venerdì 12 dicembre 2014
Sorella Povertà
I suoi
frati... strano, ormai questa parola gli sembrava sempre più
lontana dall'idea e dalla pratica della fraternità.
E comunque
l'aveva detto loro chiaramente: non dovrete avere beni personali, l'Ordine non deve possedere ricchezze, terreni né edificare
grandi chiese o monasteri. Un pazzo… buono, pio, puro, tutto
quello che si voleva: ma pur sempre un pazzo, ecco che cosa era per
tanti.
Ma negli
ultimi tempi lui, Francesco, iniziava a vedere sempre più chiaro nel
futuro... ed in quello vedeva l'oro, l'argento, il velluto, la
seta, le pietre preziose, i terreni, le case, le opere d'arte: fiumi
anzi mari di ricchezze che affluivano a quei conventi che avrebbero
dovuto essere rifugi di poveri, operai e mendicanti.
Vedeva tutto
questo ed insieme, come un ronzio che si faceva sempre più forte,
fino a diventare frastuono, chiasso insopportabile, rimbombo odioso
ed assordante, sentiva le motivazioni di questo volgare anzi
diabolico arricchimento...
“E' tutto per la maggior gloria di Dio. E'
per garantire sostentamento anche al povero. E' per aiutare i potenti
ad essere umili. E' per cambiare il cuore del ricco. E' per
annunciare meglio il vangelo.”
Ma perle,
quadri e zaffiri potevano spacciare per vera la conversione di
uomini e donne che sdraiati su letti di scandalosa
ricchezza e di decadente lussuria, si godevano le sofferenze della
povera gente?
Non gli
piaceva neanche questa gara nell'erudizione che secondo lui,
dimostrava più che amore per la teologia ed il vangelo, superbia e
spirito di contesa. Sì, perché non c'era filosofia né teologia
nella ricerca del cavillo, del sofisma. Non c'era amore o ricerca
della verità in quelle fortezze di libri che tenevano fuori chi non
fosse filosofo, teologo, canonista ecc. Non c'era
ombra d'amore o di verità, in fortezze come quelle.
“Ho
trovato”, pensò tra l'amareggiato ed il divertito, “più spirito
cristiano nel sultano ed in tanti musulmani che in questi fratres.”
A volte,
mentre vagava da solo nei boschi, incontrava dei ragazzi e delle
ragazze: si erano dati alla macchia per per sfuggire alle guardie del
vescovo ed a quelle dei vari nobili.
Una volta uno
di loro gli disse: “Francesco, non puoi cambiare un mondo di ladri,
truffatori ed assassini solo con l'amore. Ci hai provato, ma...”
“Ho
fallito.”
“Noi non
siamo nessuno per dirti questo”, intervenne una donna, “anche
perché il tuo fallimento è superiore al successo di certa gente. Ma
vedi, padre Francesco, quando l'amore non funziona allora possono
servire altri sistemi, altre cose.”
“Per esempio
le armi?”
“Perché
no?”, riprese un altro. “Pensaci: quanto dovrà aspettare la
povera gente perché sia trattata in modo umano? Papi e re ingozzano
di carne i loro cani, ma lesinano il pane secco ai contadini. Il
povero dovrà avere pazienza in eterno, dovrà tremare di fame,
freddo e paura mentre il ricco gli lancerà con sdegno regale una
monetina?”
Forse quei
ragazzi, quelle ragazze avevano ragione, ma allora che cosa bisognava
fare? Incendiare il mondo non col fuoco dell'amore ma con quello
della guerra, stanare il ricco non con le parabole ma con le spade?
In effetti, per quanto ancora si poteva chiedere al povero pazienza e
rassegnazione, magari mentre stava seppellendo i suoi figli morti per
la fame e per il gelo?
“Dunque ci
benedici, padre Francesco?”, chiese una ragazzina.
“Ah, figlia, che cosa mi chiedi... non capisco: perché un
rivoluzionario dovrebbe aver bisogno di benedizioni? Sono stato in
Terrasanta e lì c'era gente che con la benedizione della croce,
quella croce ha sporcato di sangue. Fate quello che ritenete più
giusto ma per farvi benedire dai poveri, non da me o da Dio... anche
perché spesso non riesco più a capire nessuno dei due!”, concluse
lui con un mesto sorriso.
Uscì dalla
sua cella ma fatti pochi passi capì che ormai era troppo vecchio per
inoltrarsi un'altra volta nel bosco.
Sedette su un
masso muschioso, la schiena contro un albero e canticchiò piano,
molto piano una melodia che sentiva dalla madre, quando era bambino.
Sorrise pensando a quanto era dolce il suono della lingua francese.
