sabato 28 novembre 2015
L'allevatore
Indubbiamente, è difficile
allevare dei piccoli: tu sei
un adulto, hai idee, aspirazioni ed esigenze ben diverse dalle loro.
A volte, sembra di appartenere a 2 specie differenti, se non opposte.
Tanto
più se i piccoli che devi allevare sono dei pesci.
Sì,
perché (da qualche tempo) io sono un allevatore ittico e posseggo
regolare licenza.
I
soliti maligni sostengono che come allevatore non varrei molto; tutte
balle.
Il
fatto che mi siano morti 14 pesci su 15 non significa per niente che
io (come ha scritto la rivista Mare marino)
sia: “Incapace di una solida programmazione a livello di
alimentazione”, e che non conosca “neanche le basi della
psicologia animale.”
Tutto
questo è falso: infatti, il pesce che si è salvato, è di plastica.
E quando muore, quello? Secondo voi questo non è brillante (se non
geniale)
programmazione?
Ma
la composizione appunto di plastica della loro carne e del loro
scheletro, non significa che allevare degli Ogvn (oggetti
galleggianti non viventi) sia una faccenda banale o addirittura
semplice.
Comunque
la mia passione per l'allevamento dei pesci artificiali è piuttosto
recente: fino a pochi anni fa ero un archivista.
Amavo
le biblioteche polverose e credetemi, anche quelle tirate a lucido, col
linoneum che splende come uno specchio di cristallo; adoravo i vecchi
codici, i manoscritti antichi e tutto sommato, stimavo le connessioni
internet.
Ma
un bel giorno mi cadde a terra un timbro, che rimbalzando urtò la
stilografica del Coordinatore Centrale.
L'urto fece schizzare
dell'inchiostro sui riccioli unti di gel del Coord. Centr., che mi
licenziò in tronco.
La
sera stessa aspettai l'elegante schiavista sotto casa e lo uccisi con
5 colpi di fucile.
Be',
io intendevo solo spaventarlo, infatti quando mi vide (il Coord., non
il fucile) disse: “Ma che cosa vuol fare, con quell'arma?!”
“Una
bella partita di baseball... con la sua testa! Non è meglio un
fucile, di una volgare mazza?”
Lui
iniziò a strillare che ero un pazzo, un criminale, un rifiuto
sociale.
Io:
“Ma dottore, ormai mi ha licenziato, perché non si gusta la
dimensione scherzosa, ludica, giocosa della mia frase?”
Macché:
quello continuò ad insultarmi allora feci fuoco.
Non
fui mai scoperto, ma da quella sera sogno sempre il suo cervello
spappolato sul muro; un incubo disgustoso, credetemi.
Meno
male che sono diventato un allevatore ittico! Uno mica può vivere
per sempre con certe terrificanti visioni, e senza confidarsi mai con
nessuno. Per fortuna, quando nutro Ludus,
gli parlo di quell'increscioso incidente... ed anche di tante altre
cose.
E
lui mi capisce, mi capisce sempre.
venerdì 20 novembre 2015
Gli inizi delle canzoni
Per piacermi, una canzone deve
avere un bell'inizio: magari è bella comunque, eppure un bell'inizio
mi rimane impresso: è il marchio di fabbrica di un pezzo.
Per la musica che piace a me cioè
rock, blues, country, reggae e canzone d'autore, l'inizio consiste
soprattutto nel riff cioè nella
frase musicale ripetuta dai vari strumenti. Un riff è alla base di
un brano ed anche lo strumento solista non può mai uscire
dal riff. Esso ha funzione
soprattutto ritmica perciò
in generi musicali di solito scarni, essenziali come il rock ed il
blues (qui non penso certo ai Pink Floyd o ai Genesis), il riff è
fondamentale.
Il riff conferisce slancio ad
una canzone e: a) ci crea una certa esaltazione; b) fa ricordare il
pezzo a distanza anche di anni.
Pensiamo
a come inizia Satisfaction dei
Rolling Stones e trovatemi qualcuno che almeno per quei primi,
pochi secondi, riesca a non muovere a tempo almeno un'unghia!
E trovatemi qualcuno che sempre
per quanto gli Stones, non salti su ad urlare di gioia ululante non
appena senta l'incalzante e martellante chitarra di Jumpin' Jack
flash!
