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lunedì 25 aprile 2016

“Il fascismo e l'Italia in guerra”, di Enzo Collotti e Lutz Klinkhammer


Si tratta di un dialogo tra lo storico italiano Collotti, esperto di nazifascismo e di storia della Germania (anche moderna) ed il tedesco Klinkhammer, anch'egli conoscitore di tematiche simili. Per me, uno dei principali meriti del libro è dato dal tono scelto dai due storici: chiaro e colloquiale ma mai schematico o ancor meno, sciatto.
Ora, il sottotitolo del testo è: Una conversazione fra storia e storiografia. Col termine storiografia si intende quell'insieme di studi, ricerche ed ipotesi relative ad un determinato fenomeno o periodo storico.
Il libro smentisce l'idea (spesso affermata come se fosse ovvia) della crudeltà solo del nazismo. In questo quadro idilliaco, del tutto ideale, si “dimentica” di inserire le aggressioni portate dal fascismo a territori dell'Africa orientale, con uso massiccio di gas, azioni militari indiscriminate ed ingiustificate contro civili, avvelenamento di pozzi, stupri, umiliazioni, torture etc. etc.1
Si “dimentica” il sostegno politico-militare fornito dal fascismo italiano a quello di Franco, le leggi razziali, l'alleanza e la guerra con la Germania di Hitler fino al regime-fantoccio di Salò, la cessione ai nazisti di estese aree del nord-est, le S.S. italiane... Insomma, si “dimenticano” o addirittura si giustificano, molte cose. Troppe.
Ora, il testo sottolinea (tra gli altri) un fatto di cui si parla di rado: l'esistenza cioè sul nostro territorio di campi di concentramento, come per es. quello della Risiera di San Sabba (vicino a Trieste), di Ferramonti di Tarsia (in provincia di Cosenza), di Renicci e di Civitella (vicino ad Arezzo), di Bagno a Ripoli (presso Firenze) etc. etc.2
A volte un campo poteva anche essere un Durchslager, un “campo di transito” per la deportazione di ebrei, ma questo era irrilevante: quelli che non erano uccisi lì, erano prelevati per trovare la morte altrove. Ed in questi inferni saranno rinchiusi anche “civili jugoslavi, greci, ebrei stranieri e anarchici italiani”3
Del resto, faceva parte del fascismo così come del nazismo l'educazione militare, il bellicismo, l'amore insomma per la violenza e per la guerra.4 Tutto ciò assumeva per Mussolini una dimensione “filosofica” o addirittura morale, se dichiarò: “Il fascismo (…) respinge quindi il pacifismo che nasconde una rinuncia alla lotta e una viltà di fronte al sacrificio. Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla.”5
Insomma, tra i due regimi esisteva un'affinità di fondo6, inoltre il fascismo e Mussolini erano considerati da Hitler veri precursori ed ispiratori del nazismo.7
Che poi il regime italiano abbia fatto meno vittime di quello tedesco, dipese solo dalla sua netta inferiorità sul piano militare, tecnologico, economico e statale, non da chissà quale “umanità.”8
Inoltre, il testo di Collotti e Klinkhammer, denuncia anche le collusioni del nazifascismo di tanta parte del mondo finanziario ed industriale italiano9; del resto, si ebbero tali collusioni anche tra mondo finanziario-industriale tedesco e nazismo10.
I due storici ricordano anche come il fascismo abbia collaborato in modo attivo e consapevole alla deportazione e conseguente eliminazione degli ebrei11, e che i fascisti fucilarono nella zona di Lubiana 145 ostaggi, ma nessun rappresentante italiano fu mai: “Sottoposto ad un processo per crimini di guerra. Nemmeno per l'uccisione dei 400 monaci di Debra Libanos in Abissinia nel 1937.”12
Potremmo poi ricordare il brutale cinismo del generale Robotti che in Jugoslavia dichiarò: “Non si ammazza abbastanza”; questo nonostante una politica condotta, dall'esercito, di omicidi, brutalità e violenze d'ogni tipo.13
Collotti e Klinkhammer smentiscono anche l'idea cara ad alcuni, secondo cui il regime di Salò, avrebbe limitato la crudeltà nazista. In realtà, perché uno stato razzista e militarista, dovrebbe dimostrarsi meno crudele di quello di quello di cui è alleato? La prova del “valore” di regimi come quelli consiste nell'amore e nella pratica della violenza, che stando a Mussolini, attiverebbe la parte migliore dell'uomo.
Se un regime come questo si dimostrasse meno crudele, risulterebbe non più umano bensì debole... Ecco, quindi, che: “Nei fatti”, quelle che furono “le forze collaborazioniste hanno operato con violenza ancora maggiore di quelle della Wehrmacht.”14 Nessuna “limitazione”, quindi, nessuna “moderazione.”
La forza invece della Resistenza è stata certo di tipo armato, ma nello stesso tempo, morale, sociale, culturale: senza un appoggio a livello popolare e senza ideali che non fossero quelli militari, l'esito avrebbe potuto essere disastroso.
E quel che portò alla Liberazione del Paese fu un ideale di società democratica e solidale, non un brutale modello di caserma.15

