lunedì 24 dicembre 2012
Il Natale di Giovanni Piras
Le galere del duca non erano proprio l’ideale per passarci
la vigilia di Natale, così siano benedetti quei pochi pezzi d’argento che hanno
favorito la mia fuga. Qualche ora fa stavo tra i topi ed i vermi ma ora sono di
nuovo libero. La notte è buia, per fortuna: per quei cani di spagnoli sarà più
difficile, trovarmi!
Anno Domini 1576, anno del
Signore… ma a volte questi anni e questo mondo sembrano Diaboli, del
Diavolo…
Il povero lavora come una bestia
da soma per il ricco, che così diventa sempre più ricco; donne e vedove sono il
trastullo di qualche puzzolente hidalgo; il bambino è un fragile,
indifeso essere che chiunque può prendere a calci sulla pubblica via, come se
fosse un cane; il prete parla dell’amore di Cristo ma sbava e ringhia
predicandoci l’Inferno; il dotto usa il suo latino e la sua filosofia non per
scacciare le tenebre dell’ignoranza e della superstizione ma per sbertucciarci
e per confonderci.
Fui “preso a lavorare” (come si
dice da noi) dal duca in quel suo schifoso palazzo che andava in rovina ogni
giorno di più; maledetta sia la mia
fama di bravo muratore!
I miei amici dicono che penso
“troppo” e forse è vero, ma secondo me gli uomini non vengono al mondo per
pensare solo al lavoro, al vino ed alle donne. Mah. Certo che il mondo sarà
sempre un grande mistero.
Quando il duca mi prese a
lavorare mi parlò un po’ in sardo ed un po’ in spagnolo; seppi rispondergli in
entrambe le lingue: in sardo perché è la mia lingua, in spagnolo perché è
quella impostaci dai nostri dominatori.
Mi disse qualcosa anche in
latino… attaccava i sardi che tempo prima (in un villaggio alle porte di Caller)
avevano “osato” astenersi dal lavoro per un’intera giornata.
“E questo perché?!”, aveva
ripreso in spagnolo. “Solo perché non li pagavo da qualche mese, o da un anno!
Come se il loro padrone e signore avesse degli obblighi, dei doveri verso
quell’accozzaglia di pastori, minatori, pescatori ed operai!”
Aveva ripreso in latino, ma anche
se da fra’ Mario ne avevo imparato un po’, finsi di non capire; un uomo
istruito, anche se non molto, poteva essere accusato d’eresia… e per
quella c’era il rogo.
Mi piacerebbe studiare, ma
nell’anno Domini 1576 e sotto i re di Spagna, è già tanto se puoi lavorare come
un mulo e non beccare troppe bastonate…
Un amico di fra’ Mario mi ha
prestato dei pezzi, degli estratti (non so come si dica) di libri greci da lui
tradotti in sardo. Ne ricordo soprattutto uno che diceva: “Le leggi si
pronunciano su tutto e tendono all’utile comune.”
Quella frase mi piace molto perché
per me significa che non conta se sei un pastore, un muratore, un principe o un
ufficiale del re: le leggi sono come un padre che pensa a tutti i
suoi figli.
Certo, i nostri padroni non la
pensano così: le leggi che fanno, le fanno solo per il loro utile.
Comunque io ho capito questo: la
giustizia (che come diceva qualcuno è “virtù completa”) non può arrivare da
sola, come per magia; arriva se tu la fai arrivare.
Ecco perché dopo aver corrotto i
miei carcerieri, prima di scappare ho piantato il mio coltello nel petto del
duca… non volevo essere un evaso o un fuggiasco come tanti. Se non vuoi che la
giustizia sia solo roba per filosofi, giudici e poeti, allora devi prendere
qualche scorciatoia.
Di certo non puoi essere gentile
con chi prende a frustate, deruba, oltraggia o spedisce sul rogo te e la tua
gente. Chi è gentile con l’aguzzino e col succhiatore di sangue, beh, allora
vuol dire che gli dà quel diritto. Il duca è stato il primo a pagare
e spero proprio che non sia l’ultimo.
Spesso sogno uomini e donne che
si muovono in massa per la giustizia, sogno case pulite e ben
riscaldate, acqua e cibo per tutti, sogno che anche quelli come me potranno
leggere e scrivere quello che vorranno senza il terrore d’essere scoperti,
sogno un lavoro che non sia più roba da schiavi, che nessun re ci ordini
più di massacrare in guerre senza senso poveracci come me, sogno medicine che
curano e che curano anche la mia gente.
E’ la notte di Natale del 1576 e
mi piace pensare agli uomini ed alle donne che verranno… chissà, tra 100 anni,
tra 200, 300, 400, 500…
Ed anche se sembra un sogno da
fuggiasco o da ubriaco, vorrei augurare ai fratelli non ancora nati un sereno
Natale. Forse quella gente vivrà quello che io posso solo sognare.
lunedì 17 dicembre 2012
Quelli di “Borgo Polesinino”, di Franca Fusetti (1/a parte)
Tempo fa la cara amica blogger Franca Fusetti (Nou) mi
ha inviato alcuni suoi scritti, sia in versi che in prosa. Si tratta di lavori
che nella sua modestia lei non ha ritenuto meritevoli di pubblicazione, ma
per me questo è un male, perché non di rado in libreria troviamo volumi che non
possiedono di certo la freschezza della scrittura appunto di Franca…
Io spero che lei cambi idea, così
come penso che in Veneto non manchino case editrici in grado di “lanciarla”
come merita.
Comunque oggi vorrei parlarvi
della raccolta di racconti Quelli di Borgo Polesinino. Si tratta di
racconti brevi, bozzetti pieni di garbo ma che sono nello stesso testimonianze
autentiche e sofferte di un mondo forse oggi scomparso.
Come leggiamo in Lungo
l’argine: “Borgo Polesinino era una località sperduta, un gruppuscolo di
case”; “Polesnin, così era chiamato il borgo per semplificare.”
Si trattava di una piccola
cittadina situata nel Delta del Po, un micromondo di contadini, artigiani,
pescatori ed altri umili lavoratori che conducevano una dura vita di lavoro ma
che si aiutavano reciprocamente.
L’economia del Borgo non
permetteva troppi sogni o svolazzi, se come leggiamo in Rosa e Tonino il
fatto di sposarsi in inverno era considerato un “vantaggio” perché permetteva
di “aggiungere al corredo un bel cappotto nuovo rispetto a chi sposa nella
stagione calda.”
Ogni passo nella vita delle
persone era insomma strettamente commisurata a quanto ed a quel che
occorreva loro; l’idea del lusso (non parliamo nemmeno dello spreco) non
esisteva proprio.
Sempre in Rosa e Tonino assistiamo
ai preparativi per le nozze ed all’atteggiamento irritante e colpevolizzante
del parroco, che non sopporta affatto il fatto che Rosa debba sposarsi in stato
interessante...
In segno di “penitenza” la peccatrice non poteva
sposarsi con l’abito bianco e quel che è peggio, non durante la messa grande
bensì a quella delle 8 del mattino… come se dovesse nascondere chissà quale
colpa o infamia.
Questo nonostante Bice, la madre
di Rosa, si batta per difendere la figlia da quell’umiliazione. Nella sua
saggezza, infatti, Bice afferma che Rosa e Tonino: “Hanno seguito una legge
naturale”… quella cioè che porta un uomo ed una donna che si amino ad unire
oltre che i loro corpi, anche i cuori.
Ma malgrado l’intransigenza del
sacerdote, che viene percepito come uno che “sembrava contro di loro”,
la comunità accoglie e festeggia i due senza assurdi moralismi… a riprova di
come, tante volte, la cosiddetta povera gente possieda un cuore ben più ricco.
In Inseguendo un toast la
protagonista (Nara) è una ragazza che alle soglie del diploma assiste
all’irruzione all’interno della nostra lingua di varie parole straniere.
“Parole di lingue diverse erano
inserite qua e là con una certa noncuranza, nonchalance appunto, da persone
ricercate nei loro discorsi. Vocaboli come cocktail, sandwich, yogurt,
pass-partout, reception, suite, knock-out ed altri ancora, venivano usati a
profusione.”
Subisce questa irruzione anche
quel mondo rurale a cui Nara appartiene e che Franca sa dipingere con
affettuosa ironia. Ma quel che colpisce la fantasia di Nara e delle sue amiche
è la parola “toast”, alimento di cui lei e la sorella si toglieranno lo sfizio
a Milano.
La pagina in cui le due sorelle e
compagne d’avventura sbarcano alla stazione centrale della metropoli lombarda,
beh, a me ha ricordato la gag di Totò e Peppino in un famoso film… con in più,
da parte delle ragazze della provincia veneta, una grande compostezza, un… aplomb
di tutto rispetto.
Del resto: “Contrariamente alle
sue abitudini, Nara lasciò un pourboire.”
Molto bello l’incontro di Nara
con alcuni ragazzi delle borgate romane da lei incontrati “quando, con la
solita valigia, modello emigrante, Nara scese dall’autobus in Via Appia
Nuova.”
In Viaggio a Roma Nara
presenta questi ragazzini senza pesanti finalità pedagogiche; del resto, loro
non le mancarono di rispetto anzi la scortarono “a destinazione, in Via Appia
Antica, dove la stavano aspettando.”
