sabato 7 dicembre 2019
Risate sentite da un'anima lontana
Sentiva ancora delle risate... non
si trattava di un'eco: no, quelle erano proprio delle vere, allegre, quasi
assordanti risate. Ai tempi del liceo (svariati decenni prima)
qualcuno chiamava quelle omeriche e
la calma, olimpica.
Era stato felice? Non lo sapeva ed in fondo, non gli
importava granché.
Del
resto, a questo mondo si può essere soddisfatti o anche molto
contenti, ma felici?
Assurdo. Felicità significa assenza di qualsiasi dolore, totale e
costante benessere fisico e psicologico, nessun significativo
contrasto con nessuno: né col prossimo né con sé stessi. Felicità
significa lavoro sicuro, ben pagato e che doni tantissime
soddisfazioni.
Ma
in effetti, non si sentiva neanche infelice.
Aveva
gustato l'amore ed anche se a volte perfino quello aveva picchiato
duro sul suo cuore e gelato la sua anima, aveva avuto un buon sapore, talvolta perfino buonissimo.
Aveva
spezzato il pane dell'amicizia e bevuto il vino della lotta; tutto
sommato, poteva dire di aver incontrato dei buoni amici e dei leali
compagni. Non era andato ad impigliarsi in veri ed acuminati
equivoci, né era stato venduto o tradito.
Il
lavoro era stato malpagato e poco riconosciuto, pagato
però dalla chiara coscienza di aver almeno cercato di svolgerlo al
meglio.
Dalla
penna aveva fatto sgorgare tutto il suo dolore (un dolore forse pazzo
e spesso incomprensibile): e senza nessuna vergogna. Quella stessa
penna era stata l'amplificatore della sua gioia; una gioia perlopiù
imperfetta, ma comunque una gioia.
I
rapporti col resto del mondo erano stati tesi, difficili, quasi
impossibili: un po' come quelli con Dio; ma alla fine, loro 3
avevano imparato a prendersi a calci con un certo rispetto.
Le
risate. Quelle, continuavano: nella sua casa ed in altre in cui aveva
abitato. Quel suono gli toglieva l'acido e la ruggine che ancora
avvelenavano la sua ridicola anima.
Ci
furono dei momenti, tanti anni prima, in cui quando nutriva un
microfono con la sua voce & armonica e decollava con chitarre
elettriche, tamburi, tastiere ed altri strumenti, gli sembrava di
uscire dallo spazio e dal tempo... durò poco, ma fu molto bello.
Ora
sente certe risate e la loro eco... continua a sentirle anche adesso,
ora che si allontana da questa casa. Di sicuro si nasconderà di
nuovo dietro queste porte ed allora spererà di sentirsi come oggi:
non felice, ma neanche infelice, uno che non vive più ma non per
questo, un morto.
In
fondo, si chiede, siamo proprio sicuri che i cosiddetti vivi lo siano
più di quelli che a loro piace tanto bollare col nome di fantasmi?
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Bel racconto rivelatore e umanista. Scalda, si può dire che scalda.
RispondiEliminarif. Alligatore
RispondiEliminaCiao Diego!
Ti ringrazio e confesso che avevo iniziato a scriverlo sentendomi un po' a terra, ma di riga in riga ha avuto quell'effetto "scaldante" anche su di me.
Saludos.