sabato 30 dicembre 2017
Bella presenza
21
dicembre 2017: sul Corriere della
sera, nella rubrica Il
caffè di Massimo Gramellini, leggo
il pezzo Di bella presenza. Come
già in altre occasioni, egli ha saputo rivestire il suo articolo del
consueto garbo.
Tuttavia,
l'argomento da lui trattato è di quelli che fanno saltare su dalla
sedia. E non per colpa sua. Veniamo al punto.
Sul
portale istituzionale di Garanzie
Giovani è comparso questo annuncio:
“Cercasi impiegata di bella
presenza per tirocinio, durata 6
mesi più proroghe, part time 20 ore
settimanali, retribuzione 400 euro
mensili.”
Ora,
il contrattato ha una durata ridicolmente breve, appena 6 mesi: con
quelli puoi pagarci l'affitto? E come ti procuri da mangiare, come
paghi eventuali spese mediche, come fai coi vestiti, con la luce,
l'acqua, il gas ecc. ecc.?
Si
dirà: magari in contemporanea
ti trovi un altro lavoro; per esempio in nero.
E
comunque, se lavori dalle 9 alle 13 e poi becchi un altro lavoro
dalle 15 alle 19, c'è il problema della distanza...
metti che si tratti "solo" di 50 km. Puoi raggiungere il
nuovo posto in 45 minuti, ammesso che
non becchi traffico; così, si sono fatte almeno le 13.45.
Ah,
certo, c'è la seccatura del pranzo,
seccatura che puoi toglierti prima di partire o dopo, appena
arrivato. Ma se non ce la fai col tempo, puoi sempre non
mangiare, giusto?
Ancora:
magari, sul 1° posto di lavoro potrebbero trattenerti ben
oltre le 13; così come fai ad
arrivare in orario dall'altra parte del Paradiso lavorativo? Capace
che quando ci arrivi (per es. alle 15.30) scatti il licenziamento.
"Soldi":
400 euro mensili. Come dice bene Gramellini, fanno 5 euro l'ora. Non
bastano neanche per la benzina. Però puoi andare a piedi e coi soldi
risparmiati comprarti un panino ed una bibita.
Nell'annuncio
si parla anche di 6 mesi più
proroghe. Bello!
Ma
in base a che cosa dovrebbero scattare, 'ste proroghe? In un sito
(come scrive Gramellini) “di un progetto di governo e regioni
finanziato dalla Reverendissima Unione Europea”, ci si aspetterebbe
maggior chiarezza. E comunque, ha senso prorogare un regime salariale
come quello?
Ma
quel che fa davvero imbufalire, è il fatto che si cerchi
un'impiegata di bella presenza!
Siamo ancora a questa idiozia? Conta non la donna intelligente,
preparata, coscienziosa, ma la classica bella ragazza?
Sia
chiaro: non ho niente contro le belle. Ma per me, soprattutto sul
lavoro, la bellezza conta zero.
Possibile che in pieno XXI secolo il lato estetico sia considerato
più importante di tutti gli altri?
Spero
proprio che questo Natale e l'anno nuovo spazzino via certi
contratti, quelli cioè che si è costretti a firmare per pura e
semplice fame. Allora e solo allora, alcuni avrebbero il diritto di
augurare Buon Natale e felice
anno nuovo,
senza che questo sembri una crudele presa in giro.
giovedì 30 novembre 2017
Perché scrittori e scrittrici... scrivono?
Scrivono perché: è quello che
sanno fare meglio; non sanno farne a meno ed anche perché a loro
piace.
Vediamo di
spiegare queste risposte, per ovvie che possano sembrare.
Scrivono
perché è quello che sanno fare meglio.
Sì. Loro padroneggiano la lingua in un modo che ad altri (persone
magari ben più colte di loro) non è dato.
A
volte quell'abilità è una condanna o addirittura una maledizione,
nel senso che secondo me, a scrittori & scrittrici si applica
quello che il filosofo Cioran diceva dei poeti quando li definiva:
“Vittime e carnefici dell'aggettivo.” C'è insomma in chi scrive,
una volontà quasi maniacale di
piegare il linguaggio ad usi ed a significati che si solito, non
ha. O che ha perso.
C'è la
volontà di inventare nuovi mondi e nuovi legami di spazio e di
tempo. C'è la necessità di esplorare i motivi più oscuri e
profondi del comportamento di ognuno, e di non farsi intrappolare da
un'ottusa, avvilente routine.
Se
scrivere è questo,
allora porta con sé anche quanto detto prima: perché se è quello
che sai fare meglio, deve anche piacerti...
perché ti piace vedere che stai creando cose che non sa fare nessun
altro.
Vanità?
Probabile. Comunque la scrittura ti fa ignorare il banale ticchettio
del tempo e scrivere su un marciapiede anche quando piove e tira un
ventaccio che ti gela le ossa. Inoltre, ti mette di fronte a te
stesso ed al tuo cumulo di peccati, follie e reati senza possibilità
di mentire... come potresti fare con un giudice, uno psicoanalista o
un prete.
Alla
fine, non puoi proprio farne a meno:
come ho detto migliaia di volte, la scrittura è il miglior sballo
del mondo... di questo e per quanto ne so, di qualsiasi altro. Se
inquadriamo la faccenda sotto questa luce, capiamo perché la
scrittrice della Germania Est Christa Wolf dicesse che un giorno
senza scrivere una pagina, le sembrava “sprecato.”
Certo,
poi possono ingannare certi contenuti:
in Bukowski, Philip Roth ed Erica Jong molti vedono solo il sesso;
in Hemingway, il macho;
in Dostoevskij, potrebbero vedere una giustificazione della violenza
(pensiamo a Delitto e castigo o
a I demoni). Più
recentemente, potremmo applicare questo discorso anche al Mario Puzo
de Il padrino ed al
Burgess di Arancia meccanica.
Del
resto, il compito di chi scrive è porci dei dubbi,
non fornirci dei pannicelli caldi. Ma poi, siamo tanto sicuri di
averne bisogno? Leggiamo Catullo e partecipiamo al suo dolore per la
donna che odia e che
ama; leggiamo il
Furioso dell'Ariosto e
ci fa piacere scoprire che sulla luna c'è tutto tranne la follia,
che è rimasta tutta sulla Terra!
Si
dirà: vabbe', ma quelli erano poeti.
Vero. Ma quando scrivi, l'impulso e la passione per
la scrittura vanno oltre la
forma o la tecnica espressiva... romanzo, racconto, poesia, pièce
teatrale, canzone... che
importa?
Ma per oggi
basta così. Tornerò sull'argomento a giorni.
martedì 31 ottobre 2017
Majakovskij, il progresso e magari anche io
Vladimir Majakovskij (1893-1930),
poeta dal verso imprevedibile, uomo dall'umore ora cupo ora
follemente gioioso, rivoluzionario pieno di passione e di grande
senso dell'umorismo. Ho riletto alcune sue poesie,
trovandole ancora molto belle, attuali e stimolanti. Prendiamo per
esempio Il ponte di Brooklyn.
Benchè Majakovskij sia sempre
stato un comunista convinto, visitò ed osservò con grande curiosità
e simpatia gli USA ed il Messico.
Del resto, certe sue immagini sono
anche caustiche, taglienti, molto polemiche: come quando rivolgendosi
agli statunitensi dice:
“Voi siete
i dis-united States of
America.”
C'è
molta polemica anche quando aggiunge:
Di qui
i disoccupati
si buttavano
a capofitto
nello Hudson.”
Eppure,
Volodia (diminutivo russo per Valdimir), si descrive:
“Ubriaco di gloria,
affamato di vita”,
uomo
che penetra:
“superbo,
sul ponte di
Brooklyn.”
La
fantasia di Majakovskij continua a correre libera e selvaggia per
tutta la poesia, forgiando metafore, iperboli e paralleli come solo
un grande poeta potrebbe.
