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venerdì 17 agosto 2007

Le ferie e l’estate

Dopo un anno di lavoro ecco le amate e sospirate ferie. C’è chi si trova in ferie forzate ed io ne so qualcosa, poiché lavora a singhiozzo: e questo lo fa singhiozzare parecchio, benchè finga di scherzarci su. C’è poi chi ha le ferie dovute a chi lavora regolarmente: sempre poche, dopo appunto 1 anno di lavoro. Comunque, ci sono. E sperando che non sia mai ripristinata una schiavitù + o meno camuffata (magari in nome della competitività), godiamocele.
Certo, quando seguendo i tg vedo autostrade intasate e code di km e km, mi vengono i brividi. Mi direte: chiaro, a Cagliari avete il mare a 10 minuti dal centro. Vero. Ma io, piuttosto che lanciarmi in quel bailamme andrei a fare il bagno… nella vasca di casa. In quella di casa mia, naturalmente. Finchè la mia famiglia continuerà a sopportarmi. Eccomi lungo disteso nella vasca. Esco e mi sdraio sul tappeto del bagno, a sua volta piazzato su qualche chilo di terriccio, da me acquistato al discount. Per abbronzarmi, viva l’abat-jour. Altro che lampade solari!
Dell’inferno autostradal-vacanziero parlò nel suo “pezzo” Le smanie delle vacanze l’allora cardinal Luciani, futuro Giovanni Paolo I. Un uomo buono e profondo che da Papa parlò di Dio come Madre. Ok, stop alle teologie: con questo caldo non è il caso.
Comunque, il card. si rivolge a Paolo Diacono, monaco e storico friulano (di stirpe longobarda) dell’VIII sec. E’ molto interessante e divertente il parallelo da Luciani istituito tra i Longobardi come ricordati da Diacono, “un formicaio in marcia” lungo la via Postumia, fatto certo di cavalli, carri, armi, masserizie ecc. ed i moderni Lom(ngo)bardi ed i turisti in genere: con le loro roulottes, caravans, bici, motoscafi, palloni…
In ogni caso, auguro a tutto il popolo delle vacanze di godersele, di godersele davvero. Saluto con particolare simpatia chi è venuto o verrà a trascorrerle in Sardegna, e gli eventuali visitatori del mio blog. Spassiasidda! (Divertitevi!).
Concludo: il blog non chiuderà neanche ad agosto.
Lasciate ogni speranza, o voi che vi collegate…

lunedì 13 agosto 2007

Io, Benvenuti e Monzon

Non ho mai incrociato i guantoni con questi due pugili. Intanto, perché non sono mai stato un pugile. Comunque, avrei beccato botte da orbi anche dalle bisnonne di Monzon e Benvenuti. Dopo questa, doverosa premessa vi chiederete: ma allora questo qui che cosa vuole? Stia zitto, no?
No. Ma se avete spento la macchina dei ?? vi infliggerò i miei ricordi circa Benvenuti e Monzon. Ora, nell’autunno del 1970 si doveva trovare un avversario per Nino. Qualcuno fece il nome di un oscuro pugile argentino, certo Carlos Monzon. Quel boxeador, quel pùgil era così oscuro che un nostro giornale scrisse: “Monzon, chi sei?”
Fin qui ci troviamo nel campo della solita storia (sportiva) italiana, magari condita di supponenza, o di semplice disinformazione: basti pensare ad Italia-Corea del ’66. Analogamente, pare che 4 anni dopo nessuno si sia preoccupato troppo di quell’indio, quel Monzon.
Ma quando Nino se lo trovò di fronte, l’indio, allora la solita storia volse al dramma. Sì, perché Monzon era un pugile che come affermano ora gli esperti, benché non fosse dotato di tecnica sopraffina, era però una belva. Forse anche lui, come già Jake La Motta era un raging bull, un toro scatenato. Saltellava, certo con con la classe di Cassius Clay e colpiva. Schivava o incassava ma tornava sempre all’attacco, colpendo l’avversario al viso, alla figura e dove capitava. Non aveva una scherma elegante ma i suoi pugni erano micidiali.
3 anni prima Nino aveva sconfitto a New York, al Madison Square Garden un pugile come Emile Griffith. Prima d’allora, c’era stata una vittoria del nero ed una di Nino. Poi ci fu la “bella” che entusiasmò tutti gli italiani, compresi quelli di New York.
Prima d'incontrare Monzon, Benvenuti aveva sostenuto da professionista 87 incontri, vincendone 82 (35 per ko). Infine, pareggiò 1 match e ne perse 4. E quella sera del 7 novembre del ’70 quell’uomo che inoltre possedeva tecnica ed esperienza superiori, era ancora il campione del mondo.
Ma Monzon lo impegnò duramente per tutto il match e lo sconfisse per ko tecnico al 12° round. 6 mesi dopo, rivincita a Montecarlo. Un destro devastante di Monzon al 3° round chiude la carriera di Nino: che deve arrendersi, ma perché dal suo angolo si decide di gettare la spugna.
Avevo 9 anni e ho ancora dei flashes di quegli incontri, come ricordo la rabbia di Nino per quella resa da lui non voluta. Per me, quel che più conta è l’esempio di coraggio e generosità di cui così diede prova Benvenuti. Perché con quelle doti puoi anche perdere un titolo. Mai la faccia.

