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venerdì 13 giugno 2008

Quando finiva la scuola

Ero felice, quando finiva la scuola. Per un po’ niente più compagni ignoranti e snob: due caratteristiche, l’ignoranza e lo snobismo, che nel 100% degli snob che ammorbavano la mia classe, ho sempre trovato abbinate.
I professori o come diranno decenni dopo i ragazzi dei miei corsi (perché in effetti lo sono diventato anch’io) i proffe mi stavano anche bene; prof.ssa di storia dell’arte a parte, col suo ridicol-odioso autoritarismo. I suoi colleghi magari ti stangavano alla grande, ma almeno non ti facevano sentire un deficiente.
Comunque, ogni anno dovevo “portare” a settembre latino, greco e matematica, perciò giugno era il mio mese preferito: ai primi di luglio dovevo riprendere a studiare…
Dopo cena io y los amigos scendevamo giù in strada e la palla correva & correva.
Comunque, quando ora guardo i ragazzi e le ragazze, non li invidio: essere adolescenti (o anche avere 20 anni) non è poi quel gran sogno. Sto molto meglio adesso, a quasi 46.
Ho la mia rotta e di me non si è rotto molto, da allora.
Certo, ho meno illusioni… ma ho ancora tantissimi sogni.
Lascio che il sole mi scaldi la pelle, mi intrufolo ancora nei mulinelli di polvere e vento, continuo a macinare km in corse e passeggiate pensando a tutto ed a niente, scrivo e leggo forse con maggiore avidità.
Anche quella è scuola, ma disapprovo chi disprezza l’istruzione: ho imparato molto anche da materie che ho odiato.
Guardo la strada che va chissà dove e la seguo… se mi va.
Ci sono stati momenti stupendi, altri pessimi, ma come si dice nel gergo della boxe, sono ancora integro.

22 commenti:

  1. Eh l'importante è quello! (che sei intergro Tendy a parte!)..E (a noi stessi e agli altri) non bisogna mai permettere che i sogni si perdano. Proprio mai, sennò che noia.

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  2. "Ai miei tempi"....aggiungo io, quando finiva la scuola era una vera e propria liberazione!
    Mi riferisco alle(mie) elementari e alle medie, che tortura, la maggior parte degli insegnanti erano anziani e in via di pensione!
    Nel mio caso,non partivo privilegiata, peggio ancora....mio padre era un maestro elementare, di quelli vecchio stile, severo, raramente sorrideva, amava definire che nelle sue classi "non volava neanche una mosca", sfido io morivano di paura appena lo sentivano(scusa pà se oso tanto...so bene che sei stato un valido amante della cultura); mia madre, più dolce e paziente, insegnava alle medie quella che un tempo si chiamava "Educazione tecnica" e il suo insegnamento era materia esclusiva per "femmine"....si lavorava all' uncinetto e tutte dovevano saper fare la maglia e possibilmente ricamare.
    In mezzo c'ero io e poi mio fratello, molto bravo e studioso sin da piccolo, l' orgoglio di papà che non perdeva tempo per rimarcare: "guarda tuo fratello quanto legge, guarda quanto si applica, quanto è bravo"....guarda quanto...
    Ma a me leggere(so di scandalizzare molti....), diventava qualcosa di noioso e le competizioni(esasperate) non sono mai state per me un motore per crescere... qualche volta ho creduto invece di essere un po' deficiente.
    Ma non avevo scampo, bisognava studiare e non potevo essere la pecora nera di casa, c' erano i voti, la pagella, i colloqui...gli sguardi severi...
    Ma finalmente arrivava il tempo di fine anno-scolastico, con la sua aria tiepida e la voglia di buttare i libri in un angolo della stanza, la voglia di respirare l' aria di libertà da esami e interrogazioni(che ansia e che stress: una prof delle medie m' interrogava sempre con la più secchiona e occhialuta della classe che aveva una parlantina furba e lecchina che l' avrei strozzata mille volte...). Intanto cresceva la voglia di respirare la salsedine del mare e la voglia di stare con l' amica del cuore a parlare per ore e ore gustando il nuovo gelato appena prodotto da quella o quell' altra casa, mentre il sole tramontava e colorava il mare e il cielo di mille sfumature, fantasticare avventure e sognare viaggi in terre lontane con la voglia di crescere in fretta e provare esperienze nuove e diverse da quelle scolastiche, scappare lontano...lontano...per trovare la (mia) strada, dove le persone(molti adulti si dimenticano che anche i bambini sono"persone") valgono a prescindere dal giudizio dei prof!
    "Ai miei tempi"....si sognava moltissimo, io mi sono salvata anche grazie ai sogni, chissà se oggi i nuovi scolari sognano ancora! Ma penso di si, i sogni rendono la vita più dolce, o no?
    Ciao Ric e complimenti per il tuo racconto....ho rivissuto grazie alle tue parole molte vecchie emozioni, un tuffo nei ricordi...una bella sensazione che mi fa apprezzare maggiormente il presente!

