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martedì 1 maggio 2012

Giovanni, Antonio e Marco (3/a e ultima parte)


Così, forse dopo quella massima non occorrono ulteriori ricorsi ad antiche o anche a moderne analisi filosofiche, sebbene ritenga che dagli illuministi (qui penso soprattutto a Rousseau) a Marx fino ai giorni nostri i concetti di diritto, giustizia, uguaglianza ecc. siano stati fortemente sottolineati e difesi (sia pure non sempre con risultati straordinari sul piano pratico).
Ma vorrei ricordare, almeno en passant come nel 1600, in un’Europa ed in un’Olanda ancora devastate da guerre, persecuzioni e controversie religiose di vario tipo e natura, Grozio avesse ben chiaro che per “ingiustizia” si deve intendere “ciò che contrasta necessariamente con la natura razionale e sociale.”1
E Hegel segnalava quanto sia negativo il prevalere (all’interno della vita sociale e statale) di interessi privati o anche esclusivi o tipici di singoli membri della società civile.
“I membri appunto della società civile sono anzi, come tali, quelli che hanno come movente prossimo il loro interesse particolare e, come accade specialmente nel feudalesimo, quello della loro corporazione privilegiata.”2
Da qui nasce in alcuni di essi una forte indifferenza se non avversione per il bene comune, che viene inteso come limitazione di quello personale. Da qui l’insofferenza per il diritto, l’incomprensione o il rifiuto della dimensione intrinsecamente egualitaria della giustizia ecc.
Per Hegel, quando si guarda (come nel caso dell’Inghilterra del suo tempo) a Paesi in cui prevalgano idee come quelle, si nota un complessivo ritardo… e questo appunto perché “la libertà oggettiva cioè il diritto razionale, è anzi sacrificato alla libertà formale e all’interesse privato particolare.”3
Ma non si tratta certo di negare libertà ed esigenze dei singoli individui bensì d’impedire che esse annullino o limitino gravemente libertà ed esigenze dell’insieme dei cittadini, o quelle di consistenti fasce sociali e lavorative.
Purché quindi l’individuo rispetti questa elementare regola di convivenza umana e civile, non sorge nessun problema: una società degna di questo nome esiste realmente solo se il tuo diritto non schiaccia il mio.
Per essere più chiari: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri. Così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun individuo non ha altri limiti se non quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di quegli stessi diritti.”4
Certo, le sentenze che danno torto non fanno piacere. Ma del resto, come notava Gramsci: “Ogni legge fatta per l’utilità collettiva danneggia qualche singolo: ciò è ineluttabile. Il codice penale danneggia enormemente i ladri e gli assassini.”5
Senza voler certo paragonare la dirigenza Fiat alle categorie citate da Gramsci, ci auguriamo tutti che la legge sia rispettata ed applicata: infatti la sua non-applicazione è quanto di più antieconomico e di illogico possa esistere, poiché crea un malessere sociale che non di rado può diventare ingovernabile ed impedire la stessa attività industriale ed imprenditoriale.
Per non parlare del devastante disagio che si causerebbe ai lavoratori: la parte più debole. Insomma, di tutto abbiamo bisogno nel nostro Paese, già straziato dall’attuale crisi economico-sociale, tranne che di veder compiersi un’inammissibile ed incomprensibile negazione dei diritti appunto dei lavoratori.
Il caso quindi di Giovanni, Antonio e Marco è secondo me una buona “spia” di una situazione che quando qualcuno voglia sottrarsi alle regole democratiche e del diritto, può “recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”6
Perciò quel caso (come anche altri che si sono già presentati o che dovessero presentarsi) va perfino oltre una vicenda come quella, pur evidentemente molto dolorosa e bisognosa di giustizia, trasfigurandosi fino ad assumere i tratti di una questione di civiltà che interroga e riguarda tutti.
Anzi, secondo me le questioni di civiltà urlano, così voglio sperare che sia i vertici Fiat che certi settori del sindacato spesso poco ricettivi possano sentirlo, quell’urlo.
Perché come si chiedeva S. Agostino: “Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?”, cioè: “Bandita la giustizia, che altro sono i regni” (in questo caso per “regni” possiamo intendere gli Stati e le società), “se non grandi associazioni di delinquenti?”7

