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venerdì 28 agosto 2015

Vampiri, cowboys, killers, amanti, pirati, clowns ecc. ecc.


Mi piacciono films dei generi più disparati: storico, thriller, fantascientifico, gotico, impegnato, comico, western, di guerra, erotico ecc. ecc.
Il solo genere che non mi piace è quello porno, ma non per moralismo: semplicemente, per me un film deve avere uno sviluppo e raccontare una storia... tutto questo nel porno non c'è, perché succede sempre la stessa cosa.
Non mi dice molto neanche l'horror: non so, sarà che a me provare spavento non diverte....
Ma per il resto, ripeto: mi piacciono praticamente tutti gli altri generi.
Ecco, magari non sopporto la monotonia: per es., in una storia di vampiri, mi annoia parecchio la figura del mostro (è proprio il caso di dire) assetato di sangue.
Certo, sappiamo tutti che il non-morto segue una speciale dieta, che prevede l'assunzione di notturne bevande a base ematica, ma se il film segue sempre e solo questo schema, allora la vicenda non presenta alcuna variazione. Diventa anzi prevedibile e tutta uguale: esattamente come il porno.
Ma dopo il Dracula di Coppola (1992), che ci presenta un vampiro romantico, uno cioè che a distanza di secoli crede di trovare (o trova davvero, se crediamo nella reincarnazione) la sua donna, ma per amore la risparmia, secondo me in futuro qualsiasi altra storia di questo genere dovrà tenere conto dell'impostazione di Coppola.
Ma se non erro, il romanzo di Stoker (1897) non esce dalla solita routine vampiresca.
Coppola ci presenta invece un vampiro tormentato dal suo bisogno di sangue ma anche d'amore. Se egli vampirizzasse la sua donna (Mina) potrebbe averla con sé per l'eternità... ma nello stesso tempo, non vuole condannarla alla dannazione, anche questa eterna...
Come vediamo, qui Dracula appare ben più complesso di quanto non risulti da tanti altri films.
Beninteso, egli trova comunque il modo di soddisfare con altre vittime il suo vizio satanico, tuttavia è tormentato da scrupoli amorosi, morali e perfino teologici.
Nel western, il cowboy in stile John Wayne risulta (almeno per me) improponibile: il semplice fatto di vederlo tutto d'un pezzo ed imbattibile, mi fa ridere.
Purtroppo, molte volte, certi attori sono costretti (o si autocostringono) ad impersonare sempre la solita parte: oggi questo capita a Bruce Willis, Schwarzenegger, a Stallone ecc. ecc. Sarà colpa dello show-business, di tanti registi, di vari sceneggiatori, o della paura che certi attori hanno di allontanarsi da un ruolo che ormai interpretano da decenni, ma in ogni caso i loro films sembrano tutti dannatamente uguali.
E questo capita anche a grandi attori come De Niro e Jack Nicholson...
Ogni tanto, registi e sceneggiatori coraggiosi e creativi dovrebbero dire ad attori ed attrici che sono ormai i fossili di sé stessi: “Sentite, in questo film proviamo qualcosa di nuovo... per es. tu, Jack, sarai un frate francescano del 1300: un mistico. No, piantala col solito sorrisetto alla Shining! Corri a leggerti qualcosa di S. Francesco o di S. Bonaventura e solo dopo torna sul set.”
“Tu, Jennifer Lopez, sarai una professoressa di filosofia. Cercati un vestito che ti arrivi sotto i piedi e comprati un paio di occhiali con delle lenti grandi come fanali del 1800. Luogo comune, dici? Pazienza. E copriti le gambe, accidenti... dico anche a te, Monica Bellucci!”
Chiaro?
Vabbe', poi le cose dovrebbero essere molto più complicate... per fortuna.


 Ma non temete: le complicheremo, le complicheremo...