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  3. Rif. maviserra
    Condivido & condivido. Infatti, si possono (anzi, direi proprio che si debbano) perdere le illusioni, mai i sogni.

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  4. Non è che per caso ti sentivi già dal tempo della scuola un po' "proffe" e un po' meno uno studente? Naturalmente la mia è una piccola e sana provocazione...
    Non sono molto d' accordo riguardo al fatto che "ignoranza e snobbismo" siano due "pregi" che vanno al 10% di pari passo!
    Io ho avuto compagni di classe molto ignoranti(e felici) e per niente snob e altri invece che erano terribilmente e mostruosamente creativi pur vivendo bene nei propri limiti culurali! Non sempre la cultura eleva le persone, alle volte le limita e le chiude in preconcetti e le rende un po' dinosauri!
    Ben ritrovato vecchio Ric!

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  5. Rif. Miriam
    Atttraverso questo post ho cercato di riflettere su un passato, ovviamente mio, su ciò che può legarlo ancora a questo presente e magari, anche al futuro. Tutto questo, guardando avanti.
    Penso, inoltre, che nel riandare col pensiero a persone che hanno "abitato" con noi tale passato (familiari inclusi), di tali persone sia giusto avere una visione più complessa e problematica.
    Ciao.

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  6. Rif. lucignolo
    Non sentivo un po' "proffe" già dai tempi della scuola: in tal caso avrei apprezzato la prof di storia dell'arte.
    Ignoranza e snobismo: come ho scritto, ho trovato abbinate quelle caratteristiche negli snob della mia classe; saranno esistite ed esistono senz'altro altre combinazioni e/o percentuali.
    Infine, circa la cultura che a volte limita le persone, le chiude in preconcetti, le rende un po' "dinosauri" ecc., dico che allora si tratta di nozionismo, non di cultura.
    Bentornato, Lucignolo.

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  7. Ma allora vuoi fare davvero il "proffe"....(Naturalmente sto ironizzando!)
    Non voglio infatti cercare il pelo nell' uovo nè creare una polemica inutile intorno al senso che caratterizza il pensiero e l' esperienza di entrambi.... Possibile che tu non hai mai incontrato neanche un personaggio o "uomo di cultura" che nonostante il suo sapere, fosse nella vita pratica, piccolo e limitato? Dai, non ci credo!
    Io all' Università spesso mi sono scontrato con "personaggi" simili....ti assicuro che non è per niente piacevole discutere con loro!
    Se per te è più completo e preciso il concetto di "nozionismo" invece che di "cultura", bè allora sono io che dò dell' ignorante a più di un "uomo di cultura", che come tale si è mascherato.
    Grazie e ciao ancora, proffe!

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  8. Avete parlato di quando finiva la scuola e poi si è passati ai sogni......ed allorami inserisco anche io ...
    Non posso immaginare la vita senza sogni...secondo me sono il sale della vita. Si può stare in una stanza ....si può stare in una spiaggia ..si può stare in un prato ma se nn si libera la fantasia e si sogna la vita diventa troppo brutta. Per esempio davanti a tante tragiche circostanze della vita se non sogni finisce che cadi in un baratro e non ne esci più. Quando ero piccola eravamo al paleozoico non avevamo a disposizione granchè..finita la scuola ci si organizzava e in grandi gruppi si andava alla prima fermata al mare a piedi......bellissimo...tutto quello che avevamo a disposizione era il mare .....e mi vuoi dire niente...I viaggi estivi così detti di istruzione non sapevamo neanche cosa fossero ed allora c'erano i viaggi della fantasia. La nostra fortuna di abitare vicino al mare ..però ci riempiva le giornate........
    Bello ..bello..poi cresci sperando di riuscire a fare quello che avevi sognato da bambina....io volevo aiutare la gente che sta male.....pensavo sempre di andare in africa e dare un mio contributo...ed invece non riesco neanche ad aiutare chi sta nella mia realtà familiare.
    Non riesco neanche a capire e sapere che malattia può avere mia figlia.....ed allora i tuoi sogni si annebbiano......e rifletti......Io rifletto e lotto e dico sempre speriamo che Martina se la cavi!!! Ma per fare ciò non basta internet..la mia grande forza di volontà ....non ho le basi...anche se finora ho scoperto tanto.....a volte penso di mollare..ma poi vengo sopraffatta dalla mia coscienza che letteralmente mi prende a calci e mi sprona.
    A proposito........scusate ma sono proprio sconfinata.