 Note

1)  Ugo Grozio, Il diritto della guerra e della pace, Cedam, Padova, 2010, I, II, 3, p.71. Il corsivo è mio.
2) G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Roma-Bari, 1980, vol.II, §544, p.514. I corsivi sono miei.
3)  G.W.F. Hegel, Enciclopedia, op. cit., §544, p.515. Il corsivo è dell’A. Per un più specifico inquadramento del problema cfr. Ibid., pp.513-515.
4)  Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, art.4, in Rosario Villari, Storia moderna, Laterza, Roma-Bari, 1973, p.353. Dobbiamo la Dichiarazione ai “rappresentanti del popolo francese, costituiti in assemblea nazionale” il 26 agosto, quindi solo un mese dopo la Rivoluzione del 1789.
5)   Antonio Gramsci, Piove, governo ladro!, a c. di A. Santucci, Editori Riuniti, Roma, 1996, p.28. Il passo citato è contenuto nell’articolo intitolato L’esercente degli ubriachi, pubblicato il 28 marzo 1916. L’art. in questione comparve anonimo (come vari altri) “tra il 1916 ed il 1918 nella rubrica ‘Sotto la mole” della pagina torinese dell’Avanti!” Cfr. A. Santucci, Introduzione a A. Gramsci, Piove, governo ladro!,op. cit., p.12.
6)     Costituzione della Repubblica italiana, art.41.
7)   S. Agostino, La Città di Dio, Edizioni Paoline, Roma, 1979, IV, 4, p.215. Ritroviamo questo passo di Agostino anche in una recente enciclica; cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 28, pp.58-59. Comunque l’attuale pontefice, che quando era prefetto della Congregazione per la difesa della fede, l’ex-Sant’Uffizio avversò qualsiasi progetto di trasformazione radicale delle strutture economico-sociali (fu infatti un fiero oppositore della teologia della liberazione, soprattutto di quella latinoamericana) considera strumento più valido o più completo appunto la carità.
     Ma trovo significativo almeno il fatto che egli abbia preso o ripreso in considerazione il problema della giustizia, che sta alla base di qualsiasi tipo di società: anche non cristiana né religiosa.

Giovanni, Antonio e Marco (parte 2/a)