In Ragazza alla pari troviamo
Nara a Bruxelles. In seguito alla tragica alluvione del 4 o 5 novembre del 1966
la Nostra perse l’impiego che aveva a Ca’ Tiepolo ma nella capitale belga sa
farsi benvolere; inoltre acquisisce “un buon livello di conoscenza del francese
parlato e scritto.”
Il carattere di Nara:
quando M.me Dumais (la donna del cui bebè si occupa) si pone come intermediaria
tra lei ed un suo lontano parente… ed inoltre si offre di trovarle un impiego
presso l’ambasciata italiana… ma a quel punto Nara opta per il rientro in patria.
Forse altre donne avrebbero colto
quelle occasioni al volo: un possibile marito (probabilmente ricco) ed un
lavoro sicuro… ma non Nara, che volle rimanere padrona della sua vita. E lo
rimase.
Benché i racconti di Borgo siano
tutti in italiano, ogni fa tanto fa capolino anche il dialetto veneto, con
effetti devo dire spesso molto divertenti.
Per es., in Comari si
parla di uomini ormai attempati che riprendono a “vardarse”, guardarsi
(attorno). Ma: “Tanto cossa voto che i trova? Più de qualche gallinassa
vecia, gnanca più bona per el brodo, no ghe xe altro in giro!” Più di
qualche vecchia gallina, neanche più buona per fare il brodo, in giro non c’è
altro!”
Franca mi scuserà se la mia traduzione non è abbastanza
accurata; del resto, spesso i dialetti possiedono un’incisività che talvolta
alla lingua manca. Tuttavia io ho capito sempre almeno il senso delle frasi in
veneto.
In Nina e Baldo troviamo
una famiglia il cui capo (?) beve troppo e picchia la moglie, tanto che “un
infausto giorno sono intervenute le assistenti sociali togliendo loro le
figlie.”
Questi dell’alcol e della
violenza domestica sono problemi che in varie parti del Paese rendono la vita
di molte famiglie un inferno, ma Franca ha saputo affrontarli evitando
d’assumere “abiti” morbosi o scandalistici… ma senza per questo dimostrare
superficialità o fatalismo.
2/a parte
Per ragioni di spazio non posso
parlare di tutti i racconti di Borgo, comunque ora vorrei ricordare Parole,
in cui Franca cede la… parola alla signora Elena Zerbin.
La signora appartiene ad un tempo
in cui, come scrive: “Non si conosceva nemmeno una stuffa a legna e si poteva
anche contrarre il tifo ma: “Allora si pagava tutto, medicine e pure
l’ospedale.”
La vita, nella valle del Po, era
durissima: si lavorava nelle risaie, anche: “Dieci campi di risaia, come dire,
melma si zappava! Non ci conoscevamo se eravamo persone o bestie: tutti
pieni di terra sporca. E a fine anno quando andavamo a fare i conti col
padrone, eravamo rimasti in debito.”
La drammaticità di questo quadro
era poi simile a quella di tantissime famiglie operaie e contadine del nostro
Paese e questo, per tanto, troppo tempo. Così è fondamentale che certe realtà
siano ricordate e denunciate da chi le visse sulla propria pelle e non cede
alla tentazione o alla menzogna del “bel tempo antico.”
La signora Elena ricorda inoltre
il suo sicuro rifiuto del nazifascismo quando dice: “Dentro di me non mi
sentivo per quel fare, mi sentivo ad essere alleata con tutti e
aiutarsi nel modo più umano della nostra vita.”
Ecco, forse è questa la sintesi
migliore sia del suo breve scritto che delle prose di Franca: questo sentimento
di umanità e di giustizia che rifugge dalla retorica, dalla violenza e
dall’inganno perché si desidera ardentemente un mondo più giusto… che non sia
insomma né una giungla né una caserma.
3/a ed ultima parte
Ciò che costituisce la parte più
autentica di uomini e donne oggi anziani e che furono duri ed umili lavoratori,
è questo profondo sentimento e desiderio di una vita migliore: una vita cioè
che non punta certo a lussi, applausi e riverenze ma solo a potersi godere in
pace i frutti del loro lavoro coi loro cari, senza essere più tormentati dagli
spettri della fame, della guerra e dell’ingiustizia… che purtroppo, ai nostri
giorni sono ben più che spettri!
Per quegli anziani ed anche per
noi, una vita migliore significa davvero “aiutarsi nel modo più umano”; il che
non significa né correre come dannati per ammassare più danaro possibile,
magari calpestando gli altri né vivere nell’ozio.
No, vuol dire fare in modo che
ognuno possa avere qualcosa in proporzione a quanto ha fatto ed a quanto gli
spetta.
Spesso è difficile, a volte
sembra quasi impossibile esprimere con parole chiare queste più che legittime
aspirazioni: ma quali mezzi possiamo utilizzare se non le parole? E
talvolta quelle possono essere fraintese: non sempre in buona fede.
Ma come dice benissimo Franca:
“Elena, abbiamo scritto le nostre parole. Ora si sono incamminate. Non
conosceremo il loro percorso. Sicuramente non cesseranno, mai più, di vivere.”
E questo è verissimo: soprattutto quando si tratta di parole che nascono dall'esperienza e dal cuore di persone generose.... persone che oltretutto non hanno subito la vita ma hanno cercato di capirne il senso, hanno tentato (secondo me con successo) di ricomporre quello che spesso sembra un puzzle assurdo, incomprensibile e talvolta anche crudele.
sabato 8 dicembre 2012
La discussione filosofica (parte settima)*
Ma anche quanto detto finora su sensibilità e dimensione
intuitiva dell’artista presenta il classico rovescio della medaglia, l’altra parte dello specchio o come vogliamo dire.
Infatti, proprio il complesso e
spesso contraddittorio sentire dell’artista può presentarsi come il suo
punto debole, poiché si fonda su elementi se non irrazionali almeno a-razionali
o meta-razionali, che quindi non si oppongono necessariamente alla
dimensione logico-razionale…
Ma nella mente e nel cuore
dell’artista gli altri elementi premono con tutta la loro drammaticità
ed urgenza fino a non fargli considerare la dimensione appunto
razionale, fondamentale e forse, neanche tanto auspicabile.
Egli, infatti, vede (o crede
di vedere, ma in campo artistico questa distinzione ha davvero poca importanza)
lati che prescindono dalla razionalità o che la superano.
Inoltre, l’importanza della fantasia,
della creatività, il ruolo insomma che nella creazione artistica riveste
l’aspetto ludico, di gioco1, tutto questo può condurre l’artista
o a credere egli nelle sue creazioni.
O ad instillare negli altri
l’idea che esse siano reali.
O ad entrambe le cose.
Comunque non dimentichiamo quella
che per me (e forse anche per tanti e tante) deve essere la stella polare della creazione artistica… come diceva
infatti il Socrate di Platone: “Un poeta per essere veramente tale deve
scrivere per immagini e non per deduzioni logiche.”2
L’artista che crei così cioè
in modo, come potrei dire, oltrelogico sarà davvero un artista perché
sapràabbandonarsi alla forza
della sua ispirazione senza temere di passare per un adolescente, un folle, un
ingenuo, un romantico fuori tempo massimo o chissà che altro ancora.
Le creazione di quel tipo
di creatore (ovviamente bisognerà giudicare anche la qualità, il valore delle
sue opere) saranno così fonte o occasione di godimento estetico, di sogno e di
stimolo anche sul piano filosofico.
E la natura non logico-razionale
dell’opera d’arte e dell’artista era del resto provata e difesa da un uomo ben
poco incline a concessioni romantiche come Kant, che scrisse: “Il genio
è il talento (dono naturale) che dà la regola all’arte.”3
Questa frase sintetizza la
convinzione fondamentale di Kant rispetto al problema estetico: non può
esistere alcun criterio oggettivo del gusto, che non può essere inculcato
da argomenti, tesi, ragionamenti, prove ecc.
Infatti, l’opera d’arte è libera
da qualsiasi regola o complesso di norme e “il genio stesso non può mostrare
scientificamente come le idee si trovino in lui.”4
Note
Le precedenti parti di questo
post sono comparse su questo blog rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la
2/a il 4/4/2008; la 3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il
27/11/2011; la 6/a il 15/11/2012.
1) E’
stato osservato che nel caso per es. di un’opera di Joyce come l’Ulisse il
suo “modello (non solo strutturale) era quello del poema eroicomico in
prosa. Così: “Il modello è sempre il medesimo: anche Finnegans Wake è
un poema eroicomico in prosa; troppo spesso ci si dimentica che alla base delle
due opere maggiori di Joyce vi è un elemento ludico, di gioco, di divertimento.
Anzi, questo elemento è ancora più accentuato in Finnegans Wake, dove la
parodia diviene struttura portante sul piano linguistico.” Giorgio Melchiori, Introduzione
a James Joyce, Finnegans Wake, Mondatori, Milano, 1982, p.XI.
Cfr. anche G. Melchiori, “I funamboli
del romanzo: il manierismo nella letteratura inglese da Joyce ai giovani arrabbiati, Einaudi, Torino, 1974, pp. 48-64.
2) Platone,
Fedone, Garzanti, Milano, 1980, IV, p. 77.
3) Immanuel
Kant, Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari, 1982, p. 166.
4) I
Kant, Critica del giudizio, op. cit., pp. 166-167.
Per una trattazione più sistematica ed esaustiva di questi temi in Kant cfr.
almeno Ibid., pp. 134-221.
lunedì 26 novembre 2012
“La casa dei ricordi”, di Fabio Melis
Questo bel libro di Fabio Melis
ha come sottotitolo Una storia cagliaritana, che però lui ha avuto il
merito di non circoscrivere solo all’ambiente sardo ed appunto cagliaritano.
