giovedì 2 agosto 2018
Strage di Bologna: finalmente i mandanti?
Sulla strage della stazione di
Bologna, quando dell'esplosivo causò la morte di 85 persone ed
il ferimento anche molto grave di altre 200,
non si sono mai scoperti i mandanti. Del resto, non lo sono stati
neanche quelli di tante, troppe altre stragi.
Sia
chi indaga su questi tragici fatti sia il cittadino comune, si
imbatte in sigle ed entità tra loro anche molto diverse, che
rimandano però ad una realtà avente una sola costante: l'aver
sempre agito nell'ombra e sempre contro la
democrazia. Mi riferisco a neofascisti, settori della massoneria,
uomini dei servizi segreti deviati, fondatori di organizzazioni
segrete, mafia e criminali comuni che però si mettevano volentieri
al servizio dei soggetti citati.
Così,
l'impressione che ricaviamo un po' tutti è di una pazzesca
confusione. Una confusione che non ci fa capire per niente chi
abbia dato certi ordini; perché
lo abbia fatto; da chi
sia stato coperto prima, durante
e dopo la strage.
Allora molti pensano di esser sprofondati
all'interno di un tragico mistero, che per la sua oscurità ed
assurdità, non potrà mai esser svelato.
Tuttavia,
il perché qualcuno
debba ordinare certi massacri, dovrebbe essere chiaro. L'obiettivo?
Creare nel Paese un clima di terrore tale, per uscire dal quale le
persone accettino o addirittura chiedano a gran voce qualsiasi
misura... anche la più antidemocratica. A quel punto, respinte le
masse dalla vita democratica, il lugubre intreccio di certi interessi
& personaggi avrebbe in pugno tutto.
Ma finalmente:
“L'avvocato generale Alberto Candi e il sostituto procuratore
generale Nicola Proto”, hanno iscritto: “I primi nomi nelle
scorse settimane, dopo aver sentito diversi testimoni e aver svolto
rogatorie in Svizzera sui conti correnti riconducibili al venerabile
maestro della loggia P2 Licio Gelli.”1
Ricordiamo
che la loggia massonica P2 diretta da Gelli è stata considerata di
natura eversiva, e pare che egli abbia avuto un ruolo nel colpo di
Stato tentato tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 dal capo della
formazione repubblichina X MAS, Junio Valerio Borghese. Egli avrebbe
ricevuto il contrordine appunto da Gelli: il che dà però un'idea
del suo potere...2
Del
resto, Gelli non fu mai estraneo al fascismo:
infatti, a Pistoia, fu “l'ultimo federale del Pnf” (Partito
nazionale fascista).3
Inoltre, non risulta che abbia mai preso la
distanze dal regime mussoliniano né dal fascismo in generale; fu
anzi in ottimi rapporti coi generali golpisti argentini. E dalle
autorità argentine, ricevette “anche un passaporto diplomatico.4
Ancora: Gelli
fu accusato di aver rivestito un ruolo attivo anche nel sequestro
Moro, e comunque: “I principali posti di responsabilità
all'interno dei servizi segreti erano occupati da uomini iscritti
alla P2,come il comandante della Guardia di Finanza Raffaele
Giudice.”5
Il
quadro fin qui delineato potrebbe arricchirsi di molti altri,
inquietanti, particolari, che vanno indietro nel tempo e che superano
la figura di Gelli... benché egli non sia mai uscito da tale quadro.
Appunto esso prevedeva la sopravvivenza di bande fasciste anche dopo
la Liberazione; la raccolta di
ingenti somme di danaro per la prosecuzione della lotta; “nuclei di
sabotatori...”; movimenti di merci tra l'Italia e la Svizzera e
coltivazione di conti bancari appunto
in territorio elvetico; infiltrazione negli stessi partiti
antifascisti di elementi che propugnassero le: “Tesi più
paradossalmente radicali (…). Così, seminando sciagure su
sciagure, suscitare il rimpianto del fascismo e, al momento
opportuno... riacciuffare il potere.”6
Certo, il
discorso è complesso, quasi folle... ma vicino a quel che leggiamo a
proposito della follia di Amleto: in essa vi è “del metodo.”7
Ora però vorrei chiudere il cerchio.
Bene: “Sotto
la lente dei magistrati è finito il cosiddetto 'documento
Bologna',” un documento che “riporta il nome della città seguito
dal numero di conto corrente di una banca svizzera e una serie di
cifre affiancate da alcune diciture. Gli inquirenti a febbraio sono
andati a Ginevra e hanno chiesto alle banche elvetiche tutte le
informazioni su quel conto.”8
In attesa
delle dovute risposte sono state però: “Sentite molte persone in
veste di testimoni e qualcuno, che all'epoca era vicino a Gelli, ha
raccontato di versamenti dai conti riconducibili all'ex capo della
loggia massonica ad ambienti dei terroristi di estrema destra.”9
Entità
dei versamenti in questione. Si parla di: “Milioni di dollari
usciti dalla Svizzera tra luglio 1980 e febbraio 1981, e il documento
ha l'intestazione 'Bologna 525779 xs', numero e sigle che
corrispondono a un conto svizzero di Gelli.10
Inoltre:
“Altre note, scritte a mano dal capo della P2, riguardano pacchi di
contanti da portare in Italia: solo nel mese che precede la strage
almeno quattro milioni di dollari.”11
Insomma, forse
dopo 38 anni. stiamo arrivando ai mandanti. Certo, Gelli è morto, ma
secondo me è comunque importante scoprirne almeno uno;
probabilmente, il principale.
Però credo
che non si debba considerare responsabile della carneficina del 2
agosto 1980 il solo Gelli, bensì tutto un insieme di forze che si
sono opposte da sempre al benessere ed all'ascesa del nostro popolo.
Una volta, come ai tempi di Bava-Beccaris o e di Mussolini, quelle
forze agivano alla luce del sole; in tempi più recenti, hanno dovuto
nascondersi e colpire nell'ombra. Ma non per questo si sono
dimostrate meno feroci.
Dobbiamo
però alla “tenuta” delle istituzioni democratiche ed alla
maturità dimostrata dai lavoratori, se non abbiamo conosciuto
soluzioni cilene o un
revival del tragico ventennio.
Note
1
Il resto del Carlino,
23 luglio 2018, articolo di Gilberto Dondi, disponibile anche in rete
col titolo Strage di Bologna, primi indagati nell'inchiesta
sui mandanti.
2
Chi era
Licio Gelli e che cos'era la P2, a cura di Ermes Antonucci, La
Stampa, 16/12/2015.
3
Vincenzo Vasile, Turiddu Giuliano, il bandito che sapeva
troppo, Roma 2005, p.90.
4
Chi era Licio Gelli,
art. cit. Ancora nel 2008, durante la trasmissione su Odeontv
Venerabile Italia,
Gelli dichiarò fiero: “Io ho combattuto per il fascismo, sono
fascista e morirò fascista.”
5
Chi era Licio Gelli,
art. cit.
6
Per tutto questo cfr. V. Vasile, Turiddu Giuliano, il
bandito che sapeva troppo, op.
cit., pp.90-94 ed anche pp.95-99.
7
William Shakespeare, Amleto,
Fabbri Editori, Milano 1985, atto secondo, scena seconda, p.161.
8 G. Dondi,
Strage di Bologna, art. cit.
9
G. Dondi, Strage di Bologna,
art. cit.
10
Strage di Bologna, così servizi segreti deviati e P2
aiutarono i terroristi, L'
Espresso on-line, 28 luglio 2018.
11
Strage di Bologna, così servizi segreti deviati e P2
aiutarono i terroristi, art.
cit.
martedì 31 luglio 2018
Un discreto 31 luglio
Luglio è quasi finito, ma
ovviamente, questa non è colpa mia.
Sono qui, nel mio regno (la
cucina) con un programmino niente male: scrivere qualcosa per
alimentare il mio blog denutrito con in sottofondo Tracy Chapman,
B.B. King, Corelli, Vivaldi e Telemann.
Purtroppo, Tracy mi ricorda il
periodo del militare, in cui conobbi il grande sergente Pilia (non lo
dico ironicamente) ed alcuni cari amici, però si concluse con la
morte di mio padre.
Vabbe', lasciamo perdere.
Con Fast car la
Chapman scrisse una canzone che prima o poi commenterò su questi
telematici schermi.
Sorseggio
il caffè. Sono in piedi dalle 7.45.Chi me lo fa fare? Perché non
dormo, dato che sono in vacanza?
Semplice: ho bisogno di
impiastrare i fogli. E la bile va espulsa sotto forma di aggettivi,
punti esclamativi, interrogativi, dialoghi, riflessioni... Sotto
forma di scrittura,
insomma.
Ma
ecco che riappare I.I., il mio interlocutore immaginario. Spero che
non abbia la luna storta... né altre parti del firmamento.
“Ciao,
Riccardo. Che cosa fai, come al solito perdi tempo scrivendo le tue
scemenze?”
Aveva la
luna storta. E magari anche qualche asteroide.
“Ciao,
Interlocutore. Beh, non posso certo scrivere le scemenze di un
altro.”
“Dovresti
cercarti un editore in grazia di Dio e piantarla di rompere le
scatole a tutti quanti.”
“Non
sopporto più editori che non rispondono mai.”
