Il protagonista del racconto, James Duffy, è un uomo soddisfatto del suo lavoro e della sua vita… benché sia solo un cassiere di banca. Mangia e beve con moderazione, è un uomo di buone letture ed ogni tanto scrive qualcosa. Non è schiavo di particolari convinzioni o… convenzioni, passeggia in una solitudine priva sia di rimpianti sia di grandi sogni.
Una sera conosce una donna sposata, Mary Sinico e tra loro nasce una bella amicizia, fatta di confidenze, scambi di idee, passeggiate e che si mantiene su un piano platonico. Forse Mary idealizzava James, che infatti pensò che agli occhi di lei doveva “essere assurto a statura di angelo.” Ma un giorno in cui Mary gli concesse un gesto d’affetto, lui provò sorpresa e delusione, tanto da troncare con lei ogni rapporto.
Passano 4 anni, nel corso dei quali l’uomo continua a coltivare generiche velleità artistiche e filosofiche, sempre soddisfatto della sua routine. Ma una sera legge sul giornale della “Morte di una signora a Sydney Parade. Un caso pietoso.”
Si trattava di Mary, che nell’attraversare i binari era stata travolta da un treno. Da una testimonianza resa dalla figlia, risulta che negli ultimi tempi lei fosse ormai dedita all’alcol. James prova disgusto, così come prova disgusto al pensiero che “una volta aveva parlato con quella donna di cose che per lui erano sacre.” Arriva a considerarla uno di quei “rottami umani.”
Io trovo la freddezza di James, odiosa. Ma lui, assolutamente no: per lui è logica, segno di determinazione, di idee chiare, di totale rifiuto del sentimentalismo. Però ripercorrendo gli stessi viali in cui avevano passeggiato, comincia a provare disagio ed a percepire la presenza, quasi fisica, di Mary.
Improvvisamente il cuore di James è attraversato da una lacerante domanda, piena di rimorso; egli si chiede perché l’avesse “condannata a morte.” James è ormai consapevole del fatto che: “Un solo essere umano gli aveva mostrato un po’ d’amore e lui le aveva negato vita e felicità; l’aveva condannata all’ignominia, a una morte vergognosa.”
Ora James capisce come la mancanza d’amore, l’incapacità o la freddezza nel dare e nel riceverlo abbiano effetti devastanti sulla vita delle persone.
Lui sperimenta il Nulla, il buio che progressivamente invade e soffoca chi si sia sottratto all’amore… in nome di un feroce egoismo. Forse questa è un’anticipazione dell’Inferno: la totale lontananza dagli altri, fino a quando scompare perfino l’illusione delle presenza di una persona che una volta ci aveva amato.
Ora James: “Sentì d’essere solo.” E non si trattava più di una solitudine scelta, voluta; adesso quella solitudine era una condanna, fino alla sua morte. Fino al momento in cui nessuno si sarebbe ricordato di uno come lui. Mai più.
Riccardo, non ti nascondo che ho dovuto leggere e rileggere questo tuo post, lasciandolo sedimentare un pò; senza pretese intellettuali, che non ho, l'aspetto del sentimentalismo mi pare un punto da sviluppare.
RispondiEliminaA mio parere il sentimentalismo è un arma a doppio taglio, da un lato ottunde l'intelligenza delle persone, ma dall'altro le umanizza.
Il sentimentalismo è quindi, materia pericolosa, è come il tritolo, può servire a scavare gallerie, ma anche a far saltare in aria le persone.
Chi abita come noi sul mare (...anche a Monfalcone c'è il mare) sa che genera pensieri sentimentalisti. Il Fado portoghese, le canzoni di Tenco e DeAndré, e visto la tua origine le canzoni di Maria Carta, esprimono un sentimentalismo che ha radici antiche, per nulla ruffiano, come quello che invece la TV ci propina giornalmente, questo sentimentalismo ci può aiutare a superare le amarezze della vita, l'altro, quello della TV, per assurdo, ma forse neanche tanto, ci rende cinici.
ciao riccardo! ero passata solo per un saluto e per ringraziarti per quello che hai scritto nel mio blog ;-) cerco di seguire il tuo consiglio!
RispondiEliminaRif. alessandro perrone
RispondiEliminaHai colto benissimo, Alessandro, lo spirito del post. Infatti, c'è un modo di vivere il mondo dei sentimenti (in questo caso, in particolare quello amoroso) autentico; ma purtroppo ne esiste un altro del tutto falso e come dici tu, "ruffiano."
Flannery O' Connor sosteneva che il sentimentalismo che io e te critichiamo, è una "deformazione" del sentimento. Infatti, aggiungo io, il vero sentimento amoroso affronta le difficoltà della vita e come dici tu, le sue "amarezze."
Il protagonista del racconto di Joyce è un uomo che estende la sua critica al sentimentalismo, perfino al vero sentimento; così si chiude in un suo mondo egoistico e taglia fuori dalla sua vita anche la povera Mary.