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  9. Rif. lucignolo
    Ho incontrato ben più di un “personaggio o “uomo di cultura” che nonostante il suo sapere” era “nella vita pratica, piccolo e limitato.” Ma nel post e nelle risposte ai commenti quando avrei parlato di miei incontri con persone di cultura che nella vita pratica non erano piccole e limitate? Anch’io all’università mi sono “scontrato” con certi gente; nemmeno per me è stato “piacevole” discutere con loro!
    Non ritengo affatto il “il concetto di “nozionismo” più “preciso e completo” di quello di cultura” ma il suo… contrario. Se ricordi, nella mia risposta al tuo precedente commento, definivo nozionismo proprio quel che limita le persone, le chiude in preconcetti ecc. Il nozionismo fa ripetere appunto le nozioni acriticamente; la cultura è il “coltivare” (nel senso di rendere non meno autentiche ma meno istintive) le nostre emozioni, aspettative, riflessioni ecc. Il nozionismo è in effetti erudizione ma come diceva De Sanctis, erudizione (o nozionismo) e cultura non sono sinonimi, poiché proprio della cultura è “suscitare nuove idee e bisogni meno materiali, formare una classe di cittadini più educata e civile.”
    Così quel che molti (non dico tu) considerano astratto, lontano dalla vita della gente come la cultura, si dimostra invece molto pratico ed utile; ma erudizione ed eruditi non servono. Per il resto, ognuno fa quel che può…
    Ciao, Lucy(gnolo).

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  10. Rif. anonimo
    Condivido: la vita ha un grandissimo bisogno di sogni. Senza quelli diventa tutto parecchio piatto, noioso, forse anche privo di senso. A volte, poi, la disperazione sembra che non aspetti altro, per farci affondare.
    Spero davvero che per la malattia di tua figlia si possa trovare una cura, una terapia… non so neanche che termine usare, in più non vorrei sembrare retorico.
    Ma la tua coscienza, così combattiva, dimostra la differenza che c’è tra i sogni e le illusioni: i sogni portano a reagire, a progettare un futuro migliore e diverso; le illusioni ci lasciano inermi di fronte al male ed al dolore.
    Non preoccuparti, infine, di considerarti “sconfinata”; questioni complesse non si possono certo liquidare in due righe.

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  11. Nel complesso ho un ricordo piacevole del periodo della scuola, specialmente del liceo. Tanti e cari amici, periodo apparentemente spensierato, diviso fra l'impegno politico e la voglia di leggerezza. Uno strano equilibrio. La fine delle scuole significava "mare", giochi, scherzi, gavettoni, nuove simpatie o "amori".
    Vedendo l'esperienza di mie figlie trovo notevoli differenze. Sentono molto meno la fine delle scuole e l'inizio delle vacanze. Non so bene il motivo ma è così. Hanno di più e si divertono di meno.

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  12. Rif. melania
    Ricordo con simpatia quello "strano equilibrio"; devo dire che l'ho apprezzato.
    La nostra scuola era più dura, spesso stupidamente autoritaria: forse per questo i nostri figli non accolgono la fine delle lezioni col nostro "antico" sollievo.
    Vero, i pargoli hanno senz'altro più di noi e non se lo gustano: un po' come tutte quelle partite di calcio in tv, che alla fine stancano (ma stasera speriamo di batterla, la Francia, eh?)

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  13. Leggo che discutete di cultura e di vs incontri con persone di cultura. Mi spiegate in base a quali criteri le avete riconosciute tali?
    Leggo nel commento di Riccardo una definizione che secondo la concezione umanistica presenta la cultura come attività che consente di coltivare (colere) l'animo umano e assume in tale accezione una valenza quantitativa. Ma allora un analfabeta che trascorre la sua giornata a meditare per armonizzare l'animo è più colto di un lettore a tempo perso di 'testi sacri'? Occorre un ritocco alla definizione? Ci hanno pensato i guru della'cultura' ed ecco che essa consiste nel processo di sviluppo e mobilitazione delle facoltà umane, facilitato dalla assimilazione del lavoro di autori e artisti e legato al carattere di progresso. Questa estensione della definizione opera un sincretismo fra il concetto umanistico e il concetto antropologico (Tylor 1871) che vede la cultura come insieme complesso che include il sapere, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e ogni altra competenza o abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro della società. E qui viene il bello. Secondo la concezione antropologica siamo tutti uomini colti ovvero di cultura in quanto membri di società. Possiamo essere di cultura italiana, occidentale, islamica e così via. Da qui la scelta: scambi culturali o guerre di culture diverse. Ma la cultura di un popolo nasce dal popolo o cala sul popolo costruita (ad arte manipolatoria) dalle classi dirigenti formate da 'uomini di cultura'? Anche Gramsci parla di cultura egemonica e cultura subalterna. Ma torniamo alla definizione sincretica. Essa inserisce il termine assimilazione (di lavori altrui) quindi cultura legata a conoscenza, al sapere.
    Il nozionismo fine a se stesso inizia ove si perda di vista la finalizzazione del sapere allo sviluppo e mobilizzazione delle proprie facoltà umane.
    Or dunque quando avete incontrato persone di cultura le avete definite tali quantisticamente in base a quanto 'sapevano' o gli avete radiografato l'animo per valutarne l'accrescimento in funzione del loro sapere?. Il nozionismo è stupido ma può essere utile. La cultura può essere limitativa, pericolosa, manipolatoria e creare divisioni se priva di saggezza. Ma per essere saggi occorre essere colti?
    Attraverso il sapere si possono raggiungere degli obiettivi, ma è con la saggezza che si scelgono gli obiettivi giusti da raggiungere.
    Cultura, cutura, si fa presto a dire cultura...
    Colere, colere, ho scelto: è più colto quell'analfabeta.
    Ho colto un ciao per tutti voi.
    BreakingToKnow

