Tra poche ore gli avrebbero portato la bevanda.
venerdì 21 novembre 2014
Il figlio di Fenarete
Tra poche ore gli avrebbero portato la bevanda.
Così lui , figlio della levatrice
Fenarete, avrebbe lasciato questo mondo.
Tutto sommato, la sua vita era
stata bella: la famiglia, la ricerca della verità e le indagini
sulla virtù, le dolci strade di Atene, la musica... Era stata bella
perfino la vita con Santippe.
Quanto agli amici,
che dire? Una parola abusata, quella. Lui aveva visto spesso che si
presentava come amico chi non sapeva o non voleva camminare sulle sue
gambe, l'uomo quindi che cercava nell'altro solo una comoda
stampella. Uomini come quelli non potevano o non volevano darti
niente: prendevano e basta.
“Stai
diventando amaro, caro Socrate?”, si chiese il figlio di Fenarete.
Ma
non seppe che cosa rispondersi. Per tanto tempo aveva posto agli
altri tante domande ed era stato quello che esigeva delle risposte.
Invano, si sarebbe detto.
O forse non tanto invano, se, ridacchiò,
qualche risposta aveva ottenuto: quella del processo e della condanna
a morte!
“Socrate,
Socrate mio,” gli chiedeva sempre la sempre esasperata ed
esasperante Santippe, “ma che cosa hai da ridere tanto? Ma non vedi
che la gente ha il cuore pieno di odio e pensa solo al vino , al
sesso, ai soldi, al gioco delle carte, a quello dei dadi ed alla
guerra? Devi stare in guardia, marito: prima o poi la mania della
filosofia ti farà finire nei guai!”
Al
che rispondeva: “Ma non capisci, cara moglie, che proprio
questo mi fa ridere?”
Eppure
sapeva che Santippe aveva ragione: la filosofia era davvero una mania
cioè una follia. Qualcosa
perciò a cui chi cerca davvero la verità non può rinunciare, così
come l'avvinazzato non può rinunciare al bere... anche giocandosi la
salute ed in pratica, la vita.
Che
poi il mondo andasse a catafascio, questo lui, lo sapeva: altroché!
Era tutto capovolto: l'ignorante, purché avesse la risposta pronta,
passava per saggio e per dotto; lo speculatore per grande lavoratore.
L'onesto era invece considerato un sognatore o un fesso,
quando non un pericolo pubblico...
Una
volta Platone gli aveva detto: “Bisogna che il filosofo diventi
governante o che il governante diventi filosofo.”
“Per
carità!”, aveva esclamato lui, “Caro ragazzo, sai quali pasticci
nascerebbero, in quel caso?”
Piccato,
Platone aveva risposto: “O Socrate, non ne nascerebbero più di
quanti non ne nascano già oggi, quando dello Stato si occupano
banchieri, militari, fanatici religiosi, commercianti e faccendieri.
Per non parlare dei cosiddetti uomini di legge,
che sotto il manto appunto della legge utilizzano ogni cavillo per
legittimare violenza ed ingiustizia.”
“In
effetti hai ragione, giovane amico.”
“Bene.
E lascia che aggiunga solo questo: il governante-filosofo o il
filosofo-governante non dovrà certo far lezione di filosofia! Egli
dovrà invece, in tutte le sue azioni, porre al centro di tutto il
bene e la giustizia. Per ogni uomo, per ogni donna. E sempre.”
“Carissimo,
spero proprio che queste tue idee possano realizzarsi.”
E
Socrate accompagnò quelle parole con un sorriso: ma non di scherno
né di falsa o eccessiva allegria. Però quel sorriso, pur mite e
quasi triste, era necessario: perché la filosofia e la lotta
politica prive di gioco si allontanano dal loro obiettivo.
Poi
bisognava anche essere duri: perché la bilancia della giustizia deve
essere custodita solo dalla spada,
non dalle promesse o dalle buone intenzioni di chi l'equilibrio di
quella bilancia poteva alterare col potere o con l'oro.
“Stai
diventando uno spartano, caro Socrate?”, si chiese il figlio di
Fenarete scuotendo la testa, divertito di sé.
Di
certo al processo non si era semplicemente difeso, aveva
attaccato: i giudici e gli
accusatori rimasero quasi senza parole. Senza parole di verità,
ovviamente: perché quanto a parole di falsità, di quelle ne avevano
sempre avute fin troppe.
Ma non si era
trattato della solita schermaglia filosofica, questo lui lo sapeva
bene. Ed aveva accettato di pagare con la vita...
I
suo amici e discepoli gli avevano suggerito la fuga oppure l'acquisto
di giudici e carcerieri. Perfino loro,
per un malinteso senso di amicizia, gli proponevano la vigliaccheria
e la corruzione.
Scoppiò
a ridere: “Ah, andiamo bene! Andiamo proprio bene!”
Fu una risata
amara ma nello stesso tempo divertita.
Sentì dei
passi in corridoio: erano i carcerieri con la mortale bevanda.
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La più grande lezione di vita, con tutte le amarezze e le contraddizioni e i valori "tutto il bene e la giustizia. Per ogni uomo, per ogni donna. E sempre.”
RispondiEliminaUna lezione che abbiamo ancora sotto gli occhi, ma che non abbiamo ancora imparato.
Un caro saluto
Fata C
rif. fata confetto
RispondiEliminaUna lezione che dobbiamo assolutamente imparare e mettere in pratica.
Soprattutto perché quando si perdono di vista il bene comune e la giustizia, ecco che arrivano le tragedie: basti pensare ai recenti disastri ambientali, misto di incompetenza, incuria e disonestà...
Caro saluto anche a te!
Erano tempi e sono ancor oggi tempi di difficile vivere. Riderebbe ancora così amaramente Socrate! Li ascolto poco, i manipolatori della verità e del bene comune : mi aggravano la gastrite. Ancora non sono rassegnata, ma abbastanza provata e dispiaciuta di vivere senza la fiducia necessaria a una buona esistenza.
RispondiEliminaUn abbraccio
Nou
rif. Nou
RispondiEliminaSì, penso proprio che tu abbia ragione, cara amica!
E sembra che moltissime volte, per la nostra gastrite (oltre che fisica, sociale) non ci sia alcun valido rimedio...
Importante però non rassegnarsi, anche se tante, troppe volte si vorrebbe prendere un'astronave e stare lontano da questo folle Paese per qualche anno-luce!
Abbraccione
La forza della coerenza ed il senso di ciò che è giusto e quello che non lo è.Non ci possono essere scorciatoie,almeno non per lui,e quel calice gli sarà sembrato meno amaro,accompagnato da una risata.Quanto a Santippe,non so
RispondiEliminase e quanto davvero si sopportassero,ma non dev'essere stato facile.Bella la descrizione che ci lascia Alfredo Panzini,(Santippe,mia moglie)e per me,che non mastico bene filosofia,anche la riduzione di Rodolfo di Chio"Santippe,il dialogo sulla felicità",portato in scena da lla grande Franca Valeri.Sono uscita dal tema,lo sapevo...
Ciao Riccardo
rif. chicchina
RispondiEliminaLe scorciatoie sono sempre un grande anzi un grandissimo problema... e finiscono per essere prese da tanti, da troppi. E troppo spesso!
Secondo certi, sarebbero un segno di "modernità"!
Prendo avidamente nota dei lavori che hai citato e ti ringrazio molto per le segnalazioni... ma non sei uscita per niente dal tema, credimi!
A presto.