Conclusioni

A 71 anni dalla sconfitta del nazifascismo, quell'ideale di società è posto sempre più in discussione, come se si trattasse di una sorta di favola, irrealizzabile se non pericolosa: perché frenerebbe “l'efficienza”, il “mercato” etc. etc.
Io penso invece che si debba recuperare l'idea di una società democratica e solidale, perché solo quella può salvarci da quel che il filosofo Hobbes definì “la guerra di tutti contro tutti.”
Certo, spesso la nostra repubblica non è stata all'altezza degli uomini e delle donne della Resistenza: ma questo è troppo spesso dipeso dal fatto che per molto tempo sono esistiti: “Corpi separati dello Stato”, che hanno agito, “in modo difforme dai comportamenti democratici ispirati dalla Costituzione.”16
Questo, anche per la presenza di figure che furono legate al fascismo, e che non di rado cercarono di prendersi un'assurda rivincita con stragi di Stato, strategia della tensione etc. etc.
Ricordiamo che già un documento del 1946 parlava della costituzione di una “Internazionale fascista” che prevedeva una politica di attentati, sabotaggi, creazione (in Svizzera e non solo) di fondi segreti, infiltrazione nei partiti antifascisti di “fascisti a valanga”: “Così, seminando sciagure su sciagure, suscitare il rimpianto del fascismo e, al momento opportuno... riacciuffare il potere.”17
Insomma, quando si tratta di nazifascismo, non bisogna mai abbassare la guardia: soprattutto perchè certe “nostalgie” possono rinascere qui o altrove: vedi Paesi baltici, Croazia, Ucraina, Albania.18 Di recente, sono sorti governi e/o movimenti fortemente antidemocratici in Polonia, Ungheria, Bulgaria ed anche in occidente.
Perchè il miscuglio di crisi economica, razzismo ed ignoranza da una parte e desiderio di pochi “padroni del vapore” di giovarsi di tutto questo per realizzare sempre maggiori profitti, può far resuscitare certi fantasmi... sia pure in forma (quasi) nuova.

                                                                       Note

1 Per molto di tutto questo cfr. almeno Lorenzo Del Boca, I gas di Mussolini, Giunti, Firenze, Editori Riuniti, Roma, 1996, spec. pp. 20, 36-38, 46-48, 66-67, 75-76, 80-81, 139-144.
2 Enzo Collotti Lutz Klinkhammer, Il fascismo e l'Italia in guerra. Una conversazione fra storia e storiografia, Ediesse, Roma 1996, pp.14-18. 
3 Cfr. E. Collotti L. Klinkhammer, Il fascismo e l'Italia in guerra, op. cit., pp.15-16.
4 E. Collotti L. Klinkhammer, op. cit., pp.28-32.
5 Marco Palla, Mussolini e il fascismo, Giunti, Firenze 1996, p.67.
6 E. Collotti L. Klinkhammer, op. cit., pp.35-36.
7 E. Collotti, Hitler e il nazismo, Giunti, Firenze 1996, p.106. Del resto, come ricordò Karl Wolff, comandante delle SS e della polizia tedesca in Italia: “Hitler aveva dichiarato”, appunto Mussolini, “suo maestro negli anni Trenta”; cfr. Primo de Lazzari, Le SS italiane, Teti Editore, Milano, 2002, p.72.
8 Per tutto questo, ed anche per la questione della disoccupazione, che diversamente da quel che credono certi, il fascismo avrebbe sconfitto cfr. E. Collotti L. Klinkhammer, op. cit., pp.51-55.
9 Ibid., pp.65-66, 156-157.
10 Cfr. Kurt Gossweiler, La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler, Zambon, Francoforte sul Meno-Verona, 2009, spec. pp.126-138, 147, 151-158, 161-166. Gossweiler è uno storico dell'ex-Germania Est.
11 E. Collottii L. Klinkhammer, op. cit., pp.105-107.
12 Ibid., p.113. Il corsivo è mio.
13 Gianni Oliva, Si ammazza troppo poco, Mondadori, Milano, 2006, spec. pp.90-107.
14 E. Collotti L.Klinkhammer, op. cit., p.147. Il corsivo è mio.
15 Per tutto questo cfr. Ibid., pp.175-177, 180-181; cfr. anche Roberto Battaglia Giuseppe Garritano, Breve storia della Resistenza italiana, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp.171-183.
16 E. Collotti, L. Klinkhammer, op. cit., p.187.
17 Vincenzo Vasile, Turiddu Giuliano. Il bandito che sapeva troppo, Roma, 2005, pp.91-94.
18 E. Collotti L. Klinkhammer, op. cit., pp.192-193.