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  14. Pensavo di lasciar perdere...ma "BreakingToKnow" mi ha catturato/stimolato e fatto riflettere moltissimo, leggere il suo intervento è come aprire , anzi spalancare un'immensa finestra sull' oceano!!!
    Per molti "Lucignoli" come me diventa talvolta difficile esprimere certi concetti intorno al tema "CULTURA"...ho tentato... Penso ancora davvero(sempre di più) che la cultura, da sola, non è in grado di elevare le persone.
    Ci vuole ancora tanto e non sarà mai abbastanza!
    So che questo "mio" concetto è fin troppo elementare, scontato, semplice, forse sciocco....ma è il senso del mio pensiero( nè filosofico nè sociologico), già espresso in precedenza e non, haimè, di chissà chi...
    So bene che "NOZIONISMO" non è l'equivalente di "CULTURA" , tuttavia anche la cultura si avvale di nozioni, ci mancherebbe!
    Trovo che l' affermazione di B.T.K dove dice:
    "La cultura può essere limitativa, pericolosa, manipolatoria e creare divisioni se priva di saggezza", racchiude il "mio" senso d' inquetudine quando incontro qualcuno che sostiene di essere "di cultura" e poi crea barriere di comunicazione, fortini e mura costruite nel tempo "solo" e soprattutto attraverso i libri , esprimendo i propri pensieri sfruttando le parole di altri(scrittori, filosofi, politici, poeti...) e omettendo di esprimere il proprio e unico e personale, magari banale, modo di pensare.
    Non so radiografare le persone anche se a volte sarebbe utile riuscire a vedere in profondità come sono realmente...sarebbe tutto più semplice anche se francamente un po' monotono.
    Un uomo di grande cultura e spessore però l' ho incontrato e non era nè un analfabeta nè uno studioso....era mio nonno...con la sua licenza elementare....un uomo che mi ha insegnato molto anche attraverso i suoi silenzi e il suo essere schivo ma sicuro, forte come una roccia.
    Non c'era bisogno di grandi parole per trasmettere il senso civico e l'educazione, i valori e l' importanza degli affetti, l'amicizia, l'importanza e il senso del lavoro,il rispetto per sè stessi e per gli altri, la fantasia oh, si la fantasia sempre diversa e accattivante nel raccontare/inventare storie e favole che mi ha accompagnata da bambina insegnandomi a sognare e amare i sogni!
    Io tutto questo non l' ho appreso dai libri...Ho studiato e appreso maggiormente da esercitazioni pratiche di vita vissuta.
    A Lui il mio "grazie", al suo sguardo sensibile e attento...a Lui che è stato e resterà nel mio cuore il mio grande saggio!
    Ciao a presto o forse no....Chissà!

