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mercoledì 30 ottobre 2013

La discussione filosofica (11/a parte)*


Ma questo modo di ragionare può essere accusato appunto di oscurità, forse anche di volontario inganno... se non di vera e propria malafede. Insomma, il rimedio può rivelarsi peggiore del male.
Infatti, perché mai chi intenda filosofare quindi (secondo l'etimo) amare la sapienza dovrebbe di fatto evitare di farlo?
Non si può infatti ammettere che un filosofo tenga egoisticamente la verità o la sapienza per sé, come se fosse un suo possesso personale, privato. A quel punto come distinguere la verità dall'ignoranza e dall'errore?
Sarebbe come se qualcuno dicesse alla persona amata: “Fidati, io ti amo tantissimo. E' vero, non te lo dimostro mai, ma ti amo. Fidati: io so che ti amo.”
Ma a nessuno interessa un amore teorico. Così, anche se sembrerà strano, neanche la filosofia può permettersi d'essere solo teorica; insomma, non può né deve permettersi il “lusso” di chiudersi in sé stessa e di non darsi agli altri.
Quella che per me è la visione più elevata della filosofia, espressa da Platone nel mito della caverna1, insegna che il sapere deve essere messo a disposizione di chi è ancora vittima di false idee, verità parziali, illusioni ecc. Il sapere, la verità, la conoscenza devono essere dunque con-divisi, divisi con gli altri esseri umani.
Alla natura stessa della filosofia ripugna il fatto che alcuni possano godere della luce mentre altri rimarranno confinati per chissà quanto in un mondo di inganni... più o meno frustranti, assurdi, derisori e dolorosi.
La filosofia non è quindi una qualche (ed a questo punto neanche interessante né sensata) disciplina pura, come tale riservata a pochi “eletti” bensì qualcosa di sociale.
Essa, infatti, nasce e vive in società e la sua dimensione naturale non può che essere quella della discussione, un qualcosa quindi che avviene tra uomini e donne in carne ed ossa... Uomini e donne che talvolta avranno anche una conoscenza tecnica, specifica, insomma specialistica del discorso filosofico... ma non sempre, né questo è poi fondamentale.
Ovviamente, non deve mai mancare il rispetto per chi appunto del discorso filosofico ha una conoscenza appunto specifica, conoscenza che ha acquisito con lunghi, difficili anni di studi e ricerche e che con la conoscenza di quel discorso cerca di guadagnarsi il pane... Peraltro non molto, a dirla tutta!
Comunque, poiché l'essere umano è animal rationale, animale razionale, egli è condotto dalla sua stessa natura, dal suo essere ad interrogarsi sui problemi della filosofia...
Problemi che non sono poi altro che quelli della vita: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, che cosa possiamo conoscere, che cosa siano il bene ed il male, che cosa sia e come sia applicabile la giustizia, quale sia l'origine del mondo, il senso del tempo, il valore dell'amore e dell'amicizia ecc.



Note

  • * Ho pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
    Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
    Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013. 
  • Ho pubblicato la 10/a il 5/10/2013

