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sabato 24 dicembre 2011

Natale in blues


Il blues parla di dolore, solitudine, razzismo, miseria, disoccupazione, inoltre parla anche del Diavolo, di alcol e di sesso.
Possiamo perciò escludere che i suoi versi siano natalizi…
O tradizionalmente natalizi.
Ma… ne siamo proprio sicuri?
Bisogna infatti capire di quale Natale parliamo.
Io immagino un’antica famiglia palestinese che in una terra dominata da truppe d’occupazione, dopo un lungo viaggio (in una notte d’inverno) va in cerca di cibo e di un tetto…
E si sente dire che non c’è posto.
Ancora oggi ci sono truppe d’occupazione e gente per la quale “non c’è posto”!
Io sento di lavoratori che per difendere il loro posto di lavoro stanno di notte su gru o comunque molto in alto a 7 sotto zero… come ieri, a Torino.
Erano lavoratori del servizio notturno dei treni: circa un migliaio di loro rischia il licenziamento, anche se pare che si troverà una soluzione. Pare
Poi (che coincidenza, eh?!) leggo nel libro di F. Valentini, Sulle strade del blues che già negli anni ’30 negli Usa, erano “frequenti gli scioperi degli inservienti dei vagoni-letto, in maggioranza di colore.”
Penso allo spiritual Oh, happy day in cui si dice che Gesù mostrerà the way, la strada.
E ricordo che Martin Luther King affermò che per i suoi antenati schiavi gli spirituals erano una sorta di “codice”…
Gli ebrei erano loro, gli uomini che lavoravano in condizioni inumane nelle piantagioni; il faraone lo schiavista o il proprietario della piantagione.
Un altro famoso spiritual, Swing slow, sweet chariot parla di un chariot, un cocchio che probabilmente un veicolo che porterà in salvo e liberi gli schiavi.
Ancora: l’espressione to catch the train, prendere (o acciuffare) il treno significava nel gergo della cultura nera appunto la fuga o in ogni caso la soluzione di un grave problema pratico ed esistenziale.
Angela Davis spiegava bene come ciò che conta non sia un’astratta libertà quanto l’effettivo, reale processo di liberazione.
Infatti l’ex-schiavo Frederick Douglass si rifiutò di tenere un discorso in occasione del 4 luglio; rivolgendosi agli americani bianchi chiese giustamente: “Che cos’è, per lo schiavo americano, il vostro 4 di luglio? Le vostra grida di libertà ed eguaglianza, vana parodia; le vostre preghiere e i vostri inni, i vostri sermoni e i vostri ringraziamenti, le vostre parate religiose sono… magniloquenza, frode, inganno, empietà e ipocrisia.”
Di recente ho confrontato molte di queste mie opinioni con A. Portelli, il celebre americanista, che si è detto d’accordo con me.
Egli mi ha inoltre messo a disposizione un suo lavoro proprio su Douglass; grazie, prof!
B.B. King, il cui blues non mi sembra sia molto stimato, cantava in Why I sing the blues: “La prima volta che ho incontrato i blues
Fu quando mi portarono qui su una nave
C’erano uomini su di me; molti altri usavano la frusta
Adesso tutti vogliono sapere
Perché canto i blues…”
Forse lo spiritual e più tardi anche il blues furono dei codici che permisero la comunicazione tra i neri, in alcuni casi anche la fuga e (avrei voluto vedere il contrario!) anche delle rivolte armate.
Un uomo solo nella sua casa o nella sua baracca con in mano una vecchia chitarra o un’armonica non è insomma solo un poveraccio che canta storie di bad luck, sfortuna.
Un coro gospel che farebbe ballare anche i morti… beh, chissà che non lo faccia davvero!
Comunque…
E nonostante tutto…
Buon Natale e felice anno nuovo: non potrà andare male per sempre!
La schiavitù, anche quella moderna (per es. quella finaziaria)  e più o meno elegantemente camuffata, finirà…