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  15. Rif. brokingtoknow
    Rispondendo a Luc. virgolettavo la sua espressione “uomo di cultura”; questo per scrupolo nella documentazione e ad fini ironici; non considero tale uno solo perché è prof oppure mono, bi o trilaureato.
    La “concezione umanistica” di cultura cioè di attività che “consente di coltivare (colere) l’animo umano”, per me non ha una “valenza quantitativa”; l’avrebbe se io vedessi la cultura come accumulazione di dati, senza rapporto critico e vitale con l’esistenza della persona. Ma per me i dati devono servire appunto a coltivarci; così la mia concezione è qualitativa.
    Anche il “tuo” analfabeta può risultare, ove decida di “coltivarsi” in tal senso, più colto del lettore di “testi sacri”; certo, questo dipende anche dal voler rendere feconde sue meditazioni e (eventuali) letture. G. Ledda è diventato colto perché tramite la cultura ha raggiunto l’emancipazione. Tanti “sapevano” più di lui: ma erano eruditi, non colti. In “Lingua di falce” il giovane Ledda dice degli studenti che lo circondano: “Quei libri non li sanno mungere” cioè non sanno trarne il nutrimento che serve per la vita.
    Condivido il “ritocco alla definizione” di cultura che proponi, di “processo di sviluppo e di mobilitazione delle facoltà umane” ecc. e “legato al carattere di progresso”; ciò si ricollega alla concezione classica di cultura: per i Greci ed i Latini anche l’uomo colto doveva contribuire ad amministrazione dello Stato, cura ed applicazione di tecniche lavorative (nella “Repubblica” Platone propone un modello di organizzazione sociale, Catone il Vecchio scrisse sull’agricoltura ecc.).
    Dissento dalla “concezione antropologica” di cultura: non siamo tutti “uomini colti” solo “in quanto membri di società.” Certo, scambi “culturali” sì, “guerre di culture” mai, ma appartenere ad una cultura fa di noi solo dei “membri” di essa… non ancora degli uomini colti, quel che siamo nella consapevolezza della cultura cui apparteniamo, nel criticarne i punti deboli e nel rafforzare ulteriormente quelli già forti.
    La cultura di un popolo è di solito imposta “dalle classi dirigenti” (che la utilizzano per giustificare il loro dominio sui subalterni: Marx, “Ideol. tedesca”), come tali non composte da “uomini di cultura” se con questa definizione intendiamo quelli che come individui “coltivano” sé stessi e come politici mirino al bene comune. Nei “Quaderni” Gramsci diceva che la “comprensione critica di se stessi avviene attraverso una lotta di egemonie politiche, di direzioni contrastanti”: questo in campo etico, sociale e filosofico; ciò avviene sul terreno storico ed è un processo molto travagliato.
    Per me era ed è uomo di cultura chi utilizzava il suo sapere per entrare in un dialogo che rispettasse me e gli altri e non fosse “chiuso.” E guardo a chi come dice Platone nella “Rep.” torna nella “caverna” per liberare, col suo sapere, chi vive ancora nelle “tenebre.”
    La “saggezza” è preferibile alla cultura se per saggezza intendiamo l’operare scelte razionali e che non confliggano, tranne i casi di manifesta ingiustizia e prevaricazione, con quelli altrui. Concordo poi col Salutati: chi prescinde dalla saggezza non troverà neanche il sapere; non è colto chi abbia “conosciuto cose celesti e divine ma non abbia provveduto” a sé, ai suoi ed al proprio Paese. E purché tale saggezza non accetti lo status quo, io la trovo ottima.

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  16. Rif. lucignolo
    Non ho mai detto che “la cultura, da sola” sia “in grado di elevare le persone”: infatti, per sua natura essa le pone in contatto con sé stesse e con gli altri, è crescita, scambio ecc. Penso che dal post e dalle risposte ai commenti questo risulti chiaramente. Ma non trovo affatto il tuo pensiero “sciocco.”
    Certo, anche la cultura “si avvale di nozioni”: ma nella mia risposta del 16 affermavo che il nozionismo consiste appunto nel ripetere quelle nozioni “acriticamente”; potrebbe forse interessarti rileggere quel che il 16 dicevo al riguardo e forse, potresti condividerlo.
    Sottoscrivo le parole di BKT contro una cultura “priva di saggezza”; del resto, l’uomo saggio utilizza la cultura per coltivare sé stesso, dialogare con gli altri, promuovere la giustizia ed il progresso.
    Inoltre, trovo stimolante il confronto con uomini e donne che hanno visto e realizzato più di noi: ma si tratta appunto di confronto, non di ottusa ripetizione delle loro gesta o parole. Quale musicista classico si rifiuterebbe di studiare ed eseguire (per es.) Mozart? Certo, l’importante è che si crei un suo stile.
    Anch’io ho avuto un nonno come il tuo (parrebbero gemelli) così potrei associarmi a quanto tu provi e dici per esso.
    Del resto, se i nostri nonni erano così, ciò dipendeva da doti morali che in loro erano notevoli; è così anche l’uomo colto: penso a Socrate, Gramsci ecc. Io sono lontano da loro quanto lo è la luna dal sole, o possibilmente di più! Ma ci provo… arrancando. Come tutti. Ciao.

