martedì 24 dicembre 2019
Le visioni del Vecchio
L’ultima
giornata era stata calda, lunga e faticosa: più lunga, calda e
faticosa di tante altre. Il Vecchio aveva vegliato per 4 giorni e 4
notti. E per tutto quel tempo non aveva mangiato, dormito né bevuto.
Per fortuna le visioni erano state chiare: stranieri sarebbero venuti
dal mare; sarebbero stati tanti, pieni di armi e di odio, rabbia ed
ignoranza.
Suo figlio gli disse: “Padre, abbiamo già avuto a che
fare con persone come quelle… ma questi stranieri sono un nemico
terribile; il loro cuore ed il loro cervello sono stati resi ciechi e
sordi dal dio dell’avidità.”
Il Vecchio rispose: “Figlio,
cercherò di farli ragionare. Se è un po’ d’oro che vogliono, lo
avranno. Sono sicuro che potremo metterci d’accordo.”
“Marito”,
fece la moglie del Vecchio, “nostro figlio ha ragione: dobbiamo
temere soprattutto l’avidità
di
questa gente. Sappiamo che altrove hanno accettato di farsi passare
per dèi e si sono finti amici di vari re, ma poi hanno saccheggiato
e massacrato. Non si accontenteranno”, concluse facendogli il
verso, “di un po’
d’oro.”
“Eppure”, replicò il Vecchio, “le visioni mi hanno mostrato un
lungo periodo di pace tra noi e loro. Di pace, amore e duratura
amicizia. Ma per ottenere tutto questo, dovremo mostrarci pazienti ed
amichevoli. Credetemi, miei cari: le visioni non mentono.”
Il
figlio e la moglie scossero la testa come si fa coi matti ed uscirono
dalla tenda del Vecchio, che faticò a trattenere le lacrime e
l’amarezza: possibile che proprio i
suoi cari
non capissero?
Quella sera egli riprese a bere, mangiare e dormire ed
ebbe altre visioni… in ognuna vedeva solo catene ai polsi, alle
caviglie ed al collo della sua gente; vedeva donne e bambini subire
orribili umiliazioni fisiche e sessuali; uomini e vecchi fatti a
pezzi dalle spade, trascinati e straziati dai cavalli in corsa;
vedeva i superstiti lavorare come schiavi in fondo alle miniere e
frustati tutto il giorno come bestie. Però non raccontò queste
ultime visioni; sperava ancora in quelle vecchie.
Molti mesi dopo fu
trascinato davanti al comandante spagnolo, che lo fissava beffardo.
Senza abbandonare quella sua aria odiosa ed arrogante, quello disse:
“Allora, vejo,
come va? Hai avuto altri presagi?”
E qui scoppiò a ridere, presto
seguito da tutta la sua soldataglia. Da vero avvinazzato strillò:
“Amore!
Pazienza! Duratura amicizia! In
effetti, è tutta roba che ci è servita molto, quando dovevamo
fregarvi l’oro e montarvi le donne! Grazie di cuore, maestà”,
concluse esibendosi nella caricatura di un inchino.
Subito dopo
latrò: “Uccidete questo cabròn,
tutta la sua famiglia ed i pochi schifosi indios che finora abbiamo
risparmiato. Poi bruciate questo maledetto villaggio… entro
stasera!
In un anno qualsiasi del XVI secolo, fedeli alla loro
storia di conquista e di barbarie, i popoli venuti dal mare portarono
nel Nuovo Mondo il diritto e la civiltà. Quella sera era la vigilia
del Santo Natale e subito dopo aver sterminato oltre 500 persone, i
conquistadores si ritirarono in preghiera. Qualcuno, addirittura,
digiunò.
sabato 7 dicembre 2019
Risate sentite da un'anima lontana
Sentiva ancora delle risate... non
si trattava di un'eco: no, quelle erano proprio delle vere, allegre, quasi
assordanti risate. Ai tempi del liceo (svariati decenni prima)
qualcuno chiamava quelle omeriche e
la calma, olimpica.
Era stato felice? Non lo sapeva ed in fondo, non gli
importava granché.
Del
resto, a questo mondo si può essere soddisfatti o anche molto
contenti, ma felici?
Assurdo. Felicità significa assenza di qualsiasi dolore, totale e
costante benessere fisico e psicologico, nessun significativo
contrasto con nessuno: né col prossimo né con sé stessi. Felicità
significa lavoro sicuro, ben pagato e che doni tantissime
soddisfazioni.
Ma
in effetti, non si sentiva neanche infelice.
Aveva
gustato l'amore ed anche se a volte perfino quello aveva picchiato
duro sul suo cuore e gelato la sua anima, aveva avuto un buon sapore, talvolta perfino buonissimo.
Aveva
spezzato il pane dell'amicizia e bevuto il vino della lotta; tutto
sommato, poteva dire di aver incontrato dei buoni amici e dei leali
compagni. Non era andato ad impigliarsi in veri ed acuminati
equivoci, né era stato venduto o tradito.
Il
lavoro era stato malpagato e poco riconosciuto, pagato
però dalla chiara coscienza di aver almeno cercato di svolgerlo al
meglio.
Dalla
penna aveva fatto sgorgare tutto il suo dolore (un dolore forse pazzo
e spesso incomprensibile): e senza nessuna vergogna. Quella stessa
penna era stata l'amplificatore della sua gioia; una gioia perlopiù
imperfetta, ma comunque una gioia.
I
rapporti col resto del mondo erano stati tesi, difficili, quasi
impossibili: un po' come quelli con Dio; ma alla fine, loro 3
avevano imparato a prendersi a calci con un certo rispetto.
Le
risate. Quelle, continuavano: nella sua casa ed in altre in cui aveva
abitato. Quel suono gli toglieva l'acido e la ruggine che ancora
avvelenavano la sua ridicola anima.
Ci
furono dei momenti, tanti anni prima, in cui quando nutriva un
microfono con la sua voce & armonica e decollava con chitarre
elettriche, tamburi, tastiere ed altri strumenti, gli sembrava di
uscire dallo spazio e dal tempo... durò poco, ma fu molto bello.
Ora
sente certe risate e la loro eco... continua a sentirle anche adesso,
ora che si allontana da questa casa. Di sicuro si nasconderà di
nuovo dietro queste porte ed allora spererà di sentirsi come oggi:
non felice, ma neanche infelice, uno che non vive più ma non per
questo, un morto.
In
fondo, si chiede, siamo proprio sicuri che i cosiddetti vivi lo siano
più di quelli che a loro piace tanto bollare col nome di fantasmi?
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