Andai
al lavandino e lavai un bicchiere, la tazzina del caffè, il
cucchiaino ed il piano cottura. Sono sempre stato uno dei tipi +
disordinati di tutti i tempi, ma quando scrivo, odio essere
circondato dal disordine.
“Ecco,
bravo... lava, lava... Vuoi un suggerimento? Cercati un lavoro come
lavapiatti.”
“Già
fatto. Non mi hanno neanche risposto. Comunque, a settembre spero di
riprendere ad insegnare: andrei (come sempre) ovunque. Se ricordi,
ero disposto a trasferirmi perfino a S. Antioco, che si trova a 90 km
da Cagliari.”
“Sì,
in effetti non ti ho mai considerato un poltrone. Però non ti sai...
accidenti, non ti sai vendere! Se
sul mercato uno non sa
fare una cosa come quella, è finito. Finito, bello mio. Kaputt.”
“Io
sono sempre stato finito: però anche in questo, I.I., consiste la
mia gloria o almeno, la mia fama.”
“Gloria,
fama? Ma se non ti conoscono neanche i tuoi parenti! Ieri sera ti ha
incontrato zio Gino e ha pensato che fossi il suo idraulico.”
Risi,
ma con notevole agilità finsi di aumentare il volume della radio. In
realtà scivolai alle spalle di I.I. e ringhiai: “Non muoverti o ti
pianto un aggettivo nella schiena.”
“Ma
Ric...”
“Zitto! Un'altra
parola e ti taglio la gola con un superlativo. Ora sparisci. In
questa casa nessuno può venire a disturbare il sottoscritto,
soprattutto quando scrive ed ascolta della musica!”
Sparì.
venerdì 29 giugno 2018
Da questa terra di roccia e di vento
Spingo avanti il mio niente
ma, sai, sto benissimo...
anche perché potrebbe andare
peggio che malissimo.
Da questa terra di roccia e di
vento
un giorno, bello o brutto, mi
sono alzato
ed ho iniziato a correre...
qualche volta perfino a
camminare.
Perché da questa terra di
roccia e di vento
dove la gente muore d'amore, di
vendetta o di zero lavoro,
ho imparato a nascondere le
lacrime
e purtroppo, perfino la gioia.
Apro il mio cuore ed il blues si
accomoda,
chiudo i miei occhi ed i vecchi
sogni ritornano...
sogni di giustizia e di verità
che però, sia chiaro,
nessuno potrà realizzare solo
con baci e sorrisi.
Perché questa terra di roccia e
di vento ci ha insegnato
che nessuno, davvero nessuno
regala niente
ed a chi ha troppo,
quel troppo bisogna strappare...
anche col ferro e col fuoco, se
necessario.
Ridicolo becchino di me stesso,
trascino ogni giorno un carretto
pieno di ossa e di incubi,
ma tutto questo non mi rende
amaro o cattivo...
solo consapevole di quel che mi
ha reso uomo
e di quel che ancora dovrò fare
per rimanerlo...
o per diventare un uomo migliore
di quello che sono...
su questa terra, su questa terra
di roccia
su questa terra di roccia e di
vento.
lunedì 21 maggio 2018
Pioggia, ruote, pozzanghere ecc. ecc.
Alle 07.15 di oggi 21 maggio, a
Cagliari piove. Ed anche molto. In questo periodo e per la mia città,
questo fatto è piuttosto inconsueto. Da noi è abbastanza raro che
piova in dicembre, figuriamoci a fine maggio e con questa abbondanza.
Però niente da eccepire sulla
pioggia: talvolta, d'estate, per le scarse o talvolta inesistenti
piogge, rischiamo il
razionamento dell'acqua. Quindi, anche io come tanti miei
concittadini, canto Singing in the rain.
Purtroppo,
the rain trasforma molta gente in altrettanti piloti di Formula 1.
Persone che magari di solito non superano i 60 km/h, quando piove
diventano delle saette su ruote.
Il
che non è per niente piacevole per chi (come il sottoscritto)
viaggia solo in pulman e/o in corriera, e di mattina presto si trova
alla fermata dell'uno o dell'altra... e si trova letteralmente
innaffiato dall'acqua delle pozzanghere che gentili piloti e pilotesse, gentilmente gli schizzano
addosso. Che cosa significa, questo?
Che cos'è... la pluvialità come stimolo alla velocità
automobilistica?
Buoni
concittadini, stimate concittadine che vi inoltrate nella giornata
con indomito spirito lavorativo, commerciale, esplorativo ecc. ecc.,
una preghiera: non
inzuppate più questo ormai stagionato precario della scuola. Mentre
sfrecciate col vostro consueto eroismo, siate indulgenti con chi nei
suoi romanzi & racconti, vi celebra con affetto.. sia pure,
talvolta, anche con qualche stilettata satirica.
Del
resto, anche il sottoscritto satirizza sé stesso. Molto. Parecchio.
A volte, perfino volentieri.
Comunque,
tutto bene. Amo la pioggia. Adoro sentire Lady Rain tintinnare sui
tetti e rimbalzare sui vetri delle finestre. Apprezzo ancor di più
la pioggia, che come si chiedevano i Creedence, chi potrà fermare
(Who'll stop the rain?),
quando corre sulla Terra
scortata da una certa foschia... e da un'improvvisa nebbia. Sarà il
mio gusto per il misterioso, il gothicus o
addirittura per lo spaventoso. Chissà.
Comunque,
ora sono le 11.25 e sto tornando a casa; tra corriera e pulman vari,
non arriverò prima delle 12.30.
Sto
attraversando Capoterra, una cittadina a 13 km da Cagliari. Le campagne
appunto di tale cittadina sono molto rilassanti, se accarezzate dalla
pioggia. Cabuderra (in
sardo) è stata dotata dal Gran Capo che sta nei Cieli di alcune
montagne, che in inverno sono avvolte da nebbie e nuvole che spesso,
nascondono le cime appunto delle mountains.
In
questo momento la
strada sta pensando bene di condurmi da Capoterra verso la spiaggia
che si trova in località “Giorgino” e già che c'è, il
simpatico nastro d'asfalto attraversa anche parte della laguna di
Santa Gilla.
A
poca distanza vedo il porto-canale, che purtroppo chiuderà (ma spero
proprio di no!) tra
non molto...
Alla
mia sinistra ecco Sa illedda (L'isoletta,
sempre in sardo) ed il ponte che conduce a Cagliari. Mi preparo per
scendere: tra poco raggiungeremo la stazione delle corriere.
A
presto!
mercoledì 25 aprile 2018
Alcune riflessioni sul fascismo
Il fascismo sorse in Italia il 21 marzo del 1919. Finì dopo la Liberazione avvenuta il 25 aprile e dopo l'esecuzione (28 aprile) da parte dei partigiani del suo fondatore, Benito Mussolini.
Egli aveva preso il potere il 31 ottobre del 1922, in seguito alla marcia su Roma di tre giorni prima; tuttavia, tale marcia non fu certo contrastata dalla monarchia, dall'esercito, dall'alta borghesia e dal governo del tempo, allora guidato da Facta.1 Essa fu quindi più che una dura ed avversata azione militare (benché i fascisti fossero piuttosto agguerriti), un giocare per così dire sul velluto. Ma evidentemente, questo non toglie nulla al suo carattere profondamente intimidatorio ed antidemocratico.2
Comunque, un discorso sul fascismo non può prescindere dalla figura del suo capo. A rigore, si potrebbe parlare di “mussolinismo.” Probabilmente egli incarnò molte delle tare tipiche dei membri di certe classi del nostro Paese.
Egli aveva preso il potere il 31 ottobre del 1922, in seguito alla marcia su Roma di tre giorni prima; tuttavia, tale marcia non fu certo contrastata dalla monarchia, dall'esercito, dall'alta borghesia e dal governo del tempo, allora guidato da Facta.1 Essa fu quindi più che una dura ed avversata azione militare (benché i fascisti fossero piuttosto agguerriti), un giocare per così dire sul velluto. Ma evidentemente, questo non toglie nulla al suo carattere profondamente intimidatorio ed antidemocratico.2
Comunque, un discorso sul fascismo non può prescindere dalla figura del suo capo. A rigore, si potrebbe parlare di “mussolinismo.” Probabilmente egli incarnò molte delle tare tipiche dei membri di certe classi del nostro Paese.
Come scrisse, infatti, Gramsci, già da quando l'allora socialista Mussolini avrebbe potuto guidare i lavoratori durante la “settimana rossa” del 1914: “Egli era allora, come oggi, il tipo concentrato del piccolo borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale dai vari secoli di dominazione dagli stranieri e dai preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia.”3
Gramsci sottolinea inoltre quel: “Roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato.”4
Si trattava di un insieme di atteggiamenti volti ad impressionare, più che a convincere; a dirigere l'attenzione verso la figura di un mitico combattente, non ad orientare il pensiero verso i problemi reali. Egli si fece chiamare “duce”, dal latino dux che significa comandante, generale; l'uomo vedeva sé stesso come una sorta di invincibile condottiero romano. Forse un nuovo Giulio Cesare, chissà.