Invece nei grandi artisti che hai citato (ed anche nel blues) esiste un modo sofferto ed autentico di intendere il mondo dei sentimenti... il che crea un ponte tra le persone, che grazie ad esso fanno della strada assieme, non vivono in un mondo del tutto illusorio, fatto di rose ed eterni sorrisi.
Ciao Sandro.
Rif. theweird
RispondiEliminaCiao a te! Allora mi raccomando, mouse e post(s) a tutto spiano...
Se sbagliando si impara, scrivendo si... "antidota."
Ciao Riccardo, adoro questo post... anche perchè adoro Joyce. In particolare adoro il racconto dettagliato, ma non pesante, e realista, mai "emotivo", dei racconti di Gente di Dublino. In inglese, devo dire poi lo stile è anche più scorrevole.
RispondiEliminaRif. dailygodot
RispondiEliminaConcordo e sottoscrivo, Daily.
"Dubliners" prova che Joyce sarebbe stato grande anche senza i funambolismi dell'"Ulisse"; come scrittore, quindi "realista."
A me piace molto anche in un'opera forse meno nota e celebrata come "Exiles" (da qualcuno in italiano tradotta con "Esuli").
Tornando però a "Gente di Dublino", devo dire che il finale di "The dead" (il morto o i morti) è abbastanza emotivo. Tu che ne pensi?
Sicuramente è uno dei racconti più emotivi, Un po' paradossal, visto che parla dell'isolamento, che proprio in quest'ultimo racconto Joyce riesca a comunicare un po' di più le "Sue" emozioni. Specifico le "sue" perchè anche negli altri racconti e libri ci sono molti punti di una profondità emotiva invidiabile, solo che Joyce lì gioca a fare il narratore imparziale.
RispondiEliminaChe il timore del binomio isolamento/morte fosse realmente la più grande paura di Joyce?
Che post Riccardo! e non lo dico per adulazione o "sentimentalismo ruffiano" tanto per rimanere in tema (una parte del tema).
RispondiEliminaTralascio quello puramente letterario perchè nel tuo post hai ripercorso benissimo tutti i tratti salienti di questo racconto di Gente di Dublino, tra realismo e significato "ulteriore".
Fatti i dovuti distinguo tra sentimentalismo e sentimento (già affrontati nel tuo commento con Alessandro) direi che "la mancanza d’amore, l’incapacità o la freddezza nel dare e nel riceverlo" possono davvero avere effetti inauditi nelle persone.
Nessuno è in grado di amare veramente l'altro se prima non ama se stesso, un amore che non è autocompiacimento, bensì è spogliarsi da qualsiasi forma di egoismo o possesso in favore dell'altrui libertà. Un amore che innalza e sublima sè stesso nel veder realizzato l'altrui desiderio, l'altrui gioia, l'altrui libertà.
Forse questo è solo il mio "ideale" d'amore, qualcosa che poi in natura non esiste. Troppo sentimentale? Forse...ma davvero io non riuscirei a concepirlo in maniera diversa l'amore.
"Il caso pietoso" non è Mary che schiacciata dai suoi ideali finisce per cedere alle tentazioni dell'alcool fino al tragico epilogo. Il caso pietoso a mio parere è in ogni indifferenza, in ogni sguardo basso, in ogni lontananza scelta o imposta, in ogni chiusura della gente (di Dublino).
E' un post davvero bello, Riccardo.
RispondiEliminaAnche perché parla di DUBLINERS, e vale la pena di imparare a leggere solo per poter leggere DUBLINERS.
Io conosco I MORTI praticamente a memoria.
ciao,
tic
Rif. dailygodot
RispondiEliminaCredo che si possa rispondere affermativamente alla tua domanda, calcando inoltre sui "pedali" di morte e freddezza.
Dico questo perchè penso alla predica del gesuita nel "Ritratto dell'artista da giovane", quella sull'Inferno con tutti i suoi mali fisici, corruzione del corpo e sofferenze varie.
Penso anche al rimorso dell'alter-ego di Joyce, Dedalus, per essersi rifiutato di pregare per la madre morente: fatto questo che pare sia avvenuto a Joyce stesso.
Addirittura, in "Exiles" una altro alter-ego di Joyce è chiamato "womankiller", uccisore di donne e se non erro, così fu chiamato una volta Joyce dalla moglie Nora.
Insomma, trovo che anche al di fuori di "Dubliners" esistano precise corrispondenze e richiami tra l'opera letteraria e la vita del Dublinese.
Ritengo che si possa considerare segno della volontà di Joyce di... dividere e comunicare emozioni intime, l'averci lasciato dei segnali che riguardavano il suo io più profondo; benchè lui si considerasse, soprattutto, un inventore di storie quindi uno scrittore.
concordo con Alessandro Perrone nel dire che il sentimentalismo è un'arma a doppio taglio, però concordo di più con te perchè il sentimento è l'unica cosa che dà il senso alla vita senza il quale essa non è che una lenta agonia in attesa del Nulla che ci attende.