1 Platone, La repubblica, Fabbri Editori, Milano, 2000, VII, p.242 sgg.

domenica 13 ottobre 2013

“La sfuriata di Bet”, di Christian Frascella


Ho scoperto questo romanzo grazie alla libreria Bonardi di Amsterdam che organizza incontri e presentazioni di libri italiani tradotti nella lingua locale. Essa contribuisce così sia a diffondere la nostra letteratura sia a combattere vari pregiudizi relativi al nostro Paese (terra solo di mafia, scandali sessuali, O' sole mio ecc.). Questa libreria invia (non solo a me!) delle e-mails con cui aggiorna sulle sue attività.
Circa La sfuriata ero un po' dubbioso: non sarà, mi sono detto, il solito libro sugli adolescenti... di solito rappresentati come brufolosi, eternamente attaccati al pc, all'Ipod, all'Ipad, a facebook o ad altre diavolerie e deliranti in uno slang intriso di dialetto, italiano sgrammaticato, gergo televisivo e pseudo-inglese?
Niente di tutto questo.
Intanto, Bet (Elisabetta) è ovviamente una ragazza del suo tempo: ma all'interno di esso non vive come una ragazza ovvia. E' imprevedibile, umorale, spesso sarcastica ma dirige il suo sarcasmo anche verso sé stessa. Sembra disillusa, quasi cinica: eppure si batte per difendere una donna incinta dai modi direi troppo spicci di un carabiniere, salva una donna anziana dallo sfratto, lotta con la madre ed i colleghi che si trovano ad un passo del licenziamento.
La classica ragazza impegnata ed inoltre immersa sia in letture sia in ascolti musicali da combat rock? Anche stavolta, domanda sbagliata. Inoltre lei odia i Doors, il Siddharta di Herman Hesse ecc. ecc.
Alla soglia dei 18 anni vede tutto il marcio che dilaga nel nostro Paese (e forse non solo nel nostro) come il maschilismo, lo sfruttamento sul lavoro, il precariato, la fissazione per il “bel” corpo, il carrierismo in politica, il culto del nozionismo ecc. Bet vede tutto questo e lo dice; senza girarci tanto attorno.
L'A. ha il merito di non sovrapporsi a Bet, insomma non la fa parlare come farebbe lui. Lei parla come una 18enne di questi tempi, sia pure dotata di una forte personalità: comunque non è lo stereotipo della ragazza moderna.
Un altro grande merito dell'Autore: ha fatto leggere il manoscritto alle ragazze ed ai ragazzi dell'Istituto Giulio e del Liceo Gioberti di Torino che come scrive: “Hanno avuto la pazienza di ricevermi in classe, profondendosi in critiche attente e consigli fondamentali” (p.209).
Bene, la Torino dipinta da Frascella più che la capitale italiana dell'auto è una città molto cupa, talvolta caotica, flagellata dal vento e dal gelo. Come in un'inquietante sensazione-(pre)visione di decadenza, dai muri delle case trasudano umidità e presagi di sconfitta. Del resto, disoccupazione e cassa integrazione sono realtà che si respirano per strada ed attraversano i quartieri operai della città.
La sfuriata che ad un certo punto troveremo nel libro è già anticipata da frasi, pensieri ed impressioni di Bet (che si considera responsabile della morte della sorella) e che Frascella lascia fluttuare in modo libero ma mai confuso.
In un certo senso Bet è una dura, ma non va in giro a dimostrarlo. Non ha troppe amiche né un ragazzo ma non fa la “carina” con nessuno. Non ama lo studio ma la sua mente è in continua ebollizione: e sempre su questioni alte... anche se lei non sopporterebbe il termine.
Si descrive così: “Penso che sono una ragazza del mio tempo, e che non lo sono. Che abito nel mondo, e il mondo non mi piace, e non mi sento adatta ad esso. E tra pochi mesi compirò diciotto anni e finalmente potrò fare un sacco di cose che oggi non ho proprio voglia di fare. Spero di volerle fare, però, spero di sentirmi meglio, quel giorno, e di avere di nuovo dei desideri” (p.188).
Molti di questi pensieri non somigliano a quelli che avevamo anche noi... quando sembrava che “i 18” ci avrebbero consegnato le chiavi del mondo?
Poi “i 18” arrivano, li superi anche di vari decenni e... be', in fondo è sempre la stessa minestra: non puoi fare proprio quello che volevi o quando lo fai, non ci provi più tanto gusto. Discorso complesso; proseguiamo.
La differenza tra Bet e noi diversamente 18enni consiste forse in questo: noi avevamo dei desideri... forse troppi? Chissà. Bet e molti suoi coetanei sperano di averne. Del resto, sono capitati in un mondo che non ispira troppa fiducia...
Ma lei non si chiude in sé stessa o nella sua amarezza, perché diventa consapevole del fatto che lei non è “il centro del mondo. Sono”, dice, “un pezzetto attaccato ad altri pezzetti e tutti insieme siamo un corpo unico” (p.188. I corsivi sono miei).
Con Bet l'A. ci ha regalato una figura di giovane donna che spero possa smuovere un po' le acque della nostra … non sempre entusiasmante letteratura. Grazie Christian, anche a nome di un remotamente 18enne.


P.s.: grazie anche alla signora Henrieke Herber per aver tradotto in neerlandese (olandese) un testo non semplice come potrebbe (a prima vista) sembrare.
Benché non conosca la... tulipanica lingua, penso che la signora abbia fatto sicuramente un ottimo lavoro. Nel mio blogroll trovate il link al suo blog che è www.henriekeherber.nl