Idem per quanto riguarda la Sweet
Jane di Lou Reed con alle
chitarre Dick Wagner e Ian Hunter.
Si
dirà: ma questo vale per il rock, soprattutto per quello più
classico (che io ed i miei amici chiamavamo di strada).
No,
secondo me vale anche per altro rock:
pensiamo all'inizio di Like a rolling stone di
Dylan, che comincia con un colpo di rullante, a cui segue subito dopo
un piano fluttuante,
qualcosa che evoca il passo di un ubriaco o di mr. Magoo... ed il
piano è accompagnato, oltre che da agli altri strumenti, anche
dall'organo suonato da Al Kooper: anch'esso piuttosto fluttuante o
ondeggiante.
Sempre
per quanto riguarda un altro musicista che solito non ha fatto molto
rock di strada, come
per es. David Bowie, la sua Heroes ha
un inizio con dei sintetizzatori che cattura subito e che a me crea
un senso di intrigante inquietudine.
In
campo più pop-rock,
quello che notiamo nella Help! dei
Beatles è la centralità che assume la voce:
essa letteralmente grida e chiede aiuto,
un grido che non possiamo ignorare anche se poi il pezzo prosegue
situandosi tra il rock e la ballata.
Sempre
nei Beatles, notevole l'impatto della chitarra ritmica in Get
back: un pezzo questo che anche
a distanza di tanto tempo, fa ancora la sua figura. L'ho sentito
eseguire perfino in scalcinate feste di piazza: ha distolto vari e
pericolosi avvinazzati dai loro tentativi coltelleschi. Cantate e
ballate, ragazzi: l'obitorio è un posto noioso.
Ottima
anche l'introduzione di armonica di Neil Young in Comes a
time: qui mi riferisco alla
versione che Nello eseguì coi Crazy Horse nel live Rust
never sleeps (1979).
Quell'armonica mi
evoca sempre la nebbia
che si sta appena diradando dalla cima di qualche montagna coperta di
neve. Quelle note mi danno un po' di malinconia ma anche una
sensazione di grande serenità.
Insisto
sull'armonica: mi
piace molto come con quella Lennon attacca Love me do.
Quel riff è deciso e coinvolgente. Poi per me il brano contiene
degli sviluppi, anche
in senso rock, piuttosto interessanti.
Io
ho cercato, purtroppo senza un gruppo, appunto di sviluppare la
canzone in quel senso e vi assicuro che funziona.
Basta soltanto suonare quell'attacco in modo più veloce ed anche
spezzato; per il
resto, se avete con voi un bel basso,
una batteria forte ma non invadente e due chitarre che sanno fare il
loro lavoro, perfino Love me do (che
certo è distante dal rock stradaiolo) può incendiare la zona!
Per ora vorrei
concludere con Jungleland di
Springsteen e della “E” Street Band.
Il
brano inizia con degli accordi di piano molto armoniosi, quasi
allegri, che a me fanno pensare alla pioggia.
C'è qualcosa di vivaldiano nell'inizio
di Jungleland; del
resto, fin dall'inizio, zio Bruce canta: “Barefoot girl
sitting on the hood of a Dodge/ drinking warm beer in the soft summer
rain”, una ragazza scalza
siede sul cofano di una Dodge/ bevendo birra tiepida sotto la soffice
pioggia d'estate...
Vorrei
sottolineare come quel piano mi crei
una sensazione di attesa ed
insieme, di febbrile gioia:
quella che provavamo quando, da ragazzi, ci riunivamo con gli amici
per andare ad un appuntamento, a suonare o a giocare una partita
piuttosto importante.
Questa
introduzione al piano suonata da “professor” Roy Bittan, è il
Carroussel waltz e
sarà ripreso (alla chitarra) pochi anni dopo dai Dire Straits in
Romeo and Juliet.
Benissimo, poi Jungleland decolla
per fiammeggianti lidi rock e si spegne dolcemente con tutti i poeti,
gli amanti e le vittime degli scontri tra le gangs che infine cadono
“feriti/ ma non ancora morti/ stanotte, nella giungla d'asfalto.”
Ma
tutto questo è stato reso possibile da quel piano che chiama a
raccolta ogni energia,
positiva e negativa, della notte e degli angeli e dei demoni che la
abitano...
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