Ma ora voglio parlarvi di un altro aspetto. So che da tempo va di
moda attaccare il progresso e le sue conquiste, ma
pensiamoci bene: che cosa sarebbe il mondo senza di esso? Un mondo
senza elettricità, treni, aerei, auto, pc, rock... acqua
corrente in casa!
Certo,
adoro la campagna. Secondo mia moglie potrei vivere in cima ad
una montagna con solo una penna, qualche foglio e la mia armonica. Ma
dopo un po', avrei di nuovo bisogno del caos cittadino. Ok, so
che la tecnologia esiste anche in campagna, però avete capito.
Tutto
sta, come sempre, nell'uso che
facciamo di una cosa: progresso incluso.
Comunque,
spesso certi strali nascondono una mentalità che vorrebbe far
tornare l'umanità ad una situazione quasi schiavistica. Niente
scuola, andate a lavorare. E lavorate come e quanto
decidiamo noi. E vi pagheremo
come decideremo noi. Non
vi va bene? Abbiamo tanti manganelli, mitra e laser!
“E
niente medicine, quelle sono per noi, che dobbiamo curarci per farvi
ammalare meglio. E zero treni e zero aerei; servono per il trasporto
truppe.”
“E
le leggi?”
“Niente
leggi. Basta una stretta di mano.”
“Mi
scusi, eccellenza, ma io la mano non ce l'ho più; mi è stata
strappata via insieme al braccio da una bomba.”
“E
allora? Vuol dire che eri un peccatore o un sovversivo! Prega per i
tuoi peccati e per i tuoi reati: ora che ti abbiamo dato l'ergastolo,
hai tanto di quel tempo...”
Insomma,
non facciamo fregare: le critiche non al cattivo uso del
progresso, ma al progresso sempre e comunque,
nascondono branchi interi di aspiranti schiavisti!
Allora
ben venga Majakovskij, che cantava i bulloni del ponte di Brooklyn,
la musica delle rotaie e sognava partite di calcio da giocarsi fra
astronavi nello spazio!
Ben
venga questa fede forse ingenua nel progresso tecnologico, che però
per lui doveva essere anche umano e sociale.
Quanto
a certi critici, che magari sognano per tutti noi antri e caverne,
che salgano pure su qualche carretto e spariscano. Di loro non
abbiamo proprio bisogno.
sabato 30 settembre 2017
Sogni, incubi, progetti: insomma, un sacco di scemenze
Prendo la penna e parlo di me,
prendo l'armonica
e faccio finta di suonare
(non bene che cosa o perché)...
prendo la rabbia, ma penso che
tante, troppe volte
sia troppo collegata al cervello
e prendo il cervello, ma temo
che spesso
sia troppo collegato alla
rabbia.
Litigo coi secoli che sembrano
trascorsi invano,
e litigo coi mie versi.
Bisticcio coi sogni che
diventano incubi
e coi progetti che non so come
né perché, si realizzano.
Continuo (mio sport preferito) a
pensare alla Morte.
Almeno,
ho smesso di pensare
all'Inferno.
E tu, carissimo Satana, a chi
pensi oggi
o
a chi penserai domani?
Faccio il surf sul filo spinato
dei miei sogni
e rimbalzo su sabbie di monotona
disoccupazione:
però devi essere un asso per
sbagliare sempre e di continuo,
per essere un Pelè del niente.
Poi mi riprendo,
dopotutto tiro il fiato ed anche
qualche pietra
alle ansie, alle paure ed alle
gioie che mi fanno marameo
più o meno da sempre o anche da
prima.
Be', a volte penso che
non sia male
saper sprecare così bene sè stessi!
lunedì 25 settembre 2017
Chiacchiere settembrine
Giorni fa, nel riordinare i miei
libri di filosofia e di testi di canzoni, appare il mio Interlocutore
Immaginario. Aveva portato un infermiere
della vicina clinica psichiatrica, che però liquidai con un
cagliaritano colpo di testa che gli ruppe il setto nasale.
Mentre l'infermiere smammava, I.
I. pulì il sangue che stava imbrattando un libro di S. Francesco e
commentò acido: “Sempre cordiale e collaborativo, vero, Riccardo?”
“Be'”, sorrisi stappando una
bottiglia di vino aromatizzato al limone, “tu mi porti un
infermiere di qualche specie di manicomio...”
Non ricambiò il sorriso però
afferrò il bicchiere che gli porgevo: sembrava un naufrago a cui
finalmente qualcuno avesse gettato un salvagente. Bevemmo in silenzio
quindi mi chiese che cosa stessi ascoltando.
“I Decemberists.”
Affermò che trovava molto
interessante quel loro miscuglio di folk, rock, blues e vari altri
stili musicali americani.
“Mi pare che nella loro
musica”, osservò con ammirazione, “si trovi anche qualcosa di
irlandese.” Aggiunse che la sua canzone preferita era Lake
song.
“Ma
forse, anche perché mi piace tutto quel che ha a che fare con
l'acqua; sai, Lake song significa
'la canzone del lago'.”
Annuii
e versai ad entrambi un altro bicchiere di vino limonalizzato. Poi mi
alzai e presa l'armonica, cercai di accompagnare i Decemberists.
I risultati non furono
esattamente esaltanti, così riposi lo strumento e gli feci
educatamente capire che dovevo scrivere.
“Insomma”,
ridacchiò, “devo levarmi dai piedi!”
“No, però
vorrei che smettessi di parlare per un po'. Pensi di poterci
riuscire?”
Per tutta
risposta lui prese da uno scaffale un libro di poesie e racconti di
Yeats e sparì in fondo al salotto. Sapeva che trovavo la letteratura
davvero stimolante quando si confronta oltre che con la realtà,
anche col fantastico, col soprannaturale e così via delirando.
“Rave on, rave on, John
Donne”, canticchiò, “delira,
delira, John Donne.”
Era una
citazione da una canzone del grande Van Morrison, ma gli imposi
comunque il silenzio. Macché. Peggio che andar di notte.
“Stai
pensando di continuare il romanzo che hai interrotto all'inizio di
agosto?”, chiese con aria indifferente.
Esasperato,
gli lessi qualche capitolo.
Lui ascoltò
con grande concentrazione poi commentò: “E' molto buono. I
dialoghi (perfino i più lunghi) non stancano. La psicologia dei
personaggi è credibile, davvero realistica. La scena poi in cui il
protagonista incontra Spinoza, è uno spasso.”
“Ma...?”
“Nessun
'ma.' Stai scrivendo una bella storia, dove hai messo umorismo,
cultura, sesso, lavoro ed una solitudine che il protagonista affronta
con coraggio e dignità. E le sue conquiste sono dipinte come delle
donne, non come delle
prede. Dovresti essere orgoglioso del libro che stai scrivendo.”
“Chissà
se la penserà così anche qualche editore...”
“Quello
dovrebbe essere l'ultimo dei tuoi problemi. Come diceva T.S. Eliot?
Per il genere umano non esiste che il tentare.
Un'altra cosa: nel romanzo ci sono anche molto alcol e molta
violenza, ma nel presentare questi elementi non dimostri nessun
compiacimento; ed appunto alcol e violenza arrivano sempre quando la
storia lo richiede.
Perciò, avanti così, caro me stesso... possibilmente, con un po' di
autostima.”
“Eh, per
quella penso che dovrò aspettare altri 55 anni...”
Scoppiammo
a ridere e stappammo una 2/a bottiglia di limone avvinato (speravo
non avvinazzato).
Ascoltammo la colonna sonora di C'era una volta in America
e quando vidi che si stava
addormentando, gli misi sulle spalle un plaid ed andai a dormire
anche io.
mercoledì 30 agosto 2017
“Rip Van Winkle”, di Washington Irving*
Si tratta di un racconto che lo
scrittore americano W. Irving (1783-1859) scrisse nel 1819.
Gli scritti di Irving si trovano
agli inizi della letteratura statunitense; tra questi, forse il più
famoso è La leggenda della valle addormentata
(1820), che ha avuto vari adattamenti televisivi e cinematografici;
di questi, ho gustato molto il film Il mistero di Sleepy
Hollow (1999), che aveva come
protagonista Johnny Depp.
