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lunedì 21 maggio 2007

A proposito del titolo del mio libro

Poichè nel libro non si parla di Dante, in un commento mi viene chiesto quale sia l'origine della scelta del titolo. Ora, per me Dante è IL genio, ma anche un uomo in carne ed ossa, che evitava di consumare le sue energie fisiche e nervose affrontando situazioni insostenibili o persone refrattarie a qualsiasi forma di dialogo. E' il semplice buon senso: che però ci manca quando ci intestardiamo. Così aggiungiamo negativo al negativo, peggiorando tutto. Prendo quindi Dante, che nel libro compare solo nelle 3-4 righe finali di un racconto ("Rock 'n roll") come esempio di scrittura ma soprattutto di vita. Conobbe cosette come l'esilio e la povertà, perciò sapeva che cosa fosse davvero importante.

2 commenti:

  1. Non mi convince questo Dante dotato di autocontrollo. Tutte le biografie ci descrivono un Dante collerico, vendicativo, poco incline al compromesso, un vero e proprio "toscanaccio" e non di quelli simpatici, ma dei più biliosi.
    Il suo immenso valore artistico e culturale non gli ha impedito di compiere piccole e grandi vendette personali, sprofondando all'inferno i suoi nemici. Ne emerge un Dante disposto a tutto ma meno che mai a "lasciar perdere".
    Se la prende persino con un povero fabbro che, canticchiando alcuni versi della Commedia ne ha sbagliato qualcuno.
    Titolo molto suggestivo ma, mi pare poco rispondente alla realtà.

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  2. Rif. Conte Ugolino

    Sì, Dante fu spesso aspro, sanguigno. Ma la critica letteraria confina fatti come quello del fabbro (narrato dal Sacchetti) in ambito aneddotico. Inoltre, dopo l’”Inferno” scrisse il “Purgatorio” ed il “Paradiso”, smussando in essi certa… spigolosità. Col tempo, egli vide la sua vita e la sua opera in una prospettiva morale (certo non moralistica)e la stessa “Commedia” rientra in quel disegno.
    Comunque, proprio nell’”Inferno” leggiamo: “Non ti curar di lor ma guarda e passa.” Così, penso che in Dante convivessero tendenza alla lite ed all’autocontrollo: il che era certo contraddittorio, ma nei grandi poeti non è questa la norma? Non so se abbia chiarito i tuoi dubbi, ma questo è quel che penso dell’uomo.
    Se leggerai il mio libro (lo so, sembro un piazzista) vedrai che per me il “lasciar perdere” è un fine, forse impossibile cui tendere. Benché sardo, sono anch’io “toscanaccio".

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