giovedì 21 febbraio 2013
La discussione filosofica (riepilogo)*
Poiché questi
articoletti arrivano a distanza anche di mesi l'uno dall'altro, oggi
riassumerò le precedenti parti o “puntate.”
Nella 1/a ho
affrontato il problema di quella che ho definito “ipertrofia
dell'io” (o anche “autoesaltazione”) di cui spesso soffrono
molti filosofi. Si tratta della convinzione, bizzarramente sostenuta
e difesa da molti di loro, d'essere i soli ad aver ragione.
Concludevo però che
denunciare o almeno documentare questo narcisismo intellettuale
non significa svalutare
completamente né la “personalità dei singoli filosofi, né
l'esito delle loro ricerche.”
Infatti,
purtroppo questi due pericoli esistono sempre: è facile attaccare
certi vizi o difetti sì da gettare determinati pensatori in una
sorta di pattumiera della cultura.
E'
facile, certo... ma così non si entra nel merito della filosofia di
uomini spesso geniali o che comunque devono essere criticati da un
punto di vista essenzialmente filosofico.
Nalla
2/a sottolineavo
quanto la dimensione dell'io e
la personalità del philosophus siano
importanti, spesso decisive. Sottolineavo altresì quanto (anche per
il philosophus,
certo!) sia importante il mondo delle emozioni:
ragionavo su quanto conti qualcosa che probabilmente racchiude altre
realtà ed emozioni come per es. l'amore.
Riferendomi
soprattutto alla figura dello scrittore statunitense dell'800 Hawthorne,
nella 3/a spiegavo
come l'amore possa salvare l'essere
umano dal pericolo del solipsismo,
intendendo con questo termine la credenza che un un individuo può
coltivare d'esistere, al mondo, solo lui.
Nella
4/a parte sviluppavo
l'esame del solipsismo,
che in epoca moderna è stato teorizzato soprattutto da Schopenhauer.
Mi collegavo così a Poe, che
visse quella
credenza con un senso d'angoscia, di lacerazione interiore quindi di
serietà esistenziale che
forse Schopenhauer non
provò mai.
Nella
figura poi del Dedalus di
Joyce, il solipsismo
sfocia nell'hybris (tracotanza)
di tipo greco; il che, nella versione cristiano-cattolica è poi la
ribellione di Satana a
Dio.
Nell'uomo
questa ribellione è quella dell'artista,
che nella creazione e diffusione della sua opera rifiuta qualsiasi
legame o responsabilità di tipo morale, familiare, sociale ecc.
Nella
5/a spiegavo come
anche questa ribellione o rivolta, che in Joyce o comunque
nell'artista che spezzi ogni legame si presenta come autoliberazione,
possa però contenere forti scrupoli morali e notevoli ansie di tipo
esistenziale. C'è insomma il classico prezzo da pagare...
Nella
6/a ho cercato
d'evidenziare quanto la passionalità
e talvolta eccessiva emotività dell'artista
possano “captare e decifrare la natura intrinsecamente complessa
del mondo.”
Strano?
Forse. Ma non meno di quanto lo sia appunto il mondo. Anche senza
seguire fino in fondo l'Aristofane che disse: “Il caos
regna sovrano”,
resta
comunque il fatto che il mondo ed anche la conoscenza di noi stessi
sono intessuti di contraddizioni, oscurità, verità parziali,
equivoci e non di rado, anche di vere e proprie assurdità.
Allora
a me sembra piuttosto sensato pensare che tutto ciò possa essere se
non del tutto chiarito, almeno validamente affrontato
da
chi nella contraddizione, nell'oscurità ecc. vive:
appunto dall'artista.
Chissà che opporre al caos dell'altro
caos
non possa essere un buon sistema per arrivare all'armonia!