Ma
torniamo a Rip. Egli è un uomo semplice e buono. Non molto attivo o
intraprendente, o meglio: lo è quando qualcuno ha bisogno di una
mano... non sempre quando ne hanno bisogno la sua famiglia e la sua
fattoria. Egli lavora per gli altri ed è un po' l'idolo delle
massaie e dei ragazzini, che possono contare su di lui per
commissioni, lavoretti, giochi ed aiuti di vario tipo.
Quando
però deve curare i propri interessi, egli (con sognante
vagabondaggio), preferisce sparire nei boschi col suo cane Wolf.
Sì,
perché Rip contraddice in pieno l'immagine dell'americano
pragmatico, grintoso e pieno di spirito di iniziativa: lui, che vive
con la sua famiglia in un villaggio ai piedi dei monti Catskill,
pensa soprattutto a sottrarsi alla lingua di
sua moglie, la perfida Madama Van Winkle.
“Ma si sa che un
carattere acido non si addolcisce con l'età, e che una lingua
tagliente è l'unico strumento da taglio che si affili sempre meglio
con l'uso.”1
La
tendenza del Nostro forse più che alla “poltroneria” alla
mancanza di organizzazione, finisce per essere accentuata dalle
continue e violente strigliate che subisce dalla moglie. Infatti, per
sfuggire a tutto ciò, Rip si rifugia in un mondo tutto suo, fatto di
dialoghi col proprio cane Wolf, vagabondaggi senza meta né orario,
battute di caccia dall'esito incerto e chiacchierate con gli amici:
tutte persone placide ed alla buona come lui e che come lui, anche se
non sgobbano come muli, comunque alla famiglia non fanno mancare il
necessario.
Madama
V.W. aveva strigliato il marito una volta di troppo quando lui (come
sempre) si sottrasse al controllo della sua carceriera scivolando nei
boschi col fucile e col suo amato cane.
Così finì in un luogo in cui non si trovava anima viva per
miglia e miglia, e tutto era immerso in un silenzio quasi assoluto,
rotto solo dallo sporadico canto di qualche uccello o dal gorgoglio
di un ruscello.
Prima: “Si era arrampicato senza rendersene conto su una delle cime
più alte dei monti Kaatskill”2, ma verso il tramonto, da lì si
accingeva a scendere quando si sentì chiamare per nome. Pensò che
si trattasse di uno “scherzo della sua fantasia”, ma non era
così. Vide, infatti, qualcuno.
“Era un vecchio, basso di statura e
tarchiato, con un grande ciuffo di folti capelli e la barba
brizzolata. Vestiva un abito di foggia olandese antica (…).”3
In
effetti, prima che New York diventasse una città inglese poi
americana, si chiamava Nuova Amsterdam.
Ed era una città olandese. Inoltre esistevano comunità appunto dei
Paesi Bassi in tutta la regione attorno a Nieuw Amsterdam.
Quell'uomo
era Henry Hudson,
esploratore inglese che (tra gli altri), lavorò anche per gli
olandesi. Dopo esser stato chiamato dall'illustre personaggio, Rip
nota che: “Aveva sulle spalle un massiccio barilotto che sembrava
pieno di liquore e faceva segni a Rip perché si avvicinasse per
aiutarlo a portare il carico”4: quel che lui fece col solito buon
cuore.
Ma
ecco che al nostro eroe si presenta uno spettacolo davvero strano: un
gruppo di persone vestite come Hudson che in gran silenzio giocavano
a bocce. Inoltre: “Nulla rompeva il silenzio della scena salvo il
rumore delle bocce che, fatte rotolare, rimbombavano per le
montagne come il brontolio di un tuono.”5
A
Rip spetta il compito di versare da bere dal barilotto: si trattava
di “acquavite olandese di prima qualità”6; e che lo fosse, lo
sperimenta anche il nostro amico!
Al
risveglio, nessuna traccia né dei misteriosi ed inquietanti
giocatori, né del suo cane o del fucile, al cui posto Rip trovò
solo un vecchio archibugio.
Tornato
al villaggio, trovò molti cambiamenti... la sua vecchia casa in
rovina, Wolf che non lo riconosceva più ed: “Al posto del grande
albero che riparava la piccola locanda olandese, c'era adesso un palo
altissimo e nudo, con qualcosa sulla cima che somigliava a una
berretta da notte rossa,
e da quel palo sventolava una bandiera con una strana combinazione di
stelle e strisce (…).
Perfino il carattere delle persone sembrava mutato. Invece della
solita flemma e sonnolenza, tutti si mostravano affaccendati e
agitati a discutere.”7
In
sostanza: le colonie olandesi erano diventate da inglesi, americane;
tutto questo era accaduto durante al notte in cui Rip aveva smaltito
la sbronza. Solo che quella notte durata circa 20 anni
ed ora solo qualche vecchio si ricordava ancora di lui.
Però
ritrova il figlio e soprattutto la figlia, che lo prenderà a vivere
con sé. Quanto a Madama Van Winkle, era morta: “Le si ruppe una
vena un giorno che si arrabbiò tanto con un merciaio ambulante della
Nuova Inghilterra”; per Rip questa notizia fu “una goccia di
balsamo.”8
Poi,
un certo Vanderdonk riconobbe Rip ed affermò che i monti Kaatskill:
“Erano sempre stati infestati da esseri strani e che il grande
Hendrick Hudson, lo scopritore del fiume e del paese, vi teneva una
specie di veglia ogni vent'anni insieme con l'equipaggio della Half
Moon (….).” Suo padre: “Li
aveva visti una volta in una conca delle montagne intenti a giocare
ai birilli, vestiti con i loro costumi olandesi; e lui in persona, in
certi pomeriggi d'estate aveva sentito il rumore delle loro bocce che
sembrava un fragore di tuono lontano.”9
Questi
fatti, che in effetti sospendono il
tempo e la logica, non furono creduti da tutti; lo furono però
dai”vecchi abitanti di origine olandese”, che ancora oggi: “Ogni
volta che in un pomeriggio d'estate si sente un temporale sui monti
Kaatskill, dicono che Hendrick Hudson e la sua ciurma stanno facendo
una partita ai birilli.”10
Un
modo, questo, abbastanza simpatico di accettare il maltempo, non
credete?
Quanto
al resto: “Tutti i mariti del vicinato che hanno una moglie
bisbetica, quando non sanno più dove sbattere la testa, vorrebbero
poter gustare un sorso della bevanda consolatrice dal boccale di Rip
Van Winkle.”11
E
questo (dico io), anche quando si abbia la fortuna di non
avere una moglie di quel tipo,
sarebbe comunque un modo per rendere il matrimonio più rilassante.
O
almeno, penso che non sarebbe male vedere la faccenda in questi
termini.
Note
1
Washinton Irving, Rip Van Winkle,
Tea, Milano, 1992, p.12.
2
W. Irving, Rip Van Winkle,
op. cit., p.16.
3
W. Irving, op. cit., p.17.
4
Ibid., p.17.
5
Ibid., p.20. Il corsivo è mio.
6
Ibid., p.21.
7
Ibid., p.26. I corsivi sono miei.
8
Ibid., p. 32.
9
Ibid., pp.33-34. In inglese nel testo.
10
Ibid., pp.35-36.
11
Ibid., p.36.
mercoledì 23 agosto 2017
Mare, vento, nuvole ed altro
Come tutti saprete, siamo ad
agosto.
Agosto. Il nome di questo mese mi
fa pensare al grande romanzo umoristico di Achille Campanile Agosto,
moglie mia non ti conosco. Ecco,
secondo me, nella nostra letteratura di umorismo se ne trova ben
poco... Come se appunto in letteratura si debba essere solo seri.
Sempre ed a tutti i costi. Il che significa, in fondo essere seriosi.
E'
un po' come la differenza tra il sentimento ed
il sentimentalismo,
che come diceva Flannery O' Connor nel saggio Nel
territorio del Diavolo, più che
autentico sentimento, è una sua deformazione. Non sentimento sincero
e realistico, ma una sorta di teatralizzazione.