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  17. Su quale sia o debba essere il significato del termine 'cultura' è in corso da anni un acceso dibattito di altissimo profilo fra sociologi e antropologi. Sembra comunque evidente che il termine viene considerato limitativo riguardo ai significati attribuibili e si va verso l'uso di neologismi che finalmente identifichino univocamente le varie accezioni. La lingua italiana è spesso affascinante in quanto ridondante di sinonimi ma in molti casi è limitativa in quanto ridondante di significati per singoli lemmi e l'etimologia aiuta molto ma può anche lasciar perplessi.
    Provo a collegare due esempi. Cosa si intende per persona educata? Una persona che si comporta a modo? o una persona che è stata educata(participio passato). In teoria persona educata è un complimento per l'educatore e non per l'educato. Così maleducato dovrebbe essere una di nota biasimo per gli educatori anche se questi hanno svolto bene il loro compito e la responsabilità delle scelte comportamentali è della persona. Come definire quindi una persona che 'si comporta a modo' in quanto tale, senza coinvolgere gli educatori? Il termine non c'è e ci si affida al convenzionale.
    Per la persona 'colta' esiste lo stesso problema. L'origine nel participio passato dovrebbe farla intendere come persona coltivata dalla cultura, generalmente dalla cultura della società in cui vive e in tal modo lo rende oggetto passivo e spesso target di orientamenti culturali dettati da chi decide quale e cosa sia la cultura. (vedi dichiarazioni del nuovo ministro della cultura nominato da Ratzinger che parla epressamente di cultura con dovere di orientamento). Il termine 'colto' al di la della valenza convenzionale è limitativo e insufficiente a coniugare la base culturale con l'azione del soggetto. Sarebbe più opportuno dire 'persona coltivante' (ma cosa, la cultura? il sapere?) e come sintetizzarla con l'azione dell'innalzamento 'spirituale'? Qualcuno dice che in tal caso è meglio parlare di persona intellettuale. Il discorso dunque è aperto e rimarrà aperto a lungo e sono d'accordo con breaking: si fa presto a dire cultura. In realtà per gli addetti ai lavori il dibattito è aspro e influenzato pensa un po' dalla cultura dei singoli. Ciao. Paola R.

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  18. Cara Paola, oltre che ai seminari vedo che ci rincorriamo anche attraverso blog belli e stimolanti come questo, complimenti all'autore e ovviamente a chi ce li ha segnalati. Carissima devo darti una tiratina d'orecchie per aver scordato? di inserire nella diatriba anche noi filosofi. Ti risparmio il mio pensiero perchè sai, detesto la sintesi, ma ti propongo un breve stralcio tratto da un'intervista a Marco Senaldi, filosofo e critico d'arte:
    "Nel caso della cultura, ci troviamo di fronte ad un oggetto bizzarro che, quando tentiamo di definirlo, in realtà è lui che definisce noi.
    Detto con termini più altisonanti, il luogo da cui formuliamo la nostra enunciazione prevale sempre sul contenuto enunciato. In altre parole, siamo già sempre immersi nella cultura che ci sforziamo di definire. Per fare un riferimento “alto” a Lacan -ma il concetto è senza dubbio duchampiano, per fare un richiamo all’arte contemporanea- si potrebbe anche dire che “non esiste metalinguaggio”. Non esiste più -o forse non è mai esistito- uno spazio privilegiato, un punto di vista meta-storico, meta-linguistico, meta-fisico dal quale esprimere un giudizio sulla cultura “come oggetto”.
    La presunzione di pensare che esista questo spazio è ciò che caratterizza la (falsa) posizione dell’intellettuale, ossia dello specialista della cultura. Insomma: intellettuali e opinionisti commettono due violazioni concettuali simmetriche e analoghe: da un lato gli uni si chiamano sempre “fuori”, gli altri sono già da sempre acriticamente “dentro”."
    Come vedi cara Paola sarà molto complicato arrivare a una soluzione che soddisfi voi sociologi, gli antropologi e noi poveri filosofi che una volta dovevamo dubitare di tutto e oggi mah... Di sicuro complimenti a Riccardo e congratulazioni per i 10000. Spero le accetti anche se...non sono una baby... Ciao. Michele S.