Del resto, spesso è arduo fidarsi dei filosofi: di fronte
all'incertezza delle loro analisi ed alla problematicità delle loro
soluzioni, si sarebbe tentati di pensarla come il poeta Kurt
Tucholsky. Egli, infatti, parla di una “cesta piena di filosofi”,
che una volta letti vorresti mettere “tra i ferrivecchi”, per
ripetere dentro di te: “Non ne sanno niente. Non ne sanno niente.”1
Ancora:
come possono certi
discettare per delle ore (o per centinaia di pagine) di dubbio,
angoscia,
scelta,
dramma dell'esistenza
ecc. quando la loro è
una vita di tranquilli e ben pagati professori universitari?2
A quel punto non sarebbe meglio rivolgersi a Cechov, Gogol, Dylan
Thomas, Dostoevskij e tanti altri poeti e romanzieri... se non
“darsi” addirittura ai mistici?
Ma senza accantonare questi dubbi e spesso anche una certa
irritazione, dobbiamo però dire che la filosofia, diversamente dalla
letteratura e dall'arte in genere non può permettersi di
fantasticare o di scherzare: neanche in modo grottesco. Del resto,
anche se per Pascal: “Burlarsi della filosofia è veramente
filosofare”3, poi non mi risulta che quello spunto sia mai stato
seguito (dai filosofi) in modo significativo.
Né la filosofia può sperare nelle consolazioni della mistica:
perfino tra i pensatori di ispirazione religiosa come per es. S.
Agostino, Abelardo, Pascal e Kierkegaard serpeggia un sentimento di
dubbio, talvolta anche d'angoscia.
La
filosofia, che per me è vitale quando è non
pensiero “puro”,
slegato quindi dal rapporto con altri esseri umani (come se fosse
quello di un dio che vive lontano dal nostro mondo) bensì
discussione filosofica,
bene, quel tipo
di filosofia
è una sorta di tela di Penelope4: qualcosa quindi che deve essere
continuamente fatto e disfatto... perché le conclusioni a cui arriva
anche se potrebbero
essere certe e
definitive, non lo sono mai per tutti.
Ed
anche quando le conclusioni di cui sopra potrebbero
essere certe e
definitive per tutti, magari si può trovare un modo per renderle
più chiare, certe ecc.
La
filosofia intesa quindi come discussione
e come dialogo deve
rientrare all'interno di un quadro razionale...
Ma come vedremo, la razionalità di questa
filosofia non può né
deve essere ridotta alla sola logica
ed al solo principio
di non contraddizione,
che sono invece fondamentali in matematica, in geometria e nelle
varie scienze
Nella
7/a parte illustravo
sia il “rovescio della medaglia” della creazione artistica: un
complesso insieme di autosuggestione, irrazionalismo, amore da parte
dell'artista per il lato
ludico del proprio
lavoro, sia il suo lato
positivo... vale a dire l'irripetibilità
dell'opera d'arte ed il
porsi l'artista oltre
la dimensione
logica e pratico-dimostrativa.
Beninteso,
questo è solo un riepilogo,
non l'epilogo di
questo post in più parti, che infatti ne prevederà delle altre.
Alla prossima, quindi!
* Ho pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo
post rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la
3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a
il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
Note
1. Helmut
Gollwitzer, Tredicesima
lezione, in H.
Gollwitzer Wilhelm Weischedel, Credere
e pensare. Due prospettive a confronto (1965),
Marietti, Genova, 1982,
p.275
2. Cfr.
Remo Cantoni,
Kierkegaard e la vita etica, in Soeren Kierkegaard, Aut
aut (1956),
Mondadori “Oscar”, Milano, 1984, p.28.
3. Blaise
Pascal, I
pensieri, Edipem, Novara, 1984, 4, p.17.
4. G.
W. F. Hegel, Prefazione a
Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1979, p.4.
L'immagine
è stata ripresa anche da altri: cfr. Pietro Piovani, Indagini
di storia della filosofia. Incontri e confronti, Liguori, Napoli,
2006, p.169.
Se non erro, il Piovani utilizzò questa immagine anche in un altro
testo; cfr. P. Piovani, Principi
di una filosofia della morale, Morano Editore, Napoli, 1972. Al
momento non saprei però indicare con precisione la pagina relativa
appunto all'immagine citata.
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