martedì 28 aprile 2015
“L'Agnese va a morire”, di Renata Viganò
Oggi vi parlerò di questo
straordinario romanzo. Intanto, come scrisse la Viganò: “La
storia di Agnese non è una fantasia”
(R. Viganò, L'Agnese va a morire
(1949), Einaudi, Torino, 1994, pp.243-246).
Inoltre
la sua vita, che diventò più vera e piena nella
Resistenza, ha incarnato perfettamente quella di tante persone,
spesso di umile condizione, che hanno combattuto il nazifascismo con
tutto il loro essere: anche quando potevano mancare di una grande
preparazione politico-culturale mentre chi quella preparazione aveva,
si sottrasse alla lotta. Pensiamo per es. al vergognoso episodio dei
professori universitari,
dei quali solo 12 su
circa 1200 rifiutarono
di prestare giuramento di fedeltà al
fascismo...
Ma
la pienezza di vita
degli uomini e delle donne che parteciparono alla Resistenza fu tale
solo dal punto di vista morale:
non fruttò loro niente se non violenze fisiche e sessuali, torture,
fame, deportazione, gelo, miseria, ricatti, umiliazioni e spesso
morte.
Ma
il senso di giustizia spinse
quegli uomini e quelle donne a patire tutto ciò che il nazista ed il
suo servo fascista decideva di infliggere loro.
E
l'eroica azione di queste persone avveniva senza chiedere niente a
nessuno, senza tirarsi indietro di fronte a nessun pericolo, ma anzi
con la forte consapevolezza che qualsiasi momento
poteva essere l'ultimo.
L'atteggiamento di queste persone era però lontanissimo dalla
retorica o dall'autocelebrazione: in loro agiva la chiara e viva
coscienza del dovere...
quello cioè di liberare l'Italia da una mostruosa tirannide.
Erano
(uomini e donne) contadini, operai, artigiani, pescatori, braccianti,
giovanissimi studenti, garzoni, soldati di un esercito finito allo
sbando. Per loro, l'ingresso nella Resistenza avvenne (come nel caso
di Agnese) per l'uccisione da parte nazista di un familiare, ma anche
come una conseguenza naturale.
Infatti, come per un artista è naturale creare,
così per una lavoratrice e donna del popolo lo era battersi
contro i nazifascisti.
Agnese compie
un lavoro estremamente rischioso di collegamento coi partigiani, li
ospita, li sfama, salva un soldato che ha abbandonato l'esercito
fascista, sfida il gelo delle valli di Comacchio che percorre in
bicicletta per km e km, viene fermata, maltrattata e minacciata dai
nazisti. Tutto questo con uno stress psicofisico che lei, donna ormai
anziana e probabilmente sofferente di cuore, la logora ogni giorno di
più... fino alla tragica fine.
I
partigiani la chiamavano mamma Agnese,
ma nella durezza di una guerra come quella, non c'era tempo per molte
altre manifestazioni di affetto.
Oggi la sua
visione della storia e della stessa lotta antifascista potrebbe
sembrare ingenua, divisa come era tra “ricchi” da una parte e
“poveri” dall'altra (pp.166-167), ma questa ingenuità è solo
apparente: il nazifascismo ricevette massicci appoggi politici,
economici e militari dalle classi dirigenti.... classi che dopo i
moti rivoluzionari in Germania e dopo il “biennio rosso”
(1918-1920) in Italia, avevano tutto l'interesse a bloccare l'ascesa
dei proletari.
Del resto, nei
partiti e nei movimenti operai c'erano persone:
“Come il
Comandante, gente istruita, che capisce e vuol bene a tutti, non
chiede niente per sé e lavora per gli altri quando ne potrebbe fare
a meno, e va verso la morte mentre potrebbe avere molto denaro e
vivere in pace fino alla vecchiaia.” Ora: “Questo era il partito,
e valeva la pena di farsi ammazzare” (pp.166-167).
Se
questa è ingenuità,
allora trovate un'altra parola per quella vera,
che è solo volgare mania di mostrarsi “moderni”, “evoluti”
ecc.; il che rivela solo cinismo, indifferenza ed alla fine,
complicità con chi
sfrutta e massacra la povera gente. Ma lo fa con un'aria di bonomia e
di “disinteresse”. Come cantava John Lennon: “Se volete essere
come la gente dei quartieri alti, imparate ad uccidere sorridendo.”
Nel corso del
romanzo, la figura di Agnese acquista sempre più rilievo: eppure
parla pochissimo... per lei 3-4 frasi sono già un lungo discorso e
teme sempre d'aver sbagliato qualcosa, anche quando ha salvato delle
persone. Ma Agnese non si vanta mai ed è come una ragazzina che
necessita dell'approvazione degli altri.