Vabbe', ora
lasciamo stare Campanile e la O' Connor (ma con mio grande
rammarico).
Un po' per
tutti, quindi anche per me, agosto significa mare.
Ma
per me il mare, agostano o meno, significa l'orizzonte che posso
scrutare in vari momenti ed il vento che increspa l'acqua. Per me, il
mare è quella strana fusione di vento, aria, acqua, sole e sabbia
che nella mia mente va oltre il
semplice concetto di mare.
Per
me, infatti, quel particolare insieme rappresenta il tempo,
ecco che cosa. Il tempo che scorre e che va, il tempo che crea
misteriosi mulinelli di acqua ed indecifrabili, imprevedibili vortici
di sabbia.
Mulinelli e
vortici che spesso sono simboli dei nostri sentimenti, delle nostre
paure, speranze e passioni.
Quel
che poi del mare non mi stanca mai è... il guardarlo.
La
mattina, perché il luccichio del sole sull'acqua è uno spettacolo
che arriva quasi ad ipnotizzarmi.
La sera, perché l'attenuarsi della
luce solare crea un'atmosfera... non saprei, come di qualcosa che
sfugge alla logica, o che ne crea una tutta sua. Un esempio
di questa sensazione? Mica
facile!
Ma vediamo...
osservare anzi scrutare il mare dall'alto di una scogliera, fissando
lo sguardo sulla spuma e sulle onde che si rincorrono fino a
lanciarsi sugli scogli: ebbene, a me tutto questo crea una piacevole,
intrigante inquietudine.
Le
nuvole, poi!
Fin da bambino
ho sempre amato star sdraiato a fissarle: al mare, ma anche sdraiato
su un prato, seduto su una panchina del porto o in piedi, dietro la
finestra di casa. Perché per me le nuvole sono sempre state come i
miei dubbi, le mie paure ed i miei progetti... qualcuno di questi
ultimi, non so come (!), non è neanche fallito completamente.
Be', per oggi
non mi pare di aver altro da dire.
A presto!
lunedì 31 luglio 2017
Ancora liberi Espenhahn e Priegnitz
Nella notte tra il 5 ed il 6
dicembre 2007 morirono nel rogo della Thyssen Krupp di Torino ben 7
operai. Erano: Antonio
Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario
Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino.
Di
questa vera e propria strage, secondo la sentenza emessa dai giudici,
sono risultati colpevoli 4 dirigenti italiani e 2 tedeschi. Gli
italiani, dopo che il processo si è concluso definitivamente il 13
maggio 2016, si trovano in carcere.
Invece
i tedeschi Harald Espenhahn (amministratore delegato) e Gerald
Priegnitz (consigliere d'amministrazione) sono ancora liberi.
Espenhahn ha riportato una condanna a 9 anni ed 8 mesi: Priegnitz, invece, a 6
anni e 3 mesi.
Come
ho letto ne Il fatto quotidiano (29
luglio 2017, p.9): “Un accordo bilaterale prevede che un cittadino
tedesco condannato in Italia possa scontare la detenzione nel suo
paese e che la durata non possa superare il massimo previsto dal
codice penale tedesco, che per l'omicidio colposo ammonta a 5 anni.”
Insomma, soprattutto per il
maggior colpevole la condanna, anche quando dovesse essere
applicata, sarebbe in sostanza
dimezzata;
probabilmente, l'altro (Priegnitz), se la caverebbe al massimo con 1 o
2 anni.
Ora,
il processo è durato poco meno di 9 anni:
in tutto quel tempo la tragedia della Thyssen è stata analizzata a
fondo fornendo agli imputati tutte le possibili tutele e garanzie sul
piano giuridico. Niente da eccepire, quindi, sulla correttezza della
nostra magistratura e su quella delle nostre forze dell'ordine.
Purtroppo,
c'è da eccepire sulla correttezza delle autorità tedesche.
Infatti: “Tre giorni dopo la sentenza, il 16 maggio, la Procura
generale ha emesso un mandato di arresto europeo.”
Attenzione
a questo che non è un semplice particolare: si tratta di un mandato
di arresto europeo,
mica di un capriccio della magistratura italiana. Un mandato di
questo tipo, prevede la sua esecuzione anche al di fuori del
territorio italiano; richiede, inoltre, un'esecuzione che non può
essere procrastinata, insomma rimandata sine die.
Ma
sempre nell'art. de Il fatto leggiamo che:
“Il 25 maggio sono state diramate le ricerche dei due condannati,
individuati in Germania, dove è stata inviata una prima parte degli
atti, ma il 4 agosto la Procura generale di Hamm ha comunicato al
ministero della Giustizia di Roma di essersi rifiutata di
arrestare i due cittadini, facoltà concessa dalle norme che regolano
il mandato di arresto europeo” (il corsivo è mio).
A
questo punto io mi chiedo: che razza di validità e
di serietà può mai
avere un mandato di arresto europeo che però, concede ad un Paese il
diritto di non arrestare chi
in base ad una sentenza definitiva risulta colpevole?
Però
sono state inviate in Germania le traduzioni delle
sentenze (quelle di appello e quella della Cassazione), depositate a
dicembre. “Le traduzioni sono arrivate un mese dopo e subito, il 17
gennaio scorso, gli atti sono stati inviati a Berlino.”
I
tedeschi, a cui il recht cioè
il diritto sta molto a cuore, hanno richiesto altre garanzie, atti ed
informazioni, così: “Ai primi di giugno sono partiti da Roma i
nuovi documenti. Da allora la questione è in mano alla Procura
generale di Hamm e alle autorità giudiziarie di Essen, ma non è
ancora conclusa.”
Pare
che il ministro della giustizia Orlando debba incontrare il suo
omologo tedesco Heiko Hess “al prossimo consiglio europeo dedicato
alla giustizia, il 12 ottobre.”
Intanto,
saranno passati altri 3 mesi e francamente, dubito che la questione
possa trovare immediata o almeno rapida soluzione.
Spero
soltanto che di rinvio in rinvio, il reato commesso anche dai 2
manager non cada in prescrizione.
Comunque,
anche se il dott. Hess ed il suo ministero dovessero procedere
all'arresto, dalla sentenza sarebbero comunque passati 17
mesi. Troppi, maledettamente
troppi per la giustizia e per quei poveri operai, morti in modo così
ingiusto ed inumano. Ma meglio tardi che mai.
martedì 25 luglio 2017
Di quella volta che fregai me stesso
Osservo il castello di S. Michele
ascoltando l'assolo di sax di Clarence Clemons in Trapped;
la versione di Springsteen con la “E” Street Band, non quella di
Jimmy Cliff.
Salta
fuori il mio Interlocutore Immaginario, che non vedo da tempo. Mi
demolisce una spalla con una pacca devastante e chiede: “Be', non
mi offri niente da bere, o almeno da mangiare?”
“Mi
dispiace, ma sono quasi a dieta.”
“Non
preoccuparti. In effetti, ho anche io 3-4 chiletti di troppo. Pensa
che ho dovuto eliminare il formaggio!”
“A
me”, rispondo, “quello non dice molto. Però non posso rinunciare
al pane ed al vino.”
“Eh”,
borbotta I.I., “la forma fisica è sempre un problema... Ma senti,
ultimamente stai leggendo qualcosa di interessante?”
“Docherty di
William Mc Illvanney. Parla dei minatori del nord della Scozia: un
gran bel romanzo; senza fronzoli, ma anche molto poetico.”
Noto
che si appunta il nome su qualcosa che sembra un'agenda elettronica.
Solo che i tasti sono tappi di sughero ed il display è di cartone;
neanche tanto pulito.
Ma non dico niente; se sapesse quanto è sporca
la coscienza di certi politici, banchieri, militari, poliziotti ed
alti prelati...
L'amico
apre la portiera della sua Jaguar Hooker-Berry e mi invita a saltar
dentro.
Salto,
ma poiché la dieta mi sta facendo riacquistare una forma eccessiva,
scavalco l'auto e volo in un canneto, dove la violenza
dell'atterraggio terrorizza papere, paperette ed anatroccoli (belli e
brutti).
