Ora, in “Tg M.” si è parlato del Boulevard des Jeunes, un raduno rap che si tiene annualmente in Marocco. Questo raduno ha permesso a molti giovani marocchini d’esprimere la loro creatività nel canto, nel ballo e più in generale ha permesso loro di incontrarsi, di discutere, far nascere amicizie, amori, forse anche collaborazioni di tipo lavorativo, in campo artistico e non solo.
Così la musica si è rivelata per tanti ragazzi e tante ragazze altrimenti condannati/e all’emarginazione o comunque a vivere in ambienti che spesso avversano l’autoespressione, la musica, dicevo, per quei giovani si è dimostrata un potente fattore di liberazione. Nei testi dei loro rappers, poi, si parla di rispetto per la donna e si condannano malgoverno e terrorismo.
Immagino la sorpresa non dei miei gentili lettori e delle mie gentilissime lettrici, ma di chi dice: come?!, arabi e musulmani non sono tutti quanti kamikaze? No.
Certo il terrorismo esiste e bisogna combatterlo, ma penso che un ragazzo o una ragazza di un Paese arabo o comunque d’area religioso-culturale musulmana, possa crescere anche attraverso l’arte. Non solo attraverso quella, chiaro: nessuno può prescindere dal lavoro, dallo studio, dal tessere una rete di relazioni, amicizie ecc.
Ma da filmato ed interviste relative al “raduno” risultava che quei giovani, tramite la musica scoprivano qualcosa che li salvava da chi perverte il messaggio di Maometto... gente che ignora che nell’XI sec. nel Libro delle meditazione di Al-Ghazali leggevamo questa sentenza: “Qual è lo scopo delle meditazione sui versetti del Corano? Che uno li reciti e li comprenda.” Comprendere, ragionare: non odiare. Ancora, Al-Ghazali ne L’inizio della retta guida ricorda che ad uno che vedeva già in Paradiso un uomo caduto in battaglia, Maometto replicò: “Che cosa te lo fa credere? Forse egli parlava di cose che non lo riguardavano ed era avaro di ciò che non gli giovava.” Insomma, la Jihad non si identifica con la dimensione militare né con quella terroristica.
Di queste cose è ben consapevole Amal “tonton” Samie.. giornalista, scrittore, promotore di varie iniziative culturali, è chiamato dai giovani “tonton”, zio proprio ad indicare con quel termine un legame di forte vicinanza affettiva; nel chiamare zio un uomo che potrebbe essere loro nonno, quei giovani gli riconoscono un’autorevolezza sul piano morale, non solo su quello intellettuale.
Forse un “nipotino” di Samie trasmetterà il benefico effetto dello “zio” ad altri coetanei. Penso che sia bene parlare di tutto ciò anche da noi e cercare di comunicare con la parte sana della cultura arabo-musulmana; non farà scomparire all’istante guerre e terrorismi, ma può contribuire ad eliminare pregiudizi e diffidenze reciproche. Può essere un inizio.