Egli ha insomma utilizzato la sua (che è anche la mia) città come
specchio o lente per scrutare il mondo.
Pare che una volta Tolstoj abbia
detto: “Parla di Parigi e sarai provinciale; parla del tuo villaggio e sarai
universale.”
Penso che intendesse dire che
data la fondamentale (benchè non assoluta) somiglianza dei sentimenti e delle
passioni umane in tutto il mondo, uno scrittore che sia dotato di
talento saprà descrivere gli uni e le altre partendo da una realtà anche
piccola… per poi allargare il suo sguardo sul mondo.
Ed è proprio quello che ha fatto
Fabio.
Ora, al protagonista della
storia, Andrea Manca, tocca un compito davvero ingrato: occuparsi della vendita
della casa di famiglia. Per lui (e forse per tanti di noi) quella non una
casa ma la casa.
Quella in cui sei cresciuto e che
ti ha visto trasformarti dal bambino che eri in uomo. La casa in cui hai visto
invecchiare e morire i tuoi genitori… il luogo che ha custodito gli
affetti, accolto le nascite, l’amore ma che ha anche covato scontri, noia,
solitudine.
Su tutte le figure del libro
spicca quella della madre di Andrea, Letizia… una figura di donna forte e molto
dolce ma nello stesso tempo quasi tragica. La dimensione appunto tragica di
Letizia risalta soprattutto da come, progressivamente, lei viene fagocitata da
un grave disturbo della personalità… al quale peraltro Fabio accenna con
evidente dolore ma anche con grande pudore.
Di lei, che aveva come solo svago
l’esecuzione al piano di brani di musica classica, Fabio scrive: “Il pianoforte
le fatto compagnia sino all’ultimo, quando è rimasta sola coi suoi ossessivi
ricordi e non veniva neanche più l’accordatore a donare un po’ d’armonia e
dolcezza al suono del suo strumento. E’ stato allora che la sua melodia… si è
lentamente involuta in un’atroce agonia.”
Ecco, queste frasi sono così
struggenti nella loro bellezza che non saprei proprio commentarle… preferisco
evitare.
Inoltre, finchè la signora stava
bene, aveva un modo d’essere che ad Andrea ricordava L’onorevole Angelina,
il grande personaggio interpretato dalla grandissima Anna Magnani:
“Determinata, generosa, libera, creativa, amante della giustizia, simpatica e
spontanea.”
Da La casa dei ricordi emerge
il quadro di una famiglia felice ma la cui felicità non è sempre piena o
assoluta, una famiglia in cui si scherza e si discute molto (per es. di Brera
ed anche di Pasolini) e che tutto sommato, vive in armonia ed è piuttosto
unita.
In casa Manca c’è tutto il
necessario, ma benché il capofamiglia sia uno stimatissimo professore di liceo, si è ben
lontani da quel vivere (come talvolta dice qualcuno che dovrebbe documentarsi
meglio) al di sopra delle proprie possibilità che viene rimproverato
alle famiglie italiane.
Dai Manca si vive dignitosamente
ma la loro vita è fatta di economie, lavoro, rinunce. E’ una vita quindi non di
lusso ma di sacrificio.
Molte delle cose di cui parla Fabio sono tipiche della nostra
generazione: per esempio il programma radio Alto gradimento coi suoi
stralunati personaggi, l’annuncio pubblicitario della Stock di Trieste
che precedeva l’altra trasmissione radiofonica, la calcistica Tutto il
calcio minuto per minuto.. che con mio padre, seguivo anch’io.
Appartengono un po’ alla nostra
generazione anche Gigi Riva, Corto Maltese, i Beatles, l’allunaggio ecc. ma
Fabio ha “reso” tutto ciò con affetto ma senza lacrimosa nostalgia. Non si
tratta insomma di un libro solo per noi che ormai siamo negli anta!
Inoltre, luoghi, fatti e persone
di quegli anni sono presentati in un modo che risulterà chiaro anche a chi è
molto più giovane, o non cagliaritano.
N.B: le stesse frasi o battute in
sardo o in dialetto cagliaritano sono tradotte.
Vorrei dire ancora tanto ma è meglio di no: leggete questo libro, che sa
dire parecchio da solo… leggetelo, non ve ne pentirete.Ah, dimenticavo, Fabio: chapeau!
giovedì 15 novembre 2012
La discussione filosofica (parte sesta)*
Ora, io credo che talvolta certi artisti
più che tanti filosofi di professione possano pervenire ad una profonda
comprensione di problemi storico-sociali, relativi all’etica, alla natura della
conoscenza, dell’amore e dell’odio ecc.
Forse ciò accade perché la loro passionalità
e la sfera dei loro sentimenti, delle loro emozioni ed il complesso delle
loro sensazioni è più viva che in altri.
Così, l’inquietudine che li muove
agisce probabilmente come una sorta di potentissima lente d’ingrandimento del
reale, o come un raffinatissimo strumento in grado di captare o decifrare la
natura intrinsecamente complessa di quel mondo che Gramsci definiva “grande e
terribile e complicato.”1
Nel dir questo penso a Poe ed
al suo forte interesse per l’orrore e
la violenza che talvolta esplodono in modo del tutto imprevedibile nel quotidiano
(pensiamo almeno agli Assassinii della Rue Morgue), ma anche a come
Thoreau, il teorico della disobbedienza civile presentiva l’avvicinarsi della meccanizzazione
dell’uomo.
Penso al travaglio di Dostoevskij
per il dolore dei bambini, tanto che nei Fratelli Karamazov leggiamo che
non sarebbe lecito “mettere alla tortura anche soltanto un piccolo essere”:
nemmeno se con ciò si potesse “rendere definitivamente felici gli uomini.”
Se cioè con questo si potesse far sparire per sempre dal mondo il male,
l’ingiustizia ed ogni angoscia ed insomma portare per così dire il Paradiso in
terra.2
Penso col Piovani a come
scrittori quali Proust, Kafka e Joyce
siano assimilabili a un “palombaro che sondi”.3
L’artista, infatti,
esplora profondità psicologiche ed esistenziali che tanti filosofi di
professione sarebbero tentati di fissare in categorie concettuali rigide,
quindi ben poco dialettiche ed insomma non del tutto filosofiche.
Ancora, la grande capacità intro-spettiva
degli artisti, la loro capacità di saper guardare dentro le cose, al
loro interno, davvero nel loro in-timo è stata rappresentata al meglio dal Dostoevskij
dei Ricordi dal sottosuolo...
In quel particolarissimo romanzo (che è insieme invettiva, confessione e demolizione d'ogni e troppo consolatoria visione estetica o filosofica), il protagonista afferma la propria
esigenza di isolamento ma non di solitudine
Egli afferma inoltre l'esigenza di voler difendere la
sua individualità da masse che perlopiù non sarebbero composte da esseri
realmente coscienti… e che perciò non costituirebbero ancora una società. Eppure, come potrebbe un misantropo come questo vivere in società?
Il Dedalus di Joyce può comunque dimostrare se non “rigore scientifico” almeno un certo grado di “intuizione” e
di persuasione.4
Note
* Le precedenti parti di questo post sono comparse su questo blog
rispettivamente: la 1/a il 25/03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la
3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011.
1) Antonio
Gramsci, Lettere dal carcere, a Giulia, 18 maggio 1931, Editrice
L’Unione Sarda, Cagliari, 2003, p.243.
2) Cfr. Charles Journet, Il male. Saggio teologico, Borla, Torino, 1963, p.220.
3) Pietro Piovani, Principi di una filosofia della morale, Morano, Napoli, 1972, p.13.
2) Cfr. Charles Journet, Il male. Saggio teologico, Borla, Torino, 1963, p.220.
3) Pietro Piovani, Principi di una filosofia della morale, Morano, Napoli, 1972, p.13.
4) Umberto Eco, Il
problema estetico in Tommaso D’Aquino, Bompiani, Milano, 1982, p.152.
La stima di Eco per Joyce dipende qui dall’analisi che Dedalus conduce attorno
al termine claritas come si trova nell’Aquinate; cfr. J. Joyce, Dedalus,
Mondatori, Milano, 1986, pp.248-249.
sabato 13 ottobre 2012
Qualche scemenza su qualcosa che non lo è
Lo metti
tra i raggi della tua bicicletta,
tra le speranze inacidite,
le tue carte e i tuoi ricordi…
lo metti
e a volte lo trovi
in progetti che non realizzerai,
lo cerchi
e non lo trovi
in incubi senza consolazione…
è il bacio di una ruspa a forma
di nostalgia,
è un angelo e a volte un vampiro.
Me ne cibo
ma devo assassinare il mio
orgoglio,
è un vecchio orsacchiotto
che sogna fiumi in cui non sa
nuotare
ma ti offre il suo salvagente,
gli piace cantare
quando non hai altra musica che
un rauco silenzio.
Penso che quando sarò troppo
vecchio, stanco
ma ancora abbastanza affamato
e sarò magari un barbone
o un moderno tipo di monaco
lo metterò
in un sacchetto di carta
e mi sdraierò da qualche parte
a mangiarlo,
l’amore.
venerdì 31 agosto 2012
On the road again (di nuovo sulla strada)
Come tanti, anch’io viaggio d’estate… cioè quando con la
famiglia siamo liberi dal lavoro e dalla scuola; secondo me, quella è la
stagione ideale per visitare e gustare panorami.