Invece già da Platone1 per continuare con Aristotele fino ad arrivare alla formulazione classica di giustizia che dobbiamo ai giuristi romani… continuando nel 1600 con l’olandese Grozio ecc., una linea giuridica, filosofica ed etica almeno bimillenaria ha sempre posto al centro della sua riflessione l’idea della validità universale della legge e dell’uguaglianza di fronte ad essa di tutti gli uomini.
Per Aristotele: “Le leggi si pronunciano su tutto e tendono all’utile comune.”2
Qui con leggi (nomoi) egli intende non solo qualcosa di legale ma soprattutto di morale e che va ad abbracciare una dimensione più ampia, più vasta, se appunto il Nostro aggiunge che “noi diciamo ‘giusto’ ciò che produce e preserva la felicità, e le parti di essa, nell’interesse della comunità politica.”3
Possiamo intendere il termine “comunità politica” nel senso di società, insieme appunto organizzato ed associato di uomini; in un senso quindi forse meno limitato di quello che diamo oggi a “comunità politica” (insieme solo di partiti, istituzioni statali e simili), comunque penso che sull’essenziale possiamo intenderci.
La legge non è comunque per Aristotele mero fatto specialistico (confinato quindi in un ambito particolare come la giurisprudenza) bensì autentico ponte sociale… e ponte in quanto evita di porre o proporre barriere o muri tra gli uomini.
Barriere o muri che invece a mio avviso nascono quando l’universalità della legge non viene riconosciuta. A quel punto sorgono dei gruppetti di persone, di fatto dei privilegiati che coltivano l’assurda e pericolosa convinzione di potersi esimere dall’osservanza della giustizia… una noiosa faccenda a cui possono (eventualmente) sottomettersi in base alla convenienza, all’estro del momento o anche dopo aver dimostrato altre o ipotetiche doti o virtù.
Invece Aristotele definisce l’applicazione ed il rispetto della legge come giustizia e come “virtù completa”; anzi per lui la giustizia è la “virtù più eccellente.”4 E questo perché “colui che la possiede è capace di servirsi della virtù anche nei riguardi del prossimo, e non solo in relazione a se stesso.”5
Qui vediamo come Aristotele non parli di semplice virtù personale, individuale ma intenda la giustizia come qualcosa che dall’ambito individuale ed in fondo egoistico (comunque socialmente sterile) si estende fino a raggiungere anche gli altri uomini.
Superiamo così limiti ed ambiti di varia natura, che spesso servono solo per giustificare egoismi, ottusità, debolezze ecc.6
E Cicerone, benché come parecchi Romani fosse scettico verso la filosofia greca o comunque verso una ricerca culturale che non fosse direttamente collegata alla dimensione pratica, tuttavia si occupò anch’egli dei temi che stiamo ora esaminando.
Così, per lui “siamo nati alla giustizia” e “il diritto non è stato fondato per una convenzione, ma dalla natura stessa.” Egli aggiunge: “E ciò sarà ormai chiaro, se esaminiamo la società ed il legame reciproco degli uomini.”7
Tale legame, che unisce appunto gli uomini in società, è per Cicerone la ratio, la ragione che al di là delle differenze con cui essa è posseduta ed utilizzata da ogni singolo uomo, “è certamente comune, differente per preparazione, ma eguale quanto a facoltà di apprendere.”8
Il diritto, che è quindi un elemento fondamentale proprio nel senso che fonda l’umana convivenza, non può fare come se alcuni fossero totalmente privi di ragione da non essere considerati appunto uomini. Da qui, come osserva benissimo Abbagnano, Cicerone può passare a teorizzare l’uguaglianza tra gli esseri umani.9
Infatti, poiché ogni uomo è dotato di ragione, ognuno di essi possiede una capacità oltre che intellettiva anche pratico-sociale d’agire e di scegliere in funzione del proprio benessere, così come possiede il diritto alla salvaguardia di quel benessere; naturalmente, il tutto in ambito sociale e nel sicuro ed effettivo rispetto dei diritti e del benessere altrui.
Ma non può esistere alcun benessere ove esso non sia garantito dalla giustizia e da una reale uguaglianza… quel che spetta ad ognuno di noi.
Mancando infatti quegli elementi si avrebbe solo bellum omnium contra omnes, la guerra di tutti contro tutti, per citare la nota formula dell’inglese Thomas Hobbes quando si riferiva allo stato di natura… quello quindi in cui non sarebbero esistite o non esisterebbero delle società o degli stati organizzati.10
Eccoci ora alla limpidissima formulazione del grande Ulpiano (II sec. a. C.) per il quale: “La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà d’attribuire a ciascuno il proprio diritto. I precetti del diritto sono questi: vivere onestamente, non danneggiare gli altri, attribuire a ciascuno il suo.”11
Benché la mia analisi sia esclusivamente morale e filosofico-sociale (non essendo io né un avvocato né un giurista, un giudice ecc.) penso comunque che non rispettare determinate sentenze e certi diritti non faccia altro che confliggere coi precetti di Ulpiano, oltre che danneggiare in modo direi piuttosto evidente i 3 di Melfi.
Così non trovo necessario (tanto mi sembra chiara) commentare la celeberrima massima di Ulpiano.


Note

1)      Platone, La repubblica, Laterza, Roma-Bari, 1970, I, p.28 sgg.
2)      Aristotele, Etica nicomachea, Laterza, Roma-Bari, 2001, V, 1129 b, p.175.
3)      Aristotele, Etica nicomachea, op. cit., p.175
4)      Aristotele, Etica nicomachea, op. cit., p. 175.
5)      Ibid. I corsivi sono miei.
6)      Cfr. comunque Ibid., n. 418, p.488.
7)      M.T. Cicerone, Le leggi, Utet, Torino, 1992, I, 28, p.437. Il corsivo è mio.
8)      M. T. Cicerone, Le leggi, op. cit., p.437. I corsivi sono miei.
9)      Nicola Abbagnano, Dizionario filosofico, Tea, p.251.
10)  T. Hobbes, Il Leviatano, I, XIII. Non è qui importante, in un lavoro senza pretese di tipo scientifico come un post, stabilire se la celebre frase, così come la non meno celebre homo homini lupus cioè l’uomo è un lupo per l’altro uomo (che risale a Plauto) sia originale di Hobbes.
11)  Ulpiano, Digesto, 1. 1. 10. Il corsivo è mio.

