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sabato 14 settembre 2013

La discussione filosofica (parte nona)


La duplicità di cui parla la Murdoch consiste nel fatto che per Platone l'Eros può condurci verso la Bellezza, che è un preannuncio o una sorta di anticipazione del Bene ed anche desiderio di esso. Inoltre l'Eros può condurci alla conoscenza ed alla sapienza.1
Ma questo sarà possibile quando sapremo superare l'iniziale (nota bene: dal punto di vista di Platone, anche desiderabile) attrazione per la bellezza fisica e per i piaceri dei sensi.
Però per Platone l'arte e l'artista hanno il potere di distoglierci da così alti fini morali e conoscitivi per condannarci ad un'esistenza illusoria, nemica quindi del Bene e della filosofia e che inoltre, farebbe passare la stessa filosofia per sterile chiacchiera o raffinato imbroglio.
Magari, in questo l'artista si avvarrebbe della sua capacità di raffigurare, distorcendoli, uomini e valori per piegarli a fini tutti suoi; esemplare il caso di Socrate, pressoché ridicolizzato da Aristofane ne Le nuvole.
Leggiamo infatti nel Fedone questa affermazione appunto di Socrate, che in attesa della morte dichiarò con grande amarezza: “Ed io penso che non vi sarà nessuno che, ascoltandomi, abbia ora il coraggio di dire (nemmeno se fosse un poeta comico) che io sono un ciarlatano e che parlo di cose che non mi riguardano.”2
Ai nostri giorni è tipico l'uso che del linguaggio fece Joyce nell'Ulisse ed ancor più nel Finnegans Wake, romanzo che benché accolto con favore da grandi letterati, critici ed intellettuali, ridestò anche “accuse di follia, ciarlataneria, aberrazione.”3
Secondo poi la bella ed inquietante definizione fornita dal Journet, l'ultima opera di Joyce può essere altresì intesa come un “ricomporre” e “confondere il tempo, la storia, il linguaggio degli uomini per riportare, come è stato detto, la suprema vittoria, quella dello scrivano che detronizza Dio.”4
E per la Murdoch, che qui si rivela indubbiamente chiara e fedele interprete di Platone, lo stesso humour dell'artista conterrebbe qualcosa di intrinsecamente sbagliato, se non una “sottile insincerità.”5
Qualcosa insomma di malato, un odio verso sé stessi (oltre che verso gli altri), un rifiuto di prendere sul serio la vita, i doveri ed i legami che come esseri umani abbiamo verso la società, una sorta quasi di voluttà di auto-umiliazione e di annullamento.
E questa è una linea che sembrerebbe collegare certe affermazioni dei Ricordi dal sottosuolo di Dostoevskij al Lamento di Portnoy di Philip Roth, in cui lo humour del protagonista appunto del Lamento è considerato non “forma classica di humour ebreo” bensì (come dice un'interlocutrice concupita dal famelico Portnoy) qualcosa che ha a che fare col “Ghetto”: quindi con uno dei momenti di maggior umiliazione del popolo ebraico. Dunque “l'auto-deprecazione” a cui Portnoy indulge sarebbe non fonte di vera o “sana” arte ma anzi fenomeno altamente negativo.6
Del resto, mi pare che qui (ebraismo a parte, poiché Dostoevskij apparteneva al mondo slavo ed ortodosso) l'Autore dei Ricordi possa essere considerato una sorta di padre spirituale di Portnoy... dotato se non di maggior sensualità, almeno di pari furore. Egli si crogiola inoltre nelle proprie imperfezioni morali e nei suoi dubbi intellettuali in modo davvero degno di nota.
Infatti nei Ricordi il personaggio che conosciamo solo col nome di “Io” fantastica su suoi immaginari interlocutori, che parlando di lui pensa che possano dire: “Assicurate d'aver la bava alla bocca, e nel medesimo tempo dite spiritosaggini per farci ridere. Sapete bene che codeste vostre spiritosaggini non sono affatto spiritose, ma è evidente che siete assai soddisfatto del loro merito letterario. Vi sarà forse capitato davvero di soffrire, ma non avete il menomo rispetto per la vostra propria sofferenza.”7





Note

1 Platone, Convivio, Garzanti, Milano, 1980, XXVIII, pp. 241-242.
2 Platone, Fedone, Garzanti, Milano, 1980, XIV, p.93; cfr. anche Ibid., p.93 n.20 dove questa affermazione di Socrate è considerata appunto una “amara illusione ai poeti comici del suo tempo e ad Aristofane, il grande commediografo, che nelle Nuvole si fa beffe di lui descrivendolo come un perdigiorno.”
3 Nemi D'Agostino, in James Joyce, Gente di Dublino, Garzanti, Milano, 1986, pp.XXIV-XXV.
4 Charles Journet, Il male. Saggio teologico, Borla, Torino, 1963, p.241.
5 Iris Murdoch, Il fuoco e il sole, Sugarco, Milano, 1977, p.101.
6 Philip Roth, Lamento di Portnoy, Bompiani, Milano, 1988, pp. 293-301.
7 Fedor Michailovic Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo, Bur, Milano, 1984, pp.59-60.

