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mercoledì 15 dicembre 2010

Una vigilia di Natale


Anche quella sera Enrico rincasò alle 17: sapeva che entro pochi minuti si sarebbero scatenate le bande.
La strada sotto casa era piena di erbacce, vecchie carcasse d’auto e di animali, ma anni prima lui aveva adocchiato una villetta abbandonata; per lui, equivaleva ad un castello. Ed aveva sempre il caro  serramanico.
Il coltello dormiva nella tasca del giubbotto, da cui egli lo svegliò poco prima d’aprire la porta. Enrico, pila in una mano e serramanico nell’altra ispezionò scrupolosamente ogni stanza; non c’era nessuno, come sempre... ma non si poteva mai dire.
3 anni prima c’era stata una donna; già, che fine aveva fatto? Temendo che qualcuno potesse averla rapita aveva battuto quasi tutta la città; era arrivato fino ai quartieri nord ma poi era tornato indietro: senza un’arma da fuoco si sarebbe solo fatto ammazzare. L’amore non valeva la pena.
Aveva sistemato la caldaia e quello andava bene: non potevi andare in giro a cercare lavoro con la schiena ed i polmoni congelati .
In tutto il mondo, in pochi anni la temperatura si era abbassata d’almeno 15 gradi. Per fortuna le zone radioattive erano state quasi tutte bonificate, o come si diceva; naturalmente, il rischio c’era ancora.
Stappò una bottiglia di vino e mentre beveva gli tornò in mente Marta; cercò di controllare una struggente, lancinante nostalgia: che alla fine l’amore valesse la pena?
Pensò: “Mi sembra d’essere un animale.”
Sapeva che in un certo senso era vero: asserragliato in quella vecchia casa, ospite di un mondo che per puro caso non si era disintegrato, lui, isolato, senza amici, senza amore, con poco lavoro, amareggiato e stanco, si sentiva come un vecchio predatore… con in giro tanti rivali più giovani e feroci di lui o forse, solo più pazzi.
Alzatosi in piedi, Enrico chiuse e riaprì il serramanico molte volte mentre al contempo eseguiva vari salti e giravolte. Si sentiva calmo e carico né provava paure di sorta; aveva già bevuto molto ma non era per niente sbronzo.
Sedette con la schiena contro la parete e disse a voce alta: “Sentite, voi che avete abitato questa casa prima di me… non sto qui per mancarvi di rispetto. Non voglio profanare i vostri ricordi. Sento la vostra felicità e davvero, in me non c’è invidia o cattiveria... sono contento che siate stati più felici di quanto ora non sia io.”
Naturalmente non poteva rispondergli nessuno: non dall’altro mondo… ma a lui questo bastò, gli sembrò un’assoluzione.
Finì quel che restava del vino e pensò che un giorno sarebbe stato bello vivere alla luce del sole, tra gente serena e che ti trattava con cordialità e simpatia… non come un animale tra altri animali, ognuno pronto a fare a pezzi l’altro.
Mentre continuava ad aprire e chiudere ritmicamente il serramanico pensò che non sapeva quando avrebbe visto quella luce, ma che per il momento quel pensiero gli aveva fatto bene. Era già qualcosa, in un manicomio di mondo come quello... anno Domini 2189.