Certo, può esserci il problema
del caldo. Per questo spesso scegliamo climi e Paesi freschi.
Fosse per me, che non soffro proprio il caldo, potremmo
andare in vacanza anche nel Sahara… o giù di lì. Solo, dubito che la mia famiglia
gradirebbe!
Bene, finora abbiamo visitato
soltanto l’estero, ma ci tengo a sottolineare che prima o poi non ci dispiacerà
per niente visitare anche l’Italie.
Il nostro patrimonio
storico-artistico è tra i migliori del mondo: ma forse il fatto di conoscerlo
(voglio dire a livello di studio, precedenti e singoli viaggi, internet,
giornali ecc.) può forse renderlo scontato mentre ovviamente, non lo è.
Bene, tra i Paesi da me-noi finora visitati, ho sempre
apprezzato quelli latini… per via della mentalità e del modo di essere, che ho
sempre trovato in sintonia con noi del Belpaese.
Ricordo infatti che nel 1996 a
Toledo la guida spagnola ci disse (criticandola un po’) che a Siviglia la gente
diceva spesso mañana, domani;
come a volte si pensa che facciano i messicani…
Ma forse, spesso si volge in
caricatura una tendenza dello spirito latino ed anche mediterraneo a
prendere le cose con calma, non ad evitare di farle.
Gli antichi Romani dicevano festina
lente, affrettati lentamente; eppure conquistarono e civilizzarono quasi
tutto il mondo allora conosciuto.
Un giornalista svedese raccontava
che durante un suo soggiorno in Tunisia doveva fare delle cose urgenti
all’ufficio postale. Così entrò trafelato nell’ufficio in questione, ma
l’impiegato disse: “Prima di tutto, buongiorno.”
Ecco, non è detto che la velocità
e l’efficienza debbano farci trascurare la cortesia o trasformarci in robots
che corrono come schegge impazzite. Velocità, efficienza e cortesia possono
star benissimo insieme.
Nel caso poi della Spagna, ho
avvertito un’affinità particolare non solo col carattere italiano, ma anche con
ciò che caratterizza noi sardi… cioè un’apparente lentezza.
Il nostro scrittore Giuseppe
Dessì diceva in Sale e tempo (cfr. G. Dessì, Un pezzo di luna,
Edizioni della torre, Cagliari, 1987, p.41) che gli aveva fatto
perdere del tempo solo l’ansia di perderlo.
Egli spiegava che una volta
libero dagli obblighi e dai doveri impostigli da genitori, insegnanti ecc.,
capì che la sua non era (ciò di cui lo accusavano) pigrizia ma volontà e
capacità di guardare le cose, gustarle, ricrearle nel suo cuore e nella sua
mente. In tal modo padroneggiandolo, quel benedetto tempo…
Del resto, come mi faceva notare
giorni fa in Olanda un mio anziano conterraneo (certo dotato di competenze nel
lavoro contadino), spesso quando ammiriamo l’efficienza e l’organizzazione
agricola olandese, non dobbiamo scordare l’influenza che su tutto questo
esercita il clima.
Piogge per almeno 3/4 dell’anno;
di conseguenza, pascoli abbondanti; temperature che a parte il periodo invernale
non sono mai troppo rigide… né calde o torride durante il resto dell’anno.
Su quest’ultimo punto, molti
amici di Nuoro città (e dintorni) mi hanno sempre detto che da loro, in
Barbagia, in inverno nevica parecchio ed il clima è molto freddo almeno fino ad
aprile.
Poi, in circa metà della Sardegna
(da Oristano in giù) la primavera e l’estate fanno registrare temperature che
vanno dai 20 ai 35 gradi abbondanti… e con piogge davvero scarse, in confronto
alla media olandese.
Certo, agli olandesi dobbiamo riconoscere
qualcosa che non può derivare dal clima, intendo programmazione economica, studio e conoscenza del territorio,
utilizzo dei mezzi tecnici e finanziari senza sprechi né ruberie, inesistenza
di tangenti e corruzione, bassa evasione fiscale ecc. Non mi sembra poco!
Ma se anche qualcuna di queste
ultime cose dovesse esistere, non impedisce il buon funzionamento delle cose.
Sul piano del carattere un
mio amico (memore del Montesquieu de Lo spirito delle leggi e dei luoghi)
sottolinea come il clima influenzi appunto il carattere ed i costumi
degli esseri umani. I climi freddi ci chiudono nell’ambito della nostra
famiglia o al massimo di ristrette cerchie d’amici.
Quelli caldi ci invitano
alla vita all’aperto, nelle piazze, nelle strade, ci rendono più espansivi
anche verso gli sconosciuti.
E’ questa, prosegue l’amico, una
caratteristica dei latini e dei mediterranei.
Condivido la sua tesi, ma con qualche riserva: amici ed alcuni
miei nipoti, che hanno lavorato e lavorano tuttora a Dublino, in Irlanda, mi
parlano dei locali proprio quasi come se fossero italiani, spagnoli, greci ecc.
Il mio amico Max, valente
chitarrista, durante le sue scorribande rock-alcolico-musicali (sulle altre massimo
riserbo) mi ha dipinto i bretoni con colori latino-mediterranei. Eppure, la
Bretagna si trova nel nord della Francia.
Io ho conosciuto gente di Parigi
molto affabile; altrettanto dicasi d’alcuni inglesi e tedeschi.
Ma certo, da un punto di vista generale
direi che esista un’influenza del clima sul carattere.
Io, per esempio, mi sento molto latino ma ho spesso dei momenti in
cui mi estranio da tutto e da tutti per immergermi nei miei pensieri, nei miei
sogni ed anche in qualche… incubo. Sì, perché ci sono anche quelli: se
vuoi il sogno non puoi schivare l’incubo; troppo comodo, cocco!
Proseguiamo.
Arrivati
all’isolotto di Marken, la nostra guida (il sig. Ben Stipe) ci ha raccomandato
di non fare chiasso.
Questa raccomandazione sarebbe
stata inutile per degli olandesi, per dei tedeschi, danesi ecc., ma utilissima
per dei latini (però forse noi sardi possediamo un certo autocontrollo). In
effetti, noi che abitiamo da Parigi in giù, con la nostra espansività potremmo
risultare fastidiosi ad occhi e ad orecchie nordiche.
Vedete, Marken è stata fino ad un
po’ di tempo fa una cittadina di gente di mare e di pescatori… e non per hobby.
Tantissima parte del territorio
olandese è stata letteralmente sottratta al mare o comunque a corsi d’acqua che
la percorrevano, la solcavano e circondavano… mettendo non di rado a rischio
l’esistenza della terra e la vita delle stesse persone.
Per me, nella lotta condotta sia
dall’antica che dalla moderna gente d’Olanda contro il mare, è stato creato un prodigio di fronte al quale
sfigurano perfino le piramidi.
Ora a Marken non si vive
più di pesca: secondo Ben, almeno l’80% dei suoi abitanti lavora ad Amsterdam o
alla sua periferia. Ma quando l’abbiamo visitata noi (a ferragosto) erano tutti
in ferie e chi si trovava in casa aveva bisogno di riposare. Da qui la
raccomandazione del buon Ben.
Marken… casette in legno molto
basse risalenti ad alcuni decenni fa ma perfettamente curate, inoltre disposte
su alcune file a ragionevole distanza le une dalle altre, verde ovunque,
vialetti perfetti, le barche anch’esse disposte secondo un ordine quasi
geometrico (sarebbe il caso di dire… spinoziano!), nessun tanfo di nafta
né (perfino) di salsedine, nessun frastuono di radio né di tv, nessuno che
trincasse o urlasse per strada…
Poi, in un bar in rigoroso legno
marinaresco, ho visto delle foto degli antichi abitanti…
Quelle foto, che
risalivano a fine ‘800 inizio ‘900, mostravano della gente fiera, anche dura;
mostravano uomini, donne ed anche bambini dalla facce scavate dal lavoro, dal
gelo e dal vento.
Perfino i bambini avevano un’aria
indifferente all’obiettivo… ma nello stesso tempo, quasi spaurita. Ed in quelle
foto, non sorrideva nessuno.
Ecco, io ho trovato questo molto
interessante: perché gente come quella aveva ben poco da sorridere e
vedere quei volti mi ha dato una certa tristezza… uomini, donne, bambini: tutti
condannati, se volevano vivere (ma era vita?) a tantissimi stenti ed a
parecchie privazioni; condannati, non di rado, anche alla morte.
Ad un livello più generale, ho
pensato a perché mai nelle foto si debba (quasi per forza) sorridere.
Io, poi, “esco” sempre con una smorfia a metà tra Jack lo squartatore ed una
maestrina dell’’800.
Comunque, dopo Marken siamo
tornati ad Amsterdam.
Ma racconterò questa storia un’altra volta.
venerdì 3 agosto 2012
L’ultimo mandante (Bologna, 2 agosto 1980- Bologna, 2 agosto 2…)
Per molti era il senatore;
per qualcuno, il paracadutista.
Ma per tutti era il dottore:
sì, un titolo quasi umile, quest’ultimo… ma lui coltivava una sottile, ipocrita
umiltà.
Anni prima aveva pubblicato il
saggio Sul valore del male in cui sosteneva che non era difficile essere
onesti, altruisti, sinceri ecc. ma che tutto ciò era “bovino, asinino, tipico di chi teme la vita e non sa assaporarla.”