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  19. Rif. paola r.
    Il “dibattito” cui accenni è in corso da fine anni ’60 del XX sec. Ma dubito che l’idea d’andare verso “l’uso di neologismi” per identificare “univocamente le varie accezioni di cultura” possa far superare ciò che si percepisce come “limitativo”, quanto ai “significati ad essa attribuibili”: un problema così complesso può porne a sua volta altri, spesso non meno complessi (di interpretazione, trasmissibilità, riverberazione del messaggio, traducibilità segnica ecc.).
    Comunque, già Protagora ed Erodoto (per limitarci tra i Greci a tali personalità) parlavano di molteplicità di culture, saperi, del loro intreccio con arti, tecniche, forme espressive e relative alla loro interpretazione. Nel ‘700 il Montesquieu delle “Lettere persiane” utilizza un “travestimento” appunto persiano per criticare lati negativi d’Europa e Francia. I romantici tedeschi recuperarono la cultura medievale come mondo di significati (poetici, mistici, favolistici ecc.) per loro più vasto di quello illuminista. Nel clima poi di “svecchiamento” del concetto di cultura si era già inserito Kant (cfr. “Critica giudizio”).
    Ma superando tutto ciò ed anche certe questioni etimologiche (“persona educata”, educatore”, persona “colta” ed origini nel “participio passato”) distinguerei tra le culture e la cultura. Che esistano tantissimi insiemi e sistemi concettuali, etici, segnici, simbolici… è fatto che ripeto, sapevano già i Greci. Inoltre Protagora ed i sofisti discutevano con Socrate sul problema della loro interpretazione ed eventuale trasmissibilità, per es. in campo morale ed anche nello “spazio” sociale della polis.
    Però spesso si confonde tra il concetto classico di cultura come formazione dell’uomo, “coltivazione di sé” ecc. e l’insieme dei modi di vivere e di pensare “coltivati”: quel che indichiamo col nome di “civiltà” o anche di “culture.” Certo, l’uomo vive in società, da essa è sia arricchito che limitato; l’uomo per “natura” animale politico era già noto ad Aristotele. E l’uomo realizza la propria natura quindi sé stesso, coltivandosi nella polis: sul terreno dunque storico-sociale. Ciò implica scelte anche etiche (e politiche).
    Il caso-Ledda è tipico: la sua emancipazione tramite la cultura lo ha condotto a rompere col padre, con tutto l’ambiente agropastorale e con quello “alto” (chiesa, possidenti, tabù sociali). Che diritto aveva il figlio di un pastore di diventare dottore?! Quello di un uomo d’essere davvero tale cioè non un semplice corpo che lavora.
    Più in generale, cultura e uomini di cultura si fondano su un metodo che porta alla formulazione di un giudizio critico su reale e vari saperi; questo anche nei legami che reale e saperi hanno con economia e potere. Tale cultura ammette la molteplicità delle culture ma opera una scelta a favore di chi, storicamente, ha sempre fatto parte delle culture solo fisicamente, non come soggetto dotato di volontà ed intelletto propri. Quella scelta, per dirla col Gramsci dei “Quaderni” ci evita di “confondere le questioni di terminologia con le questioni sostanziali.”
    Infatti, una cultura critica ha il suo proprium non in una congerie di dati ma nel “senso storico”, nel “cogliere” quindi “i diversi momenti di un processo di sviluppo.” Qui sarà basilare il compito degli “intellettuali” (concetto in Gramsci più vasto di quello classico) che dovranno ragionare dialetticamente, attuando così anche una sintesi con altre culture: in vista di una ricostruzione della società nel suo complesso, non solo in vista di quella di qualche individuo.
    Ciao.

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  20. Rif. michele s.
    Accetto volentierissimo, Michele, le tue congratulazioni… e benvenuto ad un philosophus!
    Condivido, sia pure con qualche puntualizzazione quello che considero il nocciolo delle affermazioni da te citate.
    Semplificando un po’, direi che è importante anzi fondamentale aver ben chiaro il fatto che non esiste un “metalinguaggio”, insomma “un punto di vista meta-storico, meta-linguistico, meta-fisico dal quale esprimere un giudizio sulla cultura “come oggetto.””
    Per me la grande importanza di questo fatto consiste nel condurci a considerare la cultura come fatto profondamente storico, come tale immersa nel tempo, nelle azioni e nei pensieri degli esseri umani, per così dire con essi “contaminata.”
    Così penso che si tolga all’intellettuale la “presunzione” di giudicare come se si trovasse fuori scena, quando la storicità della cultura, il nostro essere in essa sempre coinvolti pongono anche lui on stage. Tutto ciò accresce (o dovrebbe farlo, ciò dipende anche dal suo grado di consapevolezza etica e sociale, oltre che culturale) coinvolgimento e responsabilità appunto dell’intellettuale.
    Può sembrare, all’intellettuale che non comprenda tutto ciò che quel coinvolgimento, quella responsabilità esistano solo per fornirgli occasioni di visibilità se non di potere; ma se talvolta accade, questo è casuale. Però la cultura come prodotto storico ed umano non fa sconti a nessuno, perciò l’intellettuale che voglia star fuori scena o anche su di essa ma non sia disposto a far la sua parte seriamente, finirà per esservi trascinato sopra… o per esserne cacciato in malo modo.
    Non disponendo purtroppo di tutta l’intervista a Senaldi mi sono dovuto limitare a poche, schematiche considerazioni; ti chiedo perciò scusa per il tono di esse, probabilmente approssimativo. Ciao.