Inoltre,
sollevo un'onda che richiama vari surfisti: soprattutto dalla Florida
e dalla California.
Li
caccio via a pedate, loro ed i loro vergognosi addominali, poi apro
una copia fradicia d'acqua e di alghe de Il mercante di
stoffe, della scrittrice ed
attrice catalana Coia Valls.
Poi
ecco Tana French. Chiedo sia alla Valls sia all'irlandese se alla
loro carriera di scrittrici abbia giovato l'essere state anche
attrici. Loro mi fissano e scoppiano a ridere.
Dalla
Jaguar, I.I. suona il clacson. Mi avvicino e lui: “Ci sei rimasto
male.”
“Un
po'. Mi hanno ricordato i tempi del liceo. Vabbe', pazienza.”
Lui
accende la radio, c'è Is it in my head? degli
Who. Gli chiedo: “E' nella mia testa? E qualcosa che sto
immaginando?”
“No,
Ric, ma tu non pensarci. Beh, dimmi, stai pensando di suonare
qualcosa di bello, con l'armonica?”
“Love reign o'er me,
sempre degli Who. Intendo il refrain.”
“Quadrophenia è
ancora un bel disco, vero?”
“Immenso,
I., immenso. Grandioso. Ed è grandioso anche il film. Nichilista,
forse, ma del resto, la vita è... be', sai come sia, Lady Life.”
“Già.
Bene, ora io devo andare”, sorride I.I. “Sai che Townshend deve
scrivere una Drowned part 2,
citando anche dei versi di T. S. Eliot?”
“Non
lo sapevo. Ma se non sbaglio, ora tu devi andare.”
“Vado,
vado”, fa lui, seccato. “Ma così che fine fa la tradizionale
ospitalità dei sardi? Complimenti!”
Però
sparì.
Per
una volta avevo avuto io l'ultima parola su me stesso.
venerdì 30 giugno 2017
Lavorare per vivere
Dovrebbe essere scontato che per
vivere, gli esseri umani devono lavorare; ed in modo dignitoso.
Dovrebbe essere chiaro che il
lavoro deve essere retribuito in modo giusto, adeguato.
Dovrebbe essere chiaro che sul
posto di lavoro, le norme ed i contratti devono essere rispettati sia
dal lavoratore sia dal datore.
Dovrebbe essere evidente che
nessun datore possa usare la violenza fisica o psicologica nei
confronti di chi lavora.
Ma a queste più che ovvie
considerazioni, alcuni ribattono: “Belle parole. Tu vuoi fare della
filosofia, ma la realtà è un'altra cosa.”
Filosofia la mia? Può darsi, ma
se la intendiamo come un tentativo di capire, attraverso la ragione,
la realtà. Non si tratta quindi di qualcosa di “astratto.”
Infatti, che cosa possono fare gli esseri umani, che sono esseri
razionali, se non
utilizzare ciò che li caratterizza cioè la ragione?
Devono usarla per forza, perché quella è la loro natura: così come
è nella natura del pesce nuotare.
Ma
vediamola, questa realtà.
Oggi vorrei
parlarvi di una fatto gravissimo rivelato nei giorni scorsi da
giornali e tg. Come fonte sono ricorso a bari.repubblica.it del 19
giugno 2017.
I fatti.
Nel
Brindisino, sono state arrestate 4 persone che sfruttavano e
minacciavano, oltretutto approfittando del loro “stato di bisogno”,
15 donne che dovevano lavorare più di 8 ore al giorno “a fronte
delle sei ore e mezzo previste dal contratto.”
Dalla paga
sarebbero stati poi scalati 8 euro per il trasporto da Villa Castelli
(Brindisi) e da altri comuni del Brindisino e del Tarantino, per
essere condotte “nel Barese.” Così, dalla paga giornaliera di 55
euro, si scendeva a 38.
Aggiungo
che ipotizzando una settimana lavorativa piena, cioè di 7 giorni su
7, un'ora e mezzo (facciamo anche 2) di lavoro in più al giorno,
significa 14 ore a settimana di lavoro gratis.
Questa
pessima vicenda è emersa perché una delle donne ha raccontato agli
investigatori di essere stata picchiata
per aver chiesto “la regolarizzazione del contratto.”
Le persone
arrestate: “Michelangelo Veccari, la compagna Valentina Filomeno,
Grazia Ricci e Maria Rosa Putzu.”
Le 4 persone
arrestate gestivano un sistema tristemente efficiente: il giro era
gestito da Veccari-Filomeno, le altre 2 arrestate si occupavano una
di “procacciare la manodopera” ed un'altra, era una dipendente
dell'azienda ritenuta “committente.”
Il clima di
paura e di ricatto è stato provato anche dalle intercettazioni
telefoniche. In una una di queste si sente: “Alle femmine pizze e
mazzate ci vogliono, altrimenti non imparano”; in un'altra:
“Femmine, mule e capre tutte con la stessa testa.”
Non sappiamo
(benché pare che qualche giornale abbia avanzato questa ipotesi) se
via siano state anche minacce o avances di tipo sessuale, ma il
quadro mi sembra abbastanza pesante anche così.
Comunque,
in tante parti del sud, spesso la situazione di chi lavora nelle
campagne è questa: sfruttamento, botte, minacce, ricatti di vario
tipo. Non di rado, della gestione di questo genere di “lavoro” si
occupano mafie e camorra. E come sappiamo, molte aziende sono controllate da certe
organizzazioni.
Ma
talvolta, dati i profitti che
si possono ottenere con certi aiutini, forse si può parlare più che
di controllo, di una cordiale... collaborazione.
Stroncare
questo sistema feudale e mafioso è una delle emergenze di questo
Paese: non si può assolutamente ammettere che chi lavora nei campi
di ciliegie, nelle vigne o si occupa della raccolta dei pomodori,
debba vivere in condizioni semi-schiavistiche. Altro che filosofia!
lunedì 26 giugno 2017
"La più bella donna della città", di Charles Bukowski
Bukowski è stato spesso
accusato di aver trattato con eccessiva crudezza temi come l'alcol,
il sesso e forse, anche la violenza.
Ma poiché il mondo del Nostro
fu per buona parte della sua vita proprio quello della “suburra”,
in cui certe realtà andavano per così dire in onda in quel modo,
non si vede perché mai lui non avrebbe dovuto dire ciò che vide e
come lo vide. Uno scrittore o
una scrittrice inventa storie e nello stesso tempo, è anche uno
specchio della realtà.
Altra accusa
che gli è stata rivolta, quella di maschilismo; tuttavia, credo che
questo racconto possa smentirla agevolmente.
I
personaggi, infatti delle storie del Nostro, in realtà sono vittime
e carnefici di sé stessi. Inoltre, di fronte alle donne, essi hanno
la percezione (magari confusa) della propria inadeguatezza. Ed anche
quando troviamo casi di prevaricazione nei confronti appunto delle
donne, Bukowski non li presenta mai in modo che denoti approvazione o
complicità.
La più bella donna della
città è un racconto che apre
la raccolta Storie di ordinaria follia (trad.
it. del grande P.F. Paolini, 1975).
Ecco subito a voi Cass,
la protagonista: “Mezzindiana, aveva un corpo stranamente
flessuoso, focoso era
e come di serpente”, e del
resto: “Cass era fuoco fluido in movimento. Era come uno
spirito incastrato in una forma che però non riusciva a contenerlo.
I capelli neri e lunghi, i capelli di seta, si muovevano ondeggiando
e vorticando come il corpo volteggiava. Lo spirito, o alle stelle o
giù ai calcagni. Non c'era via di mezzo, per Cass. C'era anche chi
diceva che era pazza. Gli imbecilli lo dicevano. Gli scemi non
potevano capirla.”
Come
vediamo, qui Buk riproduce in modo davvero poetico la natura e
l'essenza di una donna non solo molto bella, ma piena anche di cuore
e di spirito. ”Dipingeva, danzava, cantava, modellava la
cera, e quando qualcuno era ferito, mortificato, nel corpo e
nell'anima, Cass provava
compassione per costui.”
