Ma un romanzo d’ambientazione medievale, fatte salve certo le scelte dell’A., dovrebbe (come ogni romanzo) trattare la materia in modo più libero. Del resto, chi col Medioevo abbia una certa familiarità e scelga appunto questo approccio libero, può mantenere un certo equilibrio tra rigore storico ed invenzione fantastica. Dicendo questo penso ad un altro bel libro come per esempio La stanza delle signore della Pernoud.
Tornando agli Abati, la freschezza cui accennavo è data da immagini e descrizioni che hanno il fascino di una poesia immediata, spontanea. In un sereno tramonto d’ottobre ecco che la marchesa di Challant esce a cavallo col suo seguito, il duca e l’erborista-filosofo Venafro. Quando scesero da cavallo: “La marchesa sedette su una roccia e la sua tunica indaco-rosata si sparse sull’erba come un grande fiore d’autunno. Il duca sedette ai suoi piedi sull’erba, e la guardava.”
Qui poche parole racchiudono tutto un insieme di fatti, simboli e sentimenti.; sembra che la marchesa sia appunto un fiore ed emani bellezza, ecco che il duca la contempla, forse la desidera eppure a me pare che in quel “la guardava” vi sia anche del dubbio, se non timore. La donna fiore: l’Elena di Eschilo era fiore di desiderio che tormenta i cuori. La donna tentatrice: vascello del Demonio, come sarà bollata da tanti predicatori… non nel solo Medioevo; quindi anche la donna fuoco e peccato.
Senza però moltiplicare le interpretazioni, ricondurrei la poesia del romanzo a quel che disse Socrate nell’Apologia… un poeta compone per immagini, non per deduzioni logiche.
Non che negli Abati quelle manchino, ma sono inserite all’interno di un tessuto narrativo molto scorrevole, come quando al castello arriva un seguace di Abelardo, le cui complesse teorie espone con grande senso della sintesi e non privo di spregiudicatezza.
Inoltre, l’opera contiene riflessioni sull’evoluzione della tecnologia e della società: penso all’inventore Enrico da Morazzone, che prevede la centralità che in futuro avranno “le macchine” e gli opifici. Ci imbattiamo in Goffredo di Salerno, in odore di eresia perché contro i maestri dell’omonima scuola sosteneva la liceità morale, non solo la possibilità tecnica di trapiantare nell’uomo organi d’animale.