Era scoppiato uno scandalo così
decise di interrompere la propria carriera di saggista; si era trattato del suo
solo passo falso.
Ma da allora aveva iniziato a
tessere i fili della sua oscura ed in apparenza poco redditizia ragnatela, che
per sua scelta non l’aveva condotto (per decenni) ai vertici del potere.
Ed
aveva i suoi dossiers, le sue intercettazioni, registrazioni, foto, video,
documenti ecc.
Perché tenere sotto controllo il
tenentino, lo scribacchino di provincia, il sindaco di paese, l’industrialotto?
Questo gli chiedevano i suoi amici.
Che domande!
Lui sentiva che il
tenentino sarebbe diventato generale, l’industrialotto un grande imprenditore;
il sindaco, ministro o boss di una grande banca; lo scribacchino, influente
opinionista tv.
E non sbagliava quasi mai.
Al momento giusto quei piccoli
sarebbero diventati grandi, utili e ricattabili.
Ed aveva capito che se sali
troppo, quando cadi sei finito.
Molto meglio stare in basso…
Da
dove puoi osservare la caduta dei grandi, magari attutire la loro caduta ed
aiutare a salire gli ancora piccoli… così avrai la riconoscenza e l’appoggio
degli uni e degli altri ed accumulerai potere… che utilizzerai al momento
giusto.
Importante non puntare
all’esercizio diretto del potere ma stare nell’ombra, prendere e/o
fingere di prendere accordi, progettare nuove alleanze da intrecciare alle
vecchie, essere severi custodi degli antichi valori ma entusiasti sostenitori
dei nuovi.
Certo, ogni tanto il Paese aveva
bisogno di qualche scappellotto: come aveva scritto qualcuno, da noi “lo stragismo”
è stata la modalità normale di gestione del potere… almeno dai tempi del
Valentino, tanto ammirato da Machiavelli!
Che cosa non avevano fatto, loro…
Poi non era importante (e forse
neanche possibile) stabilire chi fossero, appunto loro…
I vari dominatori che si
erano succeduti alla guida del Paese dal Medioevo ad oggi, le tante mafie, la
massoneria, i servizi segreti deviati?
I vertici di polizia, Chiesa,
industria, magistratura, media, sindacati compiacenti?
Terroristi d’ogni colore,
intellettuali da salotto, artisti vanesi o deliranti?
Sì, loro erano tutto questo e molto
più di questo.
E trovavano ulteriore forza
pescando in quella zona grigia priva di qualsiasi confine e consistenza…
che così dava sempre più il Paese in mano a loro: oxfordiani o francescani di
fuori, banditi di strada di dentro. E per sempre.
Sì, ogni tanto qualcuno urlava il
suo no! Gente come Gramsci, Pasolini, Falcone e Borsellino. Ma erano
pochi e stroncarli, facilissimo.
In un Paese in cui quasi tutti
temono più di passare per fessi che risultare assassini, cavernicoli, erotomani
o ladri, loro avrebbero regnato in saecula saeculorum.
Ed ogni tanto una bella strage, lo
scappellotto teneva il Paese buono per 15-20 anni.
Negli ultimi tempi lui aveva
finalmente accettato incarichi importanti: prima a Bruxelles poi nel governo
italiano.
Ora, a 40 (o erano 50?) anni
dalla strage di Bologna era ministro della difesa ma stranamente, aveva
iniziato a provare una nuova sensazione… come di rimorso, se non di pentimento.
Molti di quelli che avevano tramato con lui erano morti… ma non tutti. E
lui era il mandante più potente: anche perché aveva tutto quel materiale…
Forse era arrivato il momento di
spezzare quella catena di menzogne, depistaggi, massacri e connivenze che
durava da un tempo schifosamente infinito.
Padre Mario era stato chiaro:
“Senza riparazione non può esistere assoluzione. Insomma, vada a dire
tutto quello che sa, che ha fatto e che ha fatto fare,
assassino!”, aveva concluso urlando.
‘sti preti che parlano come
guerriglieri sudamericani!, aveva pensato lui, stizzito. Ai vecchi tempi aveva
prestato la sua consulenza d’esperto torturatore in Argentina ed in Cile…
Ma il gesuita aveva ragione,
doveva parlare.
Ora l’aveva fatto e tutto
era stato messo a verbale, ma capì subito che provava vergogna, non rimorso o
pentimento. Avrebbe voluto pentirsi ma non ci riusciva.
Ormai il cancro gli lasciava solo
altri 2 mesi, presto avrebbe dovuto presentarsi davanti ad Autorità ben più
potenti e scaltre di lui.
Dovrò bruciare all’Inferno, pensò
con amarezza.
Improvvisamente ebbe una chiara
visione del nulla che era nonché una lacerante percezione della sua
inumanità e di tutta la morte che aveva causato.
Invocò disperatamente il dono del
pentimento, che però non venne; pensò che era giusto così perché in fondo,
anche ora, cercava solo una via di scampo.
Ma stavolta non ci sarebbe stato
nessun depistaggio o cavillo, prescrizione, falsa testimonianza, ragion di
Stato, immunità diplomatica, aereo che lo trasportava in Paesi compiacenti nè nient’altro di simile.
Stavolta era solo e disperato.
E lo sarebbe stato per sempre.
In questa e nell’altra vita.
Per l’eternità.
martedì 17 luglio 2012
Un’estate piena di…
Auguro un’estate piena di…
lavoro stabile, diritti e
giustizia sociale a chiunque sia precario, disoccupato o anche occupato ma a
rischio licenziamento (non per sua colpa).
Spero che ovunque vadano i
turisti trovino, oltre al riposo ed al divertimento, anche strutture e
personale che li introduca alle particolarità ed ai “misteri” che ogni terra
racchiude.
Ciò ha a che fare (oltre che con
mare, laghi, montagne e divertimenti vari) anche con la storia e cultura di
quei luoghi.
Forse questo riguarda soprattutto
il patrimonio artistico del nostro Paese (uno dei più grandi del mondo!) la cui
cura potrebbe inoltre creare tanti posti di lavoro.
Speriamo in tanti investimenti,
studi, ricerche e progetti per quel patrimonio…
Naturalmente, in questo momento il
mio pensiero va… soprattuttissimamente al patrimonio storico-artistico
dell’Emilia-Romagna!
Oltre che (in modo altrettanto naturale) alle sue
popolazioni…
Ancora. Come ricorda Guido
Liguori, “lo storico statunitense John M. Cammett ha raccolto una bibliografia su
Gramsci tra il 1922 ed il 1993 di oltre diecimila titoli.”1
Bene, dal ’93 quella bibliografia
è probabilmente cresciuta. Ma in Italia gli studi su Gramsci cioè su un uomo
ormai studiato e da tempo in tutto il mondo, non sono più tanti.
E quest’ultimo punto è stato in
effetti riconosciuto proprio qui, a Cagliari, nel corso di una recente presentazione del
Dizionario gramsciano, dallo stesso Liguori (presidente
dell’International Gramsci Society Italia).
Ora, mi sia perdonata
un’autocitazione, “segnalo che il 19 ottobre 2007 presso l’istituto di studi
filosofici di Napoli è stata presentata l’edizione in lingua cinese delle
Lettere dal carcere.”2
E proprio qui in Sardegna abbiamo
uno studioso come Gianni Fresu che sul pensiero di Gramsci ha pubblicato un
testo sistematico, rigoroso ed insieme scorrevole.3
Qualche citazione da Gramsci, che
su punti rilevanti della dimensione storica, sociale e culturale (e non solo
culturale in senso accademico) prova tutta l’attualità del suo pensiero.
Sulla mediocrità intellettuale e
morale di tanti politici italiani, il Nostro scrive: “Non hanno il senso
dell’universalità della legge”, infatti “sono gli ultimi relitti di
un’italianità decrepita, uscita dalle sètte, dalle logge (…). Un’italianità
piccina, pidocchiosa, che contrappone all’autorità dispotica dei principotti
una nuova autorità demagogica non meno bestiale e deprimente.”4
E nel condannare il salasso di soldi
pubblici ad esclusivo vantaggio di pochi privati, egli osservò che
così nascono “elefantiaci bambinelli industriali, che vivono solo in quanto
abbondantemente sfamati dall’erario nazionale.”5
Ed i nostri governanti?
Bisogna che s’adattino a queste
condizioni: essi non sono responsabili dinanzi a un partito che voglia
difendere il suo prestigio e quindi li controlli e li obblighi a dimettersi se
deviano; non hanno responsabilità di sorta, rispondono del loro operato a
forze occulte, insindacabili, che tengono poco al prestigio e tengono
invece molto ai privilegi parassitari.”6
E potremmo continuare…
Aggiungo solo questo: in Gramsci,
oltre ad un livello sociale e storico-filosofico (quello più chiaramente
riscontrabile nei Quaderni, ne La questione meridionale ecc.) e
ad un livello autobiografico ed
introspettivo (le Lettere) si trovano vari altri livelli…
Livelli che per così dire sposano
la dimensione pubblicistica con una anche saggistica, se non addirittura
filosofica “forte.”
Al riguardo si leggano almeno
scritti come Odio gli indifferenti7, L’ indifferenza e La
storia8, La storia è sempre contemporanea9, Cocaina10 ecc.
