E’ aperta da pochi accordi di chitarra, subito sorretti da una tastiera, come dice Dave Marsh “honky tonky” e tutto il pezzo “ha una coloritura scherzosa” (D. Marsh, Glory days. Bruce Springsteen, Sperling & Kupfer, Milano, 1988, p.310).
Del resto, la scherzosità della musica non toglie nulla alla solidità del brano: infatti in Glory days la “E” Street Band sorregge il cantato di Bruce con grande compattezza.
Invece la “E” Street suona con energia ed entusiasmo encomiabili ed evita qualsiasi sbavatura. Poi, dal vivo c’è tempo e modo di lanciarsi al galoppo: qui penso per es. ad un’esecuzione del brano a Parigi, 9 minuti di scatenato rock-boogie col pubblico fuso a Bruce ed alla “E.”
O penso all’esibizione di Bruce al David Letterman show (con altri musicisti) col Diavolo del New Jersey che finisce Glory in piedi sulla tastiera, schitarrando come un 17enne.
Comunque, l’allegria musicale di Glory sostiene un testo… triste! Come in un malinconico carnevale appare il campione di baseball che al liceo era amico del protagonista. Il campione esce da un bar: forse ora è quella la sua platea, rivive lì i suoi giorni di gloria (glory days).
Ecco poi la ragazza che faceva girare la testa a tutti i ragazzi… ma la cui bellezza non ha impedito la fine del suo matrimonio. Lei dice che quando sta per piangere, comincia a ridere se ripensa ai glory days.
A chi canta Glory sembra di star finendo “in un pozzo”, rimane solo a bere e pensa di continuare fino a “traboccare”. Spera quando sarà vecchio di non stare a ripensarci ma dichiara “I probably will”, probabilmente lo farò, cercherà di “riacciuffare un po’ della gloria di allora.”
Questo anche se “il tempo scivola via/ e non ti lascia che noiose/ storie di giorni di gloria.”
Comunque, la tristezza o rassegnazione del brano è addolcita dalla clip, in cui vediamo Bruce che in vesti di operaio culla i suoi sogni di giocatore di baseball ed è un marito ed un padre felice. Poi eccoci in un bar in cui egli è alla testa della “E” Street.
Il Bruce che suona nel bar è ancora l’operaio che magari la sera, per sbarcare il lunario suona nei bar della sua città, o è la rockstar di fama internazionale? Propendo per la 1/a ipotesi perché Glory è una gioiosa & dolorosa accettazione della vita. Pazienza se i tuoi glory days sono finiti, ora sei una persona diversa e scuoti la testa con un sorriso, benchè non molto allegro, quando ci ripensi.
La tua è una vita umile, faticosa, fatta spesso di rinunce ed anche di qualche umiliazione. C’è chi col suo mix di perbenismo e soldi può disprezzarti per la tua musica, i sogni ad occhi aperti, i lavori sotto o malpagati… però certa gente che cosa ha a che fare con te?
Non importa quanto ancora l’orologio del tuo cuore continuerà a battere: anche se invecchierai non sarai mai vecchio né cercherai di morire prima di diventarlo, come pure cantava Townshend in My generation.
In questo c’è orgoglio, fierezza d’andare avanti benché finora parte della tua vita non sia andata come speravi. Chi vuole scambi pure il tuo orgoglio per superbia, indolenza, spensieratezza ecc. ecc.
E’ poi significativo che il regista della clip sia stato John Sayles, che come ricorda Marsh crebbe “in un quartiere operaio di Schenectady, nello Stato di New York” e che “non aveva mai rinnegato i suoi legami” con quel mondo (D. Marsh, op. cit., p.307)