quasi 80mila
senzatetto.
Ed il regime
fascista condivise i piani nazisti, rendendosi per esempio complice
della deportazione degli ebrei italiani.7
Del
resto, a riprova del carattere indiscutibilmente criminale del
fascismo, Mussolini dichiarò che esso: “Non crede alla possibilità
né all'utilità
della pace perpetua”;
per esso: “Solo
la guerra porta
al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo
di nobiltà ai
popoli che hanno la
virtù di
affrontarla.”8
L'esaltazione
quindi della guerra, considerata dal fascismo addirittura come fatto
dotato di dignità morale,
il disprezzo per i valori della pace, della giustizia e della
riflessione critica, si collegavano alla negazione
della
stessa uguaglianza,
se Mussolini disse che: “Il Fascismo (…) afferma la
disuguaglianza
irrimediabile e feconda e benefica degli uomini.”9
Esisteva
dunque tra fascismo e nazismo un'affinità,
un forte e comune sentire che condusse i due regimi ad un'alleanza
che si rivelò del tutto naturale. Questo, benchè la Germania
nazista possedesse rispetto all'Italia fascista una netta superiorità
economica, tecnologica e militare che del resto, Hitler non mancava
mai di far pesare all'alleato italiano. Si tratta: “Dell'ambigua
situazione dell''alleato occupato' ricostruita di recente dal
Klinkhammer”, alleato cui però Hitler riconosceva una
“'primogenitura' sul piano politico”10
La guerra di
Giovanni e dei GAP
Giovanni,
nome di battaglia Visone
(probabilmente
perché originario di Visone d'Acqui, in Piemonte) esordì come
combattente antifascista nella guerra civile spagnola.11
Già
nei primissimi capitoli del libro si spiegano bene senso
e direzione della
lotta di quest'uomo, che non si atteggia mai a “superuomo” (falso
mito, quello, tipico della sottocultura nazifascista): Giovanni, che
da ragazzo fu minatore
sente
per natura un legame
speciale col
mondo del lavoro ed appunto coi suoi componenti, se scrive: “Cento
fili mi legavano ai minatori: i loro sigari e le loro pipe m'erano
familiari non meno del cigolio intermittente della porta d'ingresso:
di ognuno conoscevo il volto, l'umore, anche se non capivo sempre la
lingua.” 12
L'incomprensione
(iniziale) della lingua derivava dall'essere egli “il figlio
dell'operaio piemontese fuggito in Francia per non subire la
prepotenza dei Cesarini di ieri e di oggi.”13 Cesarini,
responsabile della deportazione di “centinaia di operai e di
tecnici, quasi tutti ad Auschwitz”, era infatti “l'immagine
stessa del fascismo repubblichino.”14
Così,
ogni partigiano conduceva una lotta che non era solo militare ma che
anzi coinvolgeva visioni morali, politiche, culturali diametralmente
opposte a quelle nazifasciste. Infatti, ad un certo punto Visone
scrive:
“Mando a dire ai miei gappisti che ci sarà una breve pausa e che
ne approfittino per
leggere e studiare,
come insegnava Gramsci.”15
Possiamo
immaginare un ufficiale nazista o repubblichino raccomandare ai suoi
sgherri di leggere alcunché? E' molto più facile che invece costoro
andassero (come testimonia Visone)
per bar ed osterie, dove si rilassavano dopo un'infame giornata di
rastrellamenti, torture e massacri, in compagnia di prostitute e
dandosi a grossolane chiassate, volgari scherzi, sbronze ecc.
Ben diversa la
statura morale di un uomo come Curiel 16 , così come quella di
Matteotti, di Gobetti, don Minzoni, Pertini, Gramsci, dello stesso
Pesce e di tanti altri, grandi figure di uomini e donne rimaste
magari anonime.
Qui
penso alle staffette,
penso soprattutto a certe giovanissime ragazze che pur consapevoli
dei rischi mortali e delle intollerabili offese che potevano subire
sul piano intimo, non solo accettarono di correre certi rischi, ma
mantennero una freschezza ed una naturalezza davvero commoventi. E
con pochi ma poetici tratti di penna, l'A. ha saputo consegnarle al
nostro ricordo. Ed alla nostra riconoscenza.