Io credo che tutto ciò si trovi
anche in scritti di taglio soprattutto giornalistico (qui penso soprattutto a
quelli raccolti in Sotto la Mole (1916-1920).11
Ed anche su questo (ma a Gianni
ne ho accennato) penso che ci sia molto da lavorare; nel mio piccolo, per non
dire nel mio minuscolo, ci sto provando.
Perciò: un’estate piena di tante e durature soddisfazioni a tutti gli
studiosi e gli editori che vorranno riprendere ad occuparsi del grande
pensatore e rivoluzionario!
Spero poi che quest’estate
contenga un n° pressoché infinito di micidiali ceffoni per: mafiosi, speculatori finanziari, licenziatori senza
giusta causa;
chi trattò con la mafia;
razzisti, pedofili, stupratori,
trafficanti d’armi e di droga;
usurai, torturatori,
guerrafondai, fanatici religiosi e terroristi in genere;
violatori delle norme di
sicurezza sul lavoro e costruttori “disinvoltini.”
Passando ad altro cioè in
particolare a me…
In questo momento sto ascoltando
l’ultimo disco di Springsteen, Wrecking ball. Clarence Clemons, Big
man è morto da 1 anno e spesso, ora quando ascolto zio Bruce provo
tristezza.
Va bene, sarà ridicolo provare un
sentimento come questo per uno che non ho mai conosciuto di persona; sarà
assurdo affezionarsi ad un musicista… rock, oltretutto. Sarà da adolescenti molto
fuori tempo massimo; in effetti, tra soli 50 anni ne compirò 100!
Be’, pazienza: perché il sax di
Clemons mi ha sempre sollevato da terra.
Quando ascolto il solo di Jungleland
e Bru canta di una strada in fiamme “in un autentico valzer di
morte/ sospesa tra la carne e la fantasia”… ed i poeti/ cercano di resistere/
ma cadono infine feriti/ non ancora morti,/ stanotte, nella giungla
d’asfalto”…12
Bene, a quel punto l’arte, la
visione, la musica (la mia follia, se volete) mi porta oltre ed
altrove, laddove cioè il dolore sparisce… almeno per un po’.
Sarà ridicolo, da scemi ecc.
sentire tutto questo quando si ascoltano certe canzoni, ma a chi trova una
goccia nell’amaro, non importa.
Spero che sotto il mio ombrellone
ci siano molte di quelle gocce: anche perché spesso il mio amaro guasta
l’armonia di chi mi sta attorno.
La mia stessa armonia,
poi, è una vita che la guasta.
Insomma, è una vita che mi guasto
l’armonia.
Tutto chiaro, no?
Quest’estate spero di trovare
anche qualche goccia di storia: infatti le voci dei fantasmi d’alcuni minatori
cominciano a farsi sentire in modo piuttosto insistente…
A presto, perché (nonostante
l’estate) cercherò di continuare ad infestare il mio e spero anche i vostri
blog.
Note
1) Riccardo
Uccheddu, Introduzione a Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Davide Zedda
Editore, Cagliari, 2008, p.7, n.2, appendice di
Stefania Calledda.
2) R.
Uccheddu, Introduzione a A.Gramsci, Lettere dal carcere, op. cit.,
p.7, n.2; cfr. poi Liberazione, 18/10/2007, p.10.
Il corsivo è mio.
3) G.
Fresu, Il diavolo nell’ampolla, La Città del sole, Napoli, 2005.
4) A.
Gramsci, La scimmia giacobina, in Id., Piove, governo ladro!, a c. di
Antonio A. Santucci, Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 83.
5) A.
Gramsci, Il regime dei pascià, in Id., Piove, governo ladro!, op.
cit., p.113.
6) Ibid.,
p.113. I corsivi sono miei.
7) A.
Gramsci, Odio gli indifferenti, in Id., Odio gli indifferenti,
Instant Book Chiarelettere, Milano, pp.3-6.
8) Cfr.
rispettivamente A. Gramsci, L’indifferenza, in Id., Piove, governo
ladro!, op. cit., pp. 59-60 e nello stesso vol. citato
La storia, pp. 60-62.
9) A. Gramsci, La storia è sempre
contemporanea, in Odio gli indifferenti, op. cit., pp.54-56.
10) A. Gramsci, Cocaina, in Id., Piove,
governo ladro!, op. cit., pp. 100-103.
11) Id., Sotto la Mole (1916-1920), Einaudi,
Torino, 1960.
12) B. Springsteen, Tutti i testi con
traduzione a fronte, a c. di Guido Harari, Arcana editrice, Milano,
1985, pp.114-115.
sabato 2 giugno 2012
Vivere interi
Mario era seduto al tavolo di
cucina; si sentiva sereno.
Gli ultimi tempi erano stati
brutti: amici bravissimi a fingersi tali, donne troppo fredde, lavori
mal pagati ed anche umilianti. Parenti perfettini e sprezzanti; in definitiva,
insopportabili. E Dio un po’ troppo distratto.
Bevve il caffè con calma e dopo
una decina di minuti passò all’acquavite.
Pioveva. Fuori, pioveva,
ma c’era stato un tempo in cui aveva abitato in case in cui pioveva anche dentro.
Accese la radio e pescò You
can’t get always what you want dei Rolling Stones… non puoi ottenere sempre
quello che vuoi. Verissimo.
Gli piacevano, le Pietre
Rotolanti, con quelle chitarre sporche ed essenziali; a Mario piaceva
soprattutto Keith Richards. Gli Stones: l’ultima forma di civiltà (o quasi) prima che il
mondo sprofondasse nel caos.
Continuava a piovere.
Di solito nei films o nei romanzi
quando qualcuno se ne sta da solo in una sera di pioggia, sembra sempre (o
quasi) alle prese con ricordi o pene più o meno struggenti d’amor perduto.
Lui no. Per lui quando
l’amore finiva doveva essere archiviato e stop. Stop.
“Stranissimo, questo, da parte di
uno che si è laureato in lettere con una tesi sui poeti provenzali”, commentava
Veronica.
“Il massimo del cinismo”, diceva
invece, lapidaria, Mariuccia.
Che cosa dicesse poi Albertina,
lui non l’aveva mai capito: parlava, parlava, parlava ed alla fine gli sembrava
che non avesse detto niente.
Altra acquavite, grazie.
Mario pensò che per avere quasi
50 anni poteva sembrare inconsueto il fatto che avesse avuto solo 3 donne,
comunque non gli importava: secondo lui l’amore era sopravvalutato.
Squillò il telefono, era il dr.
Congiu.
“Salve, caro professor Atzeri.
Come sta?”
“Starei benissimo se coi vostri
cavilli legali non mi aveste tagliato gli ultimi compensi.”
“Un momento, carissimo…”
Carissimo?!
“Come lei senz’altro saprà, fare
da cavia non è una prassi ufficialmente riconosciuta: quindi eventuali
ritardi (non tagli ) nei pagamenti dipendono da una questione di
prudenza. Sa, il ministero della salute si trova in causa con quello della
giustizia, perciò al momento non possiamo esporci troppo. Ma riconosciamo tutti
il coraggio e la costanza da lei dimostrate sia nel donare il sangue che nel
farsi asportare e/o installare diversi blocchi di memoria e di percezione. E le
abbiamo appena inviato un assegno di 35 euro. E’ contento?”
Mario chiuse la comunicazione.
Era umiliante fare da cavia in
ospedale ed in vari laboratori: perfino i medici, i
ricercatori e gli infermieri avevano ancora verso gente come lui certe antiche
prevenzioni… quando tutti sapevano che le cavie erano ergastolani,
pazzi, malati terminali di aids o comunque “soggetti socialmente
pericolosi.”
Ma lui era soltanto un
disoccupato, sia pure laureato. Ci mancava solo ‘sto scemo che lo trattava come
un ragazzino a cui si dava la paghetta! Perché non ci provava lui, a dare il
sangue 6-7 volte al mese e a farsi frugare il cervello?
Mario decise d’uscire: col suo lasciapassare poteva attraversare 3 quartieri della città, poi nel suo era stata aperta una clinica clandestina che pagava il
sangue anche 6 euro e 20, anziché i soliti 5 e 90 degli ospedali legali. Certo,
nei “legali” non ti beccavi virus ed infezioni varie, ma diciamo la verità: al
giorno d’oggi chi poteva permettersi di sputare su 30 centesimi in più?
Il bar di Nello era deserto,
eppure lui gli offrì gratis un bicchiere d’acqua, del pane e 5 olive. Gli
disse soltanto: “Prometti che non ti farai impiantare nuovi blocchi di memoria
o frammenti di percezione di qualcun altro.”
“Nello, quella è chirurgia
psichiatrica sperimentale: ti danno anche 7 euro e 80 a blocco. Se poi ti
fai fare almeno 2 elettroshock, becchi altri 20 euro.”
“Bravo, così entro 2 anni diventi
una specie di deficiente! Semmai, fatti levare un rene oppure 2 dita.”
“Ho 49 anni, sul mercato i miei
reni o le mie dita non valgono granchè.”
Con la sua parrucca viola si
avvicinò Gina che lo fissò per tanti, troppi secondi poi disse: “Vuoi sposarmi,
Pierre? Ti amerò sempre ed anche per sempre.”
Lui rispose di no con tutta la
gentilezza di cui era capace quindi salutò lei e Nello, si alzò ed uscì dal
bar.