Ma Mussolini non guidò personalmente la marcia su Roma: raggiunse la capitale senza correre alcun rischio viaggiando in vagone-letto.5
Forse durante la settimana rossa egli dimostrò del coraggio. Si trattava però di qualcosa di puramente fisico, dote questa che lo calava nel ruolo dell'uomo duro, pronto a guidare scontri e rivolte. Non vi era però in lui la capacità morale ed intellettuale del vero capo, cioè l'attitudine al ragionamento, la disponibilità all'ascolto, la capacità di accogliere in una sintesi anche posizioni magari contrarie alle sue.6
Del resto, diede prova del suo preteso coraggio quando travestito da soldato tedesco, cercò di fuggire dall'Italia.7 Ancora: la prova dell'amore provato da lui e dal suo regime per il Paese, è dimostrata dalla creazione della repubblica di Salò... quella che fu: “In realtà uno Stato fantoccio, un regime collaborazionista dei tedeschi.”8
Le crudeltà commesse anche da italiani, sia pure fascisti, nei confronti dei loro connazionali nonché l'interiorizzazione di stili di comportamento nazisti (sul piano simbolico come su quello pratico), risultano già dal fatto che il regime repubblichino si prestò alla creazione di SS italiane.9 Tutto questo condusse ad un'ondata di massacri, devastazioni, saccheggi, furti, stupri, torture: il che fu sempre sostenuto ed anche compiuto dai repubblichini. Del restò, come provò il gen. Karl Wolff, comandante delle SS tedesche in Italia, il Mussolini di Salò era totalmente controllato da lui e da funzionari nazisti.10
Esiste comunque un filo che lega dall'inizio alla fine il fascismo a sé stesso ed al nazismo: la sua natura, che era profondamente violenta. Ancor prima della marcia su Roma, bande fasciste si erano abbandonate a centinaia di atti di violenza contro avversari politici, avevano incendiato sedi di giornali e di cooperative, umiliato e seviziato uomini e donne ecc. ecc.11
Subito dopo la conquista del potere, Mussolini dichiarò che avrebbe potuto fare del parlamento, da lui definito “aula grigia e sorda”, un “bivacco “ per i suoi “manipoli.”
Gramsci sottolinea inoltre quel: “Roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato.”4
Si trattava di un insieme di atteggiamenti volti ad impressionare, più che a convincere; a dirigere l'attenzione verso la figura di un mitico combattente, non ad orientare il pensiero verso i problemi reali. Egli si fece chiamare “duce”, dal latino dux che significa comandante, generale; l'uomo vedeva sé stesso come una sorta di invincibile condottiero romano. Forse un nuovo Giulio Cesare, chissà.
Ma Mussolini non guidò personalmente la marcia su Roma: raggiunse la capitale senza correre alcun rischio viaggiando in vagone-letto.5
Forse durante la settimana rossa egli dimostrò del coraggio. Si trattava però di qualcosa di puramente fisico, dote questa che lo calava nel ruolo dell'uomo duro, pronto a guidare scontri e rivolte. Non vi era però in lui la capacità morale ed intellettuale del vero capo, cioè l'attitudine al ragionamento, la disponibilità all'ascolto, la capacità di accogliere in una sintesi anche posizioni magari contrarie alle sue.6
Del resto, diede prova del suo preteso coraggio quando travestito da soldato tedesco, cercò di fuggire dall'Italia.7 Ancora: la prova dell'amore provato da lui e dal suo regime per il Paese, è dimostrata dalla creazione della repubblica di Salò... quella che fu: “In realtà uno Stato fantoccio, un regime collaborazionista dei tedeschi.”8
Le crudeltà commesse anche da italiani, sia pure fascisti, nei confronti dei loro connazionali nonché l'interiorizzazione di stili di comportamento nazisti (sul piano simbolico come su quello pratico), risultano già dal fatto che il regime repubblichino si prestò alla creazione di SS italiane.9 Tutto questo condusse ad un'ondata di massacri, devastazioni, saccheggi, furti, stupri, torture: il che fu sempre sostenuto ed anche compiuto dai repubblichini. Del restò, come provò il gen. Karl Wolff, comandante delle SS tedesche in Italia, il Mussolini di Salò era totalmente controllato da lui e da funzionari nazisti.10
Esiste comunque un filo che lega dall'inizio alla fine il fascismo a sé stesso ed al nazismo: la sua natura, che era profondamente violenta. Ancor prima della marcia su Roma, bande fasciste si erano abbandonate a centinaia di atti di violenza contro avversari politici, avevano incendiato sedi di giornali e di cooperative, umiliato e seviziato uomini e donne ecc. ecc.11
Subito dopo la conquista del potere, Mussolini dichiarò che avrebbe potuto fare del parlamento, da lui definito “aula grigia e sorda”, un “bivacco “ per i suoi “manipoli.”
Ed infatti, dal '22 fino alla fine della guerra, parlamento e libertà democratiche non esisteranno più; dal 1935 al 1939 sulla sola Etiopia, le truppe fasciste lanciarono anche sui civili, “non meno di 500 tonnellate di aggressivi chimici”12; tutto questo, benché i vertici del fascismo fossero pienamente consapevoli d'aver sottoscritto la Convenzione con la quale si erano impegnati“a non fare uso dei gas.”13
Ancora: “Spesso i carnefici italiani si fanno fotografare in posa dinanzi alle forche o reggendo per i capelli le teste mozzate dei patrioti etiopici.”14 Fucilazione di civili, stupri, torture, avvelenamento dei pozzi ecc. ec. Furono in quel periodo la regola.
Dal 1936 al 1939 l'Italia fascista appoggiò militarmente, insieme alla Germania nazista, la ribellione del generale spagnolo Franco contro un governo democraticamente eletto; nel 1938 varò le leggi razziali contro gli ebrei; nell'aprile del 1939 occupò l'Albania; nel maggio sempre del '39 firmò il Patto d'Acciaio: l'alleanza col nazismo.
Dal 1936 al 1939 l'Italia fascista appoggiò militarmente, insieme alla Germania nazista, la ribellione del generale spagnolo Franco contro un governo democraticamente eletto; nel 1938 varò le leggi razziali contro gli ebrei; nell'aprile del 1939 occupò l'Albania; nel maggio sempre del '39 firmò il Patto d'Acciaio: l'alleanza col nazismo.
Nel 1940 entrò in guerra a fianco di Hitler e del Giappone... guerra che si concluse con la distruzione di tantissime nostre città, con la morte ed il ferimento di centinaia di migliaia di persone, la distruzione di infrastrutture, impianti industriali,, opere artistiche ecc. ecc.
Questo è stato il fascismo. Ed è bene che nessuno di noi lo dimentichi. Mai.
Note
1 Al riguardo, si è giustamente parlato di “fiancheggiatori” che comprendevano buona parte di quella che allora rappresentava la classe dirigente. Cfr. Marco Palla, Mussolini e il fascismo, Giunti, Firenze, 1996, p.25.
2 M. Palla, Mussolini e il fascismo, op. cit., pp.28-29.
3 Antonio Gramsci, “Capo”, in Antonio Gramsci, Le opere. Antologia, a cura di Antonio A. Santucci, Editori Riuniti/L'Unità, Roma, 2007, p.144.
4 A. Gramsci, “Capo”, op. cit., p.144.
5 Cfr. Roberto Battaglia Giuseppe Garritano, Breve storia della Resistenza italiana, Editori Riuniti, Roma, p.7; M. Palla, op. cit., p.29.
6 A. Gramsci, op. cit., pp.143-144.
7 M. Palla, op. cit., 141.
8 M. Palla, op. cit., p.136; Tale “Stato” nacque dopo l'8 settembre 1943. Per il regime di Salò cfr. M. Palla, op, cit., pp.136-139; R. Battaglia G. Garritano, op. cit., pp.117-123; Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. 1943-44, Donzelli, Roma, 2006, pp.146-148. Per sottomissione di Mussolini al nazismo, nonché per massacri, torture ed atrocità di varia natura, cfr. Primo de Lazzari, Le SS italiane, Teti Editore, Milano, pp.45-80.
9 Cfr. P. de Lazzari, Le SS italiane, op. cit., pp.81-116.
10 P. de Lazzari, op. cit., pp.71-72.
11 Per tutto questo cfr. M. Palla, op. cit., pp.19-22; R. Battaglia G. Garritano, op. cit., pp.5-7; Federico Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1961, pp. 60-61.
12 Angelo Del Boca, I gas di Mussolini, Editori Riuniti, Roma, 1996, p.20.
13 A. Del Boca, I gas di Mussolini, op. cit., p.38.
14 Ibid., p.47.
Questo è stato il fascismo. Ed è bene che nessuno di noi lo dimentichi. Mai.
Note
1 Al riguardo, si è giustamente parlato di “fiancheggiatori” che comprendevano buona parte di quella che allora rappresentava la classe dirigente. Cfr. Marco Palla, Mussolini e il fascismo, Giunti, Firenze, 1996, p.25.
2 M. Palla, Mussolini e il fascismo, op. cit., pp.28-29.
3 Antonio Gramsci, “Capo”, in Antonio Gramsci, Le opere. Antologia, a cura di Antonio A. Santucci, Editori Riuniti/L'Unità, Roma, 2007, p.144.
4 A. Gramsci, “Capo”, op. cit., p.144.
5 Cfr. Roberto Battaglia Giuseppe Garritano, Breve storia della Resistenza italiana, Editori Riuniti, Roma, p.7; M. Palla, op. cit., p.29.
