La nostra idea di Medioevo oscilla spesso tra la sua esaltazione ed una non meno esaltata denigrazione. Epoca oscura; anticipazione dell’epoca moderna; origine d’ogni fanatismo; fondamentale base della nostra era.
Ma forse in queste, opposte idee prevale più il partito preso che una seria disposizione a ragionare, infatti il Medioevo (476 d.C-1492) durò circa 1000 anni (critico verso questa periodizzazione J. Le Goff, L’immaginario medievale, Laterza, Bari, 1991, pp.xv-xxii). Ed è difficile sostenere affermazioni o giudizi categorici per un’epoca così lunga e complessa.
Discutibile anche il fare del M.E. un’epoca a volte oscura, a volte luminosa. Il tratto caratteristico del M.E. consistette, come dice la Fumagalli nel suo libro su Eloisa ed Abelardo (Mondadori, Milano, 1989, p.149) nell’applicare a tutta la società lo schema già elaborato da Platone nella Repubblica: al vertice dovevano stare i filosofi (nella variante medievale gli uomini di Chiesa) seguiti dai guerrieri; alla fine della piramide sociale, i lavoratori manuali.
Fondandosi sull’insegnamento di S. Paolo e della Chiesa, la donna doveva essere “sottomessa” al marito. La schiavitù era esclusa, si ammetteva però la servitù della gleba. La sola religione considerata “vera” era quella cristiana ed il discostarsi da essa su uno o più punti relativi al dogma o alla morale attirava l’accusa di eresia, punibile con la scomunica, la tortura ed anche con la morte. Il potere del re derivava direttamente da Dio. Giudichi ognuno quanto spazio quello schema lasciasse alla giustizia ed alla libertà.
L’idea platonica rimase in auge per tutto il M.E. e l’assetto sociale che da esso derivava non fu mai sostanzialmente modificato. Una volta detto questo si può concedere che il M.E. sia stato attraversato da varie correnti culturali. Per es., il XII sec. vide l’emergere di una visione più serena della natura, benché forse il Padre Chenu esageri quando ritiene che per gli uomini del XII essa fosse “come una compagna” (M.D. Chenu, La teologia nel XII secolo, Jaca Book, Milano, 1999, p.26).
Una visione così serena apparteneva certo ad alcuni teologi e filosofi, in particolare a quelli di Chartres, non alla maggior parte degli uomini e delle donne del tempo… che nella migliore delle ipotesi potevano considerare la natura come una sorta di fata bizzarra, capace di qualsiasi stranezza.
Né convince di più il vedere nel XII il secolo dell’amor cortese, che fu tale solo per il mondo nobiliare. Se il XII riscoprì l’Ars amandi di Ovidio, con la sua esaltazione del corteggiamento e dell’amore fisico, comunque nel De amore l’ecclesiastico Andrea Cappellano dice a proposito delle “villane” (donne del popolo): “Se trovi l’occasione favorevole, non esitare a soddisfare il tuo desiderio, prendile con la forza.”
Il Cappellano, che al nobile innamorato di una sua pari raccomandava poesia e gentilezza, quando si trattava di una villana invitava tranquillamente allo stupro (G. Duby, I peccati delle donne nel Medioevo, Laterza, Bari, ora in Euroclub, 1997, p.131).
Su questo versante non si riscontrava infrazione alcuna a norme morali, a codici teologici, religiosi, relativi alle norme del diritto canonico e probabilmente, neanche a quelle laiche e penali.