martedì 1 maggio 2012
Giovanni, Antonio e Marco (parte 2/a)
Invece già da Platone1 per
continuare con Aristotele fino ad arrivare alla formulazione classica di giustizia
che dobbiamo ai giuristi romani… continuando nel 1600 con l’olandese Grozio
ecc., una linea giuridica, filosofica ed etica almeno bimillenaria ha
sempre posto al centro della sua riflessione l’idea della validità universale
della legge e dell’uguaglianza di fronte ad essa di tutti gli
uomini.
Per Aristotele: “Le leggi si
pronunciano su tutto e tendono all’utile comune.”2
Qui con leggi (nomoi)
egli intende non solo qualcosa di legale ma soprattutto di morale e
che va ad abbracciare una dimensione più ampia, più vasta, se appunto il Nostro
aggiunge che “noi diciamo ‘giusto’ ciò che produce e preserva la felicità, e le
parti di essa, nell’interesse della comunità politica.”3
Possiamo intendere il termine
“comunità politica” nel senso di società, insieme appunto organizzato ed
associato di uomini; in un senso quindi forse meno limitato di quello che diamo
oggi a “comunità politica” (insieme solo di partiti, istituzioni statali e
simili), comunque penso che sull’essenziale possiamo intenderci.
La legge non è comunque per
Aristotele mero fatto specialistico (confinato quindi in un ambito particolare
come la giurisprudenza) bensì autentico ponte sociale… e ponte in quanto
evita di porre o proporre barriere o muri tra gli uomini.
Barriere o muri che invece a mio
avviso nascono quando l’universalità della legge non viene riconosciuta. A quel
punto sorgono dei gruppetti di persone, di fatto dei privilegiati che coltivano
l’assurda e pericolosa convinzione di potersi esimere dall’osservanza della
giustizia… una noiosa faccenda a cui possono (eventualmente) sottomettersi in
base alla convenienza, all’estro del momento o anche dopo aver dimostrato altre
o ipotetiche doti o virtù.
Invece Aristotele definisce
l’applicazione ed il rispetto della legge come giustizia e come “virtù
completa”; anzi per lui la giustizia è la “virtù più eccellente.”4 E questo
perché “colui che la possiede è capace di servirsi della virtù anche nei
riguardi del prossimo, e non solo in relazione a se stesso.”5
Qui vediamo come Aristotele non
parli di semplice virtù personale, individuale ma intenda la giustizia
come qualcosa che dall’ambito individuale ed in fondo egoistico (comunque
socialmente sterile) si estende fino a raggiungere anche gli altri
uomini.
Superiamo così limiti ed ambiti
di varia natura, che spesso servono solo per giustificare egoismi, ottusità,
debolezze ecc.6
E Cicerone, benché come parecchi
Romani fosse scettico verso la filosofia greca o comunque verso una ricerca
culturale che non fosse direttamente collegata alla dimensione pratica,
tuttavia si occupò anch’egli dei temi che stiamo ora esaminando.
Così, per lui “siamo nati alla
giustizia” e “il diritto non è stato fondato per una convenzione, ma dalla
natura stessa.” Egli aggiunge: “E ciò sarà ormai chiaro, se esaminiamo la
società ed il legame reciproco degli uomini.”7
Tale legame, che unisce appunto
gli uomini in società, è per Cicerone la ratio, la ragione che al di là
delle differenze con cui essa è posseduta ed utilizzata da ogni singolo uomo,
“è certamente comune, differente per preparazione, ma eguale quanto
a facoltà di apprendere.”8
Il diritto, che è quindi
un elemento fondamentale proprio nel senso che fonda l’umana convivenza,
non può fare come se alcuni fossero totalmente privi di ragione da non essere
considerati appunto uomini. Da qui, come osserva benissimo Abbagnano,
Cicerone può passare a teorizzare l’uguaglianza tra gli esseri umani.9
Infatti, poiché ogni uomo è
dotato di ragione, ognuno di essi possiede una capacità oltre che intellettiva
anche pratico-sociale d’agire e di scegliere in funzione del proprio benessere,
così come possiede il diritto alla salvaguardia di quel benessere;
naturalmente, il tutto in ambito sociale e nel sicuro ed effettivo rispetto dei diritti e
del benessere altrui.
Ma non può esistere alcun
benessere ove esso non sia garantito dalla giustizia e da una reale uguaglianza…
quel che spetta ad ognuno di noi.
Mancando infatti quegli elementi
si avrebbe solo bellum omnium contra omnes, la guerra di tutti contro
tutti, per citare la nota formula dell’inglese Thomas Hobbes quando si
riferiva allo stato di natura… quello quindi in cui non sarebbero esistite o
non esisterebbero delle società o degli stati organizzati.10
Eccoci ora alla limpidissima
formulazione del grande Ulpiano (II sec. a. C.) per il quale: “La giustizia
consiste nella costante e perpetua volontà d’attribuire a ciascuno il proprio
diritto. I precetti del diritto sono questi: vivere onestamente, non
danneggiare gli altri, attribuire a ciascuno il suo.”11
Benché la mia analisi sia
esclusivamente morale e filosofico-sociale (non essendo io né un avvocato né un
giurista, un giudice ecc.) penso comunque che non rispettare determinate
sentenze e certi diritti non faccia altro che confliggere coi precetti di
Ulpiano, oltre che danneggiare in modo direi piuttosto evidente i 3 di Melfi.
Così
non trovo necessario (tanto mi sembra chiara) commentare la celeberrima massima
di Ulpiano.
Note
1) Platone,
La repubblica, Laterza, Roma-Bari, 1970, I, p.28 sgg.
2) Aristotele,
Etica nicomachea, Laterza, Roma-Bari, 2001, V, 1129 b, p.175.
3) Aristotele,
Etica nicomachea, op. cit., p.175
4) Aristotele,
Etica nicomachea, op. cit., p. 175.
5) Ibid.
I corsivi sono miei.
6) Cfr.
comunque Ibid., n. 418, p.488.
7) M.T.
Cicerone, Le leggi, Utet, Torino, 1992, I, 28, p.437. Il corsivo
è mio.
8) M.
T. Cicerone, Le leggi, op. cit., p.437. I corsivi
sono miei.
9) Nicola
Abbagnano, Dizionario filosofico, Tea, p.251.
10) T. Hobbes, Il
Leviatano, I, XIII. Non è qui importante, in un lavoro senza pretese di
tipo scientifico come un post, stabilire se la celebre frase, così come la non
meno celebre homo homini lupus cioè l’uomo è un lupo per l’altro uomo
(che risale a Plauto) sia originale di Hobbes.
11) Ulpiano, Digesto,
1. 1. 10. Il corsivo è mio.
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Ma i politici di allora avevano più umanità e intellegenza di quelli che abbiamo attualmente.
RispondiEliminaMi sembra questo il concetto ma non nè sono sicura.
Ciao Riccardo e grazie per il commento Lidia.
rif. Gibran
RispondiEliminaAvevano più umanità ed intelligenza... quando rispettavano la giustizia.
Ma anche allora, non capitava moltissimo.
Ciao Lidia, mi ha fatto piacere leggere e commentare il tuo racconto: anche quello, in effetti, parla del problema della giustizia!