6 A. Gramsci, op. cit., pp.143-144.
7 M. Palla, op. cit., 141.
8 M. Palla, op. cit., p.136; Tale “Stato” nacque dopo l'8 settembre 1943. Per il regime di Salò cfr. M. Palla, op, cit., pp.136-139; R. Battaglia G. Garritano, op. cit., pp.117-123; Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. 1943-44, Donzelli, Roma, 2006, pp.146-148. Per sottomissione di Mussolini al nazismo, nonché per massacri, torture ed atrocità di varia natura, cfr. Primo de Lazzari, Le SS italiane, Teti Editore, Milano, pp.45-80.
9 Cfr. P. de Lazzari, Le SS italiane, op. cit., pp.81-116.
10 P. de Lazzari, op. cit., pp.71-72.
11 Per tutto questo cfr. M. Palla, op. cit., pp.19-22; R. Battaglia G. Garritano, op. cit., pp.5-7; Federico Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1961, pp. 60-61.
12 Angelo Del Boca, I gas di Mussolini, Editori Riuniti, Roma, 1996, p.20.
13 A. Del Boca, I gas di Mussolini, op. cit., p.38.
14 Ibid., p.47.
venerdì 30 marzo 2018
Buona Pasqua a chi lo merita
Oggi il cielo è pieno di
nuvole. Diciamo pure che è un totale lenzuolo
di nuvole, il che mi fa venire un sonno pazzesco.
Però
ecco che liquido the clouds (le nuvole) e cerco di mettere un po'
d'ordine in casa.
Soprattutto
nel salotto, che è pieno come sempre di libri, giornali, appunti per
scuola, cd, carta di caramelle, penne che non scrivono più e
cassette. Musicassette,
come si diceva una volta; mica cassette di frutta o di verdura, chiaro?!
Bene:
dopo un'oretta di lavoro, il tavolo del salotto non sembra più una
discarica comunale, ma appunto un tavolo. E va bene, me lo dico da
solo: quando voglio sono anche bravo a
mettere ordine.
In
questo momento sto ascoltando un disco de The Klezmatics, Jews
with horns: si tratta di musica
appunto klezmer, cioè
un particolare miscuglio di melodie ebraiche, slave e jazz molto
originali e divertenti.
Molto
bello Freyt aykh, Yidlekh,
che significa Siate felici, ebrei. Un brano se vogliamo anche
ballabile, sorretto e portato sempre più su (se l'udito non mi
inganna) da trombe, clarinetti ed altri strumenti a fiato, nonché da
una batteria allegra e saltellante.
Altro
molto brano bello è Heyser Tartar-tants,
Danza Tartara. Qui oriente, jazz e burlesque si
fondono in qualcosa di talmente divertente, che a me ricorda certe
comiche di Chaplin.
Potrei parlarvi anche di altri
brani, come per esempio In kampf,
un canto di lotta dei lavoratori ebrei, scritto in America nel 1889.
Ma sarà per una prossima volta.
Ora
sto pensando al fatto che il mio ennesimo contratto scadrà il 30
giugno; se non altro, un mese di lavoro in più rispetto al passato.
Poi però, sarò daccapo con la ricerca di un altro
contratto. Vede, mr. Lou Reed,
ci sono molti modi per camminare sulla wilde side,
il lato selvaggio. Purtroppo, la disoccupazione è uno di quelli.
Comunque
stasera sto bene... tra poco andrò a comprare il vino binu wine vin
vinus oinos wein etc. etc.
Presto
sarà Pasqua, ma non sarà una Pasqua di resurrezione per gli operai
di Livorno; spero però che esista un Paradiso dei lavoratori in cui
possano riposare davvero. Possibilmente, senza passare per l'Inferno
che hanno dovuto vivere quaggiù. Le righe che ho scritto oggi, per
quello che valgono, sono per loro.
mercoledì 28 febbraio 2018
“American idiot”, dei Green Day
Si tratta di un rock senza
fronzoli, tutto centrato su basso-chitarra-batteria, e con al centro
una voce aggressiva il giusto. Un rock di quelli che ormai, in giro
si sentono sempre meno.
A
me questo brano ricorda
parecchio la musica dei Clash, ma come uno che si riallaccia ad una
tradizione, non come una volgare scopiazzatura. Un po' come certe
canzoni di Ryan Adams possono ricordare qualcosa di Neil Young, o
Ruminations di Conor
Oberst, il Dylan di Blonde on blonde o
quello di Desire.
Ripeto:
il pezzo si basa tutto su una ritmica basso-chitarra
molto serrata, sostenuta da una batteria essenziale... un drumming
che fa pensare ad un durissimo
metronomo. Nel brano, si inseriscono poi degli improvvisi stop di
tempo e dei violenti strappi di
chitarra: insomma, la chitarra si blocca di scatto e nello stesso
modo, riparte. L'effetto complessivo è spiazzante ed insieme
esaltante.
Il
testo non è meno diretto della musica. American idiot
significa “idiota americano.”
Billie Joe Armstrong, cantante e chitarrista del gruppo, canta
spesso: “Non voglio essere un idiota americano.” Egli aggiunge
che non vuole una nazione succube dei nuovi media, quindi chiede ad
ognuno: “Senti il suono dell'isteria?”
Il
pezzo condanna i “sogni televisivi del futuro” e denuncia un
“nuovo tipo di tensione” che manipola le menti e condiziona le
azioni delle persone... . spesso in modo davvero invasivo
Così,
per rifiutare un incubo in cui non vorrebbe vivere nessuno, Billie
ripete fiero: “Non voglio essere un idiota americano” e vede una
nazione: "Controllata dai media/ la nazione dell'informazione e
dell'isterismo/ che dilaga nell'America idiota.”
In
effetti, la mania di trovarsi a tutti i costi sui cosiddetti social
e di filmare, registrare e
fotografare qualsiasi cosa... anche fatti ed ambienti ben poco
interessanti (spesso solo quelli), ebbene, tutto questo ci impedisce di conoscere davvero la
realtà. Soprattutto, ci impedisce di vederla in modo critico e
personale.
Ma
come cantano i Green Day, anche per smentire un ottimismo spesso
illusorio: “Non tutto deve andare bene per forza.”
Purtroppo,
spesso finiamo un po' tutti per uniformarci a questo discutibile
miscuglio di ottimismo a buon mercato e di tecnologia, che talvolta utilizziamo con poco buon senso. Allora anche un bel rock vecchio
stile può contribuire a svegliarci un po'.
Inoltre,
secondo me è molto utile il confronto tra American idiot e
Working class hero di
John Lennon, che non a caso è stata ripresa qualche anno fa dai
Green Day in versione rockeggiante. Il pezzo di Lennon, infatti,
denunciava una tendenza a rimbambire la gente con un uso distorto di
sesso, alcol e tv.
Sempre
Lennon, stavolta in Remember,
attaccava la mania di sognare una società di “divi del cinema.”
In
breve: secondo me, nel loro pezzo i Green Day hanno saputo fondere
protesta sociale e rock; quello che sa e vuole usare
chitarra, basso e batteria come altrettante “armi” e che ci fa
ballare coi piedi, ma senza calpestare il nostro cervello. E magari,
neanche quello degli altri.
mercoledì 31 gennaio 2018
L'ultimo giorno del primo mese
Oggi,
è l'ultimo giorno del primo
mese
dell'anno,
gusto la luce che sopravvive
orgogliosa
e quasi gioiosa,
purtroppo ancora molto lontana
dalla primavera.
Raccolgo i miei pensieri
ma
archivio il mio dolore o almeno:
ne archivio una buona parte.
Ho deciso, pensato e
solennemente stabilito
che
al dolore ed al suo ottuso
fascino
è meglio suonarle.
Ho incontrato mr. T.S. Eliot una
sera,
mentre vagabondavo nello
scintillante ghetto della mia anima...
riflettevo
senza particolari angoli di
riflessione
sul lavoro...
che per fortuna ho
e su ordinarie questioni
che di solito,
insolitamente mi tormentano.
Il dolore ritorna
ma stavolta gliele suono
davvero:
grandi, sarde testate sulla sua
sfrontata fronte
finché mr. Chuck Berry
non immerge la chitarra in
acque splendide e fangose
per poi brandirla come
Excalibur...
ed io, pur dal
crossroad/crocicchio in cui ho sempre
o almeno spesso, spesso, spesso vissuto,
faccio marameo a zio Satana.
Stasera,
ultima sera del primo mese
dell'anno,
sono contento
e la felicità
potrebbe
non esser più
un fantasma.
sabato 30 dicembre 2017
Bella presenza
21
dicembre 2017: sul Corriere della
sera, nella rubrica Il
caffè di Massimo Gramellini, leggo
il pezzo Di bella presenza. Come
già in altre occasioni, egli ha saputo rivestire il suo articolo del
consueto garbo.
Tuttavia,
l'argomento da lui trattato è di quelli che fanno saltare su dalla
sedia. E non per colpa sua. Veniamo al punto.
Sul
portale istituzionale di Garanzie
Giovani è comparso questo annuncio:
“Cercasi impiegata di bella
presenza per tirocinio, durata 6
mesi più proroghe, part time 20 ore
settimanali, retribuzione 400 euro
mensili.”