RispondiEliminaGrazie: mi hai dato l'imput per accostarmi a Joice
Rif. elle
RispondiEliminaRingrazio molto per gli elogi, Elle, che conoscendoti (sia pure tramite blog) so sinceri.
Condivido poi e trovo molto interessante quanto dici sull'amore verso sè stessi: una tra le forme d'amore, a mio parere, tra le più difficili.
Non a caso, Dostoevskij (nel "Diario di S. Pietroburgo") estendeva il discorso a quello morale e diceva che non può amare il prossimo chi non ami anche sè stesso. Può infatti accadere, aggiungo (immodestamente) io, che chi non ami sè stesso coltivi forme più o meno "raffinate" di freddezza. Comunque, spesso non pensiamo che il nostro prossimo comincia da ... noi.
Inoltre, non trovo per niente "sentimentale" il tuo ideale d'amore, perchè penso che appunto l'amore debba essere rifiuto dell'incatenare l'altro/a. Anzi, credo che chi attui tale rifiuto possa avvincere a sè l'altro/a: proprio perchè non lo/a schiavizza. Ciò sarà forse contraddittorio ma tra le varie contraddizioni, l'amore è la migliore!
E come hai visto bene, il caso "pietoso" consiste nell'indifferenza, nel volersi chiudere a chi (come nel caso di Mary e J. Duffy) ci amava e troppo tardi capiamo che anche noi, amavamo.
Ciao.
Rif. tic
RispondiEliminaTi ringrazio, tic.
In effetti, "Dubliners" è una delle raccolte di racconti più belle del '900.
Per sdrammatizzare un po', direi che "I morti" da soli valgono il prezzo del... biglietto.
Il finale, poi, intriso com'è di malinconia. nostalgia, vaga sensualità, senso di sconfitta ed amor perduto, così come JOYCE descrive tutto questo, è poesia pura.
In quel racconto ci dev'essere qualcosa anche di Joyce...
Ho visto anche il film di J. Huston, ma non mi è piaciuto molto.
Alla prossima, fradi.
Rif. kinnie51
RispondiEliminaIn realtà non c'è una contraddizione tra quello che dice Alessandro e quello che dico io: entrambi, mi pare, pensiamo che il mondo dei sentimenti sia l'optimum, ma che il sentimentalismo sia una strada sbagliata.
In ogni caso capisco che cosa intendi: affidarsi a quanto non sia semplice calcolo, rifiuto di giornate e progetti impostate sul rifiuto del rischio, fastidio per i muri che spesso noi stessi, ci costruiamo.
Mi interessa anche il discorso sul Nulla, ma su questo vorrei riflettere un po' di più per darti risposte... meno banali!
Ciao e benvenuta su questo blg. Appena possibile, passerò sul tuo.
letto qua e là i vostri post ...mi sono imbattuto per caso in questo blog per una piccola ricerca che sto facendo su questo racconto di Joyce. non ho letto ancora il racconto ma ho letto diversi riassunti sia su internet...e mi chiedo :ma non è puro sentimentalismo il motore che muove la vita solitaria di James Duffy? Mary invece mi sembra animata da un forte senso pratico " cerco un uomo che mi apprezzi che mi possa amare per quello che sono...", lo trova ma purtroppo non tutte le ciambelle escono col buco, Duffy sì innamorato non migliora rimane comunque legato alla visione di un mondo perfetto del tutto arricciolato in se stesso...è lui secondo me un inguaribile sentimentalista...poi ci sarebbe da definire il referente di questo termine.
RispondiEliminaletto qua e là i vostri post ...mi sono imbattuto per caso in questo blog per una piccola ricerca che sto facendo su questo racconto di Joyce. non ho letto ancora il racconto ma ho letto diversi riassunti sia su internet...e mi chiedo :ma non è puro sentimentalismo il motore che muove la vita solitaria di James Duffy? Mary invece mi sembra animata da un forte senso pratico " cerco un uomo che mi apprezzi che mi possa amare per quello che sono...", lo trova ma purtroppo non tutte le ciambelle escono col buco, Duffy sì innamorato non migliora rimane comunque legato alla visione di un mondo perfetto del tutto arricciolato in se stesso...è lui secondo me un inguaribile sentimentalista...poi ci sarebbe da definire il referente di questo termine.
RispondiEliminarif. guerriero
RispondiEliminaBenvenuto su questo blog, quindi.
Naturalmente, in casi come questi è sempre questione di opinioni: i sentimenti (ed il modo di rappresentarli da parte degli artisti) sono sempre un terreno un po'... scivoloso.
A me pare che con Duffy, Joyce abbia voluto presentare un uomo più che sentimentale, un po' troppo freddo e controllato.
Mary, invece, cercava l'amore o comunque un rapporto basato sulla confidenza e sull'affetto.
Concordo comunque sulla tesi da lei espressa, Guerriero: davvero Duffy "rimane legato alla visione di un mondo perfetto del tutto arriciolato in se stesso."