Una volta fuori, perso o
abbandonato al gelido vento che veniva dal mare, Mario fissò il porto in rovina
da cui, anche a distanza di anni continuava ad arrivare la puzza di nafta e di
fumo… che però una volta era stato profumo di lavoro.
Provò rabbia e rimpianto per
quello che era stato e che non era più ed insieme, trovò inutili le idee stesse
di rabbia e di rimpianto.
Perso nel nauseante tanfo della
salsedine, della nafta, delle alghe marce e nel dolce-amaro dei ricordi, gli
venne quasi da piangere.
E poi che mondo era, quello in
cui la gente solo per sopravvivere era costretta a trasformare il proprio corpo
e la propria mente in un magazzino vivente di pezzi di ricambio?
Squillò il cellulare, era Gina.
“Che fai, Pierre?”
“Niente. Penso. Cammino e penso.
Penso, ricordo, immagino, sogno… cose così.”
La comunicazione si interruppe.
Succedeva sempre più spesso, negli ultimi tempi: sentivi un “clic” quasi
impercettibile poi cadeva la linea.
Ma non si poteva parlare di controllo:
“tecnicamente” eravamo ancora in democrazia. Il parlamento esisteva ancora,
anche se si riuniva perlopiù per festeggiare il Natale, Halloween e le vittorie
della nazionale ai mondiali di calcio. Esistevano ancora le libertà di stampa,
opinione, riunione ecc., benché sottoposte alla “tutela” di prefettura,
ministero degli interni e polizia.
Certo, la Costituzione (in seguito alle stragi di
Torino e di Roma) era stata “temporaneamente” sospesa nel 2140; quella
sospensione durava però da 15 anni.
Mario entrò in una gelateria,
ordinò un sorbetto che la ragazza al banco gli servì con aria piuttosto tesa
per poi dirgli: “Senta, consumi in fretta perché stiamo chiudendo. Aspetti,
aspetti, ci sono le ultime notizie alla netv.”
Mentre sullo schermo scorrevano
le immagini di combattimenti alternate a spogliarelli, una voce concitata
disse: “La notizia del giorno è che il presidente del consiglio è stato
riconosciuto colpevole anche nell’ultimo grado di giudizio. Il pm ha dimostrato
che quando il presidente era ministro degli interni (negli anni compresi quindi
tra il 2135 ed il 2138) organizzò una task-force di militari e uomini dei
servizi segreti che scatenò le stragi di Torino del 2137 e di Roma del 2138, in
cui morirono 192 innocenti. Ricordiamo i provvedimenti da lui presi:
“sospensione temporanea per motivi d’ordine pubblico” della Costituzione,
scioglimento dei sindacati, ripristino della pena di morte, ricorso “limitato”
alla tortura. Ma… notizia d’agenzia! Il presidente si è appena suicidato! Scusate,
controlliamo lo share perché deve essere schizzato alle stelle!”
Allora la ragazza sintonizzò su un sito
più serio.
Il commentatore, in effetti
compassato, quasi ingessato stava dicendo: “I ministri degli interni e della
giustizia si sono appena dimessi, quello della difesa e lo stesso presidente
della repubblica sono irreperibili dalle 9 di stamattina; si sospetta che il
ministro della giustizia abbia coperto le stragi del ’37 e del ’38. Penso che
entro poche ore si dimetteranno tutti i membri dell’attuale governo: possiamo
quindi ritenere che al momento, il Paese si trovi senza alcuna guida
politico-istituzionale. Cedo ora la parola al nostro politologo, il prof Loni. Salve, professore. Ci dica, come vede la situazione?”
“Salve a lei ed a tutto il nostro
pubblico, dottor Tonelli. Beh, più che di situazione parlerei di caos:
il peggiore degli ultimi 200 anni. Il governo si è sgretolato, sono state
accertate le tremende responsabilità del presidente nelle più sanguinose stragi
della repubblica ed intanto, il gen. Narduzzi ha assunto tutti i poteri e fatto
schierare “a difesa” (dice lui) della capitale 20mila soldati. Questo folle ha ordinato
la chiusura dello spazio aereo su tutto il territorio nazionale nonché il
coprifuoco e la legge marziale.”
“Si parla anche di certi gruppi
autodefinitisi Combattenti per la giustizia e la libertà che avrebbero
liberato varie città del centro-nord e di scioperi spontanei un po’ in tutta
Italia…”
“Sì, ma è tutto ancora incerto.
Saranno determinanti il controllo dei cieli e l’atteggiamento della
popolazione, che è stanca della lunga tirannide ma ancora molto spaventata e
confusa. Poi, non dimentichiamo che un regime in agonia può tentare i classici
colpi di coda…. Speriamo comunque di trovarci sulla strada che potrà ricondurci
alla democrazia…”
Loni non riuscì a proseguire
per la commozione.
La ragazza spense e mi chiese: “Ma… allora…. Che cosa devo
fare, il coprifuoco c’è o non c’è… ed il regime è davvero finito? Io mica lo
so, come devo regolarmi!”
“E’ sicura di non saperlo? Ci
pensi: lei che cosa vuol fare?”
“Io? Voglio smettere d’aver
paura. Non voglio più passare il mio tempo a sentirmi come se fossi in gabbia;
sono stanca di vivere a metà, o anche a meno. Voglio… come dire, come dire”, sembrava
imbarazzata ma anche molto contenta, “vorrei vivere intera! Non so,
forse secondo lei ho detto una scemenza”, concluse con un filo di voce.
“Una scemenza? Per niente,
proprio per niente”, rispose Mario, ammirato.
Quindi pagò ed uscì.
Dal porto veniva il solito tanfo,
ma che adesso era più sopportabile; molto più sopportabile. In quel
momento a Mario parve che la vita fosse di nuovo intera.
martedì 1 maggio 2012
Giovanni, Antonio e Marco (3/a e ultima parte)
Così, forse dopo quella massima
non occorrono ulteriori ricorsi ad antiche o anche a moderne analisi
filosofiche, sebbene ritenga che dagli illuministi (qui penso soprattutto a
Rousseau) a Marx fino ai giorni nostri i concetti di diritto, giustizia,
uguaglianza ecc. siano stati fortemente sottolineati e difesi (sia pure non
sempre con risultati straordinari sul piano pratico).
Ma vorrei ricordare, almeno en
passant come nel 1600, in un’Europa ed in un’Olanda ancora devastate da
guerre, persecuzioni e controversie religiose di vario tipo e natura, Grozio avesse ben chiaro che per “ingiustizia”
si deve intendere “ciò che contrasta necessariamente con la natura razionale
e sociale.”1
E Hegel segnalava quanto sia
negativo il prevalere (all’interno della vita sociale e statale) di interessi privati
o anche esclusivi o tipici di singoli membri della società civile.
“I membri appunto della società
civile sono anzi, come tali, quelli che hanno come movente prossimo il loro
interesse particolare e, come accade specialmente nel feudalesimo,
quello della loro corporazione privilegiata.”2
Da qui nasce in alcuni di essi
una forte indifferenza se non avversione per il bene comune, che
viene inteso come limitazione di quello personale. Da qui l’insofferenza
per il diritto, l’incomprensione o il rifiuto della dimensione intrinsecamente egualitaria
della giustizia ecc.
Per Hegel, quando si guarda (come
nel caso dell’Inghilterra del suo tempo) a Paesi in cui prevalgano idee come
quelle, si nota un complessivo ritardo… e questo appunto perché “la libertà
oggettiva cioè il diritto razionale, è anzi sacrificato alla libertà
formale e all’interesse privato particolare.”3
Ma non si tratta certo di negare
libertà ed esigenze dei singoli individui bensì d’impedire che esse
annullino o limitino gravemente libertà ed esigenze dell’insieme dei
cittadini, o quelle di consistenti fasce sociali e lavorative.
Purché quindi l’individuo
rispetti questa elementare regola di convivenza umana e civile, non sorge
nessun problema: una società degna di questo nome esiste realmente solo
se il tuo diritto non schiaccia il mio.
Per essere più chiari: “La
libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri. Così,
l’esercizio dei diritti naturali di ciascun individuo non ha altri limiti se
non quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di
quegli stessi diritti.”4
Certo, le sentenze che danno
torto non fanno piacere. Ma del resto, come notava Gramsci: “Ogni legge fatta
per l’utilità collettiva danneggia qualche singolo: ciò è ineluttabile. Il
codice penale danneggia enormemente i ladri e gli assassini.”5
Senza voler certo paragonare la
dirigenza Fiat alle categorie citate da Gramsci, ci auguriamo tutti che la legge
sia rispettata ed applicata: infatti la sua non-applicazione è quanto di
più antieconomico e di illogico possa esistere, poiché crea un malessere
sociale che non di rado può diventare ingovernabile ed impedire la stessa
attività industriale ed imprenditoriale.
Per non parlare del devastante
disagio che si causerebbe ai lavoratori: la parte più debole. Insomma, di tutto
abbiamo bisogno nel nostro Paese, già straziato dall’attuale crisi
economico-sociale, tranne che di veder compiersi un’inammissibile ed
incomprensibile negazione dei diritti appunto dei lavoratori.
Il caso quindi di Giovanni, Antonio e Marco è secondo me
una buona “spia” di una situazione che quando qualcuno voglia sottrarsi alle
regole democratiche e del diritto, può “recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana.”6
Perciò quel caso (come
anche altri che si sono già presentati o che dovessero presentarsi) va perfino oltre
una vicenda come quella, pur evidentemente molto dolorosa e
bisognosa di giustizia, trasfigurandosi fino ad assumere i tratti di una
questione di civiltà che interroga e riguarda tutti.