Ora,
il contrattato ha una durata ridicolmente breve, appena 6 mesi: con
quelli puoi pagarci l'affitto? E come ti procuri da mangiare, come
paghi eventuali spese mediche, come fai coi vestiti, con la luce,
l'acqua, il gas ecc. ecc.?
Si
dirà: magari in contemporanea
ti trovi un altro lavoro; per esempio in nero.
E
comunque, se lavori dalle 9 alle 13 e poi becchi un altro lavoro
dalle 15 alle 19, c'è il problema della distanza...
metti che si tratti "solo" di 50 km. Puoi raggiungere il
nuovo posto in 45 minuti, ammesso che
non becchi traffico; così, si sono fatte almeno le 13.45.
Ah,
certo, c'è la seccatura del pranzo,
seccatura che puoi toglierti prima di partire o dopo, appena
arrivato. Ma se non ce la fai col tempo, puoi sempre non
mangiare, giusto?
Ancora:
magari, sul 1° posto di lavoro potrebbero trattenerti ben
oltre le 13; così come fai ad
arrivare in orario dall'altra parte del Paradiso lavorativo? Capace
che quando ci arrivi (per es. alle 15.30) scatti il licenziamento.
"Soldi":
400 euro mensili. Come dice bene Gramellini, fanno 5 euro l'ora. Non
bastano neanche per la benzina. Però puoi andare a piedi e coi soldi
risparmiati comprarti un panino ed una bibita.
Nell'annuncio
si parla anche di 6 mesi più
proroghe. Bello!
Ma
in base a che cosa dovrebbero scattare, 'ste proroghe? In un sito
(come scrive Gramellini) “di un progetto di governo e regioni
finanziato dalla Reverendissima Unione Europea”, ci si aspetterebbe
maggior chiarezza. E comunque, ha senso prorogare un regime salariale
come quello?
Ma
quel che fa davvero imbufalire, è il fatto che si cerchi
un'impiegata di bella presenza!
Siamo ancora a questa idiozia? Conta non la donna intelligente,
preparata, coscienziosa, ma la classica bella ragazza?
Sia
chiaro: non ho niente contro le belle. Ma per me, soprattutto sul
lavoro, la bellezza conta zero.
Possibile che in pieno XXI secolo il lato estetico sia considerato
più importante di tutti gli altri?
Spero
proprio che questo Natale e l'anno nuovo spazzino via certi
contratti, quelli cioè che si è costretti a firmare per pura e
semplice fame. Allora e solo allora, alcuni avrebbero il diritto di
augurare Buon Natale e felice
anno nuovo,
senza che questo sembri una crudele presa in giro.
giovedì 30 novembre 2017
Perché scrittori e scrittrici... scrivono?
Scrivono perché: è quello che
sanno fare meglio; non sanno farne a meno ed anche perché a loro
piace.
Vediamo di
spiegare queste risposte, per ovvie che possano sembrare.
Scrivono
perché è quello che sanno fare meglio.
Sì. Loro padroneggiano la lingua in un modo che ad altri (persone
magari ben più colte di loro) non è dato.
A
volte quell'abilità è una condanna o addirittura una maledizione,
nel senso che secondo me, a scrittori & scrittrici si applica
quello che il filosofo Cioran diceva dei poeti quando li definiva:
“Vittime e carnefici dell'aggettivo.” C'è insomma in chi scrive,
una volontà quasi maniacale di
piegare il linguaggio ad usi ed a significati che si solito, non
ha. O che ha perso.
C'è la
volontà di inventare nuovi mondi e nuovi legami di spazio e di
tempo. C'è la necessità di esplorare i motivi più oscuri e
profondi del comportamento di ognuno, e di non farsi intrappolare da
un'ottusa, avvilente routine.
Se
scrivere è questo,
allora porta con sé anche quanto detto prima: perché se è quello
che sai fare meglio, deve anche piacerti...
perché ti piace vedere che stai creando cose che non sa fare nessun
altro.
Vanità?
Probabile. Comunque la scrittura ti fa ignorare il banale ticchettio
del tempo e scrivere su un marciapiede anche quando piove e tira un
ventaccio che ti gela le ossa. Inoltre, ti mette di fronte a te
stesso ed al tuo cumulo di peccati, follie e reati senza possibilità
di mentire... come potresti fare con un giudice, uno psicoanalista o
un prete.
Alla
fine, non puoi proprio farne a meno:
come ho detto migliaia di volte, la scrittura è il miglior sballo
del mondo... di questo e per quanto ne so, di qualsiasi altro. Se
inquadriamo la faccenda sotto questa luce, capiamo perché la
scrittrice della Germania Est Christa Wolf dicesse che un giorno
senza scrivere una pagina, le sembrava “sprecato.”
Certo,
poi possono ingannare certi contenuti:
in Bukowski, Philip Roth ed Erica Jong molti vedono solo il sesso;
in Hemingway, il macho;
in Dostoevskij, potrebbero vedere una giustificazione della violenza
(pensiamo a Delitto e castigo o
a I demoni). Più
recentemente, potremmo applicare questo discorso anche al Mario Puzo
de Il padrino ed al
Burgess di Arancia meccanica.
Del
resto, il compito di chi scrive è porci dei dubbi,
non fornirci dei pannicelli caldi. Ma poi, siamo tanto sicuri di
averne bisogno? Leggiamo Catullo e partecipiamo al suo dolore per la
donna che odia e che
ama; leggiamo il
Furioso dell'Ariosto e
ci fa piacere scoprire che sulla luna c'è tutto tranne la follia,
che è rimasta tutta sulla Terra!
Si
dirà: vabbe', ma quelli erano poeti.
Vero. Ma quando scrivi, l'impulso e la passione per
la scrittura vanno oltre la
forma o la tecnica espressiva... romanzo, racconto, poesia, pièce
teatrale, canzone... che
importa?
Ma per oggi
basta così. Tornerò sull'argomento a giorni.
martedì 31 ottobre 2017
Majakovskij, il progresso e magari anche io
Vladimir Majakovskij (1893-1930),
poeta dal verso imprevedibile, uomo dall'umore ora cupo ora
follemente gioioso, rivoluzionario pieno di passione e di grande
senso dell'umorismo. Ho riletto alcune sue poesie,
trovandole ancora molto belle, attuali e stimolanti. Prendiamo per
esempio Il ponte di Brooklyn.
Benchè Majakovskij sia sempre
stato un comunista convinto, visitò ed osservò con grande curiosità
e simpatia gli USA ed il Messico.
Del resto, certe sue immagini sono
anche caustiche, taglienti, molto polemiche: come quando rivolgendosi
agli statunitensi dice:
“Voi siete
i dis-united States of
America.”
C'è
molta polemica anche quando aggiunge:
Di qui
i disoccupati
si buttavano
a capofitto
nello Hudson.”
Eppure,
Volodia (diminutivo russo per Valdimir), si descrive:
“Ubriaco di gloria,
affamato di vita”,
uomo
che penetra:
“superbo,
sul ponte di
Brooklyn.”
La
fantasia di Majakovskij continua a correre libera e selvaggia per
tutta la poesia, forgiando metafore, iperboli e paralleli come solo
un grande poeta potrebbe.
Ma ora voglio parlarvi di un altro aspetto. So che da tempo va di
moda attaccare il progresso e le sue conquiste, ma
pensiamoci bene: che cosa sarebbe il mondo senza di esso? Un mondo
senza elettricità, treni, aerei, auto, pc, rock... acqua
corrente in casa!
Certo,
adoro la campagna. Secondo mia moglie potrei vivere in cima ad
una montagna con solo una penna, qualche foglio e la mia armonica. Ma
dopo un po', avrei di nuovo bisogno del caos cittadino. Ok, so
che la tecnologia esiste anche in campagna, però avete capito.
Tutto
sta, come sempre, nell'uso che
facciamo di una cosa: progresso incluso.
Comunque,
spesso certi strali nascondono una mentalità che vorrebbe far
tornare l'umanità ad una situazione quasi schiavistica. Niente
scuola, andate a lavorare. E lavorate come e quanto
decidiamo noi. E vi pagheremo
come decideremo noi. Non
vi va bene? Abbiamo tanti manganelli, mitra e laser!
“E
niente medicine, quelle sono per noi, che dobbiamo curarci per farvi
ammalare meglio. E zero treni e zero aerei; servono per il trasporto
truppe.”
“E
le leggi?”
“Niente
leggi. Basta una stretta di mano.”
“Mi
scusi, eccellenza, ma io la mano non ce l'ho più; mi è stata
strappata via insieme al braccio da una bomba.”
“E
allora? Vuol dire che eri un peccatore o un sovversivo! Prega per i
tuoi peccati e per i tuoi reati: ora che ti abbiamo dato l'ergastolo,
hai tanto di quel tempo...”
Insomma,
non facciamo fregare: le critiche non al cattivo uso del
progresso, ma al progresso sempre e comunque,
nascondono branchi interi di aspiranti schiavisti!
Allora
ben venga Majakovskij, che cantava i bulloni del ponte di Brooklyn,
la musica delle rotaie e sognava partite di calcio da giocarsi fra
astronavi nello spazio!
Ben
venga questa fede forse ingenua nel progresso tecnologico, che però
per lui doveva essere anche umano e sociale.