Ed
ancora: “Di solito Cass era gentile con quelli più
brutti; i cosiddetti fusti non le dicevano niente.”
Le sorelle
erano gelose dell'ascendente che aveva sugli uomini, questi ultimi la
consideravano solo una preda sessuale ed un po' per tutti, era pazza.
Perché? Cass è una che come dico io, va in giro a cuore scoperto,
senza difese di sorta. In effetti, almeno l'80% di noi uomini, di
fronte a donne come lei non sa proprio che pesci pigliare.
Quando si
tratta di gestire un rapporto con donne anche non straordinarie come
una Cass, in noi subentra comunque uno strano mix di insicurezza,
aggressività, narcisismo, ansia ecc. ecc.
Invece il
protagonista del racconto dichiara: “Io ero forse l'uomo più
brutto della città, e magari questo avrà influito in qualche
modo.”
Cass
non vuol essere considerata solo per la sua bellezza, ecco perché si
sfregia con spilloni e cocci di bottiglia; è una sfida anche per il
suo amante, vuol vedere se a lui interessi anche lei,
oltre al suo corpo. Sfida questa raccolta e vinta, se lui dice: “A
me interessi tu e anche il
tuo corpo. Dubito però che gli altri uomini, perlopiù, vedano altro
oltre il tuo corpo.”
La
risata di Cass: “Quella sua risata – solo lei era
buona. Era come gioia sprizzata dal fuoco.”
Il rapporto
dei due amanti, benché sia disturbato da qualche lite, è però di
solito pieno di dialogo, di passione ed allegria. Loro non vivono
insieme, ma ogni volta che si ritrovano è tutto, di nuovo,
straordinario.
Inoltre, lui la aiuta ad uscire dal carcere quando vi
finisce per ubriachezza e rissa.
Attenzione:
ora racconterò la fine, perciò chi ama la sorpresa, salti queste
ultime righe.
Bene, lui le
chiede di mettersi definitivamente con lui, ma lei rifiuta. Lui
rispetta la sua decisione e non si vedono per una settimana. Una sera
scopre che si è suicidata tagliandosi la gola. Comincia a sentirsi
in colpa: se avesse insistito perché restasse da lui, se non si
fosse arreso...
“Cass, la più bella donna
della città era morta a vent'anni.”
Che lei sia
vissuta davvero o che sia stata solo una creatura di Bukowski, è
stata una gran donna. E ci voleva un grande scrittore per consegnare
a noi la grazia di Cass, la sua risata, la sua sensualità.
mercoledì 31 maggio 2017
Stagioni ed un bellissimo libro
Pochi giorni fa ho finito di
leggere I luoghi infedeli della
scrittrice irlandese-americana Tana French. Ne parlerò in un
prossimo post, ma avverto subito che per me, la cosa sarà piuttosto
difficile: nel caso di un romanzo appassionante come quello, bisogna
svelare anche il finale.
Il che può togliere il gusto della suspence.
Ma
dato che I luoghi infedeli è
molto più di un
thriller, la conoscenza appunto del finale non rovinerebbe il gusto
della lettura.
Comunque,
nel post non lo troverete, il famigerato!
Quel
che nel libro mi ha colpito in modo particolare, è l'attenzione da
lei prestata alla psicologia dei personaggi, all'insieme
(spesso contraddittorio)
delle loro emozioni, dei loro sentimenti e dei loro sogni.
L'analisi
della French è molto profonda e partecipe: lei dimostra forte
simpatia, anche amore per
i suoi personaggi e nello stesso tempo, soffre con
loro. In questo, per me si trova sulla linea di Dostoevskij.
Ma
di tutto questo parlerò un'altra volta.
Bene,
l'estate si avvicina e con lei anche i libri che molti/e si
porteranno sotto l'ombrellone.
Io
non me ne porterò nessuno, perché al mare preferisco giocare,
prendere il sole e nuotare... o almeno, fingere di
farlo.
Comunque
se vorrete farmi sapere che cosa leggerete voi al
mare, gradirò l'informazione.
L'estate
è anche il periodo dei tormentoni musicali.
Be', quelli, data l'eccessiva orecchiabilità, non li reggo. Però ho
sentito un pezzo di Gabbani che mi sembra interessante e data la
stagione, anche fresco.
Vicino
a casa mia c'è un colle (quello di S. Michele) che di notte rimbomba
di musica; anche di bel rock,
che è la mia musica preferita.
Qualcuno
si lamenta per il volume della musica, e con simpatica gergalità
cagliaritana, dice che dopo mezzanotte: “E' ora di
basta!”
Certo,
l'eccessivo volume può essere un problema per chi la mattina dopo
deve andare a lavorare o comunque, vuol riposare.
Ma
c'è anche chi dice che la gente, di notte, vuol divertirsi. E se si
diverte, spende. E se spende, fa girare l'economia.
Certo,
c'è anche il rischio che i troppi decibel facciano girare
qualcos'altro. Lo so.
Vabbe'.
Ma
a proposito di stagioni, io all'estate associo proprio l'idea di
musica.
All'inverno,
quelle di cibo e di
vino.
Alla
primavera, quella delle passeggiate.
All'autunno...
non saprei... qualcosa di più impalpabile e di decisamente
insidioso, come la malinconia.
E
voi a che cosa associate ogni singola stagione?
giovedì 25 maggio 2017
Lo sport prima dello sport
Nello sport ci sono dei movimenti
particolari, che appartengono a qualcosa che lo precede: cioè alla
vita; certo, anche lo sport
fa parte di essa: impossibile negarlo.
Ma prima che
gli uomini e le donne decidessero di istituire gare di corsa, di
lotta, di lancio, di nuoto ecc. ecc., esisteva appunto la vita. Da
essa sono stati tratti quegli stili, quei movimenti che poi sono
stati codificati come discipline sportive.
Per
es.: è evidente il fatto che il nuoto ci
appartiene prima di tutto come esseri umani, ancor prima che come
nuotatori che scelgano di competere (a livello dilettantistico o
professionistico): senza dover per forza rispolverare la storia del
mare, fiume o lago che può ricordarci il liquido amniotico
in cui nuotavamo prima di
nascere, è però vero che l'immersione nell'acqua determina grande
sollievo e/o forte piacere.
L'acqua
che ci avvolge e
massaggia, ci rilassa e nello stesso tempo esalta come l'abbraccio di
chi ci ama. Una
pesante giornata di studio, lavoro, discussioni con il/la partner,
con la famiglia ecc. ecc., è spesso addolcita dall'immersione in un
corso d'acqua o anche in una vasca da bagno, oppure da una doccia.
E
non importa che (come il sottoscritto),
uno possieda uno stile di nuoto rudimentale: l'effetto benefico è
sempre quello.
Il
momento del tuffo è
sempre emozionante, ma quello in cui andiamo sott'acqua,
lo è ancor di più... vedere e toccare il fondo marino, sfiorare e
seguire i pesciolini che guizzano sul fondo, sfiorare le rocce e le
conchiglie: tutto questo è meraviglioso.
La
corsa: nessuno ha mai
insegnato ai bambini l'arte dello scatto.
Eppure è nel loro cuore e nelle loro gambe l'istinto di lasciarsi il
terreno alle spalle, neanche scottasse come l'Inferno!
Quando da
bambini corriamo a perdifiato, forse immaginiamo di diventare degli
uccelli e di toccare le nuvole o le stelle, lasciandoci questo strano
pianeta ben al di sotto dei nostri piedi.
Non
ho mai capito perché mai i miei amici odiassero tanto
la corsa e la subordinassero sempre e soltanto alla partita:
come se fosse un prezzo da pagare alla prestazione sportiva. Come
quelli che si lavano e si profumano non per sé stessi, ma per far
colpo su qualcuno.
La
corsa di fondo o la maratona:
sono cose attraverso le quali mettiamo alla prova noi stessi e ci
confrontiamo col nostro corpo, sono cose con cui (in un certo senso)
usciamo dallo spazio e dal tempo: perché superiamo sia i nostri
avversari sia i nostri limiti.
