sabato 30 luglio 2016
Orem
Orem era un brav'uomo, aveva
sempre cercato di vivere in pace con tutti ed anche con sé
stesso. Solo, questo
era molto più difficile: c'era sempre qualcosa che lo tormentava.
Sempre.
La
vita, pensava Orem, è un problema; e forse lo siamo anche noi, per
noi. Un nemico posso pestarlo,
farlo prigioniero o perfino ucciderlo; con mia moglie posso litigare
e poi fare pace; con gli amici posso urlare poi bere litri di vino.
Ma
con me stesso, che cosa posso fare? Non posso uccidere me!
Ed anche quanto al bere,
farlo da soli è da idioti, è addirittura da vecchi mammuth!
Una sera Orem
vide che un suo vicino sudava moltissimo armeggiando con dei pali e
delle corde.
“Ciao,
Zummoni.”
“Non
disturbarmi, Orem”, disse quello, brusco. “Non vedi che sto
lavorando?”
“Certo
che lo vedo. Ma spiegami perchè lo
stai facendo.”
Orem
avrebbe voluto dare a quello scemo una bella testata e rompergli il
naso, ma poi sua moglie avrebbe iniziato a strillare: “Orem!
Quante volte devo dirti di non
prendere la gente a testate? Adesso la pelliccia sporca di sangue chi
deve andare a lavartela al fiume, si può sapere? Io,
devo andarci, pezzo di cretino che non sei altro!”
Così preferì
lasciar perdere. Ma quella faccia di pterodattilo di Zummoni,
sbuffando: “Sto recintando questo campo di grano, così chi ne
vorrà, dovrà pagarlo.”
“Ma che cosa
stai dicendo, Zummi? Finora abbiamo sempre lavorato tutti insieme e
quello che cresceva nei campi, era di tutti. Ad uno poteva servire un
po' più di frutta o magari della verdura, grano ecc. ecc. Si andava
a caccia? Della carne a te, a me ed a tutti gli altri. A pesca? Del
pesce a me, a te ed a chi ne aveva bisogno, a seconda delle
esigenze.”
“Sì, ma ora
basta, dobbiamo smetterla di comportarci come dei primitivi, gente
che si divide tutto e non si arricchisce mai. Ognuno deve far
fruttare la sua intelligenza.”
“Caro Zummi,
tu la chiami intelligenza; io la chiamo avidità.”
“Ma come
osi?!”
“Oso, oso...
e non alzare la voce o ti alzo e poi ti abbasso un osso di t. rex
sulla testa, ladro che non sei altro!”
“Ladro io?!”
“Sì, ladro
tu, recintatore della mia clava! Ladro tu e tutti quelli che
seguiranno il tuo esempio.”
Poi Orem
salutò Zummoni ed andò sulla collina: si diceva che fossero piene
di tigri dai denti a sciabola, le cui carni erano prelibatissime.
Ma
una volta partito, tornò indietro (di notte) ad uccidere Zummi.
Poi ripartì.
Quasi 2 mesi
dopo riecco Orem, carico di pelli, carni e zanne. Ebbe però un'amara
sorpresa: parecchi campi erano recintati ed addirittura, l'accesso a
molte strade, proibito; all'ingresso di esse compariva la scritta
“Proprietà privata.”
Due tipi gli
si rivolsero in tono freddo dicendo: “Buongiorno, signore.”
“Ma Avro e
Bargo, perché mi chiamate signore? Ci conosciamo da quando
eravamo bambini!”
“La smetta
con la confidenza. Noi siamo delle guardie.”
“Ah sì? E
che cosa guardate?”
“Basta con
gli scherzi!”, urlò Avro. “E ci dica, dove è stato in tutto
questo tempo?”
“Beh,
saranno affari miei, no? Piuttosto ditemi voi, che cos'è quella
brutta capanna, là all'ingresso del villaggio... non capisco.”
“Non è
brutta e non è una capanna”, ribatté Bargo, “è una prigione.
E' dove rinchiudiamo i criminali.”
“Bene!”,
rise Orem. “Quindi quelli che recintano i campi, vero?”
“No, falso”,
disse Avro. “Quelli si chiamano proprietari. Se non fosse
per loro, saremmo ancora al tempo in cui....”
“Non c'era
mai bisogno”, completò Orem, “di litigare, perché ognuno si
prendeva da bravo amico, solo quello che gli serviva, ma mai più di
quello: e senza togliere niente a nessuno. E senza accumulare.”
“Ma che
dice?!”, urlò Bargo, “quello era quando eravamo ancora dei
primitivi, gente che credeva ancora all'esistenza dei dinosauri!”
“Sentite”,
replicò uno stanco Orem, “non faccio un bagno da 57 giorni e da 57
giorni non vedo mia moglie. Io vado a casa. Buongiorno.”
Mentre
raggiungeva casa sua, pensò che uccidere Zummi era stato inutile:
bisognava unirsi in tanti ed in tanti distruggere sia le maledette
recinzioni sia quella nuova tribù, quella dei recintatori.
Ma certo,
pensò, prima avrebbe dovuto far ragionare gli altri... là al
villaggio. E lui aveva sempre qualcosa che lo tormentava.
E non
faceva un bagno da 57 giorni.
E non si sdraiava sulle pelli con sua
moglie da altrettanti giorni.
Ed era tanto, tanto stanco.
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... E fu così che nessuno più visse felice e contento!
RispondiEliminaSiamo tutti vittime, tutti ciechi, tutti irrimediabilmente stanchi. Ric, sei meraviglioso.
RispondiEliminarif. Nou
RispondiEliminaPerché, infatti, tutti i legami di solidarietà ormai, non esistevano più.
Perché, ormai, contavano solo i soldi e l'astuzia... l'astuzia dei serpenti, non l'intelligenza degli esseri umani.
La legge della giungla, in poche parole!
rif. Sonia Ognibene
RispondiEliminaAh, Sonia, non farmi arrossire!
Purtroppo, molte volte è dannatamente difficile reagire alla cecità ed alla stanchezza.
Ecco perché i serpenti ed i predatori vincono in carrozza...