Una
delle prove (tra tante) della sua generosità e delicatezza: dopo la
morte del marito potrebbe evitare ulteriori pericoli e vivere dei
risparmi accumulati in tanti anni di duro lavoro, eppure li mette
tutti a disposizione
dei partigiani, aggiungendo: “Li do senza offesa” (p.27).
Ecco,
davvero qui Agnese dà prova di grande delicatezza:
perché ci si deve dimostrare solidali in modo che il nostro atto non
sembri superbo né compiuto con aria di degnazione.
Agnese
appare come una forte e robusta donna emiliano-romagnola, una donna
inoltre che prima lavorava nei campi ed anche come lavandaia e che
entrata nella Resistenza, si assume rischi e sobbarca fatiche che
spesso sembra possano stroncare perfino una donna come lei, del resto
quasi anziana. L'impressione di fondo è quella di una grande
fisicità ed in modo
altrettanto fisico, lei percepisce i nazisti; sia la loro crudeltà
sia i loro stessi tratti somatici:
“L'aia, la
campagna, il mondo furono guastati dai loro aspetti meccanici
disumani, pelle, ciglia, capelli quasi tutti di un solo colore
sbiadito, e occhi stretti, crudeli, opachi come di vetro sporco. I
mitra sembravano parte di essi, della loro stessa sostanza viva”
(pp.14-15).
Oltre
alla spietatezza nazista abbiamo anche quella dei fascisti
italiani. Un partigiano era
stato impiccato ad un albero e mentre suonava una campana a morto:
“Intorno
all'albero stavano tre o quattro tedeschi e dei soldati della guardia
nazionale repubblicana. Ridevano e
battevano il passo per riscaldarsi. Uno di essi, con un
bastone, si mise a dare dei
colpi regolari alle
ginocchia del morto che oscillava in qua e in là con lo stesso ritmo
della campana. E gli altri, in coro, gridavano: _ Don, don,
don_. (p.28; corsivi miei).
Accanto a
questi atti di sadica irrisione abbiamo la follia omicida causata dal
nazifascismo, come quando a bordo di un treno carico di deportati,
una madre “strozzò il bimbo di pochi mesi” e gli altri deportati
dovettero legarla “perché era diventata matta” (p.37).
Nel
romanzo abbiamo due presenze costanti: l'acqua,
quella che circonda le valli di Comacchio e che talvolta bloccava
l'azione partigiana; il popolo,
che dei partigiani è stato il fratello e che con loro condivideva la
fame e spesso la morte. E senza l'appoggio popolare, i successi dei
partigiani sarebbero stati impossibili.
“I
tedeschi non sapevano che fra quegli uomini e quelle donne, in giro
fra la neve, molti, quasi tutti, erano partigiani. Staffette inviate
con un ordine nascosto nelle scarpe, dirigenti che andavano alle
riunioni nelle stalle dei contadini, capi che preparavano l'azione
dove nessuno l'aspettava. La forza della resistenza era questa:
essere dappertutto, camminare in mezzo ai nemici, nascondersi nelle
figure più scialbe e pacifiche. Un fuoco senza fiamma né fumo: un
fuoco senza segno. I tedeschi e i fascisti ci mettevano i piedi
sopra, se ne accorgevano quando si bruciavano.” (p.158).
All'interno
di questo quadro non c'era modo per celebrare i vittoriosi attacchi
sul nemico né per piangere i morti. Mancava anche quello per il
romanticismo, anche se troviamo un momento che la Viganò fissa
benissimo in poche righe; si tratta di quando un partigiano va dalla
famiglia della donna che ama:
“Mangiò
con loro, spiegò che voleva andare in valle a pescare a a caccia di
folaghe. Gli battevano le mani sulle spalle, gli domandavano notizie
della guerra, lo chiamavano Antonio, Tonino; e la figlia di casa
apparve tutta rossa e felice(....).
_
Mi vuoi quanto torno_, le disse (…) un momento che rimasero soli.
La
baciò dietro la porta, aveva una bella bocca, giovane, con le labbra
che sapevano di frutta (…). _Se non ti dispiace di aspettarmi, dopo
la guerra ti sposo_.
La
baciò ancora sulla bocca: sentiva proprio che le voleva bene”
(p.177).
Questo
è uno dei rarissimi momenti in cui la penna della Viganò concede
qualcosa (per me con vera maestria) al mondo dell'amore. Ma l'amore
non è possibile senza giustizia:
perché da un momento all'altro chi calpesta il tuo Paese ed i tuoi
diritti può distruggere te e/o chi ami.