martedì 7 agosto 2007

"Candele per Maria" di Heinrich Boll (prima parte)

Boll è uno dei miei pochi ma sicuri maestri. Purtroppo non mi ha influenzato, o alla mia penna si sarebbe attaccato un po’ del suo genio. Lo conobbi nell’autunno del ’77, facevo la V ginnasio e la sera infestavo le librerie. Ma a Cagliari nel ’77 i librai, se dopo 2 minuti non compravi qualcosa, ringhiavano; io compravo sempre, ma prima assaggiavo molte pagine di vari libri. Così, con me gli amabili signori stra-ringhiavano. Lo fanno ancora, e siamo nel 2007. Perciò andavo ad assaggiare all’Upim o alla Rinascente. Compravo un paio di penne e col mio pacchetto al polso stavo tra i libri 2-3 ore. Ogni tanto, per non dare nell’occhio guardavo l’orologio e fingendo impegni che non avevo, uscivo. Facevo 2 passi e tornavo 20 minuti dopo, ricordandomi perfettamente a che p. ero arrivato. Sono un ladro nella casa della cultura. Un giorno comprai il mio 1° libro di Boll, Racconti umoristici e satirici.
Ora parliamo di Candele per Maria, racconto che si trova in Viandante, se giungi a Spa… Siamo in Germania nel 2° dopoguerra, il protagonista è un venditore di candele la cui moglie salvò parecchia stearina da 4 camions in fiamme; poiché nessuno ne reclamò la restituzione, i 2 entrarono nel commercio delle candele. Ma l’uomo non si sente tagliato per la competizione economica: in una Germania ormai rasa al suolo e del tutto priva d’elettricità, spesso le aveva regalate, perdendo così ogni occasione d’arricchirsi. La speculazione, o diciamo pure la borsa nera, non faceva per i 2 coniugi. Poi, la Germania era di nuovo super elettrificata; le loro candele erano ormai inutili né potevano competere con quelle fabbricate su scala industriale. Così l’amico gira tutto il Paese cercando almeno di disfarsene.
E’ un uomo stanco ma con una sua forza interiore, paradossalmente contento di non avercela fatta. Seguiamo la triste ma non disperata odissea di uno che capita nell’ennesima città sconosciuta per vendere della merce che non vuole più nessuno, lo vediamo consumare una misera cena in una povera locanda. Condividiamo la sua simpatia per una coppia che arriva, impacciata e vergognosa, per la notte. Ritroviamo tutti e 3 in chiesa. Sul finale mantengo la suspence. In Candele compare tutto un mondo di uomini e donne con poco cibo, che tira avanti sgobbando o grazie a qualche espediente. Loro solo sollievo, qualche furtiva sigaretta o sorsata di grappa… su uno sfondo di città distrutte. I “furbi”, come li chiama Boll nel racconto Gli affari sono affari si facevano “denazificare un pochetto”, poi riprendevano tranquilli il potere. E tutti gli altri… bè, al diavolo.
In Candele non compare ancora il Boll comico-satirico di Opinioni di un clown, ma c’è già la stoffa del grande scrittore. Nel prossimo post aggiungerò qualcos'altro su Candele.

venerdì 3 agosto 2007

Kar-El, detta anche Cagliari

Chi voglia giudicare la mia città dal nome, dovrebbe considerarla una superstar. Vi risparmio i suoi nomi sardi, fenici, latini ecc., ma secondo certi Autori pare che fosse nota come “città delle città.” E forse i Pooh erano già in agguato, se per altri Cagliari si chiamava Karel cioè città grande, anzi di Dio! Insomma, il Dio delle città dei simpatici orsetti pop doveva essere di casa, da noi. Aggravò la faccenda D.H. Lawrence che invidioso degli scoperecci incontri tra Lady Chatterley ed il suo guardiacaccia, paragonò Cagliari a Gerusalemme. Per questo fu rinchiuso in un manicomio alle finestre della città; quello che continuò a scrivere era quindi un sosia.
Se mia nonna Ninuccia fosse ancora viva, risolverebbe la questione con ammirevole senso pratico e critico. Direbbe: “Eh, bello mio, lasciali perdere quei Fenici: non sono farina da far ostie!” In effetti, quando penso che certi fanno derivare il nome della città dal fenicio Karir che significa “rinfresco”, mi viene da ridere. Già in maggio avremo 30 gradi all’(immaginaria) ombra…
Comunque, a Cagliari mi piace fare km e km: passeggiando ma anche correndo. E’ la cittown ideale per chi voglia far fiato ma anche per chi desideri perdersi. Tutti quei vicoletti, quelle stradine, i vicoli ciechi e quelli che ci vedono bene, le salite da capra e le discese da montagne russe, le piazze assolate e le strade umide e fredde, le spiagge piene di spazzatura e quelle che scintillano d’acque cristalline… Per non parlare dei fenicotteri rosa e dei tramonti che sanno di Damasco e Transilvania…
Una volta un mio amico barista mi ha detto: “Rjikcaaah, guarda che Karali significava “località rocciosa”. Non inventare balle, che poi i continentali leggono le scemenze che scrivi, ci credono e vengono da noi.”
Ho replicato che per chi vive di turismo questo non è un male, al che lui: “Giusto. Ma allora scrivi scemenze giuste.”
Eh, caro amico, sapessi: sono 45 anni che ci provo; ma riesco solo a scrivere scemenze-scemenze…