domenica 23 agosto 2015

La mania del tempo I parte


In greco antico il termine manìa significa soprattutto follia, furore ecc. ecc.
Ma allora dovremmo girare alla larga dal tempo? Data, infatti, la sua natura, esso è fonte di pericoli o almeno o almeno di grande confusione. Appunto il tempo potrebbe offuscare in parte o del tutto le nostra capacità di giudizio, sviare le nostre scelte morali, sociali, culturali...
Ma anche ammesso che sia possibile girare alla larga dal tempo, dobbiamo chiederci se questo sia desiderabile.
Intanto, appare evidente il fatto che viviamo nel tempo: dunque come possiamo “girare al largo” o uscire da qualcosa in cui viviamo?
Qualcosa che inoltre entra a far parte di noi: il tempo, infatti, è come un vento che ci avvolge e tocca di continuo... ed anche se decidiamo di chiuderci in casa, esso continua a soffiare.
Ecco perché nelle sue Confessioni S. Agostino afferma che: “Il tempo non perde tempo: il suo corso non è senza traccia nei nostri sensi, ma nell'animo il suo operato è mirabile.”1
In effetti, sia il tempo in generale che la sua azione possono essere colti solo da noi: come protagonisti ma anche come sue vittime. Ed Agostino scrisse la frase poc'anzi citata dopo aver ricordato la morte di un carissimo amico.2 Si trattava, direi, di un'affermazione che doveva servire a lenire quel grande dolore.
Ma questo sarà mai possibile? Stando infatti al Vecchio Testamento: “Ci sono compagni che conducono alla rovina, ma anche amici più affezionati di un fratello.”3 L'impresa sembra quindi quasi disperata.
Per gli antichi Greci: “Il tempo è il miglior rimedio, la miglior medicina.” Parrebbe quindi che il semplice trascorrere appunto del tempo possa farci superare qualsiasi sofferenza.
Il che equivale però a fare dell'uomo un essere passivo ed a trasformare il nostro dolore o comunque il particolare sentimento che ci legava a quella persona, come qualcosa che sarebbe sottoposto a... scadenza: più o meno come può capitare ad uno yogurt. Ma il dolore “a scadenza” non dimostra alcun rispetto per la figura dell'amico.
Ora, non si tratta di santificare un continuo e straziante dolore: bisogna soffrire con dignità, sapersi controllare e non cedere a manifestazioni esteriori o a moti interiori che potrebbero rivelarsi di cattivo gusto, denotare esibizionismo o sfiorare addirittura il ridicolo.
Ma anche quando si evitino questi eccessi, comunque difficilmente il dolore per la perdita di una persona per noi straordinaria, può essere sanata dalla mera dimensione temporale: ecco che allora si può sprofondare nella mania del tempo, nel senso di una continua rievocazione (quasi masochistica) dei bei momenti vissuti con quella persona.
Non voglio colpevolizzare né sbeffeggiare chi fa questo, anche perché si tratta di una dinamica che secondo me, dipende anche dal presentarsi l'amico o l'amica come un essere in un certo senso unico: il parente o il familiare non possiamo sceglierlo. L'amicizia dipende fortemente dalla libertà ed il legame che nasce tra i veri amici (che non a caso sono pochi) è raro.
Inoltre, quando l'amico non si riveli all'altezza delle nostre aspettative (più o meno ragionevoli) il legame si rompe.
Qui vediamo quanto avesse ragione Cicerone quando affermava che “dall'amore deriva il termine amicizia.”4 La radice, sia linguistica che affettiva, è in effetti molto simile.
Infatti S. Agostino, parlando della familiarità che si crea con gli amici e delle manifestazioni di gioia che ad essi ci legano, dice: “Tali e simili manifestazioni sgorganti da cuori che amano e che sono amati, nel viso, nei discorsi, negli occhi, in mille altri segni tutti graditissimi, erano come esca che infiamma le anime e, di molte, forma una sola.”5
Dunque Agostino concepisce l'amicizia come un legame davvero speciale, ma gli preme altresì sottolineare la ragione secondo lui più profonda, che provò per la morte dell'amico.
Egli si chiede: “Come mai infatti quel dolore era penetrato tanto addentro e tanto facilmente in me, se non perché io avevo riversato l'anima mia sulla sabbia, amando un essere mortale quasi non fosse mortale?”6
Come vediamo, si tratta di qualcosa che ha a che fare col tempo: l'eccessivo affetto per un essere mortale, che come tale dipende strettamente dal lato temporale, crea nel nostro animo un attaccamento che al momento della morte altrui, causa un dolore difficilmente sopportabile.
Inoltre, questo dolore si rivela intrinsecamente errato, in quanto non si dovrebbe amare troppo chi per sua stessa natura è comunque destinato alla fine. Questo affetto è (nella prospettiva però religiosa) solo un volersi legare ad un bene inferiore, quando si dovrebbe cercare innanzitutto quello superiore cioè Dio.
Ma in Agostino (il cui concetto di tempo è comunque molto complesso) troviamo un'idea di amicizia molto alta. Quando poi dipinge la sua sofferenza per la morte dell'amico, rappresenta la sua solitudine ed il suo dolore in un modo che non ha niente da invidiare alle angosce di un Kafka o ai tormenti interiori del Raskolnikov di Dostoevskij.
“Ed io costituivo per me stesso un luogo desolato, dove non potevo stare, donde non potevo fuggire. Avrebbe potuto forse il mio cuore evadere da se stesso? Dove allontanarmi da me? Dove il mio io non mi avrebbe seguito?”7



Note

1 S. Agostino, Le confessioni, Bur, Milano, 1978, 4, VIII, p.119. Per una trattazione più sistematica del problema del tempo in S. Agostino, cfr. almeno Id., Le confessioni, op. cit., 11, X-XI, pp.317-336.
2 Id., Le confessioni, op. cit., 4, IV-VII, pp.115-119.
3 Proverbi, 18,24
4 Marco Tullio Cicerone, Laelius. De amicitia. Lelio. L'amicizia, Mursia, Milano, 1987, I, VIII, p.93.
5 S. Agostino, Le confessioni, op. cit., 4, VIII, p.120. Il corsivo è mio.
6 Id., op. cit., 4, VIII, p.119.