Quanto
a certi critici, che magari sognano per tutti noi antri e caverne,
che salgano pure su qualche carretto e spariscano. Di loro non
abbiamo proprio bisogno.
sabato 30 settembre 2017
Sogni, incubi, progetti: insomma, un sacco di scemenze
Prendo la penna e parlo di me,
prendo l'armonica
e faccio finta di suonare
(non bene che cosa o perché)...
prendo la rabbia, ma penso che
tante, troppe volte
sia troppo collegata al cervello
e prendo il cervello, ma temo
che spesso
sia troppo collegato alla
rabbia.
Litigo coi secoli che sembrano
trascorsi invano,
e litigo coi mie versi.
Bisticcio coi sogni che
diventano incubi
e coi progetti che non so come
né perché, si realizzano.
Continuo (mio sport preferito) a
pensare alla Morte.
Almeno,
ho smesso di pensare
all'Inferno.
E tu, carissimo Satana, a chi
pensi oggi
o
a chi penserai domani?
Faccio il surf sul filo spinato
dei miei sogni
e rimbalzo su sabbie di monotona
disoccupazione:
però devi essere un asso per
sbagliare sempre e di continuo,
per essere un Pelè del niente.
Poi mi riprendo,
dopotutto tiro il fiato ed anche
qualche pietra
alle ansie, alle paure ed alle
gioie che mi fanno marameo
più o meno da sempre o anche da
prima.
Be', a volte penso che
non sia male
saper sprecare così bene sè stessi!
lunedì 25 settembre 2017
Chiacchiere settembrine
Giorni fa, nel riordinare i miei
libri di filosofia e di testi di canzoni, appare il mio Interlocutore
Immaginario. Aveva portato un infermiere
della vicina clinica psichiatrica, che però liquidai con un
cagliaritano colpo di testa che gli ruppe il setto nasale.
Mentre l'infermiere smammava, I.
I. pulì il sangue che stava imbrattando un libro di S. Francesco e
commentò acido: “Sempre cordiale e collaborativo, vero, Riccardo?”
“Be'”, sorrisi stappando una
bottiglia di vino aromatizzato al limone, “tu mi porti un
infermiere di qualche specie di manicomio...”
Non ricambiò il sorriso però
afferrò il bicchiere che gli porgevo: sembrava un naufrago a cui
finalmente qualcuno avesse gettato un salvagente. Bevemmo in silenzio
quindi mi chiese che cosa stessi ascoltando.
“I Decemberists.”
Affermò che trovava molto
interessante quel loro miscuglio di folk, rock, blues e vari altri
stili musicali americani.
“Mi pare che nella loro
musica”, osservò con ammirazione, “si trovi anche qualcosa di
irlandese.” Aggiunse che la sua canzone preferita era Lake
song.
“Ma
forse, anche perché mi piace tutto quel che ha a che fare con
l'acqua; sai, Lake song significa
'la canzone del lago'.”
Annuii
e versai ad entrambi un altro bicchiere di vino limonalizzato. Poi mi
alzai e presa l'armonica, cercai di accompagnare i Decemberists.
I risultati non furono
esattamente esaltanti, così riposi lo strumento e gli feci
educatamente capire che dovevo scrivere.
“Insomma”,
ridacchiò, “devo levarmi dai piedi!”
“No, però
vorrei che smettessi di parlare per un po'. Pensi di poterci
riuscire?”
Per tutta
risposta lui prese da uno scaffale un libro di poesie e racconti di
Yeats e sparì in fondo al salotto. Sapeva che trovavo la letteratura
davvero stimolante quando si confronta oltre che con la realtà,
anche col fantastico, col soprannaturale e così via delirando.
“Rave on, rave on, John
Donne”, canticchiò, “delira,
delira, John Donne.”
Era una
citazione da una canzone del grande Van Morrison, ma gli imposi
comunque il silenzio. Macché. Peggio che andar di notte.
“Stai
pensando di continuare il romanzo che hai interrotto all'inizio di
agosto?”, chiese con aria indifferente.
Esasperato,
gli lessi qualche capitolo.
Lui ascoltò
con grande concentrazione poi commentò: “E' molto buono. I
dialoghi (perfino i più lunghi) non stancano. La psicologia dei
personaggi è credibile, davvero realistica. La scena poi in cui il
protagonista incontra Spinoza, è uno spasso.”
“Ma...?”
“Nessun
'ma.' Stai scrivendo una bella storia, dove hai messo umorismo,
cultura, sesso, lavoro ed una solitudine che il protagonista affronta
con coraggio e dignità. E le sue conquiste sono dipinte come delle
donne, non come delle
prede. Dovresti essere orgoglioso del libro che stai scrivendo.”
“Chissà
se la penserà così anche qualche editore...”
“Quello
dovrebbe essere l'ultimo dei tuoi problemi. Come diceva T.S. Eliot?
Per il genere umano non esiste che il tentare.
Un'altra cosa: nel romanzo ci sono anche molto alcol e molta
violenza, ma nel presentare questi elementi non dimostri nessun
compiacimento; ed appunto alcol e violenza arrivano sempre quando la
storia lo richiede.
Perciò, avanti così, caro me stesso... possibilmente, con un po' di
autostima.”
“Eh, per
quella penso che dovrò aspettare altri 55 anni...”
Scoppiammo
a ridere e stappammo una 2/a bottiglia di limone avvinato (speravo
non avvinazzato).
Ascoltammo la colonna sonora di C'era una volta in America
e quando vidi che si stava
addormentando, gli misi sulle spalle un plaid ed andai a dormire
anche io.
mercoledì 30 agosto 2017
“Rip Van Winkle”, di Washington Irving*
Si tratta di un racconto che lo
scrittore americano W. Irving (1783-1859) scrisse nel 1819.
Gli scritti di Irving si trovano
agli inizi della letteratura statunitense; tra questi, forse il più
famoso è La leggenda della valle addormentata
(1820), che ha avuto vari adattamenti televisivi e cinematografici;
di questi, ho gustato molto il film Il mistero di Sleepy
Hollow (1999), che aveva come
protagonista Johnny Depp.
Ma
torniamo a Rip. Egli è un uomo semplice e buono. Non molto attivo o
intraprendente, o meglio: lo è quando qualcuno ha bisogno di una
mano... non sempre quando ne hanno bisogno la sua famiglia e la sua
fattoria. Egli lavora per gli altri ed è un po' l'idolo delle
massaie e dei ragazzini, che possono contare su di lui per
commissioni, lavoretti, giochi ed aiuti di vario tipo.
Quando
però deve curare i propri interessi, egli (con sognante
vagabondaggio), preferisce sparire nei boschi col suo cane Wolf.
Sì,
perché Rip contraddice in pieno l'immagine dell'americano
pragmatico, grintoso e pieno di spirito di iniziativa: lui, che vive
con la sua famiglia in un villaggio ai piedi dei monti Catskill,
pensa soprattutto a sottrarsi alla lingua di
sua moglie, la perfida Madama Van Winkle.
“Ma si sa che un
carattere acido non si addolcisce con l'età, e che una lingua
tagliente è l'unico strumento da taglio che si affili sempre meglio
con l'uso.”1
La
tendenza del Nostro forse più che alla “poltroneria” alla
mancanza di organizzazione, finisce per essere accentuata dalle
continue e violente strigliate che subisce dalla moglie. Infatti, per
sfuggire a tutto ciò, Rip si rifugia in un mondo tutto suo, fatto di
dialoghi col proprio cane Wolf, vagabondaggi senza meta né orario,
battute di caccia dall'esito incerto e chiacchierate con gli amici:
tutte persone placide ed alla buona come lui e che come lui, anche se
non sgobbano come muli, comunque alla famiglia non fanno mancare il
necessario.
Madama
V.W. aveva strigliato il marito una volta di troppo quando lui (come
sempre) si sottrasse al controllo della sua carceriera scivolando nei
boschi col fucile e col suo amato cane.
Così finì in un luogo in cui non si trovava anima viva per
miglia e miglia, e tutto era immerso in un silenzio quasi assoluto,
rotto solo dallo sporadico canto di qualche uccello o dal gorgoglio
di un ruscello.
Prima: “Si era arrampicato senza rendersene conto su una delle cime
più alte dei monti Kaatskill”2, ma verso il tramonto, da lì si
accingeva a scendere quando si sentì chiamare per nome. Pensò che
si trattasse di uno “scherzo della sua fantasia”, ma non era
così. Vide, infatti, qualcuno.
“Era un vecchio, basso di statura e
tarchiato, con un grande ciuffo di folti capelli e la barba
brizzolata. Vestiva un abito di foggia olandese antica (…).”3
In
effetti, prima che New York diventasse una città inglese poi
americana, si chiamava Nuova Amsterdam.
Ed era una città olandese. Inoltre esistevano comunità appunto dei
Paesi Bassi in tutta la regione attorno a Nieuw Amsterdam.
Quell'uomo
era Henry Hudson,
esploratore inglese che (tra gli altri), lavorò anche per gli
olandesi. Dopo esser stato chiamato dall'illustre personaggio, Rip
nota che: “Aveva sulle spalle un massiccio barilotto che sembrava
pieno di liquore e faceva segni a Rip perché si avvicinasse per
aiutarlo a portare il carico”4: quel che lui fece col solito buon
cuore.