sabato 5 ottobre 2013

La discussione filosofica (parte 10/a)*


Da quanto visto nella 9/a parte sembrerebbe che davvero l'arte e gli artisti (soprattutto quelli che sentono e creano in modo molto passionale) siano molto pericolosi per la filosofia. E per la società. Sì, perché la loro fantasia ed anche il loro fustigare sé stessi attraverso la propria creatività potrebbe turbare delle comunità che considerano ben più importanti valori come il self-control, la logica, la misura, la riservatezza ecc.
Ma in comunità come quelle l'artista si sente soffocare. Per lui o per lei, l'urlo è il solo valore, perché squarcia il velo di una realtà che impedisce la reale crescita della persona, la sua liberazione. Penso che tale “urlo” sia stato molto forte soprattutto a partire dal romanticismo e dall'espressionismo, fino ad arrivare nel '900 alla durezza del rock (Who, Rolling Stones, Janis Joplin, Clash, Sex Pistols ecc.) e di certa canzone d'Autore (Phil Ochs, Bob Dylan, Brel, Victor Jara, il Lennon post-Beatles, Billy Bragg ecc.).
Tornando alla parola scritta, considero migliori esponenti di questo porsi di fronte alla società, il Rimbaud de Una stagione all'Inferno, direi tutto Brecht, Bukowski, Pasolini né dimenticherei Artaud. Ora, queste mie considerazioni hanno solo valore indicativo, ma penso che il concetto-base sia chiaro: soprattutto se “viste” alla luce dell'Urlo di Munch e di quello di Ginsberg.1
Certo, in qualcuno anche questo modo di essere può diventare solo un atteggiamento, un che di teatrale o comunque di non spontaneo; ma è lì che si vede il vero artista.
Del resto, non è molto chiara neanche la posizione del filosofo che voglia denunciare gli “eccessi” dell'artista, filosofo che finora abbiamo identificato in Platone. Infatti, la stessa Murdoch riconosce che nei testi di Platone si trovano affermazioni argute e spiritose e che il tono di questi è spesso amabile.2 La forma espressiva utilizzata da Platone non era insomma severa quanto i concetti da lui esposti e discussi, né quella forma condivideva sempre la condanna platonica dell'arte; anzi spesso si direbbe proprio il contrario.
Inoltre, il Koyrè ci ricorda come molti dei Dialoghi platonici potrebbero essere intesi anche come dei testi teatrali e come tali, debitamente rappresentati e rappresentabili; quel che poi, nell'antichità si fece.3
Ed ai giorni nostri, l'attore Gigi Proietti ha portato in scena proprio Socrate4: riferendosi in qualche modo anche all'Apologia di Socrate, testo in cui Platone diede libero sfogo alla sua natura artistica, consegnando a generazioni di lettori un Socrate oltre che cercatore di verità, spesso gigione ed anche irriverente, quasi tagliente coi suoi accusatori e perfino coi giudici, se arrivò al punto di dichiarare che non solo doveva essere assolto, ma che anzi aveva il diritto d'esser mantenuto gratis a spese dello Stato!5
Dall'Apologia emerge la figura di un uomo che non considera mai la virtù e la giustizia questioni astrattamente teoriche, né uomo che rinunci alla vita a cuor leggero. Infatti, egli si batte per la sua vita e per la verità facendo ricorso a tutte le “astuzie” ed a tutti gli argomenti in suo possesso senza temere di passare per retore o ancor peggio, per commediante.
Insomma, anche in Platone troviamo della duplicità: da una parte duro, quasi implacabile nemico dell'arte e degli artisti, censore della loro creatività e della loro stessa umanità.
Dall'altra, se consideriamo l'attenzione da lui posta nella descrizione di particolari situazioni, nell'uso di determinati termini, nel delineare i tratti della personalità di certi interlocutori, nel precisare certe situazioni, varietà delle conversazioni ecc., artista egli stesso.
Che avesse ragione un grande conoscitore ed estimatore dei Greci come Nietzsche quando scrisse: “Tutto ciò che è profondo ama la maschera”?6

Note

* Ho pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013. 

1 Allen Ginsberg, Urlo, in Id., Jukebox all'idrogeno (1956), Mondadori, Milano, 1979, pp.102-137.
2 Iris Murdoch, Il fuoco e il sole, Sugarco, Milano, 1977, p.101.
3 Alexandre Koyrè, Introduzione a Platone, Editori Riuniti, Roma, 1996, pp.6-8 e p.8 n.4.
4Intereressante la lettura di http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/29/SOCRATE_scena_spirito_dell_uomo_co_0_0004291727.shtml
5 Platone, Apologia di Socrate, Garzanti, Milano,1980, p.36.
6 Friedrich W. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Gte Newton, Roma, 1988, p.72. Il corsivo è mio.