Del resto quel
legame speciale che il movimento partigiano ebbe con la classe
operaia e col mondo contadino, dipendeva dal provenire partigiani/e
proprio da quello, o (quando l'origine sociale di alcuni/e di loro
era altra), comunque dal loro battersi per chi ha sempre subito il
peso della struttura sociale. Partigiani come “avanguardia in armi”
dei lavoratori17; lavoratori che col grandioso sciopero del marzo
1944 nell'Italia del nord, che la “Voce di Londra” definì
“unico, finora, nella storia della guerra”18, diedero alla lotta
contro il nazifascismo uno straordinario appoggio morale, politico ed
anche pratico: per es. sabotando la produzione bellica di cui
appunto il nazifascismo si avvaleva.19
Certo non vi sarebbe
stata liberazione dal nazifascismo se la Resistenza non avesse potuto
contare su un coraggioso e costante appoggio popolare. Come
dice magistralmente Giovanni, si trattava di: “Brava gente che non
aveva nulla da guadagnare con me, ma tutto da perdere.”; ed
aggiunge: “Questo è qualcosa di più della bontà. E'
l'antica aspirazione alla giustizia.”20
Giustizia e diritto
di resistenza
La distinzione di
cui sopra è fondamentale perché quelle che Gramsci ha definito
“classi subalterne”, hanno dovuto vivere una bontà che
era poi sottomissione, rinuncia ai propri diritti e
spesso alla stessa vita, accettazione di abusi, umiliazioni,
sfruttamento lavorativo, abbruttimento psicofisico, violazione della
propria sfera intima, repressione militare e poliziesca... negazione
insomma di quella irrinunciabile dignità cui ha diritto
ogni essere umano.
Ma la giustizia
distrugge questa crudele e complessa trappola: la giustizia, che
Ulpiano definì come “volontà costante e perpetua di dare a
ciascuno il suo”21 e che per Aristotele è la “virtù più
eccellente”: anche perchè appunto egli citando il poeta Teognide
la dipinge come ciò in cui “si riassume ogni virtù.”22 E tutto
questo perché chi possiede ed attua la virtù della giustizia
è capace di servirsene “anche nei riguardi del prossimo; e non
solo in relazione a se stesso”; soprattutto, “noi diciamo
'giusto' ciò che produce e preserva la felicità, e le parti di
essa, nell'interesse della comunità politica.”23
Attenzione: il Greco
parla di comunità politica, non di alcune sue parti o
di determinate classi; parla quindi di una giustizia che deve
esistere per tutta la comunità e senza limitazioni di
tempo, di spazio, di cultura ecc. Per essere tale, la giustizia deve
quindi essere completa, totale: di essa, insomma, devono godere tutti
e sempre.
Ma quando sia negata
la natura sociale ed egualitaria appunto della giustizia,
allora non si potrà pretendere che chi subisce la violenza di un
potere ingiusto, continui a subirlo. La stessa bontà fornirebbe
il miglior puntello ad una tirannide che a quel punto non
incontrerebbe più alcuna opposizione.
Nel corso della
storia tanti pensatori hanno elaborato il concetto di un diritto
di resistenza dei popoli ad un potere che violi le leggi di
giustizia. Già nel XII secolo un allievo di Abelardo, Giovanni di
Salisbury, parlò della legittimità del tirannicidio che
consiste nell'uccisione di un sovrano ingiusto o comunque nella
ribellione ad un potere brutale.24 Tali atti sono giustificati dal
fatto che chi governa è tenuto alla strettissima osservanza
di legge ed appunto giustizia, sì che propriamente parlando, egli
più che un governante è un servo di legge e bene comune: che
non può tradire in nessun caso.25
Dopo l'uomo di
Salisbury il concetto di tirannicidio fu ripreso anche da
altri26 e perfino prima che ai rivoluzionari francesi, a
quelli marxisti o a quelli anarchici, dobbiamo ad un teorico del
liberalismo (!) come l'inglese Locke un'esplicita
teorizzazione del diritto di resistenza, che lui chiama anche di
guerra. Egli formula chiaramente quel diritto nell'opera Due
trattati sul governo (1689). 27
Conclusioni
Si vede quindi bene
come nel nostro (ed in ogni altro) Paese ferocemente
oltraggiato dal nazifascismo, il diritto di resistenza fosse
indiscutibile. Inoltre, tale diritto condusse all'effettiva
liberazione perché tra masse popolari e movimento partigiano
si realizzò una fortissima e naturale saldatura.