Nel
calcio c'è molto di
tutto questo o forse perfino di più,
dato che in esso utilizziamo anche la fantasia.
Ma su questi
temi ritornerò tra non molto.
martedì 25 aprile 2017
Arrivarono ma non torneranno
Arrivarono
coi loro visi di ferro, di lupo e
di serpente
nel caldo bollente del giorno, nel
gelo della notte.
Arrivarono e con scientifico
impegno
le loro mani manovrarono
bombe, mitra, lanciafiamme,
mitragliatrici, gas e pistole
falciando ogni giorno migliaia e
migliaia di vite.
Con una croce uncinata nel cuore
ed un'altra nella mente...
insomma, con la loro maledetta
svastica,
con l'odio ed il cinismo che
guidava le loro azioni,
loro che si definivano Herrenvolk,
popolo di signori,
fecero
dell'Europa un solo, grande cimitero.
L'industriosa
città di Rotterdam si arrese,
ma l'aviazione
degli uomini-serpente
la rase al
suolo comunque:
morti e feriti
furono ovunque,
gli edifici,
fatti a pezzi dalle bombe...
la città
rovinò su sé stessa.
Eppure,
nel loro regolamento, l'esercito degli Herrenvolk
era tenuto ad
un comportamento “cavalleresco.”
Chelmno,
Sobibor, Dachau, Treblinka,
Mathausen,
Buchenwald, Auschwitz, Terezin...
i lager sono
stati tanti, innumerevoli le vittime
i cui cadaveri
si raccolsero con le ruspe.
Ma certo,
il popolo
dei signori
aveva solo
obbedito a degli ordini.
Renata Viganò,
partigiana dell'Emilia,
narra che per
Natale
gli uomini
devoti alla tortura ed al massacro cantavano come angeli.
Ma ovunque
fossero uomini e donne davvero umani
ci furono
battaglie e resistenza,
sacrifici di
uomini, donne e bambini innocenti
così che
l'alleanza di svastica, fascio e sole nascente
fu distrutta
per sempre.
Diavoli in
forma umana
dai visi di
ferro, di lupo e di serpente
arrivarono
sulla Terra dal loro Inferno di odio e di ignoranza,
ma sconfitti,
furono ricacciati indietro...
all'Inferno
cioè da cui i Diavoli del vero Inferno
non dovranno
farli tornare... mai più!
Essere degni
dell'eroismo dei nostri padri e delle nostre madri
sia sempre la
nostra missione,
la nostra sola ragione di vita.
Ora e
sempre... Resistenza!
venerdì 14 aprile 2017
Pensieri sparsi
A volte ci si può imbattere in
scrittori che purtroppo sono stati sottovalutati, come per esempio,
Pier Francesco Paolini.
Pare che P.F. Paolini sia stato un
grande traduttore dall'inglese.
Su quel punto non posso
pronunciarmi, ma forse posso tentare di dire qualcosa sul P.F.
Paolini scrittore e be',
secondo me è stato uno scrittore coi fiocchi: di lui vi consiglio I
sette peccati mortali a cavallo ed
anche Il gatto guercio,
romanzo che ho letto in questi giorni.
Scrittore
coi fiocchi, perché secondo me, P.F. ha saputo fondere con grande
maestria umorismo, virtuosismo linguistico ed analisi psicologica...
inoltre, anche quando parlava di sexus,
egli aveva un tocco sanamente malizioso e molto arguto.
Ancora:
in P.F. troviamo alcune perle filosofiche, come quando (ne Il
gatto guercio) un giudice
riflette sulla contrapposizione tra giustizia e verità. Ma la
filosofia di P.F. non è mai pesante, accademica, astratta.
Vabbe', di lui
parlerò in prossimi post.
Andiamo
avanti.
Spesso,
in questi giorni, nella scrittura e nella lettura mi sto facendo
accompagnare dai Concerti brandeburghesi di
Bach.
Ora,
io, del grande Johann Sebastian conoscevo solo: un brano che anni fa
era la sigla di Quark;
Jesus bleibet meine Freude;
infine, un pezzo molto famoso ed anche inquietante, che fa pensare alla
colonna sonora di un film horror.
Invece,
dei Brandenburgische Konzerte non
conoscevo neanche l'esistenza. Ma in un negozio della mia Cagliari,
una volta che avessi fatto tot acquisti, avevi diritto ad una
musicassetta in omaggio. Il commesso mi consigliò appunto i
Konzerte; in effetti,
non mi sono mai pentito d'aver accettato quel consiglio.
In generale,
le composizioni di Bach mi fanno pensare ad un grande albero i cui
rami salgano e si intreccino sempre più verso il cielo, schermando
ed anche amplificando la luce del sole e quella delle stelle. Così,
Bach mi comunica una grande sensazione di pace.
Mozart
e Vivaldi mi danno gioia;
Beethoven, energia,
Paganini vivifica la mia vena ironico-scherzosa.
Mi
capita lo stesso con scrittori e scrittrici, attori ed attrici: io
sono sempre la stessa
persona, ma chi possiede
particolari doti artistiche, sa far emergere lati della mia
personalità che magari, per un po' erano rimasti in ombra... e che
mi fa bene rispolverare.
Così,
alla fine vediamo che i pensieri sparsi che
avete letto, non lo sono poi tanto: tutto ciò, infatti che ci
rianima ha a che fare
col centro del nostro io. Solo che molte volte, quel centro è
confuso o distratto da tante cose. Purtroppo, spesso capita che oltre
alla confusione ed alla distrazione, ci sia anche parecchio dolore.
Ma
oltre all'amore ed
all'amicizia può dare
una mano anche l'arte.
Se
poi uno ha le sue soddisfazioni anche sul lavoro,
beh, allora quello è proprio il massimo. Il che non è però molto
frequente, su questa Terra che spesso, ci atterra.
Ma come dico
io, mai perdere la speranza; o mai sperare nella perdita.
giovedì 30 marzo 2017
Confronto tra la scrittura ed altre cosette
La scrittura non tradisce mai.
Possono
far questo ideali di vario tipo, situazioni lavorative, amici,
parenti, colleghi, famigliari ecc. ecc., ma non lei.
Questo
non significa che uno debba rinchiudersi in un mondo di sola
scrittura, ma più semplicemente e realisticamente, significa che
deve evitare di farsi delle illusioni su tutto quell'insieme di cui
sopra.
Certo,
un'altra illusione può
riguardare anche la scrittura: se per esempio ci ostiniamo a cercare,
attraverso questa grande amica, il successo.
Perché
non si scrive per il
successo, ma perché non se ne può fare a meno.
La
scrittura è l'unica droga o malattia dalla quale si deve sperare di
contrarre il virus o la dipendenza. Per sempre.
Altra
illusione che deve esser spazzata via, è quella secondo cui la
scrittura debba renderci felici,
così come può fare una persona che amiamo o un ideale di qualsiasi
genere.
No,
Lady Ink (la Signora Inchiostro) ha un altro stile, altri piani ed
obiettivi. Lei non promette e non ti chiede nulla, ma si prende tutto
il tuo dolore, la tua amarezza, la tua solitudine.
Anche
quando ridi e scherzi con la morte nel cuore e covi segreti che ti
mangiano pezzo a pezzo ogni giorno, ma non puoi confidare a nessuno,
lei
ti ascolta e ti aiuta a sorridere. Si tratta di un sorriso triste che può
capire solo lei, ma la Signora non ti tradisce: non ti strapperà la
pelle davanti a tutti.
Quando
avrai bisogno di mettere su la maschera di una risata, Lady Ink saprà
aiutarti... e lo farà senza chiederti niente: neanche l'amore che
hai per lei.
Si
siede davanti a te quando accordi la penna del tuo dolore e lo fa
tintinnare, violento ma non barbaro.
Plebeo,
ma non volgare.
Sensuale,
ma non pornografico.
Mistico,
ma non bigotto.
Profondo,
ma non astratto.