9 commenti:

  1. trovo molto attuale queste tue proposte "classiche" di lettura del fiume della storia in ogni sua bellezza e orrore..nonostante l'assoluta preponderanza del secondo sulla prima, i tuoi teste e pensieri, Riccardo caro, sono sempre volti a tenere desta la continua ricerca della coscienza ( dire semplicemente tenere desta la coscienza, sarebbe troppo riduttivo e poco rivoluzionario, rivoluzionario nel senso piu intimo di ogni "io", e nel senso piu politico, comunitario, sociale, pubblico)...

    la tua ricchezza "letteraria" rientra nella bellezza perché per primo si sente quella autenticamente cristica, uomo d-io come tutti gli altri d-io...

    ti abbraccio tanto , sempre grata di questo tuo modo di porti e di nutrire gli altri...

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  2. rif. ro' o'
    Perfetto, carissima Ro'! Quel che prevale è senz'altro l'orrore.
    Un orrore fatto di ingiustizia, guerre, torture, bigottismo, individualismo selvaggio, militarismo, razzismo, diprezzo per la cultura, odio per la donna e per il "diverso"...
    Ma la filosofia, intendo quella degna di questo nome, ha una natura sociale ed almeno potenzialmente, rivoluzionaria.
    E quando l'essere umano sappia (come traspare dal tuo bel commento) trarre dal suo "io" ciò che ha di meglio, quindi di non brutalmente egoistico, allora davvero egli può diventare "d'io."
    E proprio perchè per me la filosofia ha natura sociale e potenzialmente rivoluzionaria, allora risulta che il "nutrimento" di cui tu con grande generosità mi ritieni capace, è merito anche di chi voglia leggermi e com-prendermi.
    Perchè il vero sapere deve essere con-diviso. Nessun cuoco è bravo se nessuno trova gustose le sue pietanze!
    Un abbraccio.

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  3. Ho letto, e riletto, con avidità tutto il post... non conoscendo la Murdoch (e quasi tutti gli autori di cui scrivi) mi son sentita davvero ignorante... ma l'ignoranza c'è per colmarla, ed allora traggo spunto dal tuo bellissimo post e mi faccio qualche piccola ricerca in proprio :)
    Grazie, Riccardo :)

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  4. rif. Perla
    Ignorante tu? Ma non farmi ridere!
    E comunque, ti trovi in pieno spirito socratico: "So di non sapere."
    Un'affermazione che anche a distanza di oltre duemila anni pochi sono disposti a fare... come invece fai tu.
    Ma in chi quell'affermazione fa, possiamo essere sicuri che non si trova ignoranza.
    Tutti gli altri, si fanno soccorrere solo dalla loro presunzione.
    Grazie a te, davvero.

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  5. Francamente non volevo entrarci.
    Ma devo ammettere che mi trovo molto vicina a quel "rifiuto di prendere sul serio la vita"di cui parla la Murdoch. E spesso, nel mio giocare la parte del buffone, ho avvertito che dentro c'era qualcosa di insano, forse proprio quella "voluttà di auto-umiliazione e di annullamento" che, a dirla tutta fino in fondo, è anche un tantino snob...
    Accidenti, interessante!

    P.S. "Lamento di Portnoy" fu una delle mie letture di ragazza che più mi colpì (non ne capivo un'acca ma mi sembrava di partecipare a chissà che cerchia intellettuale...) e Dostojevskij uno dei motivi per cui mi iscrissi a lingua e letteratura russa, all'epoca, alla Statale di Milano...

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  6. rif. nina
    Forse, oltre ( o più) che una serie di problemi solo artistici, estetici o filosofici, il problema è anche di tipo personale.
    Dannatamente personale. E può avere dei collegamenti con le nostre relazioni: sociali, amicali, amorose o di vario altro tipo.
    Ma in effetti, l'artista ha la fortuna o la sfortuna di saper dar vita a tutto questo e renderlo pubblico... ma si sarebbe tentati di dire che con la sua creatività, complichi un tantino le cose. Anche a sè stesso!
    Portnoy... eh, una bella lettura, quella... altrochè!
    Il grande Fedor poi, ti ha "traviato", dico bene?! Scherzi a parte, beata te se hai potuto leggerlo anche in originale.
    Salutone.

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  7. Sì, posso leggerlo, ma non è detto che capisca tutto ciò che leggo.
    Evevo iniziato brillantemente gli studi di russo a Milano, e ci ero veramente tagliata. Posso ancora recitare a memoria qualche pagina di "Vajnà y Mir (Guerra e pace)... Ma mi fermai dopo il secondo anno di lingue perchè "traviata" dalle vicende pesonali e amorose, cambiando città, stato civile e mettendo al mondo mio figlio Mario.
    Poi li terminai gli studi, laureandomi in Storia, a Ca' Foscari, a Venezia. Anche quello mi piacque ma il russo è sempre là che mi aspetta...

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  8. rif. nina
    Ed allora non dovresti farlo aspettare troppo... se posso permettermi di dirtelo.
    In effetti, quando si ha un dono, bisogna coltivarlo... non credi?
    Ma pensavo (magari dirò una grossa scemenza) che come atmosfere e come città, forse Venezia ha qualcosa di russo e di orientale.Può far pensare un po' a S. Pietroburgo, o no?
    Però non sono mai stato a Sankt Petersburg quindi magari ho detto un'enorme scemenza...
    Ciao.

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  9. rif. riccardo u.
    * Ho pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
    Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
    Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013.

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