Quel che sarebbe
stato impossibile se di fronte ad uno spietato ed organizzatissimo
avversario come quello nazifascista e di fronte al servile complice
fascista, lo scontro si fosse svolto solo sul terreno militare:
dimensione in cui la Resistenza era più debole.
Ma la Liberazione
avvenne perché (per citare Pascal): “Il cuore ha delle ragioni che
la ragione non conosce.”28
La ragione avrebbe detto ai
resistenti che i nazisti erano invincibili, o almeno che era meglio
attendere l'arrivo degli Alleati; il cuore diceva che
bisognava battersi comunque e quello, il cuore, vinse.
Così, ricordando il
25 aprile a Milano, Giovanni scrive: “Io, in mezzo a tutta questa
gente, a questi operai, a questi giovani, a queste donne mi sento
immerso in un grande mare di affetto”; ed ancora: “Dietro di noi
a sorreggerci, ad aiutarci, a sfamarci, a informarci, c'è sempre
stata questa massa di popolo.”29
A noi, oggi, il
compito così difficile ma anche così bello di saper essere degni
eredi di una lotta tanto gloriosa, soprattutto oggi...
quando perfino chi dovrebbe situarsi nel campo
progressista ed antifascista, non fa davvero molto per difendere le
conquiste (penso per es. alla Costituzione) e la memoria di
quella lotta.
Note
1G.
Pesce, Senza
tregua (1967),
Feltrinelli,
Milano, 2009, pp.202-204.
Cfr. anche
http://www.anpi.it/piazzale-loreto-15-martiri-per-comunicare-ferocia/
2
G. Pesce, Senza
tregua, op.
cit.,
p.204.
3
Enzo Collotti, Hitler
e il nazismo, Giunti, Firenze, 1996, p.110.
In tedesco nel testo.
4
E. Collotti, Hitler
e il nazismo, op.
cit.,
p110.
In tedesco nel testo.
5
E. Collotti, op.
cit.,
pp.112-113
e
125-128.
6
Robert Katz, Morte
a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine (1967),
Editori
Riuniti, Roma, 1996.
Nuova edizione aggiornata. La Luftwaffe era l'aviazione militare
tedesca.
7
E. Collotti, La
soluzione finale. Lo sterminio degli ebrei, Tascabili Economici
Newton, Roma, 1995, pp.15-18
e
65,
71.
8
Marco Palla, Mussolini
e il fascismo, Giunti, Firenze, 1996, p.67.
I corsivi sono miei.
9
M. Palla, Mussolini
e il fascismo, op. cit., p.67.
Il corsivo è mio.
10
Cfr. E. Collotti, Hitler
e il nazismo, op. cit.,
rispettivamente alle pp.
107 e
106-107.
11
G. Pesce, Senza
tregua,, op. cit., p.27.
12
G. Pesce, op.
cit.,. p.2813
Ibid., p.299.
14
Ibid., pp.299
e
293.
15
Ibid., p.297.
I corsivi sono miei.
16
Ibid., pp.301-302.
17
Ibid., p.69.
18
Ibid., p.77.
19
Per l'intreccio tra scioperi del marzo '44 e lotta partigiana cfr.
Ibid., pp.68-77.
20
Ibid., p.151.
21
Ulpiano, Digesto,
I,
1, 10.
I corsivi sono miei.
22
Aristotele, Etica
nicomachea, Laterza, Roma-Bari, 2001, V, 3, p.175.
23
Aristotele, Etica
nicomachea, op. cit., V, 3, p.175.
Il corsivo è mio.
24
Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Le
bugie di Isotta. Immagini della mente medievale (1987),
Laterza, Roma-Bari, 2002, pp.60
e
67-68.
25
Maria Teresa F. B. Brocchieri, Le
bugie di Isotta, op. cit. pp.50-60.
26
Cfr. voci monarcomaco
e
tirannide
in
Nicola Abbagnano, Dizionario
di filosofia, Tea, Milano, (1971),
1999,
pp.
594
e
877.
27
Cfr. N. Abbagnano,
Dizionario di filosofia, op. cit., p.877; Luigi Bonanate, Diritto
naturale
e relazioni tra gli Stati (1976),
Loescher,
Torino, 1978, pp.63-64
e
176-177;
Rosario Villari, Storia
moderna, Laterza, Roma-Bari, 1973,
pp.247-249.
28
Blaise Pascal, Pensieri,
Edipem, Novara, 1974, Articolo IV, 277.
29
G. Pesce, Senza
tregua, op. cit., p.306.