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sabato 21 luglio 2007

Il mio viso sbagliato

Un po’ tutti ci suggeriscono un modo di proporci ottimista, sorridente, insomma “positivo.” Via certi musi lunghi. Via quei silenzi prima di rispondere ad una domanda o a qualche osservazione: sono da asociali o da imbecilli. Via quelle risposte problematiche ed articolate: roba da confusi cronici. Quindi, si risolverebbe tutto in un via generale.
Ma in fondo, questo ottimismo a comando misto a mancanza di dubbi, puzza molto di poliziesco, di militare o almeno di giudiziario: “Risponda alla domanda!”
Conobbi questa mentalità già all’università, quando ad una domanda sulla Vera religione di S. Agostino risposi collegandomi a certi Greci (i neoplatonici), al che il docente: “Stia al testo.” Stia al testo? Ma parlare di quel testo senza rifarsi a quei Greci, sarebbe come parlare di un coltello fingendo che non abbia la lama.
Non dico che dobbiamo avere delle facce da funerale o rispondere a domande ed osservazioni tenendo delle conferenze, ma forse la realtà è un tantino complicata e non molto allegra. O no? Ma sento già la raffica di quesiti (debitamente protocollati): “Che significa “forse”, stia al testo! Un tantino, non molto? Ma quanto è complicata e poco allegra, la vita? Sia preciso!”
Nel racconto di Heinrich Boll La mia faccia triste il protagonista becca 10 anni di galera proprio per la sua faccia triste. 5 anni prima ne aveva beccati 5 per “faccia allegra”. Ecco, io mi sento spesso come quel poveraccio. Ovunque gente che sa quando essere triste, allegra o nessuna delle due, uomini e donne (ma non saranno robots?) che sanno a chi parlare, come e di che cosa.
Io sto da 22 anni con la donna che è mia moglie e con lei continuo a fare delle gaffes pazzesche. Guardo verso l’orizzonte ma a pochi passi dai miei 45 anni, ancora non so “orizzontarmi.” Fisso queste mani sporche d’inchiostro ma i miei calli mentali non fanno di me una persona saggia, intelligente o almeno in possesso di qualche grammo di buon senso. Cerco di migliorare, ma con calma. Ho un viso sbagliato che però a me piace molto.

2 commenti:

  1. Mi dispiace sinceramente che tu abbia avuto a che fare con tanti 'imbecilli' che dichiarino asociali o imbecilli sia i silenzi che i musi lunghi. Purtroppo si fa troppa confusione tra l'educazione ad una filosofia di vita che comporti un 'pensare positivo' e i reiterati suggerimenti ad indossare sempre e comunque la maschera del sorriso; sono cose molto diverse che conducono una a vivere meglio, l'altra a rischiare di apparire idioti davanti ai problemi della vita non solo nostra. Pensare positivo non significa cancellare i problemi o risolverli in via generale o soffocare il proprio senso critico; significa analizzare profondamente i problemi con la consapevolezza e la volontà di affrontarli da protagonisti e ricercatori di elementi positivi che portino a una loro soluzione o a una convivenza indolore col nostro essere e sentire. E questo è molto meglio che vivere i problemi da vittime succubi degli stessi accontentandoci di comporre litanìe o peggio introiettandoli fino a promuoverli implacabili virus causa dei nostri mali. Sorridere alla vita non significa sfoggiare dentature smaglianti per tutte le occasioni e se qualcuno lo intende in questo senso probabilmente non ne ne ha proprio afferrato il senso o questo gli è stato spiegato da qualcuno che ha divagato troppo senza 'stare al testo'. Anche a questo proposito esprimo la mia contrarietà alle generalizzazioni. Probabilmente quel docente voleva con quella domanda, valutare la tua conoscenza del pensiero di Agostino e non l'origine del suo pensiero, oggetto di altra eventuale domanda. Mi rifarei alla sintesi matematica per chiederti quanto fa 2+2. Risponderesti propinandomi la storia dei numeri arabi prima di arrivare al fatidico 4? Nel nostro dialogare c'è un tempo per argomentare e c'è un tempo per arrivare al sodo. Individuare l'opportunità dell'uno e dell'altro compete al nostro senso critico. Vedo dal profilo, che hai frequentato la filosofia e in essa il dubbio è sempre presente in varie accezioni. Io preferisco intenderlo come positivo motore di vita e stimolo alla conoscenza e non come freno autocastrante di una nostra qualsiasi decisione e soprattutto di ogni nostra scelta di vita. Se amiamo o giudichiamo saggio gongolarci nel dubbio non ha senso che viviamo nella società; potremmo tranquillamente isolarci in una caverna e incastonare nella roccia la nostra collezione di dubbi quotidiani. Qualcun altro provvederà a contribuire al girare del mondo. Se ancora non lo hai letto, di Heinrich Boll ti suggerisco Opinioni di un clown. Complimenti per il blog.
    Lorenzo (Mi)

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  2. Rif. Lorenzo
    Grazie per i complimenti. Condivido la tua distinzione tra un reale “pensare positivo” ed i “reiterati suggerimenti ad indossare sempre e comunque la maschera del sorriso.” Condivido anche quanto dici appunto su quel “pensare.” Ma i reiterati suggerimenti prevalgono: a molti fa comodo avere dei sorridenti non pensanti da manipolare; vi sono poi altri che con quella maschera si automanipolano per non affrontare i problemi. Io criticavo questo. Comunque, il mio post si pone in una dimensione (anche) comico-satirica: la "generalizzazione” rientra quindi in quell’ambito.
    La domanda del docente verteva sulla “Vera religione” (in generale); non era volta a valutare la mia conoscenza del pensiero di Agostino (in particolare). Perciò dovevo per forza accennare ad influenze neoplatoniche: in “quel” testo tanto presenti. L’uomo avrebbe dovuto distinguere tra una breve e necessaria frase, che stava diventando la risposta da lui richiesta, ed 1 tentativo di… melina.
    Sul dubbio la penso + o meno come te; del resto, se non lo avessi inteso come “positivo motore di vita”, mi sarei buttato sotto 1 treno 20 anni fa. Inoltre, l’amico dubbio ci porta a non pensare che valiamo chissà quanto. Poi, chi fa “girare il mondo” è proprio chi dubita della validità delle cose così come sono: e cerca di cambiarle.
    Tra le opere di Boll da me lette, credo che “Opinioni di un clown” sia la sua + riuscita e divertente; l’ho letta varie volte e sempre con molto piacere. Mi ci ritrovo molto, certo senza 1 grammo del genio di Boll. Quando (nell’ultimo cap.) il protagonista Hans Schnier va alla stazione con chitarra, sigaretta e cappello, nel suo modo folle e sognante decide d’affrontare la realtà: per es. senza impresario, come dire “senza rete.” Anche questo, per me, è un modo di utilizzare il dubbio positivamente. Comunque, nei prossimi post riparlerò di Boll. Ciao.

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