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L'amore che perde e cede il passo alla "ragione" ed alla "logica" delle armi. Rivoluzionari atipici che vogliono la benedizione perché sinceri e puri e costretti dagli eventi a non poter usare la parola o meglio non poter usare solo la parola. Peccato, eppure la parola potrebbe fare tanto se tutti la ascoltassimo con sensibilità e voglia di cambiare davvero a partire da dentro di noi.
RispondiEliminarif. Daniele Verzetti Rockpoeta
RispondiEliminaBentornato, Daniele!
La tua analisi è più che corretta...
In effetti dovremmo ripartire dalla parola ed appunto, dall'analisi critica della realtà: perché quest'ultima crea consapevolezza, coscienza di noi stessi e dei nostri diritti e fornisce quindi la miglior "bussola" per l'azione.
Ma non sempre, purtroppo, le circostanze e l'avversario ci concedono tutto quel tempo e quella tranquillità: anche perché appunto l'avversario fa di tutto per deformare la parola, propria o altrui .
Ma sicuramente, l'esigenza di abbinare la parola, l'analisi anche alle soluzioni più drastiche ed in fin dei conti ineliminabili, rimane.
Salutone!
Ineccepibile la tua risposta al commento di Daniele.E ne sono convinta anch'io sia la strada migliore.Ma spesso chi più è costretto alla ribellione,a chiedere giustizia ed equità non ha neanche la parola a disposizione,ne è stato privato,derubato.
RispondiEliminaE Francesco riconosce il fallimento,tristemente,malinconicamente.Lo avrebbe sperimentato,secoli dopo,anche il Frate di Pietrelcina e non solo.Un nuovo Francesco sarà messo nelle condizioni di ridimensionare il senso della povertà,dell'uguaglianza?
rif. chicchina
RispondiEliminaTi ringrazio, Chicchina.
Ma sicuramente, su questi punti io e Daniele siamo piuttosto vicini.
Certo, il problema rimane: fino a che punto sopportare, subire, accettare... e tutta questa sopportazione, non potrà finire per far credere a chi domina ed opprime, d'averne diritto?
Quanto all'altro Francesco, vede già in azione la volontà di ridurlo a santino, a idealista, se non a povero illuso... forse, più all'interno di certa Chiesa che all'esterno...
Ciò che non mi convince del messaggio cristiano è l'invito all'amore verso tutti, anche verso gli ingiusti, verso coloro che fanno il male degli altri.
RispondiEliminaCapisco (e nel mio piccolo lo pratico) il perdono, ma solo per chi si pente veramente.
Contro le ingiustizie bisogna sempre lottare anche se non sempre è chiaro quale sia la cosa da fare e il modo giusto per farla.
In determinate situazioni e momenti storici (tipo Resistenza) era molto più facile individuare la parte da cui stare e le armi da usare, In un contesto di pseudo-democrazia quale quello in cui viviamo, è tutto più complesso e credo che possiamo far conto soprattutto sulla parola, l'intelligenza e l'esempio.
Io da atea miscredente mi fermo qua, ma il tema mi coinvolge e mi interroga continuamente. Grazie Riccardo, sei sempre stimolante!
La parola, straordinaria prerogativa di noi umani, agisce spesso nei tempi lunghi. La spada, zac e tac, nei tempi brevi. Le parole volano, ma se c'è orecchio disposto ad ascoltarle, restano. Sono seme che può germogliare, se il terreno è fertile e se verrà irrigato. La povertà, intesa come sottrazione di ciò che fa da zavorra rendendo greve anche il pensiero e isterilendo gli affetti, incoraggia la leggerezza e il pensiero eretico, di colui che sceglie passando al setaccio il macinato dalla pula. Chi sa scegliere si sente libero e soddisfatto, come Francesco d'Assisi.
RispondiEliminaRif. Grazie a te, Nina!
RispondiEliminaIndubbiamente, esiste una prassi che non può essere bloccata (di fronte ad insopportabili ingiustizie storiche e sociali) da un perdono che alla fine, diventa un alibi per chi perpetrando certe ingiustizie, si arricchisce alla grande.
Il perdono, secondo me, deve essere concesso solo a determinate e serissime condizioni, altrimenti rafforza l'ingiustizia, lo sfruttamento, la barbarie.
La teologia della liberazione sudamericana, infatti, non ha mai escluso lo stesso ricorso alle armi...
E lo stesso Cristo, nel Tempio, usò la frusta!
A presto!
Rif. licia crosato
RispondiEliminaLa parola deve agire insieme all'azione, in modo che la prima (la parola) non rimanga solo vuota teoria.
L'azione deve agire insieme alla parola, affinché appunto l'azione non si presenti solo come fatto fisico, muscolare.
Insieme, teoria e prassi devono costruire una nuova città, un nuovo mondo.
E questo, ovviamente, richiede tempo ed impegno... molto d'entrambe.