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martedì 11 settembre 2007

Ricordo di Carlos Monzon (parte prima)

Foto di Monzon, in cui lo straordinario pugile posa per il fotografo. Zigomi un po’ sollevati, il labbro increspato, gli occhi a fessura. Tutto l’insieme si compone in una smorfia d’arroganza e superiorità. Chiunque abbia avuto a che fare con gente di periferia, inoltre proveniente da realtà umane e sociali pesanti, sa a che cosa alludo. Quella smorfia significa: “Che diavolo vuoi?” E’ una smorfia che finge d’essere un sorriso e segnala pericolo.
Spesso parlare di Monzon non significa parlare del pugile ma dell’uomo: per tanti o quasi tutti un essere maligno, privo di qualsiasi pietà. Di solito il termine + gentile che si riserva a Carlos Monzon è “cattivo”. Per il filosofo Alexis Philonenko, Monzon non trovò nella boxe quel che avrebbe potuto permettergli di incanalare la sua aggressività, bensì qualcosa che la scatenò ben oltre il livello normale consentito dal ring. Forse Philonenko si riferiva anche alla vita privata di Monzon.
Non ho ancora letto il libro del filosofo: il mio giudizio si limita alla citazione che traggo dalla biografia di Benvenuti Il mondo in pugno, nonché dai miei ricordi relativi ai matchs combattuti dall’argentino. Ora, penso che Philonenko avrebbe potuto dire le stesse cose di tanti altri pugili, Jake La Motta in primis. Eppure l’impressione di fondo rimane: altri grandi pugili son riusciti a non trasformarsi solo in terribili picchiatori. Benvenuti si è dato con qualche successo al giornalismo, inoltre si è occupato di commercio (da noi e nella stessa Argentina), pubbliche relazioni, di recente si è rivolto al mondo dello spirito e del volontariato. L’impegno poi sociale e pacifista di Clay, il grande Muhammad Ali è proverbiale.
Ma Monzon era un pugile… sempre. Sembrava, poi, che mentre gli altri colpissero per sconfiggere l’avversario, lui volesse fare più male possibile. Del resto, i pugni fanno male e se vuoi vincere, i tuoi devono fare peggio. Se quelli di Monzon erano così, forse questo dipendeva anche dal fatto che tra i pugili latinoamericani in genere, si considerava irrilevante il galateo pugilistico. Nino ricorda che durante la rivincita del maggio ’71 a Montecarlo, Monzon lo colpì col pollice alla carotide ma l’arbitro (anch’egli argentino) disse: “Tranquilo, no es nada!” Inoltre, Monzon era fortissimo e velocissimo: perciò se ai fattori forza o diciamo anche “cattiveria” e velocità aggiungiamo il disinteresse per le regole, otteniamo una belva. Ma in Europa e negli Usa ci si era dimenticati di come si combatteva ai vecchi tempi.
Forse contagiato dalla boxe (talvolta simile alle risse di strada) di Monzon, Nino andò all’arrembaggio. Così lasciò campo libero alla reazione di Carlos: uno che quando ti vedeva in difficoltà continuava a colpirti per schiantarti. E chi poteva resistere ad un uragano di colpi che si abbatteva sul viso, centrava la figura, arrivava in punti proibiti o comunque in modo sleale? Nino scese dal ring con una costola incrinata e la bocca piena di sangue. Certo, gli successe qualcosa di simile già con Griffith: che poi sconfisse nel memorabile match del Madison Square Garden. Ma lì si trattava di combattere: duramente ma nell’ambito d’1 match di boxe.
Con Monzon si prendeva una macchina del tempo per andare a combattere in una dimensione che precedeva la boxe; in quella, lui era re.

3 commenti:

  1. La fortuna di Monzon e' che ha vissuto in un'era in cui non esistevano pugili grandi come marvin heagler e sugar leonard.Ovviamente, senza dubbio un grande campione .

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    1. @Anonimo
      Marvin Hagler chi ?
      Quello che ha pareggiato con Antuofermo ?

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  2. rif. Anonimo
    Mah, non ricordo se Hagler abbia mai combattuto con Antuofermo, dovrei controllare gli anni e le categorie di entrambi.

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