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sabato 7 luglio 2007

I cagliaritani ed il caldo

Scusate: non conosco il caldo. Osservo con stupore questo fenomeno che in estate non tormenta solo i cagliaritani. Ma a Cagliari tale fenomeno è particolarmente interessante sotto l’aspetto del costume. In questa antica città fenicia, benché (come testimonia un cognato, catanese d’origine) il caldo non tocchi punte d’autentica agonia, già a marzo i suoi abitanti si lamentano come non fece neanche S. Lorenzo: che pure si trovava in graticola… Così, da molti anni raccolgo dati, testimonianze, pareri per una ricerca che provi a che cosa siano dovute certe reazioni kalaritane di fronte al caldo.
Il 1° dato da me registrato risale all’estate del ’70. Ricordo che in una sera molto “calda” mia nonna, carlofortina adottiva esclamò: “Eh, quando fa caldo, fa caldo!” L’affermazione mi parve ovvia ma quando lo feci notare all’austera signora, costei mi inseguì per tutta la casa con la scopa. Così pensai che tutti soffrono il caldo; ma i cagliaritani sono tanto fiaccati da esso, che non hanno neanche la forza di incavolarsi.
Nel ‘96 fui testimone di 1 episodio che modificò del tutto questa mia convinzione. Verso le 11 di una mattina di luglio mi ero seduto all’ombra (nessuno è perfetto) con una lattina di birra. Una signora cercava di parcheggiare ed il marito, poco distante, le forniva qualche indicazione. “Più al centro, sì, no, ora a destra”, ecc. Quel giorno c’erano 37 gradi e la gentile signora grondava rabbia e sudore finchè, non potendone più urlò al consorte: “Come faccio?! Non ci riesco! E’ colpa tua! Tua! Idiota! Imbecille!”
Ora, nella nostra vita tutti noi ci siamo sentiti almeno una volta idioti o imbecilli: riconoscerlo è da persone intelligenti. Comunque, colei tentò un’altra manovra, per me impossibile: dove cercò di incunearsi c’era meno spazio che nella difesa di una squadra tedesca degli anni ’30. Allora gridò al marito: “Parcheggiala tu, questa schifezza! Vigliacco! Squilibrato! Mostriciattolo!”
Intanto arrivò Mustafà. Da buon musulmano rifiutò la birra ma accettò l’ombra. In Marocco, fino a maggio studiava lettere; da giugno a settembre vendeva mercanzia varia sulle italiche spiagge. In confronto al suo, il mio francese faceva pensare ai gargarismi di un gorilla. Ci disinteressammo subito della coppia; era noioso vedere i 2 prendersi ad unghiate ed a schiaffoni in mezzo alla strada.
Mustafà notò che avevo con me Lo spirito delle leggi e dei luoghi di Montesquieu. Con tatto, osservò che sull’influenza del clima su umore, mentalità ed anche leggi dei popoli aveva già scritto Ibn Khaldun: un dotto che visse nell’Africa del Nord tra fine XIV sec. ed inizio XV. Presi nota ma quando gli parlai della mia ricerca su caldo e cagliaritani, scoppiò a ridere: quando fa caldo, fa caldo! Non ricordo se lo disse in francese o in arabo ma da allora sono pervenuto a queste conclusioni:1) tranne me, tutti soffrono il caldo. 2) Il caldo altera gravemente l’umore. 3) E’ inutile che io continui la mia ricerca; meglio che vada al bar. O che rilegga Montesquieu. O che legga Ibn Khaldun.

1 commento:

  1. Senti, è inutile discuterci troppo: quando fa caldo, fa caldo! E basta.
    Ciao

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