Mancando
la giustizia la stessa libertà
è solo un voltarsi dall'altra parte mentre tanti sono schiavizzati o
trasformati in burattini. E presto potrebbe toccare a noi.
Non
dimentichiamo mai il sacrificio di chi ha reso possibile questa (pur
molto zoppicante) democrazia. Non dimentichiamolo, a 70 anni dalla
Liberazione del Paese ed a 78 dalla morte di Antonio Gramsci.
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Ciao Riccardo,
RispondiEliminami sono sorpresa e commossa nel ricordo di questo bellissimo libro, vero e crudele e umanissimo, che ho letto moltissimi anni fa e che ho ritrovato nelle parole del tuo post, con la stessa emozione di allora.
Un caro saluto
Marilena
rif. Fata Confetto
RispondiEliminaCiao, Marilena!
In effetti, ognuno di noi dovrebbe provare forte commozione al ricordo di un libro come questo...
Sia per il suo contenuto sia per la forma letteraria, a distanza di tanti anni, secondo me ancora entrambi freschissimi.
Per quanto riguarda la sorpresa, che dire?
Purtroppo, de "L' Agnese va a morire", si parla e scrive ormai troppo poco; perciò la sorpresa è più che comprensibile.
Un caro saluto anche da parte mia.
Si andava a morire per una idea,per un superiore bisogno di sentirsi utili ,di partecipare a ricostruire la storia,per amore della libertà.Tempi diversi,ma principalmente donne ed uomini diversi.Ciao,Riccardo.
RispondiEliminarif. Chicchina Acquadifuoco
RispondiEliminaTemo proprio che il punto sia quello da te indicato: uomini e donne diversi... anzi (secondo me) migliori, molto migliori degli attuali.
Con ormai poche o addirittura rarissime eccezioni, noi abbiamo al massimo il coraggio di fare uno sciopero.
Mi chiedo che cosa potremmo fare di fronte ad un nuovo nazifascismo (che pure dovesse presentarsi in forme nuove).
Ciao a te e buona domenica!
Caro il mio Riccardo come è sempre piacevole il leggerti di qualsiasi cosa si tratti, sei dolce umano reale e fantasioso nello stesso tempo
RispondiElimina. Come si può dimenticare questa storia, questo romanzo, questa straordinaria figura di donna, sicuramente non isolata, gli ideali, l'amore , la condivisione ..tutte cose che oggi sono latitanti..
Peccato, solo il ricordo può farle riaffiorare..almeno lo speriamo.
Un bacio amico mio!
rif. Nella Crosiglia
RispondiEliminaCara Nella, davvero grazie per la stima!
Ma sono persone come l'Agnese, che col loro cuore e col loro coraggio riescono (sia pure a distanza di tanto tempo) a farci dire cose (speriamo) belle.
In ogni caso, chissà che anche ricordare queste persone straordinarie non possa servire di stimolo al nostro pensiero, alla nostra azione...
Io penso che questo sia possibile, anche se la strada è lunga e come sappiamo bene, piena di sassi e di spine!
Kissone, rock Sister!
Gran bella citazione/ricordo... anni fa, ho fatto un bel giro in barcone nelle Valli di Comacchio, e visto i luoghi dove furono girate alcune scene del film tratto dal libro.
RispondiEliminarif. Alligatore
RispondiEliminaGrazie grazie, Alligatore!
Piacerebbe anche a me fare un giro del genere: penso che si tratti di un luogo davvero suggestivo...
Anche in sè, voglio dire anche volendo (ammesso che questo sia possibile) prescindere dai luoghi della lotta artigiana.
L'acqua, in tutte le sue forme, è sempre un mistero...
rif. Alligatore
RispondiEliminaErrata corrige: partigiana, non artigiana.
Anche se di sicuro, a quella lotta parteciparono anche molti artigiani.
Lapsus che quindi non è del tutto tale, il mio.
Un libro che mi è rimasto nel cuore.
RispondiEliminaPer Agnese è come se non si ponesse nemmeno la necessità della scelta, si fa perchè si deve e basta. Si fa come cosa inevitabile, come lavorare anche se si è stanchi, come dar da mangiare a chi ha fame anche se in casa non c'è nulla, non può esserci dubbio.
Grazie per aver ricordato questo libro che amo molto.
rif. Vera
RispondiEliminaUn libro straordinario, c'è poco da dire!
Certe scelte sono davvero inevitabili, se si vuol avere il coraggio di guardarsi ancora allo specchio senza provare vergogna.
E se ci si vuol sentire ancora umani...
Grazie a te per aver apprezzato questo articoletto!
Ciao.
Grazie,molto inutule
RispondiEliminarif. Unknown
RispondiEliminaVolevi dire utile o inutile?