Giovanni, Antonio e Marco (parte 1/a)


Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli sono 3 operai della Fiat (Sata) di Melfi. Giovanni ed Antonio sono delegati della Fiom (Federazione italiana operai metallurgici), Marco è un tesserato Fiom.
Fin qui niente di strano: sono degli operai e fanno parte del sindacato dal quale si sentono maggiormente tutelati
Ma sono stati accusati dalla Fiat.
“L’accusa era di aver bloccato un carrello_ cioè la produzione_ nel corso di uno sciopero indetto unitariamente da tutte le organizzazioni sindacali.”1
Bene, la Corte d’assise di Potenza ha dato ragione a loro ed alla Fiom, sì che: “Alberto Piccinini, uno dei legali della Fiom, ha precisato che il reintegro è stato chiesto, e ottenuto, per antisindacalità”; perciò ora, a norma di legge Giovanni, Antonio e Marco devono essere (come ricorda Piccinini) “immediatamente reintegrati” al lavoro.2
Molto importante: nelle motivazioni della sentenza si legge che gli operai “non hanno avuto nessun gesto di sfida nei confronti dell’azienda”, né dimostrato “nessuna volontà diretta a impedire l’attività produttiva.”
Così, quei licenziamenti rappresentano “nulla più che misure adottate per liberarsi di sindacalisti che avevano assunto posizioni di forte antagonismo.” Quelle misure hanno quindi recato “conseguente immediato pregiudizio per l’azione e la libertà sindacale.”
I giudici hanno poi rimarcato che Giovanni, Antonio e Marco “hanno esercitato un “diritto costituzionalmente garantito” come lo sciopero e ciò “senza valicarne i limiti.”3
Non meno severi sono stati i legali della Fiom cioè oltre al già citato Piccinini, gli avvocati Focareta, Grossi e Vaggi.4
Ma Giovanni, Antonio e Marco hanno solo esercitato un loro diritto, peraltro sancito dall’art. 40 della Costituzione, ribadito dallo Statuto dei lavoratori nonché dall’Oil (organizzazione internazionale del lavoro, in inglese Ilo).
E contro discriminazioni antisindacali e comunque contrarie alla dignità dei lavoratori esistono del resto la Carta sociale europea, la Carta di Nizza del 2000, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici…5
Ora, in democrazia esiste una ben precisa dialettica di doveri e di diritti; ma venendo lesi, feriti i diritti, finiscono per sorgere delle situazioni ben poco democratiche, che quindi si trovano in stridente contraddizione appunto con la democrazia.
E che mettono in discussione i suoi stessi fondamenti.. perciò per evitare questo pericolo bisogna rispettare i diritti. Sempre.
Purtroppo la Fiat ha comunicato ai 3 operai la sua intenzione di corrispondere loro stipendi ed arretrati, ma non di reintegrarli nel loro posto di lavoro.
Male, perché oltre ai diritti vanno rispettate anche le sentenze: perfino quando danno ragione ad altri: non ci sarebbe infatti proprio niente di straordinario nel rispettare delle sentenze che… ci danno ragione!
Già il Socrate protagonista della Repubblica di Platone difendeva, in modo solo apparentemente paradossale l’esigenza e l’esistenza di regole di giustizia perfino tra i delinquenti.6
E nel testo platonico leggiamo infatti che “l’ingiustizia fa nascere fra gli uomini odi e lotte mentre la giustizia produce accordo e amicizia.”7
Inoltre la nostra Costituzione dice chiaramente che: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro.”8 E la nostra Carta aggiunge che: “L’organizzazione sindacale è libera.”9 Pertanto l’esercizio di libertà sindacali non va soggetta a limitazioni, punizioni, licenziamenti ecc.
E’ poi tutelato il diritto di sciopero (art.40) ed un altro articolo recita che l’iniziativa economica: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”10
Né tale “iniziativa” può ovviamente prescindere da “fini sociali” e la stessa proprietà privata ha una “funzione sociale.”11
Con queste e consimili norme i Padri costituenti segnarono, per l’Italia appena uscita dalla guerra e dalla barbarie nazifascista ed anche per l’Italia futura una “rotta” democratica e fortemente orientata al progresso sociale, alla giustizia ed alla difesa del mondo del lavoro.
Purtroppo, come scrive Andrea Pubusa, docente di diritto amministrativo all’università di Cagliari, spesso si assiste ad uno “svuotamento” delle Carte costituzionali, che rimangono in vigore solo in teoria e vengono quindi di fatto ignorate.
Esempio di tale svuotamento sono per il Pubusa anche le: “Libertà sindacali e la contrattazione collettiva.” Egli denuncia infatti una palese violazione dell’art.39, concludendo che: “La storia insegna che uno svuotamento di fatto delle Carte democratiche, se non c’è una forte reazione delle forze progressiste, finisce solitamente in tragedia.”12
In modo analogo si è espresso Franco Ragusa, ricordando quanti e quali articoli della Costituzione si trovino a rischio, ove l’iniziativa economica dovesse mancare dei legittimi freni e prescindere dai non meno legittimi fini.13
Insomma, i diritti dei lavoratori sono parte integrante della loro dignità e sono garantiti dalla Costituzione e le sentenze dei giudici vanno sempre rispettate ed applicate. Da tutti: anche da una delle più grandi imprese del mondo.
Del resto, le imprese in questione potrebbero ricavare dall’osservanza delle norme che regolano la vita in un Paese democratico, un certo vantaggio sul piano del prestigio e dell’immagine.
Si dirà: ma il motto la legge è uguale per tutti è antico, retorico ecc.
Però io con certe critiche… frenerei, perché uno potrebbe pensare che c’è chi si considera legibus solutus cioè sciolto, libero dalle leggi…
Il che avveniva nel Medioevo e fino al Re Sole, quando una ristretta cerchia di persone (re, nobili, membri dell’alto clero e pochissimi altri) riconosceva solo quel diritto che coincideva con propri privilegi e benessere personale.
 

