In A Eugeniu Unale dice: “Samben’hat fattu s’istrale fonnesa,/ basada siat sa man’assassina, ha fatto scorrere del sangue la scure di Fonni,/ sia baciata la mano assassina. Qui Peppinu condanna le prepotenze e gli abusi di potere che certi ufficiali riservavano alla truppa. Se è probabile che l’assassino fosse originario del paese di Fonni, mi sfugge però se la “scure” sia un simbolo di giustizia-vendetta, o se il fonnese abbia davvero utilizzato una scure. Ma sono particolari: dal quadro dipinto da Mereu capiamo che in quel tempo gli ufficiali si comportavano coi subalterni in modo inaccettabile. Mereu, infatti, invita l’amico a non indignarsi per la gioia che prova per il misfatto: “Peus pro chie de coro villanu/ da ch’est soldadu ponet in olvidu/ chi su soldadu det essere umanu, peggio per chi, di cuore villano,/ quando è soldato dimentica/ che il soldato deve essere umano.
Questo canto risale al 1896. Ora, Giuseppe Dessì nel Disertore racconta una storia simile quando parla del ragazzo che durante la Grande Guerra, dopo aver ricevuto dal suo superiore una frustata, lo uccide. Se non erro, a casi di ammutinamento o di vendetta su un piano in apparenza personale e/o irrazionale, accenna Lussu in Un anno sull’altopiano. Il fenomeno era quindi diffuso e reale.
Trovo che molte immagini di Mereu possano trovarsi solo nel blues dei Neri più disperati, così come il tema della morte intesa come “destino” sempre incombente. In Dae una losa isdimentigada, da una tomba dimenticata, dice alla sua donna: “Bae, ma cando ses dormind’a lettu/ una oghe ti det benner in su bentu,/ su coro t’hat a tremer in su pettu/ a’ cussa trista boghe de lamentu/ chi t’hat a narrer: custu fit s’affettu,/ custu fit su solenne giuramentu?, và, ma mentre giaci nel tuo letto,/ sentirai una voce nel vento,/ il cuore ti tremerà in petto/ per questa voce triste di lamento,/ che ti dirà: questo fu l’amore?/ Questo il solenne giuramento? Ora, nel blues ricorrono spesso temi ed immagini simili: il vento, la sensazione di strane presenze, la tomba dimenticata… Nel Testamentu il poeta maledì i suoi nemici ma disse anche: “No happo mortu, no happo furzadu,/ morzo senza peccados birgonzosos,/ non ho ucciso né rubato,/ muoio senza peccati vergognosi,/ perdono, non chiedo d’esser perdonato.
Per me, soprattutto nell’ultimo verso c’è tutta la grandezza del poeta e dell’uomo.
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