La
scrittura ti terrà per mano quando nessuno saprà o vorrà più
farlo o lo farà nel modo sbagliato.
Non
tradire mai questa stupenda, meravigliosa amica.
martedì 21 marzo 2017
“Luce dei miei occhi” (2001), di Giuseppe Piccioni
Protagonisti: Luigi Lo Cascio
(Antonio), Sandra Ceccarelli (Maria), Silvio Orlando (Saverio),
Barbara Valente (Lisa), Tony Bertorelli (Mario).
Su tutti spicca la Ceccarelli,
bella (diciamo pure bellissima), ma soprattutto naturale e davvero
credibile nella complessità dei ruoli di madre, amante di Antonio,
lavoratrice, donna alle prese con tutta una serie di debiti, scadenze
e taglieggiata da un capobanda... inoltre in lotta con amanti che la
fanno soffrire tenendola a distanza.
Forse questa è la condizione di
tante donne che spesso devono diventare molto dure proprio per
crearsi una sorta di corazza per proteggere sé stesse, il loro
lavoro e/o i figli.
Poi ci siamo noi uomini che
liquidiamo il loro dolore col marchio dell'”emotività” o
“insoddisfazione” femminile. Ci siamo noi che magari ci
proviamo, come se con le donne
non si potesse far altro.
Nel dipingere
il personaggio di Maria, non dimenticherei la “mano” del regista,
che ha osservato le vicende dall'esterno, con grande delicatezza,
direi... con pudore.
Molto
valida anche la sceneggiatura, sempre di Piccioni e di Umberto
Contarello, perché fa parlare gli attori senza far dire loro troppo.
Anche quando parlano molto, il loro non è mai un dire banale o
ripetitivo: è invece una sorta di lavoro di scavo su sé stessi, che
può anche sembrare una confessione... ma senza ricerche di comodi
alibi o di facili assoluzioni.
Soprattutto
Maria è spesso (sia nei confronti di sé stessa sia in quelli di
Antonio) impietosa, dura, per niente conciliante.
Eppure, lei è
anche molto fragile: la scena in cui, dopo aver litigato con uno dei
suoi amanti, balla ubriaca e disperata sotto la pioggia, lascerebbe
indifferente solo un pezzo di granito.
Di
fronte ad un'attrice come questa,
perfino l'Antonio interpretato da Lo Cascio, rischia di rimanere
sullo sfondo.
Ma
in realtà, Antonio è proprio uno
che nella sua vita ha scelto questa dimensione: quella della presenza
che è anche assenza.
In un mondo in cui tanti cercano di primeggiare, spesso ben al di là
dei loro effettivi meriti o delle loro reali capacità, lui assume
una posizione davvero defilata.
Anche
quando aiuta Maria col suo taglieggiatore (rischiando del resto di
finire in guai grossi), non le dice mai niente: e neanche quando,
come dichiara il verme, potrebbe avvantaggiarsene per “portarsela a
letto.”
Antonio è un malinconico ed uno
che soffre in silenzio, è un uomo che ha mantenuto una sorta di
purezza e che vorrebbe risparmiare agli altri il male. Un personaggio
quasi dostoevskiano, un Raskolnikov senza però la lucida, terribile
coerenza che porta il protagonista di Delitto e castigo
all'omicidio.
Maria gli dirà: “Tu sei troppo
sentimentale”, e lui, col suo sorriso triste: “Lo so.”
Solo questo, in assoluta
semplicità e senza cercare di giustificarsi né di vantarsi.
Forse proprio questa semplicità
gli permette di entrare in contatto con la figlia di Maria: è quel
modo di essere (quello dei bambini) che crescendo, finiamo per perdere.
Ora, non che i bambini siano
sempre e soltanto semplici,
ma c'è in loro un modo di credere e di fidarsi e di affidarsi
che noi perdiamo presto.
Infine,
nel film ho apprezzato il fatto che i protagonisti non siano (secondo
un gergo che odio) dei vincenti.
Sono delle persone che vivono e lavorano in modo molto umile: Maria
in un negozio di surgelati, Antonio come autista.
Nessuno dei due può
concedersi grandi lussi: al massimo, una pizza. Sono dei lavoratori
che hanno accettato una vita di sacrifici, quando altri (che spesso
valgono molto meno di loro) campano alle loro spalle.
Come
ha dichiarato in un'intervista Giuseppe Piccioni, sono persone “senza
né arte né parte”... e lui
stesso si è sempre
sentito così.
In realtà a
loro interessa vivere con dignità e senza coltivare troppe
illusioni.
Alla
fine, dico io, sono quelle le
persone che rendono un Paese qualcosa di diverso e di migliore
da un paese dei balocchi.
sabato 25 febbraio 2017
Sul fatto di scrivere
Intendo lo scrivere come un
percorso, un percorso che
riguarda il nostro passato, il nostro presente e ciò che tramite il
passato ed il presente, ci collega al futuro.
E'
qualcosa di pratico ed anche di teorico: attraverso la scrittura
scaviamo in noi stessi e troviamo le possibili soluzioni a ciò che
viviamo e che vivremo.
L'Inchiostrante Signora ci fornisce delle risposte anche per il
nostro passato.
Certo,
tutto dipende dalla nostra sincerità,
oltre che dalla nostra intelligenza (se
non genio); la penna è
come la bacchetta del rabdomante... se non possiedi il dono, non
troverai l'acqua.
Ma
secondo me, quando scrivi, la prima dote che devi possedere è
proprio la sincerità:
senza, non farai che ingannare gli altri e te stesso.
Chi è sincero, può anche non essere un Dante o un Joyce: però non
mentirà. Ed in un mondo di insopportabili imbroglioni, non è
poco...
Sì,
chi scrive può anche inventare: il che non equivale a mentire;
mente chi voglia imbrogliare qualcuno, non chi intenda raccontare
qualcosa col fine dichiarato di
divertirlo, incuriosirlo e così via.
Bene,
secondo Hubert Selby Jr., in un romanzo è fondamentale l'incipit
o ouverture
(rispettivamente “inizio” e
“apertura”).
Devo dire che
personalmente, non riesco ad appassionarmi alla questione... un
romanzo può avere un ottimo incipit, e per il resto, essere
mortalmente noioso.
Secondo
me, l'incipit è molto importante in campo musicale:
un rock che inizi con un bel riff di chitarra ritmica, qui penso per
es. a quello di Satisfaction
dei Rolling Stones, dà il tono a tutto il pezzo.
Stesso
effetto produce la chitarra solista in Adam raised a Cain
di Springsteen e della “E”
Street Band.
A
questa regola (che potete chiamare uccheddiana)
non sfuggono i violini della Primavera di
Vivaldi.
Ma
in campo letterario,
la... musica cambia. Un romanzo è composto di tanti elementi, la sua
è un'architettura complessa, durante la costruzione appunto di un
romanzo, che ricorda parecchio quella di un amore (grazie,
Fossati), anche il costruttore cambia.
E parecchio.
Così,
quell'incipit che magari allo scrittore sembrava meraviglioso,
qualche mese dopo gli causa attacchi di panico o addirittura conati
di vomito... perché mentre continuava a scrivere la sua opera, la
sua vita prendeva
un'altra direzione. Una direzione che ha portato vita e scrittura a
divergere.
Mentre
la musica è per sua stessa natura più istintiva,
al romanzo (ed alla letteratura) spetta il compito più ingrato:
togliere il morso e le briglie alle emozioni, ma cercare nello stesso
tempo di cavalcarle in modo non solo libero
e selvaggio.
Però,
pensate un po': volevo scrivere un pezzo magari amaro che doveva
essere anche un inno al conforto che
ci dà la scrittura; ne ho scritto uno sul professorale andante!
Mentre finivo
di scrivere, sentivo che dalla penna mi stavano spuntando delle
battute. Bene, sono rimaste perlopiù nella penna, come fanno i
soldi... che rimangono in banca, quando a chiederli sono i
poveracci...
Ora che il
pezzo è finito ho iniziato a scherzare.
Voi ci capite
qualcosa?
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