Note

1)      Loris Campetti, Melfi, il diritto torna in Fiat, Il manifesto, 24/02/2012, p.2.
2)       L. Campetti, art. cit. I corsivi sono miei.
3)      Fiat fu anti-sindacale, in www.lettera43.it  23/03/2012. Il corsivo è mio.
4)      Licenziamenti Melfi. Fiom: Fiat è arrogante, http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=163158 http://247.libero.it/focus/21408275/43/licenziamenti-b-melfi-b-fiom-fiat-arrogante/ 26/03/2012. Le dichiarazioni dei legali Fiom si riferiscono alla volontà comunicata dall’azienda di non reintegrare i 3.
5)      Per tutto questo cfr. Valerio Valentini, Tutte le norme che inchiodano Marchionne, http://www.byoblu.com/post/2012/02/15/Tutte-le-norme-che-inchiodano-Marchionne.aspx
6)      Platone, La repubblica, Laterza, Roma-Bari, 1970, I, 350,351, pp.55-56.
7)      Platone, La repubblica, op. cit., p.56.
8)      Costituzione della Repubblica italiana, art.1. Il corsivo è mio.
9)      Costituzione, art.39. Il corsivo è mio.
10)  Costituzione, art.41. I corsivi sono miei.
11)  Costituzione, artt. 41 e 42.
12)  A. Pubusa, Cambiando la Carta democratica democrazia in bilico, Sardegna, 15/12/2011, p.4. Il Sardegna è un quotidiano che si stampa a Cagliari.
13) Cfr. Franco Ragusa, Se a Pomigliano è piovuto, a Mirafiori tira aria di tempesta, http://www.riforme.net/editoriali/ed2010-19.htm (27/12/210).