Ma
ecco che al nostro eroe si presenta uno spettacolo davvero strano: un
gruppo di persone vestite come Hudson che in gran silenzio giocavano
a bocce. Inoltre: “Nulla rompeva il silenzio della scena salvo il
rumore delle bocce che, fatte rotolare, rimbombavano per le
montagne come il brontolio di un tuono.”5
A
Rip spetta il compito di versare da bere dal barilotto: si trattava
di “acquavite olandese di prima qualità”6; e che lo fosse, lo
sperimenta anche il nostro amico!
Al
risveglio, nessuna traccia né dei misteriosi ed inquietanti
giocatori, né del suo cane o del fucile, al cui posto Rip trovò
solo un vecchio archibugio.
Tornato
al villaggio, trovò molti cambiamenti... la sua vecchia casa in
rovina, Wolf che non lo riconosceva più ed: “Al posto del grande
albero che riparava la piccola locanda olandese, c'era adesso un palo
altissimo e nudo, con qualcosa sulla cima che somigliava a una
berretta da notte rossa,
e da quel palo sventolava una bandiera con una strana combinazione di
stelle e strisce (…).
Perfino il carattere delle persone sembrava mutato. Invece della
solita flemma e sonnolenza, tutti si mostravano affaccendati e
agitati a discutere.”7
In
sostanza: le colonie olandesi erano diventate da inglesi, americane;
tutto questo era accaduto durante al notte in cui Rip aveva smaltito
la sbronza. Solo che quella notte durata circa 20 anni
ed ora solo qualche vecchio si ricordava ancora di lui.
Però
ritrova il figlio e soprattutto la figlia, che lo prenderà a vivere
con sé. Quanto a Madama Van Winkle, era morta: “Le si ruppe una
vena un giorno che si arrabbiò tanto con un merciaio ambulante della
Nuova Inghilterra”; per Rip questa notizia fu “una goccia di
balsamo.”8
Poi,
un certo Vanderdonk riconobbe Rip ed affermò che i monti Kaatskill:
“Erano sempre stati infestati da esseri strani e che il grande
Hendrick Hudson, lo scopritore del fiume e del paese, vi teneva una
specie di veglia ogni vent'anni insieme con l'equipaggio della Half
Moon (….).” Suo padre: “Li
aveva visti una volta in una conca delle montagne intenti a giocare
ai birilli, vestiti con i loro costumi olandesi; e lui in persona, in
certi pomeriggi d'estate aveva sentito il rumore delle loro bocce che
sembrava un fragore di tuono lontano.”9
Questi
fatti, che in effetti sospendono il
tempo e la logica, non furono creduti da tutti; lo furono però
dai”vecchi abitanti di origine olandese”, che ancora oggi: “Ogni
volta che in un pomeriggio d'estate si sente un temporale sui monti
Kaatskill, dicono che Hendrick Hudson e la sua ciurma stanno facendo
una partita ai birilli.”10
Un
modo, questo, abbastanza simpatico di accettare il maltempo, non
credete?
Quanto
al resto: “Tutti i mariti del vicinato che hanno una moglie
bisbetica, quando non sanno più dove sbattere la testa, vorrebbero
poter gustare un sorso della bevanda consolatrice dal boccale di Rip
Van Winkle.”11
E
questo (dico io), anche quando si abbia la fortuna di non
avere una moglie di quel tipo,
sarebbe comunque un modo per rendere il matrimonio più rilassante.
O
almeno, penso che non sarebbe male vedere la faccenda in questi
termini.
Note
1
Washinton Irving, Rip Van Winkle,
Tea, Milano, 1992, p.12.
2
W. Irving, Rip Van Winkle,
op. cit., p.16.
3
W. Irving, op. cit., p.17.
4
Ibid., p.17.
5
Ibid., p.20. Il corsivo è mio.
6
Ibid., p.21.
7
Ibid., p.26. I corsivi sono miei.
8
Ibid., p. 32.
9
Ibid., pp.33-34. In inglese nel testo.
10
Ibid., pp.35-36.
11
Ibid., p.36.
mercoledì 23 agosto 2017
Mare, vento, nuvole ed altro
Come tutti saprete, siamo ad
agosto.
Agosto. Il nome di questo mese mi
fa pensare al grande romanzo umoristico di Achille Campanile Agosto,
moglie mia non ti conosco. Ecco,
secondo me, nella nostra letteratura di umorismo se ne trova ben
poco... Come se appunto in letteratura si debba essere solo seri.
Sempre ed a tutti i costi. Il che significa, in fondo essere seriosi.
E'
un po' come la differenza tra il sentimento ed
il sentimentalismo,
che come diceva Flannery O' Connor nel saggio Nel
territorio del Diavolo, più che
autentico sentimento, è una sua deformazione. Non sentimento sincero
e realistico, ma una sorta di teatralizzazione.
Vabbe', ora
lasciamo stare Campanile e la O' Connor (ma con mio grande
rammarico).
Un po' per
tutti, quindi anche per me, agosto significa mare.
Ma
per me il mare, agostano o meno, significa l'orizzonte che posso
scrutare in vari momenti ed il vento che increspa l'acqua. Per me, il
mare è quella strana fusione di vento, aria, acqua, sole e sabbia
che nella mia mente va oltre il
semplice concetto di mare.
Per
me, infatti, quel particolare insieme rappresenta il tempo,
ecco che cosa. Il tempo che scorre e che va, il tempo che crea
misteriosi mulinelli di acqua ed indecifrabili, imprevedibili vortici
di sabbia.
Mulinelli e
vortici che spesso sono simboli dei nostri sentimenti, delle nostre
paure, speranze e passioni.
Quel
che poi del mare non mi stanca mai è... il guardarlo.
La
mattina, perché il luccichio del sole sull'acqua è uno spettacolo
che arriva quasi ad ipnotizzarmi.
La sera, perché l'attenuarsi della
luce solare crea un'atmosfera... non saprei, come di qualcosa che
sfugge alla logica, o che ne crea una tutta sua. Un esempio
di questa sensazione? Mica
facile!
Ma vediamo...
osservare anzi scrutare il mare dall'alto di una scogliera, fissando
lo sguardo sulla spuma e sulle onde che si rincorrono fino a
lanciarsi sugli scogli: ebbene, a me tutto questo crea una piacevole,
intrigante inquietudine.
Le
nuvole, poi!
Fin da bambino
ho sempre amato star sdraiato a fissarle: al mare, ma anche sdraiato
su un prato, seduto su una panchina del porto o in piedi, dietro la
finestra di casa. Perché per me le nuvole sono sempre state come i
miei dubbi, le mie paure ed i miei progetti... qualcuno di questi
ultimi, non so come (!), non è neanche fallito completamente.
Be', per oggi
non mi pare di aver altro da dire.
A presto!
lunedì 31 luglio 2017
Ancora liberi Espenhahn e Priegnitz
Nella notte tra il 5 ed il 6
dicembre 2007 morirono nel rogo della Thyssen Krupp di Torino ben 7
operai. Erano: Antonio
Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario
Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino.
Di
questa vera e propria strage, secondo la sentenza emessa dai giudici,
sono risultati colpevoli 4 dirigenti italiani e 2 tedeschi. Gli
italiani, dopo che il processo si è concluso definitivamente il 13
maggio 2016, si trovano in carcere.
Invece
i tedeschi Harald Espenhahn (amministratore delegato) e Gerald
Priegnitz (consigliere d'amministrazione) sono ancora liberi.
Espenhahn ha riportato una condanna a 9 anni ed 8 mesi: Priegnitz, invece, a 6
anni e 3 mesi.
Come
ho letto ne Il fatto quotidiano (29
luglio 2017, p.9): “Un accordo bilaterale prevede che un cittadino
tedesco condannato in Italia possa scontare la detenzione nel suo
paese e che la durata non possa superare il massimo previsto dal
codice penale tedesco, che per l'omicidio colposo ammonta a 5 anni.”
Insomma, soprattutto per il
maggior colpevole la condanna, anche quando dovesse essere
applicata, sarebbe in sostanza
dimezzata;
probabilmente, l'altro (Priegnitz), se la caverebbe al massimo con 1 o
2 anni.
Ora,
il processo è durato poco meno di 9 anni:
in tutto quel tempo la tragedia della Thyssen è stata analizzata a
fondo fornendo agli imputati tutte le possibili tutele e garanzie sul
piano giuridico. Niente da eccepire, quindi, sulla correttezza della
nostra magistratura e su quella delle nostre forze dell'ordine.
Purtroppo,
c'è da eccepire sulla correttezza delle autorità tedesche.
Infatti: “Tre giorni dopo la sentenza, il 16 maggio, la Procura
generale ha emesso un mandato di arresto europeo.”
Attenzione
a questo che non è un semplice particolare: si tratta di un mandato
di arresto europeo,
mica di un capriccio della magistratura italiana. Un mandato di
questo tipo, prevede la sua esecuzione anche al di fuori del
territorio italiano; richiede, inoltre, un'esecuzione che non può
essere procrastinata, insomma rimandata sine die.
Ma
sempre nell'art. de Il fatto leggiamo che:
“Il 25 maggio sono state diramate le ricerche dei due condannati,
individuati in Germania, dove è stata inviata una prima parte degli
atti, ma il 4 agosto la Procura generale di Hamm ha comunicato al
ministero della Giustizia di Roma di essersi rifiutata di
arrestare i due cittadini, facoltà concessa dalle norme che regolano
il mandato di arresto europeo” (il corsivo è mio).