sabato 9 aprile 2016

I miei primi litri di inchiostro

Con questa espressione intendo le letture che feci a partire dai 13-14 anni. Non intendo quindi sminuire l'importanza delle letture da me fatte da bambino, per es. il Riccardo cuor di leone di Walter Scott.
Il punto è che quando sei piccolo, altri decidono per te: genitori, parenti, insegnanti, preti, vicini ecc. Le letture non sfuggono a questa regola. Ma al riguardo è stato particolarmente illuminante Edoardo Bennato con la sua Quando sarai grande.
Però quando non sei più un bambino inizi a costruire il tuo io molto più liberamente. Per quanto riguarda me, quella costruzione ha coinciso (e continua a farlo) oltre che col leggere, anche con lo scrivere. E con lo scrivere quello che volevo e che voglio scrivere io! Perciò per me la dipendenza dall'inchiostro, la sola da me ammessa, è sempre stata un'autoliberazione.
Insomma, non dirò con Christa Wolf che un giorno trascorso senza scrivere sia un “giorno sprecato”, ma capisco benissimo che cosa intendesse la grande scrittrice tedesco-orientale.
Bene, quando a 13-14 anni iniziai a ricostruirmi con l'inchiostro, non è che fino a quel momento avessi letto solo favole o che credessi ancora alla Befana (anche se certe maestre potevano provare tranquillamente l'esistenza delle streghe).
Per es., avevo uno zio poeta di cui lessi varie poesie ed altri libri che mi prestò: per es. un libro di testi di Bob Dylan.
Soprattutto, mio padre, che come ho scritto nel romanzo Il gioioso tormento era un “gigante di malinconico umorismo”, mi indirizzò alla lettura (sia pure antologica, data l'allora mia tenera età) di Papini, degli illuministi e di Gramsci. Sentii poi declamato da lui il Dante politico, quello che tuonava:
Ahi serva Italia di dolore ostello
nave senza nocchiero in gran tempesta
non donna di provincia ma bordello!
Per conto mio avevo letto il vangelo, un po' di S. Paolo e varie vite di santi: tutte molto tragiche, queste ultime; mi furono donate da uno zio gesuita, persona piuttosto rigida ma di notevole integrità morale.
Comunque le mie prime letture furono dei romanzi di fantascienza. Sappiate poi che leggevo con sommo compiacimento anche i giornali sportivi, esaltandomi per le imprese del Liverpool, dell'Ajax e del Bayern... ho sempre amato il calcio nord-europeo e forse per bilanciare questo amore, mio padre mi regalò il libro Giocando con Pelè.
Bene, il mio 1° litro di inchiostro fu Vita con gli automi (1961) dello scrittore di Belfast James White.
Ma ora che ci penso, ricordo che prima del libro di White lessi (verso i 10-11 anni) altri libri di fantascienza. Ciò avvenne nella casa di campagna di mia nonna a Carloforte, ma di quei testi non ricordo molto... tranne un po' di sconcerto, dovuto al fatto che si trattava di opere che narravano mondi dominati dalla tecnologia, non dalla magia.
Tornando invece a Vita con gli automi: quel testo mi turbò molto.
Vi riassumo l'essenziale.
Pianeta Terra, anno 2308. Protagonista della storia è Ross, uno studente di medicina ormai ultimo terrestre vivente ed amorevolmente assistito... dai robot.
In attesa che sulla Terra torni finalmente la vita, Ross si sottopone a frequenti periodi di ibernazione, periodi che durano anche migliaia di anni.
Ricordo che lo sprofondare Ross in quel sonno ghiacciato mi dava una certa ansia; inoltre, ad ogni risveglio era sempre la stessa minestra: vita, zero.
Ad un certo punto ebbi addirittura la sensazione di non aver capito la fine del libro!
Bene, ma sull'argomento “primi litri” c'è ancora molto da sciroppare; come diceva però un mio vecchio prof dell'università: “Sciropperemo, sciropperemo...”