Tuttavia se la discussione filosofica può ricevere degli stimoli
dalla creazione artistica, quest’ultima non può però ambire al
ruolo di concorrente o di rivale della filosofia. Ma naturalmente,
neanche viceversa.
Arte e filosofia, invenzione e razionalità, bellezza e verità,
per loro natura abitano infatti “luoghi” ben differenti.
Certo, si può condividere almeno in generale questo passo del
Dedalus di Joyce: “Platone, se non erro, scrisse che la
bellezza è lo splendore della verità. Io credo che ciò abbia un
solo significato: verità e bellezza sono simili. La verità viene
contemplata dall’intelletto(…); la bellezza viene contemplata
dall’immaginazione.”1
Qui però Joyce ha il torto di tralasciare la condanna
dell’arte pronunciata da Platone, che appunto considerava l’arte
in modo essenzialmente negativo, poiché secondo l’A. della
Repubblica la creazione artistica distoglie dal dovere morale
e dalla ricerca intellettuale, stimola particolari sentimenti e
sensazioni, insomma solletica i lati meno nobili dell’uomo.
In effetti, se pensiamo a quel che S. Agostino diceva per esempio
a proposito degli abusi e delle violenze (sia fisiche che sessuali)
che si rappresentavano realmente ai suoi tempi in ambito
teatrale, sarebbe difficile non condividere la condanna platonica…2
In ogni caso la condanna da parte di Platone del fenomeno
artistico è oltre che morale, anche filosofica: l’arte è per lui
solo “imitazione dell’imitazione.”
Poiché il reale sublunare cioè
terreno è solo la copia o l’imitazione di una realtà
iperuranica ossia celeste, superiore, metafisica, in cui
esistono le idee o modelli di ogni cosa, allora l’arte non
farebbe che produrre una copia imperfetta di ciò che a sua volta è
copia di una realtà perfetta ed ideale. E che valore potrà
mai avere la copia di una copia?
Se esiste già l’idea di tramonto, quella di notte, di
sole, di amore ecc., a che pro scrivere dei romanzi o delle poesie,
dei drammi, delle commedie o delle musiche che parlino appunto del
tramonto, della notte, del sole, dell’amore? In questo modo non si
fa altro che duplicare qualcosa che non potrà mai essere perfetto
quanto il suo “originale.”
Quindi per Platone l’arte non ha senso: né moralmente né
filosoficamente. Essa è inutile se non pericolosa, infatti
egli bandisce dal modello di città ideale da lui teorizzato ne La
repubblica, sia l’arte che gli artisti.3
Ora, il dialogo tra l’artista che voglia discutere col filosofo
di problemi oltre che estetici anche etici, sociali, giuridici,
gnoseologici, relativi quindi alla conoscenza ecc. sarebbe difficile,
se non impossibile.
Chi considera, come il filosofo platonico l’artista una sorta di
pericolo pubblico o (nella migliore delle ipotesi) un folle o
un ingenuo, non avrà alcun interesse a discutere con lui.
E l’artista che consideri il filosofo irrigidito in tutta una
serie di distinzioni che spesso hanno quasi il carattere della
scomunica, o almeno del pregiudizio, non sarà certo più motivato a
dialogare con un tale assolutista.
Come dice la Murdoch: “La filosofia e la teologia debbono
respingere il male mentre lo spiegano, ma l’arte è essenzialmente
più libera e trae profitto dall’ambiguità delle relazioni umane;
di qui la duplicità che naturalmente spartisce con l’Eros
platonico.”4
* Ho pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post
rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il
17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a il
15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Note
1. James Joyce,
Dedalus, Mondatori, Milano, 1980, p.
243.
2. Cfr. Christine Mohrmann in S. Agostino,
Le confessioni,
Rizzoli, Milano, 1978, libro III, n.4, p.
93; cfr anche
S.
Agostino, Le confessioni, op.
cit.,
pp.
91-93.
3. Platone,
La Repubblica, libro X. Sono però molte le
opere in cui Platone condanna l’arte: per es. nello
Ione egli
dichiara che
in fondo il poeta non sa nulla. Per una
discussione (che è anche un ottimo riepilogo delle idee di Platone
sull’arte) in epoca moderna di tale tema, trovo ancora validissimo
il testo della studiosa scozzese Iris Murdoch; cfr. I. Murdoch,
Il
fuoco e il sole, Sugarco, Milano, 1977.
4. Murdoch,
Il fuoco e il sole,
op.
cit.
,
p.
100.