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mercoledì 28 ottobre 2009

Terzo sguardo su rock ed infinito


La sete di cui ho parlato in Premessa a rock ed infinito tormenta i protagonisti di Born to run e può anche finire con un incidente mortale.
E’ quel che accade nella countreggiante Wreck on the highway, quando il protagonista del pezzo scorge un giovane steso by the side of the road, al lato della strada che implora il suo aiuto… prima che un’ambulanza lo porti all’ospedale.
Il testimone di Wreck (il brano che chiude il doppio in studio The river, 1980) a volte sta sveglio in the darkness, al buio, scruta la sua donna che dorme e l’abbraccia thinking ‘bout the wreck on the highway, pensando all’incidente sull’autostrada.
Sembra quasi che l’estrema ricerca di vita possa condurre a morte certa.
Tentare d’uscire attraverso la velocità e l’intensità appunto di vita (rock incluso) dai limiti più duri, che non sono solo quelli delle convenzioni morali e sociali ma innanzitutto quelli dello spazio e del tempo, bene, forse tutto questo può portare all’autodistruzione.
Che in quella spasmodica ricerca ci sia magari un che di satanico, nel senso di Faust che voleva appunto sottrarsi all’invecchiamento ed alla comune condizione umana?
Nella My generation di Pete Townshend gli Who cantavano I hope to die before I get old, spero di morire prima di diventare vecchio.
Forse in questo c’era del satanismo cosciente e consapevole (benchè non nel senso classico, antireligioso) .
Penso che My generation possa aver condotto in un certo senso la gente del rock ad un punto di non-ritorno…

mercoledì 21 ottobre 2009

I miei rapporti col dolore


Saltabeccando come un’ape di blog in blog, mi capita spesso d’imbattermi in bloggers che spesso parlano delle loro ansie esistenziali, delle loro pene d’amore, di problemi lavorativi, personali, di dubbi religiosi, filosofici, politici ecc.
Ed in questo non c’è niente di male; il dolore è uno degli elementi più presenti nella nostra vita.
Io, infatti, se in un romanzo, un film o un poema non ne trovo neanche un po’, considero quell’opera ridicola o irreale.
Benché l’arte si fondi in buona parte sulla fantasia e sull’invenzione, non può però prescindere totalmente dalla vita reale… col rappresentare un mondo di fiaba.
Quindi, il dolore è uno degli ingredienti che permettono di distinguere tra fiaba e vita reale.
Solo che mi è purtroppo venuto il sospetto d’aver commesso un errore molto simile…
Non tanto nei miei libri, dove per fortuna risse, alcol, amori infelici, entità sataniche, disoccupati, extraterrestri, ex-galeotti, fantasmi, killers, pazzi e criminali d’ogni sorta abbondano…
No, tra quelle pagine il Male c’è e si trova benissimo, sebbene in esse vi sia anche un po’ di gioia.
Ma nel blog, non mentiamo, di Male e di dolore se ne trova pochino.
Non vorrei, insomma, care lettrici e cari lettori, avervi fatto pensare che io stia benissimo.
Sappiate perciò che ogni tanto e forse anche di frequente, sto malissimo… Eh già!
Mi premeva molto puntualizzare questo concetto, perché spesso mi trovo in a crossfire hurricane, in un uragano di fuoco incrociato, come dicono i Rolling Stones in Jumpin’ Jack flash.
Voglio dire: cos’è, soffrono tutti quanti come cani (scusate il termine) e solo io devo sembrare quello che se la spassa?
Non sarebbe giusto e diciamo la verità, non sarebbe neanche credibile.