A
questo punto io mi chiedo: che razza di validità e
di serietà può mai
avere un mandato di arresto europeo che però, concede ad un Paese il
diritto di non arrestare chi
in base ad una sentenza definitiva risulta colpevole?
Però
sono state inviate in Germania le traduzioni delle
sentenze (quelle di appello e quella della Cassazione), depositate a
dicembre. “Le traduzioni sono arrivate un mese dopo e subito, il 17
gennaio scorso, gli atti sono stati inviati a Berlino.”
I
tedeschi, a cui il recht cioè
il diritto sta molto a cuore, hanno richiesto altre garanzie, atti ed
informazioni, così: “Ai primi di giugno sono partiti da Roma i
nuovi documenti. Da allora la questione è in mano alla Procura
generale di Hamm e alle autorità giudiziarie di Essen, ma non è
ancora conclusa.”
Pare
che il ministro della giustizia Orlando debba incontrare il suo
omologo tedesco Heiko Hess “al prossimo consiglio europeo dedicato
alla giustizia, il 12 ottobre.”
Intanto,
saranno passati altri 3 mesi e francamente, dubito che la questione
possa trovare immediata o almeno rapida soluzione.
Spero
soltanto che di rinvio in rinvio, il reato commesso anche dai 2
manager non cada in prescrizione.
Comunque,
anche se il dott. Hess ed il suo ministero dovessero procedere
all'arresto, dalla sentenza sarebbero comunque passati 17
mesi. Troppi, maledettamente
troppi per la giustizia e per quei poveri operai, morti in modo così
ingiusto ed inumano. Ma meglio tardi che mai.
martedì 25 luglio 2017
Di quella volta che fregai me stesso
Osservo il castello di S. Michele
ascoltando l'assolo di sax di Clarence Clemons in Trapped;
la versione di Springsteen con la “E” Street Band, non quella di
Jimmy Cliff.
Salta
fuori il mio Interlocutore Immaginario, che non vedo da tempo. Mi
demolisce una spalla con una pacca devastante e chiede: “Be', non
mi offri niente da bere, o almeno da mangiare?”
“Mi
dispiace, ma sono quasi a dieta.”
“Non
preoccuparti. In effetti, ho anche io 3-4 chiletti di troppo. Pensa
che ho dovuto eliminare il formaggio!”
“A
me”, rispondo, “quello non dice molto. Però non posso rinunciare
al pane ed al vino.”
“Eh”,
borbotta I.I., “la forma fisica è sempre un problema... Ma senti,
ultimamente stai leggendo qualcosa di interessante?”
“Docherty di
William Mc Illvanney. Parla dei minatori del nord della Scozia: un
gran bel romanzo; senza fronzoli, ma anche molto poetico.”
Noto
che si appunta il nome su qualcosa che sembra un'agenda elettronica.
Solo che i tasti sono tappi di sughero ed il display è di cartone;
neanche tanto pulito.
Ma non dico niente; se sapesse quanto è sporca
la coscienza di certi politici, banchieri, militari, poliziotti ed
alti prelati...
L'amico
apre la portiera della sua Jaguar Hooker-Berry e mi invita a saltar
dentro.
Salto,
ma poiché la dieta mi sta facendo riacquistare una forma eccessiva,
scavalco l'auto e volo in un canneto, dove la violenza
dell'atterraggio terrorizza papere, paperette ed anatroccoli (belli e
brutti).
Inoltre,
sollevo un'onda che richiama vari surfisti: soprattutto dalla Florida
e dalla California.
Li
caccio via a pedate, loro ed i loro vergognosi addominali, poi apro
una copia fradicia d'acqua e di alghe de Il mercante di
stoffe, della scrittrice ed
attrice catalana Coia Valls.
Poi
ecco Tana French. Chiedo sia alla Valls sia all'irlandese se alla
loro carriera di scrittrici abbia giovato l'essere state anche
attrici. Loro mi fissano e scoppiano a ridere.
Dalla
Jaguar, I.I. suona il clacson. Mi avvicino e lui: “Ci sei rimasto
male.”
“Un
po'. Mi hanno ricordato i tempi del liceo. Vabbe', pazienza.”
Lui
accende la radio, c'è Is it in my head? degli
Who. Gli chiedo: “E' nella mia testa? E qualcosa che sto
immaginando?”
“No,
Ric, ma tu non pensarci. Beh, dimmi, stai pensando di suonare
qualcosa di bello, con l'armonica?”
“Love reign o'er me,
sempre degli Who. Intendo il refrain.”
“Quadrophenia è
ancora un bel disco, vero?”
“Immenso,
I., immenso. Grandioso. Ed è grandioso anche il film. Nichilista,
forse, ma del resto, la vita è... be', sai come sia, Lady Life.”
“Già.
Bene, ora io devo andare”, sorride I.I. “Sai che Townshend deve
scrivere una Drowned part 2,
citando anche dei versi di T. S. Eliot?”
“Non
lo sapevo. Ma se non sbaglio, ora tu devi andare.”
“Vado,
vado”, fa lui, seccato. “Ma così che fine fa la tradizionale
ospitalità dei sardi? Complimenti!”
Però
sparì.
Per
una volta avevo avuto io l'ultima parola su me stesso.
venerdì 30 giugno 2017
Lavorare per vivere
Dovrebbe essere scontato che per
vivere, gli esseri umani devono lavorare; ed in modo dignitoso.
Dovrebbe essere chiaro che il
lavoro deve essere retribuito in modo giusto, adeguato.
Dovrebbe essere chiaro che sul
posto di lavoro, le norme ed i contratti devono essere rispettati sia
dal lavoratore sia dal datore.
Dovrebbe essere evidente che
nessun datore possa usare la violenza fisica o psicologica nei
confronti di chi lavora.
Ma a queste più che ovvie
considerazioni, alcuni ribattono: “Belle parole. Tu vuoi fare della
filosofia, ma la realtà è un'altra cosa.”
Filosofia la mia? Può darsi, ma
se la intendiamo come un tentativo di capire, attraverso la ragione,
la realtà. Non si tratta quindi di qualcosa di “astratto.”
Infatti, che cosa possono fare gli esseri umani, che sono esseri
razionali, se non
utilizzare ciò che li caratterizza cioè la ragione?
Devono usarla per forza, perché quella è la loro natura: così come
è nella natura del pesce nuotare.
Ma
vediamola, questa realtà.
Oggi vorrei
parlarvi di una fatto gravissimo rivelato nei giorni scorsi da
giornali e tg. Come fonte sono ricorso a bari.repubblica.it del 19
giugno 2017.
I fatti.
Nel
Brindisino, sono state arrestate 4 persone che sfruttavano e
minacciavano, oltretutto approfittando del loro “stato di bisogno”,
15 donne che dovevano lavorare più di 8 ore al giorno “a fronte
delle sei ore e mezzo previste dal contratto.”
Dalla paga
sarebbero stati poi scalati 8 euro per il trasporto da Villa Castelli
(Brindisi) e da altri comuni del Brindisino e del Tarantino, per
essere condotte “nel Barese.” Così, dalla paga giornaliera di 55
euro, si scendeva a 38.
Aggiungo
che ipotizzando una settimana lavorativa piena, cioè di 7 giorni su
7, un'ora e mezzo (facciamo anche 2) di lavoro in più al giorno,
significa 14 ore a settimana di lavoro gratis.
Questa
pessima vicenda è emersa perché una delle donne ha raccontato agli
investigatori di essere stata picchiata
per aver chiesto “la regolarizzazione del contratto.”
Le persone
arrestate: “Michelangelo Veccari, la compagna Valentina Filomeno,
Grazia Ricci e Maria Rosa Putzu.”
Le 4 persone
arrestate gestivano un sistema tristemente efficiente: il giro era
gestito da Veccari-Filomeno, le altre 2 arrestate si occupavano una
di “procacciare la manodopera” ed un'altra, era una dipendente
dell'azienda ritenuta “committente.”
Il clima di
paura e di ricatto è stato provato anche dalle intercettazioni
telefoniche. In una una di queste si sente: “Alle femmine pizze e
mazzate ci vogliono, altrimenti non imparano”; in un'altra:
“Femmine, mule e capre tutte con la stessa testa.”
Non sappiamo
(benché pare che qualche giornale abbia avanzato questa ipotesi) se
via siano state anche minacce o avances di tipo sessuale, ma il
quadro mi sembra abbastanza pesante anche così.
Comunque,
in tante parti del sud, spesso la situazione di chi lavora nelle
campagne è questa: sfruttamento, botte, minacce, ricatti di vario
tipo. Non di rado, della gestione di questo genere di “lavoro” si
occupano mafie e camorra. E come sappiamo, molte aziende sono controllate da certe
organizzazioni.
Ma
talvolta, dati i profitti che
si possono ottenere con certi aiutini, forse si può parlare più che
di controllo, di una cordiale... collaborazione.
Stroncare
questo sistema feudale e mafioso è una delle emergenze di questo
Paese: non si può assolutamente ammettere che chi lavora nei campi
di ciliegie, nelle vigne o si occupa della raccolta dei pomodori,
debba vivere in condizioni semi-schiavistiche. Altro che filosofia!
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