Anzi, secondo me le questioni di
civiltà urlano, così voglio sperare che sia i vertici Fiat che certi
settori del sindacato spesso poco ricettivi possano sentirlo, quell’urlo.
Perché come si chiedeva S.
Agostino: “Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?”,
cioè: “Bandita la giustizia, che altro sono i regni” (in questo caso per
“regni” possiamo intendere gli Stati e le società), “se non grandi associazioni
di delinquenti?”7
Note
1) Ugo
Grozio, Il diritto della guerra e della pace, Cedam, Padova, 2010, I, II, 3,
p.71. Il corsivo è mio.
2) G.W.F.
Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza,
Roma-Bari, 1980, vol.II, §544, p.514. I corsivi sono miei.
3) G.W.F.
Hegel, Enciclopedia, op. cit., §544, p.515. Il
corsivo è dell’A. Per un più specifico inquadramento del problema cfr. Ibid., pp.513-515.
4) Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino, art.4, in Rosario Villari, Storia
moderna, Laterza, Roma-Bari, 1973, p.353. Dobbiamo la Dichiarazione
ai “rappresentanti del popolo francese, costituiti in assemblea nazionale” il
26 agosto, quindi solo un mese dopo la Rivoluzione del 1789.
5) Antonio
Gramsci, Piove, governo ladro!, a c. di A. Santucci, Editori Riuniti,
Roma, 1996, p.28. Il passo citato è contenuto nell’articolo
intitolato L’esercente degli ubriachi, pubblicato il 28 marzo 1916.
L’art. in questione comparve anonimo (come vari altri) “tra il 1916 ed il 1918
nella rubrica ‘Sotto la mole” della pagina torinese dell’Avanti!” Cfr.
A. Santucci, Introduzione a A. Gramsci, Piove, governo ladro!,op. cit.,
p.12.
6) Costituzione
della Repubblica italiana, art.41.
7) S.
Agostino, La Città di Dio, Edizioni Paoline, Roma, 1979, IV, 4, p.215.
Ritroviamo questo passo di Agostino anche in una recente enciclica; cfr. Benedetto
XVI, Deus caritas est, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 28,
pp.58-59. Comunque l’attuale pontefice, che quando era prefetto
della Congregazione per la difesa della fede, l’ex-Sant’Uffizio avversò
qualsiasi progetto di trasformazione radicale delle strutture economico-sociali
(fu infatti un fiero oppositore della teologia della liberazione, soprattutto
di quella latinoamericana) considera strumento più valido o più completo
appunto la carità.
Ma trovo significativo almeno il fatto che egli abbia preso o
ripreso in considerazione il problema della giustizia, che sta alla base
di qualsiasi tipo di società: anche non cristiana né religiosa.
Giovanni, Antonio e Marco (parte 2/a)
Invece già da Platone1 per
continuare con Aristotele fino ad arrivare alla formulazione classica di giustizia
che dobbiamo ai giuristi romani… continuando nel 1600 con l’olandese Grozio
ecc., una linea giuridica, filosofica ed etica almeno bimillenaria ha
sempre posto al centro della sua riflessione l’idea della validità universale
della legge e dell’uguaglianza di fronte ad essa di tutti gli
uomini.
Per Aristotele: “Le leggi si
pronunciano su tutto e tendono all’utile comune.”2
Qui con leggi (nomoi)
egli intende non solo qualcosa di legale ma soprattutto di morale e
che va ad abbracciare una dimensione più ampia, più vasta, se appunto il Nostro
aggiunge che “noi diciamo ‘giusto’ ciò che produce e preserva la felicità, e le
parti di essa, nell’interesse della comunità politica.”3
Possiamo intendere il termine
“comunità politica” nel senso di società, insieme appunto organizzato ed
associato di uomini; in un senso quindi forse meno limitato di quello che diamo
oggi a “comunità politica” (insieme solo di partiti, istituzioni statali e
simili), comunque penso che sull’essenziale possiamo intenderci.
La legge non è comunque per
Aristotele mero fatto specialistico (confinato quindi in un ambito particolare
come la giurisprudenza) bensì autentico ponte sociale… e ponte in quanto
evita di porre o proporre barriere o muri tra gli uomini.
Barriere o muri che invece a mio
avviso nascono quando l’universalità della legge non viene riconosciuta. A quel
punto sorgono dei gruppetti di persone, di fatto dei privilegiati che coltivano
l’assurda e pericolosa convinzione di potersi esimere dall’osservanza della
giustizia… una noiosa faccenda a cui possono (eventualmente) sottomettersi in
base alla convenienza, all’estro del momento o anche dopo aver dimostrato altre
o ipotetiche doti o virtù.
Invece Aristotele definisce
l’applicazione ed il rispetto della legge come giustizia e come “virtù
completa”; anzi per lui la giustizia è la “virtù più eccellente.”4 E questo
perché “colui che la possiede è capace di servirsi della virtù anche nei
riguardi del prossimo, e non solo in relazione a se stesso.”5
Qui vediamo come Aristotele non
parli di semplice virtù personale, individuale ma intenda la giustizia
come qualcosa che dall’ambito individuale ed in fondo egoistico (comunque
socialmente sterile) si estende fino a raggiungere anche gli altri
uomini.
Superiamo così limiti ed ambiti
di varia natura, che spesso servono solo per giustificare egoismi, ottusità,
debolezze ecc.6
E Cicerone, benché come parecchi
Romani fosse scettico verso la filosofia greca o comunque verso una ricerca
culturale che non fosse direttamente collegata alla dimensione pratica,
tuttavia si occupò anch’egli dei temi che stiamo ora esaminando.
Così, per lui “siamo nati alla
giustizia” e “il diritto non è stato fondato per una convenzione, ma dalla
natura stessa.” Egli aggiunge: “E ciò sarà ormai chiaro, se esaminiamo la
società ed il legame reciproco degli uomini.”7
Tale legame, che unisce appunto
gli uomini in società, è per Cicerone la ratio, la ragione che al di là
delle differenze con cui essa è posseduta ed utilizzata da ogni singolo uomo,
“è certamente comune, differente per preparazione, ma eguale quanto
a facoltà di apprendere.”8
Il diritto, che è quindi
un elemento fondamentale proprio nel senso che fonda l’umana convivenza,
non può fare come se alcuni fossero totalmente privi di ragione da non essere
considerati appunto uomini. Da qui, come osserva benissimo Abbagnano,
Cicerone può passare a teorizzare l’uguaglianza tra gli esseri umani.9
Infatti, poiché ogni uomo è
dotato di ragione, ognuno di essi possiede una capacità oltre che intellettiva
anche pratico-sociale d’agire e di scegliere in funzione del proprio benessere,
così come possiede il diritto alla salvaguardia di quel benessere;
naturalmente, il tutto in ambito sociale e nel sicuro ed effettivo rispetto dei diritti e
del benessere altrui.
Ma non può esistere alcun
benessere ove esso non sia garantito dalla giustizia e da una reale uguaglianza…
quel che spetta ad ognuno di noi.
Mancando infatti quegli elementi
si avrebbe solo bellum omnium contra omnes, la guerra di tutti contro
tutti, per citare la nota formula dell’inglese Thomas Hobbes quando si
riferiva allo stato di natura… quello quindi in cui non sarebbero esistite o
non esisterebbero delle società o degli stati organizzati.10
Eccoci ora alla limpidissima
formulazione del grande Ulpiano (II sec. a. C.) per il quale: “La giustizia
consiste nella costante e perpetua volontà d’attribuire a ciascuno il proprio
diritto. I precetti del diritto sono questi: vivere onestamente, non
danneggiare gli altri, attribuire a ciascuno il suo.”11
Benché la mia analisi sia
esclusivamente morale e filosofico-sociale (non essendo io né un avvocato né un
giurista, un giudice ecc.) penso comunque che non rispettare determinate
sentenze e certi diritti non faccia altro che confliggere coi precetti di
Ulpiano, oltre che danneggiare in modo direi piuttosto evidente i 3 di Melfi.
Così
non trovo necessario (tanto mi sembra chiara) commentare la celeberrima massima
di Ulpiano.
Note
1) Platone,
La repubblica, Laterza, Roma-Bari, 1970, I, p.28 sgg.
2) Aristotele,
Etica nicomachea, Laterza, Roma-Bari, 2001, V, 1129 b, p.175.
3) Aristotele,
Etica nicomachea, op. cit., p.175
4) Aristotele,
Etica nicomachea, op. cit., p. 175.
5) Ibid.
I corsivi sono miei.
6) Cfr.
comunque Ibid., n. 418, p.488.
7) M.T.
Cicerone, Le leggi, Utet, Torino, 1992, I, 28, p.437. Il corsivo
è mio.
8) M.
T. Cicerone, Le leggi, op. cit., p.437. I corsivi
sono miei.
9) Nicola
Abbagnano, Dizionario filosofico, Tea, p.251.
10) T. Hobbes, Il
Leviatano, I, XIII. Non è qui importante, in un lavoro senza pretese di
tipo scientifico come un post, stabilire se la celebre frase, così come la non
meno celebre homo homini lupus cioè l’uomo è un lupo per l’altro uomo
(che risale a Plauto) sia originale di Hobbes.
11) Ulpiano, Digesto,
1. 1. 10. Il corsivo è mio.
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