mercoledì 14 ottobre 2009

Un’importante vittoria


“Alcuni giorni fa” il “Collegio di conciliazione ha accolto le richieste dei ricorrenti e ha respinto quelle della Geas, condannando la società al pagamento delle spese d’ufficio” (L’Unione sarda, 02/06/2009, p.19).
I fatti. Nel novembre 2008 i dipendenti della Geas, “ditta consortile di Piacenza che si occupa della pulizia dei treni in Sardegna, aveva “punito” i suoi dipendenti “con nove giorni di sospensione non retribuiti per assenza ingiustificata dal lavoro” (L’Unione sarda, n° cit.).
Tale misura era gravemente lesiva dei diritti dei lavoratori, poiché gli uomini della Geas non si erano, come sostiene la ditta, assentati dal lavoro senza giustificazione.
L’assenza dal lavoro era infatti motivata dal fatto che i lavoratori avevano scioperato “per protestare contro 39 licenziamenti” (L’Unione, n° cit.).
Il motivo era quindi validissimo: nel momento in cui dei lavoratori vedono minacciato il posto di lavoro, che è la loro unica fonte di sussistenza, per esser più chiari di pane, hanno diritto di protestare e di scioperare.
Del resto, il diritto di sciopero è sancito dalla Costituzione (Costituzione della Repubblica italiana, parte1/a, tit. III, rapporti economici, art.40).
Di fronte alla punizione decisa dalla Geas, i sindacati “(Salpas Orsa in testa)”, avevano presentato “un ricorso all’Ispettorato del lavoro”. Ed il già citato Collegio “ha respinto inoltre qualsiasi sanzione disciplinare da parte della Geas nei confronti dei suoi lavoratori” (L’Unione, n° cit.).
Peraltro, come sostiene Davide Fenu del Salpas Orsa: “L’iniziativa di protesta non ha violato in alcun modo le disposizioni contrattuali né gli ordini di servizio e tra l’altro era stata preventivamente segnalata dalle segreterie regionali sindacali” (L’Unione, n° cit.).
Del resto, c’è un diritto garantito ai lavoratori dal Testo che tutti sono tenuti a rispettare: la Costituzione.
Quel Testo, infatti, assicura che “l’iniziativa economica privata è libera” ma che: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (Costituzione, parte 1/a, tit. III, art. 41).
Fenu aggiunge: “Eravamo certi dell’esito positivo del ricorso. Per noi si tratta comunque di un’importante vittoria e non possiamo che essere soddisfatti” (L’Unione, n° cit.).
Ma per me, si può anche essere sicuri degli esiti positivi di un ricorso, di una protesta, d’aver ragione ecc.
Però, come ha scritto una volta la cara amica Emma, citando un detto in dialetto reggiano: “Un’ basta avè la rasomi, bsgna ch’i t’la dega”, “non basta aver ragione, bisogna anche che te la diano.”
Il Collegio ha dato ragione ai lavoratori della Geas, il che è molto importante sui piani giuridico, morale e sociale.
Complimenti perciò ai sindacati, che hanno presentato ricorso ed al Collegio che l’ha accolto. E complimenti soprattutto a loro: ai lavoratori.

martedì 6 ottobre 2009

Secondo sguardo su rock ed infinito


Penso che nelle arti moderne il rock abbia rappresentato (e possa farlo ancora) l’estremo tentativo, almeno per la gente del rock (che non è poca) di rompere gli schemi.
Certo, spesso, quel tentativo è stato letteralmente assassinato da abusi alcolici, di svariate droghe ecc.
In questo, troppi hanno seguito acriticamente la tesi già enunciata nel ‘700 dal poeta inglese William Blake che dichiarò: “Il sentiero dell’eccesso conduce al palazzo della saggezza.”
Blake pensava che The Doors, le porte della conoscenza si sarebbero aperte proprio grazie all’eccesso.
Come è noto, Jim Morrison coi suoi… Doors fu un devoto seguace di questa idea.
Ma se Morrison fino alla “sua” End, fine, si staccò dal suo personalissimo rock-blues per avvicinarsi alla poesia ed alla filosofia, non per questo abbandonò l’eccesso teorizzato da Blake. Che quel sentiero possa aver condotto l’uomo all’infelicità o alla disperazione?
Forse contiene della disperazione perfino la grandiosa Born to run di Springsteen e della “E” Street Band.
La corsa di Wendy e del suo uomo può essere intesa come un’eterna fuga. Non si può far altro che fuggire in the streets of a runaway American dream, lungo le strade di un effimero (o fuggitivo) sogno americano.
In tale ottica il libero arbitrio non esiste né si è liberi di correre; si è costretti a farlo e non ci si può fermare. Sembra una maledizione
Anzi, per Dave Marsh Born “è una canzone che parla della morte, pur essendo uno dei brani più pieni di vita mai registrati”
Il suo è “un messaggio di speranza, ma anche fatalista. Come gli amanti-fantasmi di Thunder road, gli eroi di Born to run sono condannati a errare lungo quel rettilineo per sempre, alla ricerca di ciò che non si potrà mai trovare” (Dave Marsh, Bruce Springsteen. Nato per correre, Gammalibri, Milano, 1983, pp.219-220).