7 Ibid., 4, VIII, p.119. I corsivi sono miei.

domenica 2 agosto 2015

Strage di Bologna: chiarezza e verità


Sono passati ben 35 anni da quando per mano dei neofascisti Mambro e Fioravanti, il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna furono dilaniate da materiali esplosivi 85 persone e rimasero ferite (alcune in modo anche molto grave) circa 200.
Trentacinque anni; all'epoca ne avevo 18.
Nel 1980 molti di quelli e di quelle che ora sono giovani non erano ancora nati/e.
Né probabilmente si erano ancora incontrati i loro genitori.
Nel 1980, i genitori dei loro genitori (insomma, i nonni) erano relativamente giovani, o comunque avevano davanti ancora alcuni anni di vita.
E' vero, su questo punto mi sto dilungando tanto.
Ora, serve a qualcosa riflettere su questo albero genealogico?
Riflessioni come la mia possiedono forse l'arcano potere di riportare in vita i morti?
Alla prima domanda rispondo : perchè ogni sincero democratico ed antifascista ha il dovere storico e morale di difendere il legame che esiste tra le generazioni; soprattutto quando quel legame è stato stroncato in modo così brutale, beffardo, ingiusto.
Alla seconda domanda, ovviamente rispondo di no.
Nello stesso tempo, penso proprio che riflettere su tragedie come queste (e quella di Bologna è stata la più grave dalla fine della guerra) sia un modo per dare a quelle povere, innocenti vittime, nuova vita. Una vita che consiste nell'ospitarle nel nostro ricordo, nella nostra nostalgia... benchè la maggior parte di noi non le abbia mai conosciute.
Qui farei insomma lo stesso discorso con cui Gramsci concludeva (il 15 giugno 1931) una lettera alla madre. Egli scriveva che lei era da sempre: “Nell'unico paradiso reale che esista, che per una madre penso che sia il cuore dei propri figli.”
Alle stesso modo, quelle innocenti vittime stanno nei nostri cuori: perchè anche se la maggior parte di noi non aveva con loro alcun rapporto di parentela, il legame con chi cadde senza alcuna colpa per mano fascista è un legame profondo, spirituale nel senso migliore del termine.
Anche se chi è caduto poteva non sapere nulla del fascismo o del neofascismo. Così come, durante la Resistenza, i nazifascisti massacravano anche chi chi sapeva ben poco della loro immonda esistenza. Del resto, tra le vittime del 2 agosto c'era anche una bambina di 3 anni!
Allora oltre al ricordo serve la giustizia, che offre effettiva riparazione al sentimento di dolore e punisce l'iniquità perpetrata.
La giustizia che come sosteneva Aristotele (Etica nicomachea, V, 3) è “virtù completa”, la “più eccellente”, quella cioè in cui (come diceva il filosofo citando il poeta Teognide) “si riassume ogni virtù.”
Giustizia che nel nostro caso non si riduce al mero, astratto ambito giuridico, se il presidente dell'Associazione familiari delle vittime del 2 agosto, Paolo Bolognesi, chiede al governo risposte circa questi punti:
risarcimenti ai familiari delle vittime;
reato di depistaggio;
declassificazione sugli atti delle stragi.
Sul reato di depistaggio Bolognesi afferma: “Doveva avere una corsia preferenziale invece ha avuto una corsia ad ostacoli.”
Sulla declassificazione sempre Bolognesi dichiara: “E' applicata in maniera assolutamente non corretta e non porta da nessuna parte.”
Bolognesi ribadisce infatti che il problema non è solo quello degli esecutori ma anche quello dei mandanti.
Ora pare che in parlamento si stia iniziando a discutere su questo e speriamo che la discussione porti a qualche risultato...
Altrimenti dovremmo sottoscrivere le parole del dott. Scarpinato, che nel suo libro Il ritorno del principe scrive che in Italia “lo stragismo” è stata (fin da Machiavelli) la modalità classica di gestione del potere.
E l'insabbiamento, aggiungo io, il suo osceno, indegno copricapo.