Si doveva insomma dirimere la questione in base al diritto romano ed al pensiero di Aristotele (come pensavano alcuni filosofi e giuristi) o in base al codice di diritto canonico? Si creava quindi un groviglio concettuale e politico-istituzionale da cui si poteva uscire solo, come proponeva Las Casas, col liberare tutti gli indios, subito e restituendo loro le terre, di cui erano soli e legittimi proprietari.
Certo, per il perverso intreccio economico, politico, teologico e giuridico che si era creato, la proposta lascasiana era scartata a priori. Anzi, col passare del tempo tale intreccio diventava ancor più difficile da sciogliere; del resto, l’oro accecava le menti e paralizzava le volontà. Fonti e testimonianze di parte india presentano gli spagnoli come degli esseri privi d’ogni decenza ed umanità, per es. quando si buttano sull’oro e sulle pietre preziose da loro razziate urlando, ridendo e facendo versi “come le scimmie”, lanciando appunto oro e pietre in aria e passandosi il tutto tra i capelli e sulla persona. La loro acqua e la loro igiene erano le ricchezze, peraltro estorte.
E’ interessante notare come anche l’indio attuasse una sorta di despecificazione (termine e concetto che accolgo da Losurdo): considerava quindi lo spagnolo come al di fuori della specie umana. Ma lo spagnolo despecificava l’indio del tutto a torto; la sua vittima, a ragion veduta. Poi, l’indio limitava tale operazione ai conquistadores, non la estendeva a tutti gli spagnoli e certo non a frati come Las Casas.
Inoltre, allo spagnolo mancava perfino quel sostrato teologico che avrebbe potuto “giustificare” il suo dominio sugli indios: con la bolla Dominus Sublimis (1537) papa Paolo III aveva affermato che essi erano “uomini veri”. L’imperialismo spagonolo si poneva quindi contro quella stessa religione cattolica di cui pure si definiva difensore.
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