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  21. Cultura,pasticcio interessante. La confusione sta nel non chiarire su quale livello la si voglia affrontare perchè nel tempo ha assunto significati diversi in Umanistica, Sociologia, Antropologia culturale, Antropologia interpretativa. Non ha senso rispondere ad interpretazioni umanistiche con interpretazioni antropologiche e viceversa. Le si possono confrontare, ma per dibatterle occorre stare entro lo stesso campo. Da qui le incomprensioni. Conosciamo il significato umanistico di cultura ma è innegabile che il termine 'colto' viene ormai utilizzato genericamente per definire 'persona dotta' e questo spoglia il termine proprio del suo valore umanistico che restringerebbe di gran lunga la cerchia delle persone 'Umanisticamente colte'. Se invece attribuiamo al termine 'cultura' il significato secondo l'Antropologia è allora vero che siamo tutti persone colte, figli della cultura in cui viviamo, con la possibilità di scegliere(non sempre purtroppo) se divenire acculturati o assimilati. Paradossalmente chi Socialmente opera una contro-cultura diviene Umanisticamente Colto. Bel pasticcio. Per quanto la storia della filosofia sia imprescindibile, il dibattito su una ridifinizione del termine 'cultura' è oggi e il confronto avviene fra studiosi e ricercatori un po' meno vecchi di Protagora ed Erodoto. Sarebbe opportuno forse dare spazio anche alle teorie contemporanee. Stimolante blog. Un saluto da Pavia. Fosco T.

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  22. Rif. fosco t.
    Le varie discipline possiedono metodi, oggetti e campi d’indagine tra loro molto differenti ma talvolta comunicano. Penso alle combinazioni tra linguistica, logica, semiotica e filosofia, all’importanza del metodo storico per diritto, linguistica, epistemologia, penso al dibattito in campo bioetico tra medici, filosofi, giuristi, teologi ecc. Penso ai contatti della teologia con sociologia, dottrine politiche, critica del testo letterario ed in Matte Blanco, ai legami tra teologia, psicanalisi e logica matematica.
    La “contaminazione” tra le varie discipline ed in senso antropologico- culturale, appunto le culture, ha evitato loro la chiusura in inutili ghetti. Questo non risolve tutto però è chiaro che per un fatto di forma mentis, storici, filosofi ermeneuti del testo, teologi e giuristi possono collaborare o anche scontrarsi ma su un terreno comune: ciò può risolvere molte cose. Inoltre, anche il logico matematico può leggere molto Wittgenstein, Frege, Russell ecc.
    Le medievista Fumagalli nelle “Bugie di Isotta” si è ispirata alle “classificazioni totemiche del pensiero selvaggio” dell’antropologo Levi-Strauss, per lei “non lontane dall’emblematismo medievale” e studi sulla simbolica medievale di Huizinga, del Lewis e di Le Goff potrebbero condurre ad esiti simili. Già negli anni ’70 uno storico come il Benton utilizzò l’informatica per analizzare l’”Historia calamitatum” di Abelardo; a Lovanio, da tempo si è proceduto a raccolta-schedatura, sempre informatica, di testi cristiani latini e medievali. Così, se condotta senza invasioni di campo, questa collaborazione fra discipline può condurre a vedere i problemi nella loro interconnessione; “vitandi” anche specialismi e pretese di “precedenze.”
    Ripeto che non siamo “tutti persone “colte” in quanto “figli della cultura in cui viviamo”; siamo colti perché consapevoli di tale cultura e sappiamo essere critici verso di essa, altrimenti ne siamo solo “figli.” Chi faccia parte p. es. della cultura islamica non è “colto” per definizione, o non ci sarebbe differenza tra Tahar Ben Jelloun ed un talebano.
    Citavo Protagora ed Erodoto per ricordare la venustà di dibattito e confronto su una “ridefinizione della cultura”; ma citavo anche Montesquieu, Kant, i romantici tedeschi, Ledda e Gramsci. Oggi, oltre al concetto classico di cultura sono entrati in crisi anche senso e validità della logica ed idea stessa di “ragione”; tutto ciò, per teorici del pensiero debole e postmoderno, è tirannico. Così concordo con Rossi, Viano e con la Nacci quando vedono in tali critiche solo un “assemblaggio di parti che furono di altre epoche.”
    Infatti i Lyotard, Cacciari, il Vattimo di qualche anno fa, Gargani ecc. propongono quel che come dice Baldini (su Cacciari) è “la “seconda, terza o quarta acqua del caffè heideggeriano”; tra loro si nega non solo il concetto umanistico di cultura, ma si può definire un “umanesimo” il nazismo. Essi svalutano la modernità in toto e considerano illuminismo, logica, dialettica e discussione razionale colossali errori.
    Sto quindi con Habermas quando parla della modernità non come una sola “maceria” ma come un “edificio” da riparare e con “l’etica del discorso” e della comunicazione di Apel. E rimando a quanto scrissi a Paola, sul mio condividere una cultura “critica” gramsciana e che compia scelte anche etico-sociali per una ricostruzione della società. Tale cultura porta a vedere i problemi nel loro intreccio e grazie al senso storico, di essi coglie l’essenziale: senza chiudersi in specialismi che fanno perdere la visione d’insieme dei problemi stessi.
    Saluti e grazie anche da parte del blog!

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